L’idea dell’importanza dell’Eurasia per garantirsi il dominio del mondo risale ai primi del Novecento e in particolare a uno scritto di Halford John Mackinder intitolato The Geographical Pivot of History, pubblicato nel 1904. In questo articolo egli sosteneva che la regione che va dall’Europa centrale alla Siberia rappresentava nelle condizioni politiche del tempo il “cuore geopolitico mondiale”, da lui definito appunto Heartland, e inespugnabile da parte delle potenze talassocratiche come la Gran Bretagna, che al tempo appunto dominava i mari. Il grande geografo e antropologo britannico prefigurava una forte alleanza tra la Germania e la Russia zarista, che però orientavano la loro politica in senso diverso, convinto che chi avesse dominato questa ampia e ricca regione avrebbe esteso il suo controllo anche all’Africa, costituendo l’Eurafrasia, ossia ciò che egli definiva “isola mondiale”. Chi avesse realizzato questo progetto avrebbe messo sotto il suo controllo gran parte delle terre e delle risorse mondiali, garantendosi così un dominio indiscusso sul mondo. A suo parere la classe dirigente britannica, che si era scontrata con i russi nell’Asia centrale nell’Ottocento, doveva prendere in considerazione questo pericolo e cercare di sventarlo.
Come si può capire da quanto esposto, l’analisi di Mackinder aveva un carattere esclusivamente geopolitico e quindi prendeva in considerazione esclusivamente gli Stati come protagonisti della storia e detentori di risorse materiali senza tenere in conto la loro stratificazione di classe e le dinamiche inerenti al sistema capitalistico radicato in questi paesi.
Un interessante articolo di Davide Papini ci aiuta ad approfondire questo non facile aspetto spiegando dettagliatamente l’origine e gli obiettivi dell’atlantismo [1], sorto probabilmente nel 1913, quando fu istituita la Federal Reserve, dominata dai grandi banchieri internazionali.
Nella descrizione di Papini le forze atlantiste, ossia quelle che spinsero gli Stati Uniti a intervenire nella Prima e nella Seconda guerra mondiale per espandersi nell’Eurasia, mettevano insieme “un composito schieramento di élites (dinastie bancarie, magnati industriali, leader politici, personalità culturali), accomunate da ingenti interessi materiali e dalla medesima visione del mondo”. I veri capi di questo gruppo di potere erano i proprietari delle grandi banche d’affari che dominavano la City di Londra e Wall Street a New York. Il loro scopo, purtroppo in gran parte realizzato, era quello di trasformare il mondo in unico mercato globale, dove avrebbe dovuto spadroneggiare un’unica moneta, imponendo quindi il signoraggio del dollaro, che i vari paesi avrebbero dovuto chiedere in prestito per far funzionare le loro economie, indebitandosi a vita. Eventi che sono divenuti sempre più palesi negli ultimi decenni del XX secolo a partire dagli inizi della crisi economica iniziata alla fine dei Trenta anni gloriosi. Le forze atlantiste riunivano le antiche massonerie e le istituzioni mondialiste come, per esempio, il Council on Foreign Relations o il Royal Institute of International Affairs. Tali personaggi si prefiggevano di imporre al cosiddetto blocco occidentale, comprendente anche il Giappone conquistato a suon di bombe atomiche dagli Stati uniti, “il catechismo del nuovo ordine mondiale atlantista, di cui il mercatismo e il cosmopolitismo costituivano gli elementi basilari”.