"Con la sua violenza,
la natura s'erge contro di noi, grandiosa, indomita terribile; ci pone
brutalmente di fronte al nostro bisogno d'aiuto, alle nostre debolezze
che,mediante la cultura, pensavamo d'aver superato". (S. Freud, Die Zukunft)
Finora la contrapposizione 'richiesta pulsionale-cultura' si
era presentata sotto il prevalente aspetto di necessaria rinuncia.
Freud, però, ha già osservato che, indirettamente, la stessa
natura suggerisce l'opportunità della costruzione culturale, posta la
drammaticità d'una vita condotta all'insegna della 'condizione naturale': la
cultura, quindi, acquista l'aspetto di ciò che salva l'uomo dalla distruttività
dell'immediato, del pulsionale.
Lo scatenarsi della natura fisica, che abbatte gli argini e
le costruzioni della civiltà, evoca l'incertezza radicale del vivere umano,
minacciato questa volta non da una natura esterna, ma si interna, che fa corpo
con l'uomo stesso.
In definitiva,quello scatenarsi evoca la distruzione
dell'uomo, dell'individuo: la morte, insomma. Ecco, di nuovo il perturbante.
La contrapposizione, tra richiesta pulsionale e sua
soddisfazione necessariamente limitata, lascia il segno sulla cultura, nel
senso che non potendo questa risolverla, placarla definitivamente, la vita
sociale è sempre gravata da un dubbio, è accompagnata sempre da un'ombra
minacciosa.
Sia affrontando una tematica (apparentemente) politica, sia
ponendosi di fronte al fenomeno religione, l'ottica psicologica di Freud (quindi , né politica, né antropologica),
sempre, mette in luce la centralità del perturbante. Non perché l'esperienza unheimlich sia, per Freud, l'unica dimensione psicologica (abbiamo
visto, al contrario, che Freud tende a distinguere livelli diversi all'interno
dello psicologico), ma perché è quella in cui si rivela il pulsionale in quanto
tale, nella sua 'astrattezza', nella sua indipendenza da motivazioni, che non
siano la pulsionalità stessa.