Ma cos’era il
socialismo reale? Bettelheim invita a ragionare sul fatto che non è sufficiente
volgere lo sguardo alla questione della pianificazione economica ma occorre
anche concentrare l’attenzione sull’insieme dei rapporti politici, sociali e
ideologici di una formazione sociale. Da qui, per chi scrive, la necessità
quanto mai attuale nel tempo della crisi sistemica scaturita nel 2007 dalla
scandalosa gestione dei mutui subprime, di tornare, da un lato, a studiare la
storia dell’URSS e, dall’altro, di tenere presente che la storia del comunismo
non si può ridurre alla narrazione delle vicende del bolscevismo né, tanto
meno, della burocrazia e dei gruppi dirigenti sovietici. Il comunismo non è
stato partorito da personalità eccezionali, anche se queste indubbiamente non
mancarono, ma è stato una grande elaborazione collettiva, che ha dato vita a
una storia esaltante e tragica al tempo stesso. Il protagonista di questa
esperienza capitale è stato il movimento operaio le cui istanze sociali e
politiche si voleva che costituissero i germi di una nuova civiltà.
E non è tutto: veniamo al tema centrale rappresentato dalla difficoltà di realizzare, all’interno del mercato mondiale, un sistema di rapporti di produzione socialisti. La presenza delle categorie di mercato nell’ambito delle formazioni sociali di transizione (socialismo reale) rimanda, infatti, al problema dell’esistenza delle condizioni oggettive che determinano la comparsa e la persistenza della forma valore. All’interno di una particolare formazione sociale di transizione la questione della sopravvivenza della forma valore rinvia, a sua volta, all’insieme dei rapporti di produzione, circolazione e consumo che si esplicitano in una dinamica di sfruttamento e che vengono nascosti e dissimulati proprio dalla forma valore. Da qui il bisogno di risalire ai rapporti di produzione e di sostituire, per ciò che riguarda la loro analisi teorica, uno spazio omogeneo come quello dell’economia politica non marxista con uno spazio strutturato e complesso che non rimuova il problema del rapporto salariale che sottomette la forza lavoro all’esigenza dell’incremento del valore. Del resto, su questo versante Charles Bettelheim partecipava di quel salutare clima di rinnovamento culturale del marxismo critico che lo vedeva, insieme a intellettuali del calibro di Louis Althusser, figurare, come membro del gruppo “Spinoza”, ai seminari presso l’École normale supérieure de la rue d'Ulm di Parigi animati dall’autore di Per Marx e di Leggere il Capitale.
E non è tutto: veniamo al tema centrale rappresentato dalla difficoltà di realizzare, all’interno del mercato mondiale, un sistema di rapporti di produzione socialisti. La presenza delle categorie di mercato nell’ambito delle formazioni sociali di transizione (socialismo reale) rimanda, infatti, al problema dell’esistenza delle condizioni oggettive che determinano la comparsa e la persistenza della forma valore. All’interno di una particolare formazione sociale di transizione la questione della sopravvivenza della forma valore rinvia, a sua volta, all’insieme dei rapporti di produzione, circolazione e consumo che si esplicitano in una dinamica di sfruttamento e che vengono nascosti e dissimulati proprio dalla forma valore. Da qui il bisogno di risalire ai rapporti di produzione e di sostituire, per ciò che riguarda la loro analisi teorica, uno spazio omogeneo come quello dell’economia politica non marxista con uno spazio strutturato e complesso che non rimuova il problema del rapporto salariale che sottomette la forza lavoro all’esigenza dell’incremento del valore. Del resto, su questo versante Charles Bettelheim partecipava di quel salutare clima di rinnovamento culturale del marxismo critico che lo vedeva, insieme a intellettuali del calibro di Louis Althusser, figurare, come membro del gruppo “Spinoza”, ai seminari presso l’École normale supérieure de la rue d'Ulm di Parigi animati dall’autore di Per Marx e di Leggere il Capitale.
Il teorico dell’economia rilanciava per le società
socialiste in transizione, e dunque non ancora sviluppate, la celebre analisi
marxiana del primo libro de Il
Capitale sul feticismo della merce, secondo cui dietro la forma
fantasmagorica del rapporto fra cose si cela un rapporto sociale determinato
fra gli uomini stessi. E tutto questo nonostante il fatto che nei paesi in
transizione vi fosse una proprietà da parte dello Stato dei mezzi di
produzione, con la conseguente pianificazione, non tradottasi peraltro in
proprietà sociale dei produttori immediati.
E qui si perviene, così, all’ultimo punto della nostra riflessione sul lavoro teorico di Bettelheim. La pianificazione, modificando, almeno in parte, le modalità del rapporto sociale di produzione e, dunque, le forme dell’interdipendenza tra i diversi lavori del processo sociale di produzione, può innescare realistiche dinamiche di controtendenza rispetto al pericolo di ricaduta all’interno di relazioni a dominanza capitalistica. Ma tutto questo si verifica solo nella misura in cui lo Stato, e le istituzioni politiche, economiche e amministrative che da esso dipendono, coordinano realmente e a priori l’attività produttiva, implementando la cooperazione organizzata su scala sociale, in funzione della partecipazione effettiva delle masse. Di fronte al problema della burocratizzazione e della gerarchizzazione della società sovietica Bettelheim ribadiva la necessità che la realizzazione del piano fosse vincolata all’effettivo controllo, da parte dei produttori immediati, delle condizioni di produzione e di riproduzione. Solo il dominio sociale dei lavoratori sui mezzi di produzione e sui prodotti avrebbe tendenzialmente portato alla eliminazione della funzione della moneta e alla scomparsa dei rapporti di mercato. Se così non fosse stato, si sarebbero configurate forme di intervento “tipiche del capitalismo di Stato” con una direzione in grado di esercitare un forte controllo dal vertice e, prima o poi, ribadiva profeticamente lo studioso di economia, si sarebbe verificato un ritorno ai rapporti di mercato e ai rapporti di lavoro salariato assicurando, per questa via, un sostanziale dominio al modo di produzione capitalistico. (Giovanni Di Benedetto)
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E qui si perviene, così, all’ultimo punto della nostra riflessione sul lavoro teorico di Bettelheim. La pianificazione, modificando, almeno in parte, le modalità del rapporto sociale di produzione e, dunque, le forme dell’interdipendenza tra i diversi lavori del processo sociale di produzione, può innescare realistiche dinamiche di controtendenza rispetto al pericolo di ricaduta all’interno di relazioni a dominanza capitalistica. Ma tutto questo si verifica solo nella misura in cui lo Stato, e le istituzioni politiche, economiche e amministrative che da esso dipendono, coordinano realmente e a priori l’attività produttiva, implementando la cooperazione organizzata su scala sociale, in funzione della partecipazione effettiva delle masse. Di fronte al problema della burocratizzazione e della gerarchizzazione della società sovietica Bettelheim ribadiva la necessità che la realizzazione del piano fosse vincolata all’effettivo controllo, da parte dei produttori immediati, delle condizioni di produzione e di riproduzione. Solo il dominio sociale dei lavoratori sui mezzi di produzione e sui prodotti avrebbe tendenzialmente portato alla eliminazione della funzione della moneta e alla scomparsa dei rapporti di mercato. Se così non fosse stato, si sarebbero configurate forme di intervento “tipiche del capitalismo di Stato” con una direzione in grado di esercitare un forte controllo dal vertice e, prima o poi, ribadiva profeticamente lo studioso di economia, si sarebbe verificato un ritorno ai rapporti di mercato e ai rapporti di lavoro salariato assicurando, per questa via, un sostanziale dominio al modo di produzione capitalistico. (Giovanni Di Benedetto)
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