mercoledì 19 agosto 2015

DEMENZA DIGITALE




Alcune aziende che quindici anni fa non esistevano, come Google e Facebook, oggi costituiscono la nuova e potente oligarchia planetaria del capitalismo digitale. Internet ne rappresenta l’intelaiatura, e i suoi utenti, vale a dire circa tre miliardi di persone, la forza lavoro utilizzata. Le nuove tecnologie digitali fanno ormai parte della nostra vita quotidiana, le portiamo addosso e controllano tutti gli ambienti della vita sociale, dai luoghi di lavoro ai templi del consumo. Questo libro propone una riflessione sui dispositivi attraverso i quali questa oligarchia e queste tecnologie catturano e colonizzano il nostro immaginario a fini di profitto economico e di controllo sociale. E mette in luce il risvolto di tutto ciò, ovvero l’emergere di una nuova e impercepita sudditanza di quel popolo virtuale che, riversando ingenuamente messaggi, fotografie, selfie, ansie e desideri su piattaforme e social-network, contribuisce con le sue stesse pratiche a rafforzare il dominio del nuovo impero. Non conosciamo ancora le conseguenze sui tempi lunghi di questo ulteriore passaggio del modo di produzione capitalistico. Chiara invece appare la necessità di immaginare pratiche di decolonizzazione personale e collettiva per istituire nei luoghi ordinari della vita varchi di liberazione.

L’anima si colora con il colore dei suoi pensieri” (Marco Aurelio)


Neuroplasticità cerebrale: “In campo medico l’istruzione è ritenuta unanimemente il fattore decisivo per la salute di un individuo (...) inoltre l’istruzione rende liberi – liberi da molte costrizioni, perché chi è istruito può porsi criticamente nei confronti di sé stesso e del proprio ambiente e non è esposto passivamente alle contingenze. Questo riduce lo stress, che a sua volta distrugge i neuroni“. (…) “I fondamenti (…) dell’apprendimento permanente (Long Life Learning) stanno in una buona istruzione nell’infanzia e nell’adolescenza“. (M. Spitzer, 2012)

La «riserva cognitiva»: tutto dipende dal punto in cui si parte
Concetto centrale: più tardi veniamo esposti al sistema digitale (comunque dopo l’età dello sviluppo) più facilmente riusciamo a mantenere intatte le capacità cognitive che vengono compromesse da un uso intenso dei media digitali.

Un adulto che comincia ad utilizzare i media digitali dispone di sufficiente esperienza nella ricerca, memorizzazione e gestione delle informazioni, perché ha sedimentato nel suo cervello un passato «analogico».
Un bambino che non ha ancora sviluppato la corteccia prefrontale (che guida il comportamento previsionale, la pianificazione di schemi di azione nel tempo, la capacità di relazione con il mondo esterno) e che viene precocemente esposto ai media, crea da zero le sue capacità cognitive di base sul modello digitale, con tutte le conseguenze osservate dagli studi.

In pratica: se partiamo da «più in alto», ci accorgiamo meno della discesa… Chi parte da molto basso, invece, è già subito a valle… 
http://www.davincialba.it/clil-genta/demenza-digitale.pdf

La società del con­trollo è un fatto irre­ver­si­bile, afferma Lyon; così come la moder­nità è dive­nuta liquida e non c’è più pos­si­bi­lità che ritorni al suo stato solido, aggiunge Bau­man. 

Le tec­no­lo­gie della sor­ve­glianza aiu­tano tut­ta­via gli uomini e le donne a miglio­rare la pro­pria vita, per­ché ridu­cono al minimo il tempo dedi­cato alle mille incom­benze quo­ti­diane. Ma ecco pro­fi­larsi un altro caso di ambi­va­lenza: l’immanente con­se­guenza dei mol­te­plici dispo­si­tivi della sor­ve­glianza è infatti il con­trollo capil­lare e dif­fuso dei com­por­ta­menti indi­vi­duali e col­let­tivi . Viene così pro­gres­si­va­mente can­cel­lata ogni tipo di inti­mità. La vita dei sin­goli è ridotto a un pro­filo dove con­sumi, rela­zioni sen­ti­men­tali, lavo­ra­tive vanno a com­porre un aggre­gato di dati gestito dallo Stato e da parte di imprese che uti­liz­zano quei dati per le pro­prie stra­te­gie di mar­ke­ting; o per ven­derle ad altre imprese. L’«economia dei big data» è pos­si­bile pro­prio gra­zie a que­sta inces­sante espro­pria­zione delle rela­zioni sociali ridotte a con­sumi, gusti, atti­tu­dini (...) il «sesto potere» costi­tuito dalla sor­ve­glianza è rap­pre­sen­tato da un ine­dito com­plesso militare-digitale san­cito da un’alleanza tra pari tra lo stato e imprese che rac­col­gono, gesti­scono ed ela­bo­rano una massa impo­nente di dati individuali.

sabato 15 agosto 2015

Il valore delle merci - Maurizio Donato


    “La geometria euclidea ha svolto una funzione essenziale nell’insegnamento scientifico per il suo uso del metodo dimostrativo, cioè perché consiste in “teoremi”, ma anche e soprattutto per l’evidenza della sua natura di “modello” di situazioni concrete facilmente rappresentabili. È evidente infatti che i punti, i segmenti, i triangoli e gli altri enti di cui si occupa un manuale di geometria non sono oggetti concreti, ma è altrettanto evidente che la possibilità di disegnare delle figure concrete, che “approssimano” quelle ideali oggetto della matematica, fornisce un grande aiuto all’intuizione e una chiave essenziale per le applicazioni della teoria. Studiando la geometria euclidea ci si abitua quindi (è questo il punto essenziale!) a usare “enti teorici”, analizzabili con rigore, per descrivere utilmente oggetti concreti, senza confondere gli uni con gli altri.”  (Lucio Russo)

    Merce, valore, capitale, plusvalore: categorie, assieme ad altre che introdurremo più avanti, la cui comprensione chiara renderà agevole seguire la logica del modello. Ricordando che queste note non sostituiscono in alcun modo lo studio del testo, ma ne costituiscono solo una introduzione, una guida alla lettura, facciamo un passo avanti per quanto riguarda l’importanza dell’utilizzo del metodo astratto basato sulle categorie. 

venerdì 14 agosto 2015

Una candela che brucia dalle due parti. Rosa Luxemburg tra critica dell’economia politica e rivoluzione - Riccardo Bellofiore



 In una lettera dal carcere del 2 maggio 1917 (Rosa) scrive:

   Interiormente, mi sento molto più a mio agio in un piccolo tratto di giardino, come qui, o in un campo, stesa sull’erba e circondata di calabroni, che in un congresso del partito. A voi posso dire tutto ciò, voi non mi sospetterete subito di aver tradito il socialismo. Voi lo sapete, malgrado questo spero di morire al mio posto: in una battaglia di strada o in un penitenziario. Ma nel mio intimo, io appartengo più agli uccelli che ai miei “compagni”. E questo non perché solo nella natura, come tanti politici che hanno fatto interiormente bancarotta, io trovo un rifugio, un riposo. Al contrario, io trovo nella natura, come tra gli uomini, tanta crudeltà, che ne soffro molto.

Ed ancora in un’altra lettera del 3 luglio 1900 al suo compagno di allora, Leo Jogiches, leggiamo queste frasi:

   Noi, tutti e due, internamente “viviamo” di continuo, cioè cambiamo, cresciamo, perciò di continuo si crea una sproporzione, uno squilibrio, una disarmonia di alcune parti dell’anima con le altre. Dunque bisogna fare una continua revisione interna, ricostituire l’ordine e l’armonia. C’è sempre qualche cosa da fare con se stessi, ma per non perdere mai la misura delle cose, che consiste a mio avviso nell’utilità della vita esteriore, l’atto positivo, l’attività creativa, in una parola per non affondare nella consumazione e nella digestione spirituale, ci vuole il controllo di un’altra persona, che ci sia vicina, che comprenda tutto, ma che sia fuori da questo “io” che cerca l’armonia.

 Della persona che ha scritto in uno dei suoi ultimi articoli su Rote Fahne, nel dicembre 1918, “Un mondo deve essere distrutto, ma ogni lacrima che scorra sul volto, per quanto asciugata, è un atto d’accusa” non si può, non si deve, perdere la tensione tra momento della lotta e momento della com-passione: non lo si può, non lo si deve perdere, perché è appunto nel legame tra “forza” della trasformazione sociale e “debolezza” che si riconosce in sé e cui si vuole dare spazio nel mondo che risiede quanto di più inquietante ed innovativo questa rivoluzionaria può dire a noi ancora oggi. 

Eraclito - Antonio Gargano



Le radici del pensiero filosofico - Eraclito (Bodei, Detienne, Gadamer):
https://www.youtube.com/watch?v=q61bgE5Pe14


giovedì 13 agosto 2015

Un parricidio compiuto (un parricidio al quadrato). Il confronto finale di Marx con Hegel - Intervista a Roberto Finelli a cura di Ambrogio Garofano

    "...per me l’analogia è tra Hegel e il Marx della maturità, perché, torno a dire, il Marx che precede la maturità è tutto subalterno a Hegel. Feuerbach e il primo Marx usano una strumentazione hegeliana e di questo loro utilizzo non sono consapevoli fino in fondo. Invece, con il Marx della maturità l’analogia con Hegel consiste in questo: nel fatto che per entrambi la filosofia o la teoria in tanto è scienza in quanto produce una riunificazione delle scissioni reali. Per Hegel la filosofia è scienza perché conduce dalla scissione iniziale alla mediazione finale, sia la scissione della Fenomenologia dello spirito (sensibile concreto e universale astratto) sia la scissione iniziale della Scienza della logica (essere e nulla). La filosofia per Hegel è compenetrazione progressiva di questi poli inizialmente l’uno opposto all’altro. E appunto come ho provato a dire è il circolo del presupposto/posto che alimenta il rigore scientifico di questo percorso. Ora, Marx a me sembra che nel Capitale faccia esattamente il medesimo, a partire da una soggettività che, come dicevo all’inizio, non è quella degli esseri umani, degli individui agenti della storia, ma è quella di una soggettività impersonale che io chiamo la ricchezza astratta del capitale e dalla sua tendenza illimitata all’accumulazione quantitativa. Marx deve riuscire a dar conto dell’esistenza di questo soggetto come cuore della modernità e come soggetto tendenzialmente totalizzante a partire da una costatazione fenomenologica di scissione. Ed è qui che sta l’analogia con Hegel: sia Hegel che Marx hanno un inizio fenomenologico. Per entrambi l’inizio è non arbitrario, non soggettivo, è fenomenologicamente ciò che è più a portata di mano, il dato più diffuso: la certezza sensibile o l’essere come prima categoria in Hegel, la merce per Marx. Si tratta della datità più generale, quindi un inizio fenomenologico per entrambi, che deve sottrarre l’inizio dell’esposizione scientifica ad una arbitrarietà di scelta soggettiva e a partire da questo inizio obbligato dare vita ad un percorso di svolgimento categoriale prodotto dalle scissioni dell’inizio medesimo." 

FILOSOFIA DELLA STORIA - G. G. Federico Hegel

   "Argomento di queste lezioni è la storia filosofica del mondo, vale a dire che esse non contengono pure riflessioni generali sulla storia, con alcuni esempi tratti dalla medesima per rischiararle, ma presentano l'essenza stessa della storia del mondo. E per spiegare sul bel principio che cosa sia questa storia, sembra necessario, avantitutto, di definire le varie maniere di trattare la storia.
   Vi sono in generale tre di queste maniere:
                      a) La storia contemporanea o primitiva;
                       b) La storia riflessa;
                        c) La storia filosofica.

   A) Per ciò che riguarda la prima, io metto in questa categoria, per spiegare tosto con un caso determinato il mio pensiero, la storia di Erodoto e di Tucidide, ed altri simili storici, i quali descrivono i fatti, gli avvenimenti e le circostanze che essi avevano avanti agli occhi, al cui spirito essi appartennero; e ciò che era in certo modo esterno, lo elevarono ad una rappresentazione spirituale. (...)
   L'argomento di simili storie non può quindi essere di una grande estensione ((si consideri Erodoto, Tucidide, Guicciardini); ciò che di vivo e di attuale loro stà d'innanzi ne forma la materia essenziale. La coltura dell'autore è quella stessa da cui partono le azioni che entrano nella sua opera; lo spirito dello storico e quello degli avvenimenti ch'egli racconta, sono una e medesima cosa. [...]

   B) Il secondo genere di storia l'abbiamo chiamata riflessa, ed è quella storia la cui esposizione nasce non dal tempo presente, ma dalla riflessione dello spirito sul passato. [...]

   C) Il terzo genere di storia finalmente è la filosofica. (...) In generale la filosofia della storia non è altro che un esaminare col pensiero filosofico la medesima. (...) Il pensiero che la filosofia vi apporta, è il semplice pensiero della ragione, cioè 'che la ragione governa il mondo' ; che adunque anche la storia del mondo si è sviluppata ragionevolmente. Questa convinzione e questo modo di vedere è una premessa in riguardo alla storia, considerata come tale; per la filosofia poi non è una premessa, ma una verità provata. Per mezzo di questa cognizione speculativa vien da essa dimostrato che la ragione, (qui noi possiamo contentarci di questa espressione, senza spiegare più da vicino il rapporto suo con Dio) è la 'sostanza', e in pari tempo 'l'infinita potenza', è 'l'infinita materia' di ogni vita naturale e spirituale, è parimenti 'l'infinita forma', l'esecutrice del suo stesso concetto. (...)
   La filosofia dimostra come la ragione si riveli nel mondo, e come in esso non si riveli che lei sola, i di lei pregi ed eccellenza. Qui dobbiamo supporre tutto questo come dimostrato. (...)

   Deve dunque risultare dalla stessa esposizione della storia del mondo: che le cose passarono in essa razionalmente, che essa ha seguita la marcia ragionevole e necessaria dello spirito del mondo; spirito la cui natura in vero è sempre una e la stessa, ma che solo nell'esistenza del mondo sviluppa questa sua natura. Tale deve essere, come si è detto, il risultato della storia". 

domenica 9 agosto 2015

Le categorie fondamentali - Maurizio donato




   Prendiamo l’incipit del Capitale, le parole con cui si apre il primo capitolo: “La ricchezza delle società nelle quali predomina il modo di produzione capitalistico si presenta come una immane raccolta di merci e la merce singola si presenta come sua forma elementare.” Analizziamo il testo parola per parola... 




IL LIBRO DEL FILOSOFO* - Stefano Garroni

*Da "SUL PERTURBANTE", Stefano Garroni, Ed. Kappa 

    La filosofia di cui Nietzsche parla tien fisso lo sguardo, attraverso le contingenze temporali, sugli 'eterni problemi', sul 'culmine spirituale', vive, insomma, in quella dimensione 'zeitlos' (atemporale, eterno, non soggetto alla moda) in cui non c'è posto né per il popolo reale, né per gli affanni e preoccupazioni politiche. E' quella filosofia che risveglia la fede in un mito costruito sul vuoto, perché ha il fine non già di conoscere, ma di render piena la vita e che ricava, da questa sua funzione, la possibilità di discriminare 'ciò che è grande' e 'ciò che è piccolo', ciò che serve alla 'Vollendung des Lebens' (pienezza del vivere) e ciò che, invece, da essa allontana. E' proprio questa la filosofia, di cui Nietzsche afferma il primato sulla scienza.

    Propriamente quella conoscitiva è un'attività transferenziale: nel senso che, mediante la scienza, l'uomo trasferisce fuori di sé, negli oggetti, qualità che, invece, appartengono al suo modo di vivere.
    Così facendo, l'uomo dimostra debolezza di carattere; attribuendo al mondo la piccolezza, la meschinità del suo modo di vivere, egli si sottrae allo sforzo di modificarlo. Facendo della propria, meschina misura la misura del mondo, s'acqueta e tutta l'ansia di completezza, che la vita quotidiana continuamente smentisce, la distoglie dall'autentica finalità, traducendola in smodato desiderio di conoscere.

   "se dobbiamo erigere una cultura, abbiamo bisogno d'inaudite capacità artistiche per spezzare la smodata pulsione al conoscere, e per produrre una nuova unità. L'altissima nobiltà del filosofo si mostra nel suo concentrare la smodata pulsione al conoscere, nel suo imbrigliarla in vista dell'unità". (F. Nietzsche, Das Philosophen Buch, A. 30, p 19) 

venerdì 7 agosto 2015

IL CREDITO* - Ernest Mandel

*Da "Trattato di economia marxista", Ernest Mandel, Capitolo VII, Samonà e Savelli

   Il credito ha dunque lasciato la sua profonda impronta nella storia e nello sviluppo del capitalismo. Ha potentemente allargato il campo d'azione del capitale, permettendo la capitalizzazione di ogni riserva di denaro disponibile. Ha facilitato, accelerato, generalizzato la circolazione delle merci. Ha stimolato la produzione capitalistica, la concorrenza, la concentrazione dei capitali, in breve tutte le tendenze di sviluppo del capitalismo. Il credito appare dunque come uno strumento altrettanto indispensabile che il commercio al modo di produzione capitalistico, uno strumento che permette una considerevole reazione contro la caduta tendenziale del tasso medio del profitto.

   Al pari del commercio, il credito consente una considerevole riduzione del tempo di rotazione dei capitali, consente una mobilità sempre maggiore del capitale circolante di fronte all'immobilizzo di una frazione crescente del capitale in gigantesche installazioni fisse (All'inizio della crisi, il credito permette persino di attutire i primi colpi di una brutale caduta dei prezzi. Nella misura in cui l'imprenditore lavora con capitali presi a prestito, può vendere al di sotto del prezzo di produzione. Basta infatti che il prezzo ottenuto consenta il pagamento dell'interesse, inferiore al profitto medio). Attenua così a scadenza immediata le contraddizioni che derivano dall'evoluzione del capitalismo. Ma allo stesso tempo inasprisce queste stesse contraddizioni a lunga scadenza. Agli albori del capitalismo industriale ciascun capitalista poteva rendersi conto assai rapidamente se il tempo di lavoro speso per produrre le merci fosse o no tempo di lavoro socialmente necessario. Bastava andare al mercato e cercare acquirenti per queste merci al loro prezzo di produzione. Quando il commercio e il credito si frappongono tra l'industriale e il consumatore, questo industriale comincia con il realizzare in modo automatico il valore delle sue merci. Ma d'ora innanzi ignora se queste merci  troveranno o no uno sbocco reale, se incontreranno un "consumatore finale". Molto dopo aver già speso il denaro, equivalente delle merci prodotte, si può constatare che queste sono invendibili, non rappresentano più veramente tempo di lavoro socialmente necessario. Il crack è allora inevitabile. Il credito tende ad allontanare questo crack, rendendolo però più violento quando alla fine si produce.

   Permettendo una espansione della produzione senza rapporto diretto con le capacità di assorbimento del mercato; mascherando per tutto un periodo di tempo le relazioni reali tra il potenziale produttivo e le possibilità di consumo solvibile; stimolando la circolazione e il consumo delle merci al di là del potere d'acquisto realmente disponibile, il credito ritarda la scadenza delle crisi periodiche, aggrava i fattori di squilibrio  e di conseguenza rende la crisi più violenta quando scoppia.

   Il fatto è che il credito non fa che accentuare il divorzio fondamentale tra le due funzioni essenziali della moneta - mezzo di circolazione e mezzo di pagamento -, non fa che sviluppare il divorzio fondamentale tra la circolazione delle merci e la circolazione del denaro che realizza il loro valore di scambio, contraddizioni che costituiscono le fonti prime e generali delle crisi capitalistiche. 

giovedì 6 agosto 2015

L’astrazione - Maurizio Donato


   Partiamo dallo studio di alcune categorie molto generali, astratte, per capire meglio le relazioni economiche concrete, sapendo che tali categorie (la merce, il valore, il capitale, il denaro, lo sfruttamento) sono “relazioni astratte di una totalità vivente e concreta già data“.
E’ un metodo logico, e noi adotteremo il metodo logico e il metodo storico. Andremo continuamente “avanti e indietro”. A quale scopo? Proviamo a porci una domanda: qual è il modo migliore per ricostruire lo sviluppo delle diverse forme economiche che ha assunto la società umana? Come possiamo capire meglio la natura del capitalismo?

   Marx, a un certo punto del suo discorso, tira fuori una delle sue frasi famose: “L’anatomia dell’uomo è una chiave per l’anatomia della scimmia”. Perché gli animali?  vi chiederete. E’ che mentre Marx scrive il Capitale, un altro scienziato, Charles Darwin, sta scrivendo la sua celeberrima opera sull’evoluzione. Darwin manda poi una copia del suo libro a Marx che lo stima e sa bene quanto la questione dell’evoluzione sia importante non solo per le scienze naturali, ma pure per le scienze sociali. Eppure – notate la differenza – Marx non crede che sia possibile dall’anatomia della scimmia ricavare insegnamenti utili a comprendere l’anatomia umana: pensa – in un certo senso  – al contrario.

   “Ciò che nelle specie animali inferiori accenna a qualcosa di superiore può essere compreso solo se la forma superiore è già conosciuta. L’economia borghese fornisce quindi la chiave di quella antica ecc. In nessun caso però procedendo al modo degli economisti che cancellano tutte le differenze storiche e in tutte le forme della società vedono la società borghese“. 

venerdì 31 luglio 2015

DAS UNHEIMLICHE (2)* - Stefano Garroni

*Da "SUL PERTURBANTE", Stefano Garroni, Ed. Kappa
    "Con la sua violenza, la natura s'erge contro di noi, grandiosa, indomita terribile; ci pone brutalmente di fronte al nostro bisogno d'aiuto, alle nostre debolezze che,mediante la cultura, pensavamo d'aver superato". (S. Freud, Die Zukunft)

    Finora la contrapposizione 'richiesta pulsionale-cultura' si era presentata sotto il prevalente aspetto di necessaria rinuncia.
Freud, però, ha già osservato che, indirettamente, la stessa natura suggerisce l'opportunità della costruzione culturale, posta la drammaticità d'una vita condotta all'insegna della 'condizione naturale': la cultura, quindi, acquista l'aspetto di ciò che salva l'uomo dalla distruttività dell'immediato, del pulsionale.
Lo scatenarsi della natura fisica, che abbatte gli argini e le costruzioni della civiltà, evoca l'incertezza radicale del vivere umano, minacciato questa volta non da una natura esterna, ma si interna, che fa corpo con l'uomo stesso.
In definitiva,quello scatenarsi evoca la distruzione dell'uomo, dell'individuo: la morte, insomma. Ecco, di nuovo il perturbante.
La contrapposizione, tra richiesta pulsionale e sua soddisfazione necessariamente limitata, lascia il segno sulla cultura, nel senso che non potendo questa risolverla, placarla definitivamente, la vita sociale è sempre gravata da un dubbio, è accompagnata sempre da un'ombra minacciosa.

    Sia affrontando una tematica (apparentemente) politica, sia ponendosi di fronte al fenomeno religione, l'ottica psicologica di Freud (quindi , né politica, né antropologica), sempre, mette in luce la centralità del perturbante. Non perché l'esperienza unheimlich sia, per Freud, l'unica dimensione psicologica (abbiamo visto, al contrario, che Freud tende a distinguere livelli diversi all'interno dello psicologico), ma perché è quella in cui si rivela il pulsionale in quanto tale, nella sua 'astrattezza', nella sua indipendenza da motivazioni, che non siano la pulsionalità stessa. 

mercoledì 29 luglio 2015

IL CAPITALE DI MARX (11) - Riccardo Bellofiore.





Video degli incontri del ciclo di letture del I libro del "Capitale" di Karl Marx organizzato da Noi Restiamo Torino e tenuto da Riccardo Bellofiore (Università di Bergamo). 

Lezioni precedenti:
https://www.youtube.com/playlist?list=PL5P5MP2SvtGh94C81IekSb83uO7nLgHmL

martedì 28 luglio 2015

IL COMMERCIO* - Ernest Mandel

*Da "Trattato di economia marxista", Ernest Mandel, Capitolo VI, Samonà e Savelli 

   "Il capitalista industriale non desidera solo 'realizzare' il plusvalore. Vuole anche capitalizzarlo, trasformarne in macchine, materie prime e salari tutta la parte che non consuma improduttivamente per sopperire ai propri bisogni. Anche la capitalizzazione del plusvalore implica dunque una circolazione di merci in cui l'industriale, anziché essere venditore, appare come compratore. In questa qualità egli ha pure interesse a ridurre al minimo il periodo di circolazione delle macchine e delle materie prime, il periodo di attesa tra le ordinazioni e le consegne. Il capitale commerciale gli rende dunque il duplice servizio di ridurre il tempo di circolazione delle merci come quello delle merci che desidera acquistare". (E. Mandel)

   "La produzione diventa sempre più facile e forse inquietante (!) per questa stessa facilità: ha la tendenza a superare il consumo effettivo (!). La disoccupazione tecnologica non può essere evitata se non con un continuo espandersi del consumo ed è la distribuzione che deve favorire al massimo questa evoluzione sempre più rapida.

   E' la distribuzione che farà sì che la produzione sia utile, se il consumatore acquista. Why produce if you cannot sell? E' l'ultimo metro dell'avvio del prodotto verso il consumatore che decide del successo o dell'insuccesso di tutto il ciclo produzione-consumo (the last three feet).

   Il grande pericolo che minaccia (!) attualmente l'economia in molti settori, è la sovrapproduzione. Sia per quanto riguarda i prodotti agricoli che per quanto riguarda i prodotti industriali, il potenziale produttivo è largamente superiore ai bisogni...

   ... I meccanismi della produzione funzionano ora a un ritmo tale che la minima esitazione del consumatore (!) nell'acquistare può far tremare tutto l'edificio economico". 
(Relazione della missione belga negli USA dal 14/10 al 26/11/1953, Techniques de vente: pp. 15-16) 

lunedì 27 luglio 2015

DAS UNHEIMLICHE (1)* - Stefano Garroni

*Da "SUL PERTURBANTE", Stefano Garroni, Ed. Kappa


       Ma cosa succede quando, invece, non sia possibile distinguere spettacolo e spettatore (come nella rappresentazione teatrale della tragedia)?

      Quando non già solo i confini tra le mie emozioni si rivelano incerti, perforabili, non esistenti persino (compresenza di sentimenti opposti); ma quando , addirittura, io sia spettacolo a me stesso, ma nel senso che l'uno (lo spettacolo) sfuma nell'altro (nello spettatore), passa nell'altro?

      Succede che al mio tormento emozionale verrà a mancare la rassicurante condizione d'avere una causa; e che quello stesso tormento sarà vissuto ambiguamente: certo, come emozione, come vicenda psicologica, ma anche e contemporaneamente (in un qualche modo ,però, indistinto), come destino, ordine, legge di un mondo oscuro, estraneo a me e che, pure, è me stesso. Un mondo, che non ha senso distinguere, perché proprio la possibilità di questo distinguere è venuta a mancare.

                                     Questo è il 'perturbante'... 

“Chi pensa astrattamente?” - G. W. F. Hegel


  “Pensare” “Astratto”? Sauve qui peut! Si salvi chi può! Così sento già gridare un traditore corrotto dal nemico che va vociando contro questo saggio per il fatto che vi si parlerà di metafisica. “Metafisica” infatti, come “astratto” e quasi anche come “pensare” è la parola di fronte alla quale ognuno, più o meno fugge via come davanti a un appestato.

  Ma qui non si ha la cattiva intenzione di voler spiegare che cosa sia “pensare” o che cosa sia “astratto”. Nulla è così insopportabile al bel mondo come lo spiegare. Anche a me,quando qualcuno si mette a spiegare, mi dà fastidio alquanto, perché, all’occorrenza, capisco tutto da solo. Qui poi la spiegazione del “pensare” e dell’“astratto” si mostrerebbe senz’altro del tutto superflua proprio perché il bel mondo sa già che cosa è „astratto“ e ne rifugge. E come non si desidera quel che non si conosce, così non lo si può nemmeno odiare.

  Inoltre non è mia intenzione voler conciliare di nascosto il bel mondo con il “pensare”o con l’“astratto”, quasi insinuandoli di contrabbando sotto l’apparenza di una conversazione alla buona, così da ridestarli di nascosto e senza alcuna ripugnanza e da esser entrato furtivamente ed essermi addirittura subdolamente insinuato nella società che, come dicono gli Svevi, sarebbe stata circuita; l’autore di questo intrigo avrebbe fatto conoscere questo ospite altrimenti forestiero, l’astratto, e l’intera società l’avrebbe quindi trattato, con altro titolo e riconosciuto come un buon amico. Tali scene di riconoscimento,per le quali il mondo verrebbe ad essere istruito contro sua voglia, hanno in sé l’imperdonabile difetto di far vergognare il loro orditore che voleva procurarsi a poco prezzo una piccola fama; sì che quella vergogna e quella piccola presunzione ne annullano l’effetto, ché anzi piuttosto spingono a rifiutare un insegnamento acquistato a tal prezzo. L’esecuzione di un tale piano sarebbe ad ogni modo già fallita,perché per la sua attuazione si esige che la parola chiave dell’enigma non venga detta in anticipo. Questo è invece quanto è già accaduto nel titolo. Se questo saggio avesse avuto una tale intenzione, non se ne sarebbero dovute presentare le parole chiave fin dall’inizio, bensì, come il ministro nella commedia, si sarebbe dovuto percorrere l’intera recita avvolti nella sopravveste e soltanto all’ultima scena sbottonarla e far risplendere la stella della sapienza. E poi lo sbottonarsi della sopravveste metafisica non presenterebbe questa volta così bene come quello della sopravveste ministeriale, perché quel che esso porterebbe alla luce sarebbe nulla più che un paio di parole; e il meglio della burla dovrebbe essere quello di mostrare che la società era da lungo tempo in possesso della cosa; alla fine essa avrebbe acquistato solo un nome, mentre la stella del ministro significa un qualcosa di ben più reale, un sacco di quattrini.

domenica 26 luglio 2015

INTERROGATIVI SULLA TRANSIZIONE CUBANA - Alessandra Ciattini

   Premessa
Nel panorama delle notizie catastrofiche, molte delle quali ci vengono nascoste, come per esempio le recenti manovre navali congiunte nel Mediterraneo di Cina e Russia [1], i controllori dei mass media trovano il modo di inserire eventi che, spogliati della loro problematicità, sembrerebbero far presagire che qualcosa di buono alla fin fine accade sotto il sole. Una volta individuato un evento che può esser così presentato, si ricorre a spiegazioni esplicitamente moralistiche: la buona volontà del papa pensoso per le sorti dell'umanità, la capacità di autocritica di Obama, il premio Nobel più immeritato della storia, il riconoscimento che, dal momento che “ il capitalismo è morto e il comunismo pure” come dice Gianni Minà [2], non ha più senso lo scontro tra modelli sociali di segno opposto.

Se le cose stanno effettivamente così, possiamo rasserenarci e tirare un respiro di sollievo: almeno da quelle parti (Mar dei Caraibi) non si preparano interventi armati né ipocrite missioni “umanitarie”, né ulteriori attentati terroristici. Ma il dubbio metodico è uno strumento assai efficace, che ci consente di valutare più a fondo il “valore di verità” di quanto ci viene quotidianamente ammannito da sempre nuovi giornalisti rampanti saltati fuori chissà da dove, in particolare tenendo conto che – come ci ha insegnato Marc Bloch [3] – le false notizie in tempo di guerra (la guerra fredda è davvero finita? O è cominciata la guerra calda?) nascono sì da un errore o da un fraintendimento, volontari o meno, ma entrano in sintonia con stati d'animo collettivi ed hanno precisi scopi politici. E in questo caso – mi pare – la stato d'animo collettivo è rappresentato dal legittimo desiderio di pace e l'obiettivo politico consiste nel tranquillizzare le masse che, se ulteriormente sollecitate, diventerebbero indisciplinate e forse addirittura ribelli. Straordinaria e opportuna convergenza!

Lo scopo di questo breve intervento è invece quello di restituire problematicità all'evento in questione (il riavvicinamento Stati Uniti-Cuba) e di suscitare qualche preoccupazione, di modo che si possa riflettere con maggiore realismo su di esso e reagire in maniera adeguata. Prenderò spunto dalla conferenza che Pablo Rodríguez Ruiz, dirigente del Dipartimento di Antropologia sociale e Etnologia del Centro di Antropologia dell'Avana, ha tenuto alla Sapienza di Roma nel giugno passato.

sabato 25 luglio 2015

LE CONTRADDIZIONI DEL CAPITALISMO* Ernest Mandel

*Da "Trattato di economia marxista", Ernest Mandel, Capitolo V, Samonà e Savelli

  Tutte le contraddizioni del modo di produzione capitalistico possono riassumersi nella contraddizione generale e fondamentale: la contraddizione tra la socializzazione effettiva della produzione e la forma privata, capitalistica dell'appropriazione.

  La contraddizione tra socializzazione di fatto della produzione capitalistica e la forma privata dell'appropriazione si manifesta come contraddizione tra la tendenza allo sviluppo illimitato delle forze produttive e i limiti angusti entro cui resta compreso il consumo. Il modo di produzione capitalistico è così il primo in cui la produzione sembra staccarsi completamente dal consumo, in cui la produzione sembra divenire un fine in sé. Ma le crisi periodiche gli richiamano duramente che la produzione non può, alla lunga, staccarsi completamente dalle possibilità di consumo solvibile della società.

  Da quando esiste la divisione della società in classi, gli uomini non si sono rassegnati al dominio dell'ingiustizia sociale con il pretesto che tale ingiustizia poteva essere considerata come una fase inevitabile del progresso sociale. I produttori non hanno affatto accettato come normale o naturale che il sovrapprodotto del loro lavoro fosse accaparrato da classi possidenti che ottengono così un monopolio del tempo libero e della cultura. Sempre e senza soste si sono ribellati contro quest'ordine di cose. E senza soste anche gli spiriti più generosi delle classi possidenti si sono sforzati di condannare la diseguaglianza sociale e di unirsi alla lotta degli sfruttati contro lo sfruttamento. La storia dell'umanità non è che un lungo succedersi di lotte di classe. 

giovedì 23 luglio 2015

SUL PERTURBANTE, TRE BREVI SCRITTI* - Stefano Garroni

*Da "SUL PERTURBANTE", Stefano Garroni, Ed.  Kappa

 Ecco un campione del modo freudiano di procedere: la vicenda secentesca vien sottoposta ad analisi psicoanalitica sulla base di una 'mossa' pregiudiziale, di una 'decisione' (il patto col diavolo = fantasia nevrotica), di cui non si dà giustificazione, se non post festum, se non per i risultati cui perviene.
 Analogamente, abbiamo visto Freud assumere l'ipotesi che non solo le attuali affezioni nevrotiche si sarebbero presentate in epoche precedenti in forme diverse pur essendo le stesse affezioni, ma anche che tali forme sarebbero esattamente quelle del demoniaco.
 Abbiamo visto, inoltre, che da ciò consegue la tesi, per cui i demoni non sono che moti pulsionali respinti e rimossi.
 E' importante notare che questa tesi non è il risultato a cui si perviene analizzando la 'cultura' del demoniaco, ma sì il presupposto stesso del trattamento a cui Freud la sottopone.
 A questo punto si presenta un'alternativa: o è vero che la problematica nevrotica stabilisce una relazione reale, profonda con il modo di vivere - individuale e sociale - in contesti storici dati, ed allora la 'mossa' iniziale di Freud può destare qualche perplessità.
 Ovvero, col termine "attuali affezioni nevrotiche", Freud in realtà rimanda ad un tipo di conflittualità che, in qualche modo, si possa decontestualizzare, separare da un rapporto essenziale con modi di vita, storicamente mutevoli, con culture che cambiano.

 In definitiva è, anche, convinto che l'autentico terreno, su cui si gioca la partita della validità dell'ipotesi psicoanalitica, è quello terapeutico ed esplicativo delle nevrosi.

Corso su IL CAPITALE DI MARX (10) - Riccardo Bellofiore.



Video degli incontri del ciclo di letture del I libro del "Capitale" di Karl Marx organizzato da Noi Restiamo Torino e tenuto da Riccardo Bellofiore (Università di Bergamo).

Lezioni precedenti:
https://www.youtube.com/playlist?list=PL5P5MP2SvtGh94C81IekSb83uO7nLgHmL