La teoria Marxista poggia la sua forza sulla scienza... che ne valida la verità, e la rende disponibile al confronto con qualunque altra teoria che ponga se stessa alla prova del rigoroso riscontro scientifico... il collettivo di formazione Marxista Stefano Garroni propone una serie di incontri teorici partendo da punti di vista alternativi e apparentemente lontani che mostrano, invece, punti fortissimi di convergenza...
domenica 20 settembre 2015
sabato 19 settembre 2015
La psicanalisi - Gabriella Giudici
Il termine
psicanalisi compare per la prima volta in uno scritto del 1896, L’ereditarietà
e l’eziologia della nevrosi, in cui Freud lo utilizza al posto di altri usati
in precedenza per illustrare i suoi metodi osservativi e terapeutici di alcuni
disturbi psichici. Un anno prima, il medico viennese aveva iniziato ad
elaborare una spiegazione simbolica dei sogni, lavorando su un suo sogno
personale elaborato nella notte tra il 23 e il 24 luglio 1895 e noto come «il
sogno dell’iniezione di Irma».
Si trattava
dell’inizio dell’elaborazione di una nuova visione dell’inconscio e
dell’analisi della psiche, il cui primo passo maturo è rappresentato, appunto,
dall’Interpretazione dei sogni (1900) e dai Tre saggi sulla sessualità (1905).
Con L’interpretazione dei sogni Freud, infatti, offre un’illustrazione del
rapporto tra coscienza e inconscio, evidenzia la natura simbolica dei sogni ed
adotta il metodo terapeutico delle “libere associazioni”, abbandonando
l’ipnosi, mentre nel testo del 1905 indica nelle pulsioni sessuali e nel loro
ruolo nella vita umana, la spiegazione principale della nevrosi.
Ciononostante,
Freud non si attribuì la paternità della psicanalisi, dichiarando invece il
proprio debito verso lo psichiatra viennese Joseph Breuer [Prima conferenza
sulla psicanalisi, Boston 1909].
Sulla base delle
sue osservazioni di psicopatologie di diversa gravità – dall’isteria, alla
nevrosi ossessiva, alle fobie, i tic, ed altre ancora – la psicologia freudiana
saldò progressivamente le interpretazioni dei fenomeni psicopatologici con
quelli dei processi psichici normali, estendendo la propria attenzione a
diversi campi dell’attività umana, quali la creazione artistica, la
linguistica, l’antropologia, ecc., costruendo un modello esplicativo unitario.
Videolezioni commentabili: 1. L’intervista di Freud alla BBC: The
struggle is not yet over; 2. Le origini della psicanalisi: dall’ipnosi al metodo
catartico; 3: Il sogno dell’iniezione di Irma e la nascita della nuova
scienza; 4. Le rappresentazioni della mente; 5. Le fasi dello
sviluppo psicosessuale e la crisi edipica; 6. I meccanismi di difesa; 7.L’antropologia, Totem e
tabù.
LA JUNGHIANA SINCRONICITA'*- Stefano Garroni
*Da QUADERNO
FREUDIANO, Stefano Garroni, Ed. BIBLIOPOLIS
L'ambiguità della tesi junghiana è trasparente: il principio
della sincronicità significativa - per quanto Jung lo presenti non alternativo
ma integrativo di quello scientifico o causalistico -, in realtà, è il
tentativo di restaurare un punto di vista antiscientifico nella sua essenza.
venerdì 18 settembre 2015
Il ruolo della borghesia nel Manifesto del partito comunista
I rapporti borghesi di produzione e di scambio, i rapporti
borghesi di proprietà, la società borghese moderna che ha creato per incanto
mezzi di produzione e di scambio così potenti, rassomiglia al mago che non
riesce più a dominare de potenze degli inferi da lui evocate. Sono decenni
ormai che la storia dell'industria e del commercio è soltanto storia della
rivolta delle forze produttive moderne contro i rapporti moderni della
produzione, cioè contro i rapporti di proprietà che costituiscono le condizioni
di esistenza della borghesia e del suo dominio. Basti ricordare le crisi
commerciali che col loro periodico ritorno mettono in forse sempre più
minacciosamente l'esistenza di tutta la società borghese. Nelle crisi
commerciali viene regolarmente distrutta non solo una gran parte dei prodotti
delle forze produttive già create. Nelle crisi scoppia una epidemia sociale che
in tutte le epoche anteriori sarebbe apparsa un assurdo l'epidemia della
sovraproduzione. La società si trova all'improvviso ricondotta a uno stato di
momentanea barbarie; sembra che una carestia, una guerra generale di sterminio
le abbiano tagliato tutti i mezzi di sussistenza; l'industria, il commercio
sembrano distrutti. E perché? Perché la società possiede troppa civiltà, troppi
mezzi di sussistenza, troppa industria, troppo commercio. Le forze produttive
che sono a sua disposizione non servono più a promuovere la civiltà borghese e
i rapporti borghesi di proprietà; anzi, sono divenute troppo potenti per quei
rapporti e ne vengono ostacolate, e appena superano questo ostacolo mettono in
disordine tutta la società borghese, mettono in pericolo l'esistenza della
proprietà borghese. I rapporti borghesi sono divenuti troppo angusti per poter
contenere la ricchezza da essi stessi prodotta. Con quale mezzo la borghesia
supera la crisi? Da un lato, con la distruzione coatta di una massa di forze
produttive; dall'altro, con la conquista di nuovi mercati e con lo sfruttamento
più intenso dei vecchi. Dunque, con quali mezzi? Mediante la preparazione di
crisi più generali e più violente e la diminuzione dei mezzi per prevenire le
crisi stesse.
A questo momento le armi che son servite alla borghesia per
atterrare il feudalesimo si rivolgono contro la borghesia stessa.
giovedì 17 settembre 2015
POST-MODERNO E CAMBIO SOCIALE* - Stefano Garroni
*Da DIALETTICA E SOCIALITA', Stefano Garroni, BULZONI Ed.
"Il senso di questo volume sta nella tesi, secondo cui in tanto è possibile restituire al testo di Marx tutta la sua forza teorica, in quanto (anche) se ne riconsideri il rapporto con la lezione hegeliana. Di fatto, l'impoverimento scolastico e dogmatico del marxismo si lega strettamente ad una tradizione interpretativa di Hegel, largamente posta in crisi dalla più recente e rigorosa letteratura critica. Su questa base, tento confronti fra recise pagine di Marx e di Hegel, ritrovando fra esse consonanze, che fanno giustizia - a quanto mi sembra - di accreditati luoghi comuni. L'Appendice che chiude il volume, serve a mostrare come lo stravolgimento dogmatico e scolastico del marxismo ne abbia diminuita grandemente la capacità critica innovatrice.
La pubblicazione di questo volume è stata possibile dall'affettuoso sostegno e dall'intelligente contributo di Francesco Valentini, Alessandro Mazzone e Enza Celluprica. Ovviamente ringrazio questi docenti del loro apporto, scusandomi della misura limitata, in cui son riuscito a farne tesoro nel mio scritto. (S. Garroni)
"Il senso di questo volume sta nella tesi, secondo cui in tanto è possibile restituire al testo di Marx tutta la sua forza teorica, in quanto (anche) se ne riconsideri il rapporto con la lezione hegeliana. Di fatto, l'impoverimento scolastico e dogmatico del marxismo si lega strettamente ad una tradizione interpretativa di Hegel, largamente posta in crisi dalla più recente e rigorosa letteratura critica. Su questa base, tento confronti fra recise pagine di Marx e di Hegel, ritrovando fra esse consonanze, che fanno giustizia - a quanto mi sembra - di accreditati luoghi comuni. L'Appendice che chiude il volume, serve a mostrare come lo stravolgimento dogmatico e scolastico del marxismo ne abbia diminuita grandemente la capacità critica innovatrice.
La pubblicazione di questo volume è stata possibile dall'affettuoso sostegno e dall'intelligente contributo di Francesco Valentini, Alessandro Mazzone e Enza Celluprica. Ovviamente ringrazio questi docenti del loro apporto, scusandomi della misura limitata, in cui son riuscito a farne tesoro nel mio scritto. (S. Garroni)
mercoledì 16 settembre 2015
IL CAPITALE DI MARX (12) - Riccardo Bellofiore.
Video degli incontri del ciclo di letture del I libro del "Capitale" di Karl Marx organizzato da Noi Restiamo Torino e tenuto da Riccardo Bellofiore (Università di Bergamo).
Lezioni precedenti:
https://www.youtube.com/playlist?list=PL5P5MP2SvtGh94C81IekSb83uO7nLgHmL
martedì 15 settembre 2015
J.S.MILL E L'ARROGANZA DELLA RAGIONE* - Stefano Garroni
*Da QUADERNO
FREUDIANO, Stefano Garroni, Ed. BIBLIOPOLIS
"La vita di un
uomo non è più importante per l'universo di quella di un'ostrica (...) Quando
io sarò morto, i principi dei quali io sono composto adempiranno ancora la loro
parte nell'universo e saranno egualmente utili nella grande fabbrica del mondo,
come quando componevano questa creatura individuale. La differenza nell'insieme
non sarà maggiore di quella che corre tra il mio essere in una camera o
all'aria aperta. Uno di questi mutamenti è per me più importante dell'altro, ma
non è così per l'universo". (D. Hume)
Se l'uomo moderno è individuo,
nel senso che sa liberarsi delle proprie radici immediate, dei propri
legami naturali ed ambientali; se è individuo,
nel senso di libero creatore della propria personalità, allora:
"egli esiste come
essere libero, come possibilità di essere il contrario di se stesso in
relazione ad una determinatezza: e nel singolo come tale non vi è niente che possa
esser considerato come determinatezza; in questa libertà quindi è posta altrettanto
bene la possibilità del non riconoscimento e della non libertà". (Hegel)
L'onnipotenza dell'educazione/ragione si rivela disperata
casualità; la personalità che è frutto di quell'onnipotenza è sempre
revocabile, aperta alla continua possibilità di smentirsi, di costruirsi
altrimenti: è gratuita. In definitiva l'arroganza
della ragione produce labili, revocabili frutti.
lunedì 14 settembre 2015
La Primavera di Atene – Yanis Varoufakis
Quelle orgogliose nazioni che hanno problemi di debito devono essere condannate a una prigione del
debito entro la quale è impossibile produrre la ricchezza necessaria per
ripagare i propri debiti e uscire di prigione. Ed è così che l’Europa si sta
trasformando dalla nostra casa comune alla nostra comune gabbia di ferro.
Quindi, permettetemi di essere chiaro su questo: la medicina
non è solo amara. È tossica. Un medico che consigliasse una simile medicina
mortale ad un paziente sarebbe stato arrestato e radiato dall’associazione
medica. Ma nell’Eurogruppo, il fatto che la medicina sta uccidendo il paziente
è visto come la prova che la stessa medicina è necessaria. Che la dose deve
essere aumentata!
Per cinque anni il programma di austerità della troika ha
creato la più lunga e profonda recessione nella storia. Abbiamo perso un terzo
del nostro reddito collettivo. La disoccupazione è passata dal 10% al 30% in un
paese dove solo il 9% dei disoccupati ha ricevuto l’indennità di
disoccupazione. La povertà ha inghiottito 2 dei nostri 10 milioni di
popolazione. E non è mai andato in un altro modo.
Quando ho deciso di ridurre gli enormi stipendi dei manager
HFSF, nominati in gran parte dalla troika, ho ricevuto una lettera da Mr Thomas
Wieser, il presidente dell’Euro Working Group, un funzionario chiave della
Troika, che mi ha detto che non potevo farlo senza la sua approvazione.
In un paese dove la Troika impone continui tagli alle
rivendicazioni salariali e pensionistiche, il ministro non può ridurre gli
stipendi esorbitanti dei “Troika boys and girls” – stipendi pagati dalla nostra
nazione in bancarotta.
nel 1967 ci sono stati i carri armati e nel
2015 ci sono state le banche. Ma il risultato è lo stesso nel senso di aver
rovesciato il governo o di averlo costretto a rovesciarsi da solo – come il
Primo Ministro Tsipras purtroppo ha deciso di fare la notte del nostro
magnifico referendum, la notte che mi sono dimesso dal mio ministero, e poi di
nuovo il 12 luglio.
La ragione per cui non mi sono dimesso allora, alla fine di
aprile o all’inizio di maggio, era che la mia sicurezza che la Troika non
avrebbe offerto al mio primo ministro nessun accordo anche mezzo decente dopo
che avesse concesso loro quasi tutto quello che avevano chiesto. Per loro, lo
scopo era la nostra umiliazione, piuttosto che un duro, austero accordo. E così
ho aspettato perché Alexis irriggidisse il suo tono. Il referendum gli ha dato
questa possibilità.
Quando l’Eurogruppo ha segnalato alla BCE di chiudere le
nostre banche per rappresaglia al nostro referendum – le stesse banche che la
BCE aveva ripetutamente dichiarato solventi – ho consigliato due o tre atti di
rappresaglia favorevoli a noi. Quando sono stato messo in minoranza all’interno
del nostro “gabinetto di guerra”, sapevo che eravamo al game over.
Ma poi i coraggiosi, la gente senza paura della Grecia,
nonostante la propaganda condotta dagli oligarchi delle stazioni televisive e
radiofoniche, ignorando le banche chiuse, hanno votato un sonoro ‘No’ alla
resa. Quella notte Danae e io abbiamo sentito che avevamo avuto un’altra
possibilità. O che, per lo meno, dovevamo dimetterci se pensavamo che le nostre
armi fossero state tutte usate, e scendere in piazza con il nostro coraggioso
popolo.
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domenica 13 settembre 2015
venerdì 11 settembre 2015
2015 Il bambino e il cormorano, quali scenari per la borghesia europea - Mauro Casadio
Una cosa certa è che siamo entrati dentro un cambiamento
profondo a livello mondiale. La crisi sistemica del capitalismo procede,
determinando molti e diversi effetti concreti, non solo l’esodo di masse
enormi. I parametri interpretativi usati fino ad oggi stanno saltando uno a uno
producendo uno sbandamento mai visto finora anche tra militanti ed
organizzazioni che tentano di mantenere una identità di classe e comunista.
Di fronte a questi sconvolgimenti il recupero del pensiero
marxista, l’uso dei corretti strumenti teorici per leggere tendenze e
prospettive è fondamentale per inquadrare le questioni e agire politicamente a
tutto campo. La sinistra di oggi, reduce di una cultura politica ormai
sconfitta, di cui Tsipras ne è l’ultimo vergognoso esempio, ormai non gode più
di nessun spazio. Il miserabile buonismo opportunistico anche rispetto al
drammatico esodo di massa di queste settimane, che da noi marcia “scalzo”,
rimuove sistematicamente la lettura di classe dei fenomeni, lettura che mai come
oggi dimostra la sua validità, non può che portare a ulteriori sconfitte, ad
accodarsi al renzismo anche se condannato a parole ma accettato e digerito nei
comportamenti politici e sociali.
giovedì 10 settembre 2015
CREDENZA/ERRORE e CREDENZA/FEDE* - Stefano Garroni
*Da QUADERNO
FREUDIANO, Stefano Garroni, Ed. BIBLIOPOLIS
Un complesso di credenze morali - e di comportamenti ed istituzioni da quelle
ispirati -, secondo J. S. Mill, rimanda ad un equivoco linguistico, ad un vizio
di ragionamento: nel contesto "legge di natura", un termine -
"legge" - è usato ambiguamente, in senso descrittivo, ma anche in
senso prescrittivo.
Siccome le due accezioni del termine sono contemporaneamente
presenti, allora quanto appare come il normale corso delle cose, immediatamente
si trasvaluta nel suo significato, assumendo il senso di un accadere secondo
quanto deve accadere: che le cose
stiano così e così non è più, solo, l'accertamento di uno stato di fatto, ma
quasi l'espressione di una volontà superiore che così ha statuito e che,
dunque, obbliga ad un tipo di comportamento. L'ambiguo uso del termine
"legge" ha immediati effetti emozionali: quanto si presenta come
legge di natura, subito si sacralizza acquistando, così, imperatività al limite
del ricattatorio.
Ma tutto avviene perché la portata logico-semantica del
termine "legge" non viene chiarita, la sua ambiguità è mantenuta e,
quindi, resta celata la scorrettezza logica dell'intera espressione "legge
di natura".
Ci sono credenze dalla vasta portata pratica, alla cui base
si cela un argomento scorretto; si tratta di credenze che vanno combattute
mostrandone, appunto, il vizio logico [si pensi, per es. alla
giustapposizione: modo di produzione capitalista = legge di natura. N.d."il comunista"].
"se l'idea
denotata da questa parola (Natura) fosse stata assoggettata alla sua (del
socratico metodo elenchistico) analisi rigorosa, e se i soliti luoghi comuni in
cui essa compare fossero stati sottoposti al controllo della sua potente
dialettica, i successori non si sarebbero precipitati, come subito fecero, in
modi di pensare e di ragionare la cui pietra angolare era formata proprio
dall'uso sbagliato di essa (...)" (J. S. Mill)
mercoledì 9 settembre 2015
UNA TESTIMONIANZA SULLA FIGURA DI STEFANO GARRONI - Ermanno Semprebene
Stefano Garroni (Roma, 26 gennaio 1939 – Roma, 13 aprile 2014) è stato un filosofo italiano. Assistente presso la Cattedra di Filosofia Teoretica (Roma Sapienza) diretta, nell'ordine, dai Proff. U. Spirito, G. Calogero e A. Capizzi. Nel 1973 entrò a far parte del Centro di Pensiero Antico del CNR diretto dal Prof G. Giannantoni. -
Leggi anche: Dialettica riproposta - Stefano Garroni - LA CITTA' DEL SOLE
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CONTRO LA GUERRA! - Stefano Garroni
Circa 25 anni fa ho incontrato Stefano Garroni, che era
docente di filosofia e ricercatore presso il CNR. Il mio incontro con lui fu
una strana coincidenza. Avevo cominciato a frequentare il Circolo culturale
"Valerio Verbano" a San Lorenzo (Roma). Non sono mai stato un gran
frequentatore di circoli politici, ma era un periodo della mia vita in cui
sentivo forte l'esigenza di approfondire meglio certe tematiche che, nonostante
avessi sempre fatto parte di quell'area di sinistra alternativa ancora
abbastanza diffusa (anche se già in crisi soprattutto dopo la caduta del blocco
socialista), non avevo mai scandagliato seriamente. Anzi, nonostante la
partecipazione anche assidua a manifestazioni, scioperi e letture varie,
purtroppo mal comprese, la mia "militanza" era molto povera.
Sostanzialmente m'ero fermato a quando, da giovane studente liceale e poi
lavoratore avevo partecipato ai corsi di preparazione politica del PCdI
marxista-leninista e alle letture della Nuova Unità, il loro giornale. E anche
questa attività non era durata molto tempo. Poi, trovato un lavoro fisso (era
un periodaccio quello del 1977), avevo cambiato città e mollato tutto tranne
l'attività, anche questa di breve durata, nella CGIL, partecipando, chissà poi
perché, a un congresso nazionale a Rimini come rappresentante sindacale. Non una
bella esperienza per chi, come me, si aspettava tutta un'altra linea assai
diversa da quella che invece si stava già da tempo portando avanti all'ombra
del PCI.
Avevo cominciato a frequentare un corso sul Capitale al circolo
Valerio Verbano, una lettura in comune con altri compagni e con la frequente
supervisione di Gianfranco Pala. Una presenza, quella di Pala, assolutamente
necessaria per riuscire a comprendere un testo altrimenti arduo, almeno per me.
Era qualche tempo che il nostro lavoro sul Capitale proseguiva proficuamente e
mi si presentò casualmente la possibilità di assistere, sempre al circolo
Verbano, ad un altro incontro (ma poi furono più d'uno) sul tema della
dialettica in Marx tenuto da Stefano Garroni. Devo essere sincero ne rimasi
meravigliato. Non solo per la capacità espositiva e argomentativa estremamente
qualificata di Stefano, basata su rimandi puntuali e precisi alla letteratura,
alla psicologia, all'arte, alla poesia e persino alla musica, ma anche per la
presenza all'incontro di un docente di musica, di cui non ricordo più il nome,
che intervallava l'esposizione di Stefano, facendoci ascoltare brani di musica
classica legati all'argomento trattato. Fu un'esperienza particolarissima e fu
per me, e non solo per me, l'inizio di una lunga frequentazione dei seminari e
gruppi di studio tenuti in seguito da Stefano, che portarono alla costituzione
del Collettivo di formazione marxista tuttora esistente.
Stefano Garroni era un ottimo insegnante, ma soprattutto era
un convinto e convincente comunista. E la sua militanza è stato il lavoro di
tutta una vita. Prima nella sua attività di studio, che non ha mai lasciato,
poi nel PCI e nei quotidiani Unità e Paese Sera e, dopo l'abbandono del PCI,
nel suo lavoro di ricercatore, nell'insegnamento, il cui obiettivo è sempre
stata la formazione di “persone”, ossia uomini e donne dotati di uno spiccato
senso critico. Era del tutto persuaso che per portare avanti la lotta politica
fosse necessario un costante lavoro culturale e uno studio appassionato, senza
i quali non sarebbe stato neppure immaginabile costruire una società fondata sull'autogoverno dei
produttori; obiettivo che costituiva lo sfondo di tutta la sua attività
intellettuale e di insegnamento, la quale era dunque fortemente animata da un
pervadente impegno etico-politico.
martedì 8 settembre 2015
Stagnazione secolare o caduta tendenziale del saggio del profitto? - Vladimiro Giacché
«Sei anni sono passati
dallo scoppio della Crisi Globale e la ripresa non è ancora soddisfacente. I
livelli di prodotto interno lordo sono stati superati, ma poche economie
avanzate sono tornate ai tassi di crescita pre-crisi nonostante anni di tassi
d’interesse praticamente a zero. Inoltre, cosa preoccupante, la crescita
recente ha un vago sentore di nuove bolle finanziarie. La lunga durata della
Grande Recessione, e le misure straordinarie necessarie per combatterla, hanno
originato una diffusa sensazione, non meglio definita, che qualcosa sia
cambiato. A questa sensazione ha dato un nome a fine 2013 Laurence Summers,
reintroducendo il concetto di ‘stagnazione secolare’». (Secular stagnation: Facts, Causes and Cures,
a cura di C. TEULINGS E R. BALDWIN)
Secondo Marx la società capitalistica è caratterizzata da
una tendenza di lungo periodo alla diminuzione della profittabilità del
capitale, ossia alla caduta del saggio di profitto. Tale tendenza è basata
sulla teoria del valore-lavoro. Per Marx il valore di una merce è dato dal
lavoro in essa incorporato. Soltanto il lavoro umano può creare valore e al
tempo stesso conservare e sfruttare il valore già incluso nei macchinari (che
altrimenti, se nessun lavoratore li facesse funzionare, non soltanto non
creerebbero nuovo valore, ma perderebbero anche il valore che possiedono). È il
lavoro umano in atto (il lavoro vivo) a procurare al capitalista i suoi
profitti, fornendogli lavoro non pagato (pluslavoro), cioè lavoro
supplementare rispetto a quello necessario per riprodurre la forza lavoro
(lavoro necessario): questo pluslavoro produce infatti un valore supplementare,
un plusvalore, rispetto al valore della forza-lavoro affittata dal capitalista
all’inizio del processo di produzione.
Proprio a motivo di questa peculiarità del lavoro umano di creare nuovo valore, Marx definisce il capitale impiegato per comprare l’uso della forza lavoro capitale variabile e quello adoperato per acquistare macchinari e mezzi di lavoro capitale costante. Ora, il problema è che con lo sviluppo del modo di produzione capitalistico aumenta la proporzione del capitale investito in macchinari rispetto a quello investito in forza-lavoro: si verifica, in altri termini, «una diminuzione relativa del capitale variabile in rapporto al capitale costante e quindi in rapporto al capitale complessivo messo in movimento». Marx definisce questo processo anche come una progressiva crescita della «composizione organica del capitale». Si tratta di «un’altra espressione dello sviluppo progressivo della forza produttiva sociale del lavoro, che si manifesta proprio in ciò, che in generale, per mezzo del crescente uso di macchinari, capitale fisso, più materie prime e ausiliarie vengono trasformate in prodotti nello stesso tempo, ossia con meno lavoro». La diminuzione relativa del capitale variabile in rapporto al capitale costante fa sì che a parità di condizioni il saggio di profitto - ossia il rapporto tra il plusvalore e il capitale complessivo investito nella produzione (la somma di capitale variabile e capitale costante) - diminuisca .
Questa la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto. È quindi la crescente produttività del lavoro sociale a far calare il saggio di profitto. E questo calo per Marx ostacola a sua volta lo sviluppo del processo capitalistico di produzione e favorisce il prodursi delle crisi:
«nella misura in cui
il saggio di profitto, il saggio di valorizzazione del capitale complessivo è
il pungolo della produzione capitalistica, così come la valorizzazione del
capitale è il suo unico scopo, la sua caduta rallenta la formazione di nuovi
capitali indipendenti e appare come una minaccia per lo sviluppo del processo
di produzione capitalistico. (Questa stessa caduta favorisce sovrapproduzione,
speculazione, crisi, capitale in eccesso accanto alla forza-lavoro in eccesso o
sovrappopolazione relativa)». (K. MARX, Il capitalismo e la crisi. Scritti scelti)
Per Marx la crisi è da un lato parte integrante del
funzionamento normale del modo di produzione capitalistico, è più precisamente
il modo attraverso cui, periodicamente, il capitalismo risolve i suoi problemi.
Per ciò stesso, la crisi secondo Marx è però d’altra parte anche qualcosa di
diverso, e cioè un sintomo:
«nelle
contraddizioni, crisi e convulsioni acute si manifesta la crescente
inadeguatezza dello sviluppo produttivo della società rispetto ai rapporti di
produzione che ha avuto finora. La distruzione violenta di capitale, non in
seguito a circostanze esterne a esso, ma come condizione della sua
autoconservazione, è la forma più evidente in cui gli si rende noto che ha
fatto il proprio tempo e che deve far posto a un livello superiore di
produzione sociale» . (K. Marx,
Gundrisse)
Il valore della forza-lavoro - Maurizio Donato
Da: https://mrzodonato.wordpress.com - Maurizio Donato insegna Economia politica alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Teramo.
Nello studio dell’economia politica, sia che si faccia riferimento alla tradizione classica che ad altre prospettive teoriche, ci si imbatte in variabili che si presentano in forma monetaria – pensiamo ai prezzi – assieme ad altre che assumono una dimensione non monetaria ma – per così dire – fisica, per esempio la disoccupazione.
Questo non è difficile da comprendere. Le cose cambiano quando le due forme si presentano “assieme”. Cioè quasi sempre.
Se noi scriviamo
[2] v = L * w
stiamo esprimendo il capitale variabile come prodotto tra il numero dei lavoratori salariati e il salario unitario loro corrisposto. Essendo il prodotto tra una grandezza fisica (il numero dei lavoratori) e una monetaria (il salario) il risultato è una grandezza esprimibile in termini di valore che comprende in sé entrambe le categorie, nel nostro caso la massa salariale corrisposta al totale dei lavoratori. Così se si modifica v, per esempio se cresce, noi non possiamo sapere a priori se questo aumento è dovuto al numero dei lavoratori cresciuto a salario invariato, a un aumento di salario corrisposto allo stesso numero di lavoratori o a una qualche combinazione di questi fattori.
La questione si “complica” (ma solo un po’) se ammettiamo che le stesse forme di espressione delle categorie possano cambiare nel corso del tempo; per esempio il capitale variabile v, dopo essere transitato (di solito per poco tempo..) nelle tasche dei lavoratori, si trasforma in merci fisiche che, a loro volta, si trasformano nella materialissima nostra esistenza o sopravvivenza.
E’ una trasformazione, questa ultima, in energia psico-fisica, e questo è chiaro perché fa parte della nostra esperienza quotidiana: assumiamo cibo, acqua, aria, cultura e di questi elementi – trasformati – ci nutriamo.
lunedì 7 settembre 2015
Nichilismo e insorgenza nell’analisi hegeliana del divenire - Rosario Gianino
Nel divenire abbiamo il nulla. Questa è la prima negazione.
Ma abbiamo anche l’annullamento del nulla. Questa è la seconda negazione.
il qualcosa che diviene, insorgendo e sparendo, non si
annichila ma si altera. Provenienza e destinazione del divenire non sono più il
nulla del moto insorgente e dissolvente, ma il qualcosa ed il qualcos’altro
della mutazione.
per Hegel la stessa
impossibilità contraddittoria di una relazione tra essere e niente, se pensata
in rapporto a se stessa, cancella l’astratta fissazione dell’essere e del nulla
come opposti e diversi. Quindi la contraddizione tra essere e nulla, nel suo
risultato nullificante, come appare solo ad un divenire capace di
autorelazione, in Hegel, non ostacola e rende impossibile il divenire, quanto
piuttosto consente che accada qualcosa come un
“transito/passaggio/oltrepassamento” (Übergang), un “movimento”(Bewegung).
Proprio agendo negativamente non solo sull’essere ma anche e
soprattutto sul nulla dell’essere, il soggetto si edificherebbe come centro di
riferimento di ulteriori relazioni e dinamiche possibili.
Ogni ordinamento formale logico astratto, sia esso finito,
empirico o speculativamente assoluto, avrebbe a che fare con l’esercizio di un
agire negativo autoreferenziale, di un
agire negante che nega l’immediata nullità del proprio essere. Dunque questo
lavoro di soggettivizzazione si caratterizzerebbe nel suo fondamento come
capacità riflessiva di rapportarsi negativamente alla negazione immediata che
si è, in modo che grazie a questo agire riflessivo ci si possa insediare in
quel punto d’indifferenza in cui il nulla si rovescia in positiva affermazione
di qualcos’altro.
Essere soggetti è poter astrarre, ossia agire il negativo,
rapportarsi alla propria cancellazione, negandola. Esser soggetto di sé stessi:
negare il proprio nulla.
domenica 6 settembre 2015
IN DIFESA DELLO SPIRITO DI SCISSIONE E DELL’UNITÀ DEI COMUNISTI - Renato Caputo
Si sente spesso ripetere che, considerati gli attuali
sfavorevoli rapporti di forze, si dovrebbero mettere da parte le chiacchiere
sulla prospettiva della transizione al socialismo e portare avanti nei fatti
una politica riformista. Tale posizione dimentica che in primo luogo non solo
dal punto di vista teorico, dal punto di vista del marxismo, ma anche dal punto
di vista storico-empirico le più significative riforme le hanno fatte le forze
che miravano a un rivolgimento radicale dell’ordine costituito. Anzi ogni
qualvolta si è abbandonata tale prospettiva in nome del realismo più che
riforme si sono realizzate contro-riforme. Tanto più che l’attuale situazione
di crisi internazionale e di assenza di un campo socialista, rende
sostanzialmente irrealizzabile una politica riformista, visto che i margini di
profitto tendono a diminuire e, quindi, sempre meno c’è da ridistribuire,
considerato anche che le più forti alternative al capitalismo appaiono essere
oggi le forze dell’integralismo religioso. Tanto meno tale prospettiva
riformista appare credibile e verosimile all’interno dell’Unione europea,
considerati gli statuti liberisti su cui tale unione si è fondata e che
impediscono, nei fatti, anche una politica di stampo keynesiano.
Non reggono alla prova dei fatti nemmeno le obiezioni (fatte proprie in Italia da Sel, in Grecia da ambienti vicini a Tsipras) che stando al governo, pur non rompendo con la logica dell’austerità, sarà possibile varare misure favorevoli ai subalterni come il reddito di cittadinanza. In questo caso, al di là degli aspetti utopistici, che sono rimasti fino a ora al massimo delle pie illusioni, tutte le volte che forme di sostegno al reddito sono state realizzate hanno finito per andare contro gli interessi dei lavoratori viii. Resta, infatti, la questione di come individuare le risorse per questo ammortizzatore sociale, che per altro aumenterebbe il baratro fra italiani e immigrati privi di cittadinanza. Se come vorrebbero i liberisti tali risorse venissero dallo smantellamento del cosiddetto welfare state, tali misure sostituirebbero un diritto collettivo con un diritto individualista favorendo la logica egoista del capitalismo. Se le risorse fossero prese, come generalmente è avvenuto, da quanto prodotto dal lavoro salariato, si avrebbe lo svantaggio di contrapporre lavoratori, sempre più impoveriti, a disoccupati che sopravvivono grazie a un reddito. Infine se si avesse davvero la forza di farlo finanziare dai capitalisti e dalle rendite, tolto che il loro reddito dipende unicamente dallo sfruttamento di quanto prodotto dalla forza lavoro salariata, richiederebbe la costruzione di rapporti di forza notevolmente differenti, sviluppando un poderoso conflitto sociale. A questo punto, però, non resta che domandarsi se è sensato impegnarsi a costruire un tale conflitto per avere un mero palliativo, per cui continueremo ad avere una parte della forza-lavoro sempre più sfruttata e un’altra condannata alla disoccupazione o a lavori precari? Tanto varrebbe allora spendere i rapporti di forza conquistati per imporre una diminuzione dell’orario di lavoro a parità di salario e di ritmi.
http://www.lacittafutura.it/giornale/in-difesa-dello-spirito-di-scissione-e-dell-unita-dei-comunisti.html
il comunista: Ripensare Marx - Stefano Garroni -
il comunista: Ripensare Marx - Stefano Garroni -: Per una rilettura di Marx fuori dal dogmatismo e dalle semplificazioni scolastiche.
https://drive.google.com/file/d/1LZ8ucfV-9fb41qhBKL6zfIdnnfaDMAhJ/view?usp=sharing
Roberto Finelli, l’astrazione reale e la riconquista della nostra individualità - Carlo Scognamiglio
i marxisti pentiti degli anni Novanta hanno sepolto i propri
“errori” giovanili seguendo pressappoco tre distinte strategie: la capriola,
intesa come sposalizio repentino con i grandi classici del pensiero liberale e
liberista; la provocazione, perseguita mediante la sostituzione dei padri del
marxismo con autori provenienti dall’area indicata da Lukács come
“irrazionalista” (Nietzsche, Heidegger, Schmitt); la scappatoia, cioè l’adozione
di nuovi modelli concettuali che non evidenziassero una rottura radicale tra un
prima e un dopo, per non rivelare chiaramente la propria diversione (ma anche
perché “non si sa mai”, il marxismo avrebbe potuto tornare a essere utile da un
momento all’altro), e concentrandosi su quei “beni rifugio” in cui consistono
ad esempio gli studi fenomenologici, politicamente innocui, e tali da poter
essere serviti con ogni tipo di condimento.
Coloro che
invece hanno tentato di mantenere un contatto con Marx, ma soprattutto con
l’idea del superamento del sistema capitalistico, come prontamente segnala
Finelli nell’introduzione al suo libro, sono stati disorientati dalle
trasformazioni dell’epoca postfordista, e hanno cercato in vario modo di mettere
a punto un diverso marxismo, capace di cogliere le dinamiche e le possibilità
di superamento dell’esistente. Le difficoltà derivate da uno smarrirsi dei
movimenti di fine anni Sessanta in sterili infantilismi, attraversando poi i
tragici momenti del terrorismo, sollecitò la dismissione forse prematura di
quelle che da tempo erano state considerate dogmaticamente le chiavi
concettuali di una lettura storico-sociale d’impianto marxista, come il
feticismo, il rapporto struttura-sovrastruttura o lo stesso materialismo
storico. L’abbandono di quel carico teorico lasciava spazio a un marxismo più
leggero, meno tedesco e più francese, mediato da autori come Althusser, Lacan,
Deleuze e Foucault, «assai meno controllati e rigorosi».
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