La teoria Marxista poggia la sua forza sulla scienza... che ne valida la verità, e la rende disponibile al confronto con qualunque altra teoria che ponga se stessa alla prova del rigoroso riscontro scientifico... il collettivo di formazione Marxista Stefano Garroni propone una serie di incontri teorici partendo da punti di vista alternativi e apparentemente lontani che mostrano, invece, punti fortissimi di convergenza...
venerdì 9 dicembre 2016
ELEMENTI DI ECONOMIA DEL LAVORO - Guglielmo Forges Davanzati
L’economia del lavoro ha come proprio campo d’indagine lo studio del funzionamento del mercato del lavoro, con particolare riferimento all’individuazione delle cause della disoccupazione e dei meccanismi che sono alla base della determinazione dei salari, sia sul piano teorico, sia sul piano empirico. A tal fine, e per quanto riguarda la trattazione che segue, si fa propria un’opzione metodologica che rinvia alla coesistenza di paradigmi alternativi e competitivi, non riconducibili a un schema teorico unitario e unanimemente condiviso. Questa opzione si basa sulla convinzione che ogni schema teorico si basa su assiomi, ovvero su premesse non dimostrate né dimostrabili, che sono radicalmente in contrapposizione con gli assiomi propri di altri schemi teorici e che, per questa ragione, non si rende possibile giungere a una sintesi. In quanto segue, verranno descritti i principali orientamenti teorici presenti nel dibattito contemporaneo: il modello neoclassico, il modello keynesiano, il modello postkeynesiano nella sua variante della c.d. teoria monetaria della produzione.
Si propongono, a seguire, due appendici: la prima dà conto del dibattito su diseguaglianze distributive e crescita economica; la seconda riporta un breve importante saggio di M. Kalecki, rilevante per la comprensione dello studio del funzionamento del mercato del lavoro in una prospettiva postkeynesiana e marxista. Alla trattazione di queste teorie vengono qui aggiunte due sezioni dedicate, rispettivamente, agli effetti delle politiche di deregolamentazione del mercato del lavoro sull’occupazione e al dibattito sugli effetti dell’accumulazione di capitale umano sulla crescita economica e dell’occupazione.
Alla stesura di questi appunti hanno contribuito Andrea Pacella (Università di Catania) che ha scritto parte del cap.1 e Gabriella Paulì (Università del Salento), che ha scritto parte del cap.4 e del cap. 5. Lecce, marzo 2016
LEGGI TUTTO: https://www.dropbox.com/s/lqbu9gy1iqvepoe/ELEMENTI%20DI%20ECONOMIA%20DEL%20LAVORO%20-FORGES%20DAVANZATI.pdf?dl=0
mercoledì 7 dicembre 2016
La “Via Cinese” e il contesto internazionale
Tutti gli interventi e le relazioni a questi indirizzi:
http://www.marx21.it/index.php/internazionale/cina/27292-la-via-cinese-e-il-contesto-internazionale-tutti-i-materiali-dal-convegno
https://ilgiornaledelriccio.wordpress.com/2016/11/04/la-via-cinese-e-il-contesto-internazionale-relazione-del-forum-europeo-2016-con-giulietto-chiesa-domenico-losurdo-vladimiro-giacche-ed-esponenti-cinesi/
martedì 6 dicembre 2016
Referendum “sociale” o costituzionale? Torna il problema delle “periferie” per il Pd - Marco Valbruzzi
Quali sono state le principali motivazioni che hanno spinto
gli elettori alle urne? E, soprattutto, perché hanno deciso di promuovere o
bocciare il progetto di revisione costituzionale del governo Renzi? Quali sono
stati gli strati sociali maggiormente favorevoli (o contrari) alla riforma? Per
rispondere a tali quesiti, l’Istituto Cattaneo ha analizzato la distribuzione
del voto nelle sezioni di Bologna per cercare di capire se i settori dove il
disagio sociale è maggiore hanno avuto un comportamento più critico nei
confronti del governo e della sua riforma. Un’analisi di questo tipo è resa
possibile dall’esistenza di dati socio-demografici della popolazione (età,
genere, reddito, presenza di immigrati ecc.), disaggregati a livello di singola
sezione elettorale e messi liberamente a disposizione dal comune di Bologna. Il
problema del Pd nelle periferie, sia geografiche che “sociali”, era già emerso
chiaramente nelle elezioni amministrative del 2016: nel territorio, il partito
di Renzi aveva perso progressivamente contatto e consenso negli strati sociali
più deboli, appartenenti a quel “ceto medio impoverito” di cui stanno
discutendo in questi giorni analisti e commentatori. Il referendum
costituzionale di domenica ha rappresentato un nuovo laboratorio d’analisi
all’interno del quale verificare se il voto favorevole alla riforma – sostenuto
dal Pd – ha “sofferto” in misura maggiore nelle aree di Bologna più disagiate o
in difficoltà. [...]
In sintesi, con il voto nel referendum costituzionale del 4
dicembre si conferma l’orientamento degli elettori a votare “contro” il governo
in carica, sia nelle elezioni politiche (comprese quelle amministrative) che in
quelle referendarie. Il voto diventa lo strumento attraverso il quale i
cittadini esprimono il loro malcontento verso una situazione di crisi –
economica e sociale – dalla quale non vedono ancora alcuna via d’uscita. Il
voto contro l’establishment, in opposizione alla classe di governo di turno, ha
trovato un nuovo canale di espressione nel referendum costituzionale,
trasformando un giudizio sulla riforma della Costituzione in una valutazione
sull’operato del governo Renzi e sulla condizione sociale degli elettori. Se ogni
occasione elettorale è buona per esprimere la propria insoddisfazione, anche un
referendum costituzionale può facilmente trasformarsi in un referendum
“sociale”. Con i risultati che ora sappiamo.
Leggi tutto: http://www.cattaneo.org/wp-content/uploads/2016/12/Analisi-Istituto-Cattaneo-Referendum-4-dicembre-2016-Pd-referendum-e-periferie-sociali-05.12.16.pdf
Leggi anche: http://www.infodata.ilsole24ore.com/2016/12/05/referendum-dire-no-stati-giovani-disoccupati-meno-abbienti/
Leggi anche: http://www.infodata.ilsole24ore.com/2016/12/05/referendum-dire-no-stati-giovani-disoccupati-meno-abbienti/
lunedì 5 dicembre 2016
Rosa Luxemburg e la teoria del capitalismo*- Una recensione di Paul M. Sweezy
Questa recensione dell’opera di Rosa Luxemburg, The
Accumulation of capital [trad. di Agnes Schwarzschild, intr. di Joan
Robinson, London and New Haven 1951], apparve in “The New statesman and Nation”
il 2 giugno 1951 ed è riportata nel volume Paul M. Sweezy, Il
presente come storia, trad. di Ruggero Amaduzzi, Torino 1962
L’edizione italiana dell’opera è L'accumulazione del
capitale. Contributo alla spiegazione economica dell'imperialismo e ciò che gli
epigoni hanno fatto della teoria marxista. Una anticritica [trad. di
Bruno Maffi, introduzione di Paul M. Sweezy, Torino, 1968]
Per comprendere L’accumulazione del capitale ci
si deve collocare nella letteratura socialista della fine del secolo XIX e
dell’inizio del secolo XX. Era quello il periodo del grande dibattito fra i
marxisti “ortodossi” e i “revisionisti”, un dibattito che, sul piano puramente
analitico, si accentrava attorno alla questione: può il capitalismo continuare
ad espandersi indefinitamente, o presto o tardi crollerà in forza delle
contraddizioni economiche che gli sono congenite? I revisionisti sostenevano la
tesi dell’espandibilità indefinita e ne traevano la conclusione che non c’era
fratta per il socialismo e non c’era bisogno di prepararsi alla situazione
d’emergenza: tutto si poteva aggiustare tranquillamente e gradualmente. Gli
“ortodossi” erano unanimi nel respingere questa teoria, ma tutt’altro che unanimi
sulla teoria che ritenevano giusta. Fu proprio questo problema che Rosa
Luxemburg si propose di risolvere con L’accumulazione del capitale.
Il titolo stesso rivela dove essa riteneva di aver individuato il nucleo del
problema e riassume, come può farlo un breve titolo, l’argomento dell’intera
opera.
domenica 4 dicembre 2016
L'EGEMONIA DIGITALE - Renato Curcio
"Io sono l'automa", così si è presentato a una visita medica obbligatoria, un lavoratore deella ACEA di Roma. "In che senso scusi?" gli ha chiesto la dottoressa. E lui, con un tono angosciato: "Nel senso che ormai non sono più una persona, il tablet personale mi comanda come un robot, nel senso che mi sento un automa, gli presto le mani è vero, ma per il resto quasi non decido più nulla; nel senso che questi ci pilotano: 'vai qua e vai là', 'inserisci il tuo numero matricola e poi segui i comandi'; nel senso che il tablet attivato mi geo-localizza e mi programma la giornata; nel senso che ogni spostamento è controllato e se mi fermo a prendere un caffè o a urinare in un luogo non previsto il tablet lo registra; nel senso che è il tablet che mi porta in giro e ho paura! Ho paura che il tablet registri anche quello che le sto dicendo adesso che siamo in visita. Ecco in che senso".
Questo libro restituisce il percorso di un cantiere socianalitico che, partendo dalle narrazioni d’esperienza dei suoi partecipanti, si è interessato ai modi in cui l’impero virtuale cerca di costruire la sua capacità egemonica sul mondo del lavoro. Ripercorrendo la micro-fisica dei processi innescati dai dispositivi digitali che mediano l’attività lavorativa – smartphone, piattaforme, sistemi gestionali, registri elettronici – in queste pagine si esplorano alcune metamorfosi radicali che, mentre rovesciano il rapporto millenario tra gli umani e i loro strumenti, sconvolgono ciò che fino a ieri abbiamo familiarmente chiamato “lavoro”. Alcuni territori chiave – la digitalizzazione della scuola, della professione medica, dei servizi, dei trasporti condivisi, dei grandi studi legali e delle banche – assunti come analizzatori, ci raccontano l’impatto trasformativo delle nuove tecnologie e il disorientamento dei lavoratori. Ma, nello stesso tempo, fanno emergere le linee liberticide su cui questo processo procede: la cattura degli atti, la dittatura dei dati, il trionfo della quantità e le narrazioni sostitutive con cui esso si racconta. Proprio riflettendo su queste tendenze che velocemente ci attraversano fino al punto di chiamarci in causa singolarmente il libro, infine, indica quattro pericolose tendenze generali – l’autismo digitale, l’obesità tecnologica, l’ethos della quantità, lo smarrimento dei limiti – e si chiede se non sia forse giunto il momento, dopo le ambigue interpretazioni del Novecento, di cominciare a distinguere il progresso sociale dal progresso tecnologico.
sabato 3 dicembre 2016
CONTROSTORIA DEL SECOLO BREVE, il primo dopoguerra - Renato Caputo
8 LEZIONE. IL PRIMO DOPOGUERRA IN ITALIA - Problemi economico e sociali dell’Italia post-bellica; la crisi dello Stato liberale; il biennio rosso e l’occupazione delle fabbriche:
7. LEZIONE. DOPOGUERRA e REPUBBLICA DI WEIMAR. La Repubblica di Weimar e la sua crisi;
i fondamenti ideologici del nazionalsocialismo: https://www.youtube.com/watch?v=DIAEu36UWBY&feature=share
Lezioni precedenti: (1/2) https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/controstoria-del-secolo-breve-dalla.html
(5/6) https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/11/controstoria-del-secolo-breve-movimenti.htmlvenerdì 2 dicembre 2016
La Costituzione italiana e i trattati europei: convivenza possibile?*- Vladimiro Giacché
*Da. http://www.marx21.it/
Leggi anche: http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/11/30/referendum-il-si-e-lattacco-finale-dei-mercati-al-benessere-dei-lavoratori/3224280/
Intervento di Vladimiro Giacché, Vice Presidente dell'Associazione politica e culturale MARX XXI,
nel corso del convegno organizzato dalla Casa Rossa di Milano, il 5 novembre 2016.
Leggi anche: http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/11/30/referendum-il-si-e-lattacco-finale-dei-mercati-al-benessere-dei-lavoratori/3224280/
Intervento di Vladimiro Giacché, Vice Presidente dell'Associazione politica e culturale MARX XXI,
nel corso del convegno organizzato dalla Casa Rossa di Milano, il 5 novembre 2016.
giovedì 1 dicembre 2016
mercoledì 30 novembre 2016
Genere e famiglia in Marx: una rassegna*- Heather Brown**
**Eather Brown è
assistente di scienze politiche alla Westfield State University. Questo
articolo è un adattamento della conclusione del suo volume Marx on Gender and the Family: A Critical Study (Haymarket,
2013), dove compare in una forma leggermente diversa.
Molte studiose femministe hanno avuto, nel migliore dei
casi, un rapporto ambiguo con Marx e il marxismo. Una delle questioni oggetto
di maggiore contesa riguarda il rapporto Marx/Engels.
Gli studi di György Lukács, Terrel Carver e altri,
hanno mostrato significative differenze tra Marx ed Engels circa la dialettica,
così come su molte altre problematiche (1). Basandomi su tali lavori, ho
esplorato le loro differenze riguardo alle questioni di genere nonché della
famiglia. Ciò è di particolare rilevanza in rapporto ai dibattiti attuali,
considerato che un certo numero di studiose femministe hanno criticato Marx ed
Engels per quello che considerano il determinismo economico di questi ultimi.
Tuttavia, Lukács e Carver indicano proprio nel grado di determinismo
economico una notevole differenza tra i due. Entrambi considerano Engels
più monistico e scientista di Marx. Raya Dunayevskaya è tra le poche a
separare Marx ed Engels riguardo al genere, indicando nel contempo la natura
maggiormente monistica e deterministica della posizione di Engels, in contrasto
con una comprensione dialetticamente più sfumata delle relazioni di genere da
parte di Marx (2).
In anni recenti, vi è stata scarsa discussione intorno agli
scritti di Marx su genere e famiglia, ma negli anni Settanta e Ottanta, essi
erano oggetto di numerosi dibattiti. In alcuni casi, elementi della più
complessiva teoria marxiana andavano a fondersi con la teoria femminista,
psicoanalitica o di altra forma, nel lavoro di studiose femministe come Nancy
Hartsock e Heidi Hartmann (3). Queste hanno visto la teoria di Marx come
primariamente chiusa rispetto alle questioni di genere, insistendo sulla
necessità di integrazioni teoriche al fine di comprendere meglio le relazioni
di genere. Ciò nonostante, hanno continuato a ritenere il materialismo storico
di Marx come un punto di partenza per comprendere la produzione. Inoltre,
un certo numero di femministe marxiste hanno fornito il loro contributo, dai
tardi anni Sessanta fino agli Ottanta, in particolare nell’ambito dell’economia
politica. Per esempio, Margaret Benston, Mariarosa Dalla Costa, Silvia Federici
e Wally Seccombe, hanno tentato una rivalutazione del lavoro domestico (4). In
aggiunta, Lise Vogel ha cercato di andare oltre il sistema duale, verso una
comprensione unitaria dell’economia politica e della riproduzione sociale (5).
Ancora, Nancy Holmstrom ha mostrato come Marx possa essere utilizzato al fine
di comprendere lo sviluppo storico della natura femminile (6).
martedì 29 novembre 2016
La Politica in Spinoza - Carlo Sini
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/11/la-fortuna-nelletica-di-spinoza-maria.html
Dal minuto 2,22 la cattiva ricezione audio viene completamente risolta.
Dal minuto 2,22 la cattiva ricezione audio viene completamente risolta.
lunedì 28 novembre 2016
L'Occidente arretrato e l'Oriente avanzato*- Emiliano Alessandroni
Nelle Lezioni sulla filosofia della storia Hegel
ci insegna che «quando si parla di libertà, si deve sempre far caso se, in
realtà, non si stia parlando d'interessi privati» [1]. Già a suo tempo, dunque,
il filosofo tedesco ci metteva in guardia contro gli usi ideologici di
determinati termini e vocaboli.
Qualche decennio più tardi, in effetti, allorché si sviluppa
il dibattito sulla schiavitù nel sud degli Stati Uniti, i proprietari di
schiavi denunciavano quelle spinte che premevano verso la soppressione
dell'istituto della schiavitù, come degli attacchi alla libertà,
ovvero a quelli che definivano sacrosanti diritti di proprietà [2].
La libertà che si vedevano minacciata era la libertà di possedere schiavi e i
diritti che rivendicavano erano essenzialmente il diritto di commerciare carne
umana. Evidentemente i due termini, libertà e diritto, venivano
impiegati in una accezione tutta ideologica, al fine di difendere interessi
particolari.
Qualcosa di analogo si verifica anche ai giorni nostri: gli attuali mezzi di comunicazione sono soliti presentare l'Occidente come un insieme di stati avanzati e democratici e l'Oriente come un agglomerato caotico di stati dispotici e arretrati. Ma, dobbiamo domandarci, stanno davvero così le cose? L'Occidente promuove realmente un avanzamento ed un progresso storico nel mondo? O ci troviamo anche in questo caso di fronte ad un uso ideologico dei termini volto alla difesa di interessi particolari?
Per rispondere a queste domande soffermiamoci su alcuni dei
più significativi scenari internazionali, e osserviamo se l'Occidente abbia
assunto verso di essi un atteggiamento costruttivo e progressivo o distruttivo
e regressivo.
domenica 27 novembre 2016
Referendum costituzionale, le ragioni del No*- Luigi Ferrajoli

Le ragioni del No al referendum sull’aggressione in atto
alla nostra Costituzione investono sia il metodo con cui la riforma è stata
approvata, sia i suoi contenuti.
Anzitutto le ragioni di metodo. Questa riforma, cambiando 47
articoli su 139, non è una “revisione” dell’attuale costituzione, ma un’altra
costituzione, diversa da quella del 1948. Ma la nostra Costituzione non
consente l’approvazione di una nuova costituzione, neppure ad opera di
un’ipotetica assemblea costituente che pur decidesse a larghissima
maggioranza. Il solo potere ammesso dall’articolo 138 della Costituzione è un
potere di revisione, che non è un potere costituente ma un potere costituito.
Di qui il primo profilo di illegittimità: l’indebita trasformazione del potere
di revisione costituzionale previsto dall’articolo 138 in un potere costituente
non previsto dalla nostra Costituzione e perciò anticostituzionale ed eversivo.
In secondo luogo questa nuova costituzione, per il modo in
cui è stata promossa e approvata, è un oltraggio non tanto e non solo alla
Costituzione del 1948, ma al costituzionalismo in quanto tale, cioè all’idea
stessa di Costituzione. Le costituzioni sono patti di convivenza. Stabiliscono
le pre-condizioni del vivere civile, idonee a garantire tutti, maggioranze e
minoranze, e perciò tendenzialmente sorrette da un consenso generale quale fu
quello con cui fu approvata la Costituzione del ’48. Servono a unire, e non a
dividere, dato che equivalgono a sistemi di limiti e vincoli imposti a
qualunque maggioranza, di destra o di sinistra o di centro, a garanzia di
tutti.
sabato 26 novembre 2016
Omaggio a Fidel* - Lia
Io non ho amato Cuba, nei tre anni trascorsi a studiare lì.
Tanto è vero che mi spostavo in Messico ogni volta che potevo, e alla fine a
Cuba ci avrò trascorso un anno e mezzo in totale. Non l’ho amata perché amo
poco le isole, in generale, e perché i cubani mi davano sui nervi, parecchio.
E la pativo: l’embargo è uno stillicidio di cose che non funzionano, che
non si trovano, che sono difficilissime da fare. L’embargo crea paesi logoranti
dove la sopravvivenza è legata all’organizzazione che ti dai, e dove tu,
straniero, sei sempre in torto: perché hai più soldi – credono loro – e vieni
dalla parte di mondo che la vorrebbe vedere cadere, Cuba, e l’isola risponde
togliendoti ogni tratto umano e trasformandoti in un portafogli che cammina,
caricaturizzandoti nel cliché dello straniero a Cuba che, nove volte su dieci,
non è una bella persona. Io, quindi, ogni volta che potevo prendevo il mio
Cubana de Aviación e in 50 minuti ero in Messico, dove la gente era normale e
non si aspettava di essere pagata anche solo per rispondere a un “buongiorno”.
E dove, perdonatemi, mangiavo: un’insalata che non fosse di cavolo, una
minestra che non fosse sempre e solo di riso con fagioli, un frutto che non
fosse l’unico che si trova a Cuba di trimestre in trimestre. Un’introvabile
patata. Un gelato che non fosse stato scongelato e ricongelato quaranta volte.
A Cuba, a meno che tu non voglia spendere molti soldi – e anche lì, uhm –
apprendi cos’è la deprivazione sensoriale, dopo mesi passati a provare un
sapore solo. Io a Cuba una volta sono quasi svenuta in un supermercato, dopo
due giorni trascorsi all’infruttuosa ricerca di un pomodoro. Il corpo ti chiede
certe vitamine, certi sali minerali, e tu non riesci a darglieli. Atterravo in
Messico e, i primi due giorni, mi strafogavo.
Eppure, Cuba funzionava. A modo suo. Davanti a ogni facoltà,
all’università, c’era una targa che ringraziava la tale Comunità Autonoma
spagnola che aveva finanziato il sistema elettrico. All’interno della facoltà
sembrava di essere negli anni 50 dopo un bombardamento: banchi, cattedre,
lavagne, tavoli sbilenchi, lampadine a intermittenza, computer e telefoni
arcaici, sedie metalliche incongruenti, tutto in rovina, tutto cadente, e in
mezzo a tutto questo professori trasandati, sciupati, malvestiti, che però ti
facevano lezioni durante cui il tempo volava, che sapevano quello che facevano,
che erano bravi. A volte proprio bravi. L’assoluta incongruenza tra lo
squallore del luogo e la qualità delle parole. E la serietà, la severità,
l’inflessibilità dietro la trasandatezza. La gente che ho visto bocciare
all’esame di dottorato. L’incongruenza che tu, straniera, avvertivi tra come si
presentava il tutto e la loro altissima considerazione di sé. Perché i cubani
hanno un’immensa stima di sé. I cubani si sentono speciali, bravissimi, una
specie di razza eletta. E questo non te lo aspetti, da un paese che cade a
pezzi. E siccome te la fanno pesare, la loro presunzione, la loro certezza di
essere degli immensi fighi, un po’ li strozzeresti e un po’ ti ritrovi ad ammettere
che tutti i torti non ce li hanno. Li strozzeresti per i modi, ma poi devi
ammettere che la loro forza è tutta lì. Nel sentirsi i migliori di tutti e
quelli che non hanno paura di nessuno.
Hasta la victoria siempre, Comandante!
Querido pueblo de Cuba:
Con profundo dolor comparezco para informar a nuestro pueblo, a los amigos de Nuestra América y del mundo que hoy 25 de noviembre de 2016 a las 10:29 horas de la noche, falleció el Comandante en Jefe de la Revolución cubana Fidel Castro Ruz.
Con profundo dolor comparezco para informar a nuestro pueblo, a los amigos de Nuestra América y del mundo que hoy 25 de noviembre de 2016 a las 10:29 horas de la noche, falleció el Comandante en Jefe de la Revolución cubana Fidel Castro Ruz.
En cumplimento de la voluntad expresa del compañero
Fidel, sus restos serán cremados.
En las primeras horas de mañana sábado 26 la comisión
organizadora de los funerales brindará a nuestro pueblo una información
detallada sobre la organización del homenaje póstumo que se le tributará al
fundador de la Revolución cubana.
Hasta la victoria siempre!
(Raul)
venerdì 25 novembre 2016
giovedì 24 novembre 2016
I mass media, Gramsci e la costruzione dell’uomo eterodiretto*- Paolo Ercolani
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/usamerica-nellepoca-tecnetronica.html
http://www.consecutio.org/2016/10/al-di-la-della-governance-la-politica-come-riconoscimento/
http://www.consecutio.org/2016/10/al-di-la-della-governance-la-politica-come-riconoscimento/
Con l’evoluzione della «società dello spettacolo» sta
maturando il passaggio da una forma di dominio sui corpi a una sulle menti.
L’individuo, sotto attacco nella sua sfera intellettiva, rischia di perdere la
capacità di agire consapevolmente e di essere soggetto della storia.
«Nella realtà sociale, nonostante tutti i cambiamenti,
il dominio dell’uomo sull’uomo è rimasto il continuum storico che collega la
Ragione pre-tecnologica a quella tecnologica»
H. Marcuse 1
Se uno degli ambiti di studio e azione più importanti
della filosofia marxista è consistito nell’analisi delle forme di dominio del
più forte sul più debole, la grande intuizione di Antonio Gramsci, e quindi uno
dei suoi lasciti più fecondi, risiede nell’aver compreso come, con il
Novecento, il terreno su cui si svolgevano – e si sarebbero svolte – le nuove
forme di dominio non era più dato dal solo contesto strutturale, ma avrebbe
interessato la sovrastruttura ideologica 2.
In forme e con modalità certamente non osservabili (e quindi prevedibili) in
tutta la loro potenzialità ai tempi del pensatore sardo, ma che sono sotto gli
occhi di tutti nei giorni nostri in piena epoca di trionfo della società dello
spettacolo, con i suoi meccanismi tecnologici annessi 3.
Con l’elaborazione del nesso fra teoria e pratica,tra pensiero e azione, in
buona sostanza tra filosofia e politica, Gramsci non soltanto superava quel
marxismo meccanicistico che concentrava la propria attenzione sul solo momento
strutturale (di contro al problema opposto rappresentato dall’Idealismo), ma
poneva le basi per un recupero della centralità dell’uomo (e della sua dignità)
come soggetto pensante e agente (inscindibili i due momenti) e, in quanto tale,
soggetto consapevole e «creatore della sua storia» 4.
All’interno di questo discorso si comprende l’intento gramsciano perché al
nesso fra teoria e azione (o tra filosofia e politica) corrispondesse quello
tra «intellettuali» e «semplici»: innanzitutto affinché i primi sapessero
elaborare dei principi coerenti con i problemi che le masse si trovano a porre
con la propria attività pratica, al fine di costituire un «movimento filosofico»
che non svolgesse «una cultura specializzata per ristretti gruppi di
intellettuali», ma che fosse in grado di trovare nel contatto costante coi
semplici «la sorgente dei problemi da studiare e risolvere». Soltanto in questo
modo una filosofia si «depura» dagli «elementi intellettualistici» e si fa
«vita» 5.
mercoledì 23 novembre 2016
martedì 22 novembre 2016
Erich Honecker*: Discorso-Autodifesa pronunciato davanti al Tribunale di Berlino**
*Erich Honecker (Neunkirchen, 25 agosto 1912 - Santiago del Cile, 29 maggio 1994) è stato un politico tedesco. È stato Presidente della Repubblica Democratica Tedesca dal 1976 al 1989.
**Da: www.resistenze.org http://www.linearossage.it/ddr/erich_honecker.htm

Difendendomi dall’accusa manifestamente infondata di omicidio non intendo certo attribuire a questo Tribunale e a questo procedimento penale l’apparenza della legalita’. La difesa del resto non servirebbe a niente, anche perche’ non vivro’ abbastanza per ascoltare la vostra sentenza. La condanna che evidentemente mi volete infliggere non mi potra’ piu’ raggiungere. Ora tutti lo sanno. Basterebbe questo a dimostrare che il processo e’ una farsa. E’ una messa in scena politica.
Nessuno nelle regioni occidentali della Germania, compresa la citta’ di prima linea di Berlino Ovest, ha il diritto di portare sul banco degli accusati o addirittura condannare i miei compagni coimputati, me o qualsiasi altro cittadino della RDT, per azioni compiute nell’adempimento dei doveri emananti dallo Stato RDT.
Se parlo in questa sede, lo faccio solo per rendere testimonianza alle idee del socialismo e per un giudizio moralmente e politicamente corretto di quella Repubblica Democratica Tedesca che piu’ di cento stati avevano riconosciuto in termini di diritto internazionale. Questa Repubblica, che ora la RFT chiama Stato illegale e ingiusto, è stata membro del Consiglio di Sicurezza dell’ O.N.U., che per qualche tempo ha anche presieduto, e ha presieduto per un periodo la stessa l’Assemblea generale. Non mi aspetto certo da questo processo e da questo Tribunale un giudizio politicamente e moralmente corretto della RDT, ma colgo l’occasione di questa messa in scena politica per far conoscere ai miei concittadini la mia posizione.
**Da: www.resistenze.org http://www.linearossage.it/ddr/erich_honecker.htm

Difendendomi dall’accusa manifestamente infondata di omicidio non intendo certo attribuire a questo Tribunale e a questo procedimento penale l’apparenza della legalita’. La difesa del resto non servirebbe a niente, anche perche’ non vivro’ abbastanza per ascoltare la vostra sentenza. La condanna che evidentemente mi volete infliggere non mi potra’ piu’ raggiungere. Ora tutti lo sanno. Basterebbe questo a dimostrare che il processo e’ una farsa. E’ una messa in scena politica.
Nessuno nelle regioni occidentali della Germania, compresa la citta’ di prima linea di Berlino Ovest, ha il diritto di portare sul banco degli accusati o addirittura condannare i miei compagni coimputati, me o qualsiasi altro cittadino della RDT, per azioni compiute nell’adempimento dei doveri emananti dallo Stato RDT.
Se parlo in questa sede, lo faccio solo per rendere testimonianza alle idee del socialismo e per un giudizio moralmente e politicamente corretto di quella Repubblica Democratica Tedesca che piu’ di cento stati avevano riconosciuto in termini di diritto internazionale. Questa Repubblica, che ora la RFT chiama Stato illegale e ingiusto, è stata membro del Consiglio di Sicurezza dell’ O.N.U., che per qualche tempo ha anche presieduto, e ha presieduto per un periodo la stessa l’Assemblea generale. Non mi aspetto certo da questo processo e da questo Tribunale un giudizio politicamente e moralmente corretto della RDT, ma colgo l’occasione di questa messa in scena politica per far conoscere ai miei concittadini la mia posizione.
domenica 20 novembre 2016
CONTROSTORIA DEL SECOLO BREVE, movimenti di emancipazione dei popoli coloniali fra le due guerre.- Renato Caputo
6 LEZIONE. MOVIMENTI DI EMANCIPAZIONE DEI POPOLI COLONIALI FRA LE DUE
GUERRE: In particolare Cina e India:
5 LEZIONE. STORIA
DELL’URSS FINO ALLE SOGLIE DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE: la costruzione del
socialismo in un solo paese; l’industrializzazione e la collettivizzazione
delle campagne; l’età di Stalin: https://www.youtube.com/watch?v=tuUtouZoypw
Lezioni precedenti: (1/2) https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/controstoria-del-secolo-breve-dalla.html
venerdì 18 novembre 2016
Grand Hotel «Abisso»*- György Lukács
*[Grand Hotel „Abgrund”, Világosság,
no.8/9, 1977, p.572-79; trad. it. in La responsabilità sociale del
filosofo, a c. di V. Franco, Pacini Fazzi, Lucca 1989] Da: https://gyorgylukacs.wordpress.com/
Si
ringrazia Toni Infranca per aver messo a disposizione questo testo.
Infine, nei periodi in cui la lotta di classe si avvicina al momento decisivo, il processo di dissolvimento in seno alla classe dominante, in seno a tutta la vecchia società, assume un carattere così violento, così aspro, che una piccola parte della classe dominante si stacca da essa per unirsi alla classe rivoluzionaria, a quella classe che ha l’avvenire nelle sue mani. Perciò, come già un tempo una parte della nobiltà passò alla borghesia, così ora una parte della borghesia passa al proletariato, e segnatamente una parte degli ideologi borghesi che sono giunti a comprendere teoricamente il movimento storico nel suo insieme.
K. Marx, F. Engels, Manifesto del partito Comunista.
Hell wogt der saal vom spiel der seidnen suppen.
Doch eine berg ihr fieber unterm mehlle
Und sah umwirbelt von den tollen gruppen
Dass nicht mehr viel am aschermittwoch fehle.
Doch eine berg ihr fieber unterm mehlle
Und sah umwirbelt von den tollen gruppen
Dass nicht mehr viel am aschermittwoch fehle.
Sie schleicht hinaus zum öden park, zum flachen
Gestade. winkt noch kurz dem mummenschanze
Und beugt sich frostelns übers eis. ein krachen
Dann stumme kälte, fern der ruf zum tanze.
Gestade. winkt noch kurz dem mummenschanze
Und beugt sich frostelns übers eis. ein krachen
Dann stumme kälte, fern der ruf zum tanze.
Keins von der artigen rittern oder damen
Ward sie gewahr bedeckt mit tang und kieseln.
Doch als im frühling sie zum garten kamen
Erhob sich oft vom teich ein dumpfes rieseln.
Ward sie gewahr bedeckt mit tang und kieseln.
Doch als im frühling sie zum garten kamen
Erhob sich oft vom teich ein dumpfes rieseln.
Die leichte schar aus scherzendem jahrundert
Vernahm wohl dass es drunten seltsam raune.
Nur hat sie sich nicht sehr darob gewundert
Sie hielt es einfach für der wellen laune.
Vernahm wohl dass es drunten seltsam raune.
Nur hat sie sich nicht sehr darob gewundert
Sie hielt es einfach für der wellen laune.
S. George, Die Maske1
L’accostamento di queste due citazioni sorprenderà
sicuramente la maggior parte dei lettori. In effetti, esse possono andare insieme
solo in quanto sono entrambe espressione chiara e pregnante dei due poli del
movimento di dissoluzione ideologica di una classe dominante in un periodo di
crisi rivoluzionaria. L’intellighenzia, cioè quello strato
della società che a causa della divisione sociale del lavoro fa della
produzione e della propaganda ideologica un’occupazione di vita, il fondamento
materiale e spirituale della propria esistenza, reagisce con straordinaria
prontezza e sensibilità a tutte le svolte che si compiono nella realtà
materiale della società. Ma proprio perché fa della produzione della ideologia
la sua massima occupazione, all’interno della società di classe essa reagisce
sempre con una falsa coscienza; e tanto più è falsa quanto più è sviluppata la
divisione sociale del lavoro, quanto più è avanzata la dissoluzione materiale
della classe dominante. La divisione sociale del lavoro comporta
necessariamente che gli ideologi si ricolleghino sempre alle ideologie
immediatamente precedenti o contemporanee, che la loro critica del presente si
compia nella forma di una critica delle ideologie presenti e passate. E nella
maggior parte dei casi non è una faccenda semplicemente formale. Il produttore
borghese di ideologie, proprio in ragione delle necessità materiali della sua situazione
sociale, è vissuto nell’illusione che le trasformazioni sociali siano nella
loro essenza trasformazioni ideologiche e che, in ultima analisi, vengano da
queste provocate. Da questa illusione deriva anche la sua credenza del ruolo
guida, a livello sociale, dello strato a cui appartiene. Dalla contraddizione
tra questa illusione e la situazione materiale del suo sorgere e della sua
esistenza deriva una delle cause più importanti delle oscillazioni di questa intellighenzia.
Reagendo ai rapidi alti e bassi dello sviluppo economico, della lotta tra le
classi decisive della società – la borghesia e il proletariato – con
straordinaria rapidità e violenza, e tuttavia con più o meno falsa coscienza,
essa da un lato rispecchia l’oscillazione della piccola borghesia tra
rivoluzione e controrivoluzione e le dà una forma ideologica, dall’altro però,
nella sua produzione ideologica esprime – almeno in parte – la propria
situazione specifica nella lotta di classe. La sua reazione immediata ai nuovi
mutamenti, alle nuove tendenze, che la fa sempre andare avanti rispetto alla
media della sua classe, le dà l’illusione di aver prodotto essa stessa tali
tendenze. E come se si considerasse il termometro causa del freddo e del caldo
o il barometro causa del buono e del cattivo tempo.
giovedì 17 novembre 2016
Economia politica e filosofia della storia. Variazioni su un tema smithiano: la missione "civilizzatrice" del capitale.*- Riccardo Bellofiore**
*Da: https://www.facebook.com/Economisti-di-classe-Riccardo-Bellofiore-Giovanna-Vertova-148198901904582/?fref=ts (pubblicato in due parti come: (a) Economia politica e
filosofia della storia. Variazioni su un tema smithiano: la missione
‘civilizzatrice’ del capitale, in
“Teoria politica”, n. 2, 1991, pp. 69-96; (b) Cambiare la natura umana. Ancora
su economia politica e filosofia della storia, “Teoria politica”, n. 3, 1991,
pp. 63-98)
**Dipartimento di Scienze Economiche, Università di Bergamo
Jean Paul Sartre, "Matérialisme et révolution",
in Situations, I, Paris 1957, p. 213
1. Introduzione
L'economia politica ha costituito da sempre terreno fertile
per la riflessione filosofica. Gli ultimi anni, da questo punto di vista, non
fanno eccezione: basta pensare al proliferare di studi di epistemologia
economica, o ancora alla questione della relazione tra etica ed economia. Il
problema che vorrei affrontare nelle pagine che seguono è invece di quelli un
po' desueti: la ricerca bibliografica difficilmente registrerebbe titoli recenti;
l'inglese non sarebbe forse la lingua egemone; la letteratura definibile in
senso lato come empirista e liberale sarebbe una componente importante ma non
esclusiva.
Si tratta, per dirla in breve ed un po' enfaticamente, di
ripercorrere le tappe principali di quella linea di pensiero che si è
interrogata sulla missione "civilizzatrice" e sul ruolo storico del
capitale. Di riandare, dunque, a quegli autori che hanno visto nel primato
dell'economico un problema, sino in alcuni casi ad auspicare, o a temere, un
suo possibile superamento. E che, proprio perché questo era il loro tema, si
sono trovati a fare affermazioni impegnative sulla "natura umana", e
sul "significato della storia". Terreno che altri giudicherà
scivoloso, e che senz'altro lo è: ma che comincia ad apparirmi culturalmente, e
politicamente, ineludibile, per ragioni che spero saranno più chiare alla fine
di questo scritto. Certamente in questa luce l'economia politica si confonde
con la filosofia della storia e con la filosofia morale; l'indagine sulle leggi
di funzionamento del sistema sfocia nella questione del "senso" del
corso storico, si confonde con la discussione sulla "giustificazione"
del capitalismo - come vedremo, le due cose sono anzi per molti degli autori
che considererò due facce della stessa medaglia.
Il metodo che adotterò sarà quasi sempre quello di far
parlare direttamente i testi. Metodo soggettivo ed arbitrario quant'altri mai,
al di là dalle apparenze: benché poco di ciò che dirò pretenda di essere
originale, la selezione e il percorso che proporrò presuppongono un filtro
interpretativo molto forte, che rimarrà però in buona misura implicito. Il
gioco, o le buone regole, della conversazione intellettuale richiedono che io
mostri di credere fino in fondo alle ipotesi che avanzo: ciò non toglie che -
trattandosi di un tema che costringe ad abbandonare i sicuri recinti degli
specialismi - la critica sia la benvenuta.
martedì 15 novembre 2016
domenica 13 novembre 2016
Europa. Competizione globale e lavoratori poveri*- Lucia Pradella**
** King’s College, London
Leggi anche: http://contropiano.org/interventi/2016/06/30/generazione-erasmus-working-poor-generation-081084
Leggi anche: http://contropiano.org/interventi/2016/06/30/generazione-erasmus-working-poor-generation-081084

La povertà, la deprivazione materiale e il
super-sfruttamento tradizionalmente associati al Sud del mondo stanno
ritornando anche nei paesi ricchi d’Europa.
La crisi sta minando il “modello sociale europeo”, e con
esso l’assunto che l’impiego protegge dalla povertà. Il numero di lavoratori
poveri – lavoratori occupati in famiglie con un reddito annuo al di sotto della
soglia di povertà – è oggi in aumento, e l’austerità peggiorerà di molto la
situazione in futuro.
Alcuni critici sostengono che l’austerità è assurda e
contro-producente, ma i leader europei non sono d’accordo. Durante l’ultima
tornata di negoziati con la Grecia l’estate scorsa, Angela Merkel ha
dichiarato: “Il punto non sono alcuni miliardi di euro – la questione di fondo
è come l’Europa può restare competitiva nel mondo.” C’è del vero in tutto
questo. Quello che la Merkel non dice è che i lavoratori in Europa, nel Sud
dell’Europa in particolare, competono sempre di più con i lavoratori del Sud
del mondo. L’impoverimento e l’austerità in Europa sono le due facce della
stessa medaglia, e riflettono una tendenza strutturale all’impoverimento e
profondi cambiamenti dell’economia globale.
Lenin lettore di Hegel*- Stathis Kouvélakis
*Da: https://traduzionimarxiste.wordpress.com/ Link all’articolo in francese Période
Come spiegare il fatto che al cospetto del disastro
della Prima guerra mondiale Lenin si sia ritirato per dedicarsi allo studio
della Logica di Hegel? Si tratta di un interrogativo che non
ha cessato di turbare il marxismo del primo dopoguerra. Secondo Stathis
Kouvelakis, svelare l’enigma dei Quaderni filosofici di Lenin,
manoscritti frammentari ed eterogenei, equivale a pensare questo testo come una
rettifica del pensiero del movimento operaio europeo. Vero e proprio
presupposto alla sua riflessione strategica, la quale condurrà all’Ottobre
1917, il lavoro di Lenin segna un rigetto del positivismo, del meccanicismo e
del materialismo volgare della Seconda internazionale. Tale ritorno a Hegel
implica una rinnovata istanza rispetto alla dimensione pratica della
conoscenza, alla dialettica di salti e inversioni, o ancora, all’attività in
quanto processo sociale. Di fronte al crollo della socialdemocrazia, alla
necessità di una ripresa, una deviazione nel campo della teoria si rende
talvolta indispensabile al fine di poter ricominciare.
Il disastro
Irruzione del massacro di massa nel cuore dei paesi
imperialisti dopo un secolo di relativa «pace» interna, il momento della prima
guerra mondiale è anche quello del crollo del suo oppositore storico, il
movimento operaio europeo, essenzialmente organizzato nella Seconda
internazionale. In questo senso, appare adeguata la definizione di «disastro»,
termine utilizzato da Badiou per significare l’esaurimento della verità di una
forma della politica emancipatrice testimoniata da un altro crollo, più
recente, ossia quello dei regimi «comunisti» dell’Europa dell’est (1).
Considerando che questo secondo disastro va a colpire quella stessa verità
politica nata come risposta al primo, e nota come «Ottobre 1917», nonché:
«Lenin», è stato allora il ciclo del «secolo breve» ad essersi chiuso su questa
disastrosa ripetizione. Paradossalmente, quindi, non si tratta del momento
sbagliato da scegliere, per ritornare là dove tutto ciò ha avuto inizio,
nell’istante in cui, nel fango e nel sangue che sommergevano l’Europa in
quell’estate del 1914, il secolo è sorto.
Catturate dal vortice del conflitto, le società europee e
extra-europee (2) sperimentano per la prima volta la «guerra totale».
L’insieme della società, combattenti e non combattenti, economia e politica,
stato e «società civile» (sindacati, chiesa, media) partecipano integralmente a
questa mobilitazione generale assolutamente straordinaria nell’intera storia
mondiale. La dimensione traumatica dell’avvenimento non è
comparabile con alcun confronto armato precedente. È la sensazione
generalizzata della fine di un’intera «civilizzazione» ad emergere dalla
carneficina delle trincee, vera e propria industria del massacro, altamente
tecnologizzata, dispiegata nei campi di battaglia e ben al di là di questi
ultimi (bombardamenti di civili, spostamenti di popolazione, distruzione mirata
di aree situate al di fuori del fronte). L’industria della morte di massa
stessa si aggroviglia strettamente ai dispositivi di controllo della vita
sociale e delle popolazioni, direttamente o indirettamente esposte ai
combattimenti. Una tale atmosfera apocalittica, la cui eco risuonerà con forza
in tutta la cultura dell’immediato dopoguerra (la quale nasce nel conflitto stesso:
Dada, poi il surrealismo e le altre avanguardie degli anni Venti e Tenta),
permea tutti i contemporanei. È possibile, ancora oggi, farsene un’idea
attraverso la lettura della Juniusbroschure di Rosa Luxemburg (3), uno dei
testi più straordinari della letteratura socialista, ogni pagina del quale
porta testimonianza del carattere inedito della barbarie in corso.
giovedì 10 novembre 2016
le 7 proposte di Donald Trump che i media hanno censurato e spiegano la sua vittoria*- Ignacio Ramonet
Il successo di Donald Trump (come la Brexit nel Regno Unito,
o la vittoria del ‘no’ in Colombia) significa innanzitutto una nuova clamorosa
sconfitta dei grandi mezzi di comunicazione e degli istituti di
sondaggio. Ma significa anche che tutta l’architettura mondiale, stabilita alla
fine della Seconda Guerra Mondiale, viene adesso travolta e si sfalda. Le carte
della geopolitica sono completamente da rifare. Comincia un’altra partita.
entriamo in un’era sconosciuta. Adesso tutto può accadere.
Come è riuscito Trump ha invertire una tendenza che lo
vedeva sconfitto e riuscire a imporsi nel finale di campagna? Questo
personaggio atipico, con le sue idee grottesche e sensazionalistiche, aveva già
sovvertito tutti i pronostici. Contro pesi massimi come Jeb Bush, Marco Rubio o
Ted Cruz, che potevano anche contare sul sostegno dell’establishment
repubblicano, pochissimi lo vedevano imporsi alle primarie del Partito
Repubblicano, tuttavia ha carbonizzato i suoi avversari, riducendoli in
cenere.
Bisogna capire che dalla crisi finanziaria del 2008 (dalla
quale non siamo ancora usciti) nulla è uguale a prima. I cittadini sono
profondamente delusi. La democrazia stessa, come modello, ha perso credibilità.
I sistemi politici sono stati scossi fin dalle fondamenta. In Europa, per
esempio, si sono moltiplicati i terremoti elettorali (tra cui la Brexit). I
grandi partiti tradizionali sono in crisi. Ovunque rileviamo una crescita delle
formazioni di estrema destra (in Francia, in Austria e nei paesi nordici) o di
partiti antisistema e anticorruzione (Italia e Spagna). Il panorama politico è
radicalmente trasformato.
mercoledì 9 novembre 2016
domenica 6 novembre 2016
sabato 5 novembre 2016
CONTROSTORIA DEL SECOLO BREVE, dalla rivoluzione d'ottobre alla NEP - Renato Caputo
4 LEZIONE. La Rivoluzione d’Ottobre; la Pace di Brest-Litovsk; la
guerra civile e la Terza Internazionale; il comunismo di guerra e la NEP:
guerra civile e la Terza Internazionale; il comunismo di guerra e la NEP:
3 LEZIONE. CAUSE DELLA RIVOLUZIONE D’OTTOBRE: Le cause della
rivoluzione russa; la Rivoluzione di Febbraio; le Tesi d’Aprile di Lenin: https://www.youtube.com/watch?v=8FrXzV6-gFw
rivoluzione russa; la Rivoluzione di Febbraio; le Tesi d’Aprile di Lenin: https://www.youtube.com/watch?v=8FrXzV6-gFw
Lezioni precedenti (1/2): https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/controstoria-del-secolo-breve-dalla.html
venerdì 4 novembre 2016
Theodor W. Adorno: Dialettica negativa - Vincenzo Rosito
Da: Grandi
opere filosofiche - Vincenzo Rosito, Docente Ordinario di “Storia e cultura delle istituzioni familiari” presso il Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II. Insegna Filosofia teoretica alla Pontificia Facoltà Teologica San Bonaventura (Roma).
Leggi anche: DIALETTICA DELL'ILLUMINISMO di Adorno e Horkheimer - Carla Maria Fabiani
Vedi anche: La scuola di Francoforte - Antonio Gargano
"La teoria critica e Herbert Marcuse" - Antonio Gargano
Leggi anche: DIALETTICA DELL'ILLUMINISMO di Adorno e Horkheimer - Carla Maria Fabiani
Vedi anche: La scuola di Francoforte - Antonio Gargano
"La teoria critica e Herbert Marcuse" - Antonio Gargano
giovedì 3 novembre 2016
Le basi statunitensi in America Latina*- Alessandra Ciattini
Il fondamento
militare del potere statunitense in America Latina
Alcuni analisti politici hanno sostenuto che i vari i governi progressisti – diversi tra loro - che si sono impiantati in alcuni paesi dell’America Latina, lo hanno potuto fare perché gli Stati Uniti erano impegnati fortemente in altre regioni dello scenario internazionale, che si va facendo sempre più complicato e conflittuale. A ciò bisogna aggiungere che negli anni ’90 del Novecento sono sorti movimenti sociali e forze politiche che hanno messo in discussione in forme diverse le feroci politiche neoliberali, imposte dalle dittature militari brutali (come quelle del Cile e dell’Argentina) o da governi formalmente democratici. Basti citare, per esempio, il movimento indigeno dell’ Inti Raymi sviluppatosi in Ecuador e la forte resistenza delle masse popolari, che nel primo decennio del 2000 ha sconfitto la coalizione neoliberale in Bolivia.
Da sinistra questi governi sono accusati di non aver
promosso riforme profonde che abbiano alterato la struttura del potere
economico, giacché la proprietà delle risorse materiali continua ad essere
concentrata, come il controllo del commercio estero e delle istituzioni
finanziarie, ancora non si è raggiunta nemmeno la sovranità
alimentare. Da destra, invece, si è posto l’accento sui caratteri
autoritari e clientelari del sistema politico. Quanto al primo quesito,
dovremmo chiederci: esistevano le condizioni oggettive per rendere operative
tali trasformazioni radicali o non si è voluto procedere in questa direzione?
Per rispondere, sia pure parzialmente, a questa domanda
penso sia utile fare riferimento a un evento importante realizzatosi a Lima in
Perù alla fine del passato mese di agosto. Intendo riferirmi alla Riunione
dei Partiti comunisti e rivoluzionari dell’America Latina e del Caribe, del
tutto trascurata dai mass media nostrani, nel contesto della quale il sociologo
argentino Atilio Borón, noto anche in Italia, ha fatto presente che gli
Stati Uniti hanno nel subcontinente almeno 80 basi militari, stanziate in
maggior numero in Perù e in Colombia. Fatto che
rende alquanto complicato, se non addirittura arduo, il processo di
trasformazione radicale auspicato da molti [1].
mercoledì 2 novembre 2016
John Locke – Remo Bodei
"L'unica difesa contro il mondo è conoscerlo bene." (J. Locke)
http://www.filosofia.rai.it/articoli/zettel-presenta-locke-e-l%E2%80%99empirismo-%E2%80%93-remo-bodei/32626/default.aspx
martedì 1 novembre 2016
Carovana solidale (per la fine del mondo)*- Panagiotis Grigoriou
*Da: http://comedonchisciotte.org/ Fonte: www.greekcrisis.fr Link: http://www.greekcrisis.fr/2016/10/Fr0539.html#deb
La Grecia è ormai un paese dimenticato nel resto di
Europa. I reporter da Atene non riescono a vendere i propri pezzi ai media
occidentali. L’unica forma di attenzione rimasta è quella di singoli o
associazioni che, ad esempio in Francia, raccolgono medicinali e aiuti per la
popolazione e li portano fin lì (come si faceva con le zone più povere del
terzo mondo). Chi resta, se ha un mestiere, prova a sopravvivere chiudendo i
negozi e le attività per passare alle prestazioni a domicilio, ovviamente in
nero. Chi non evade, del resto, paga fino al 75% di tasse sul fatturato, e deve
pure versarle con un anno di anticipo. L’odio è grande, ma i politici non
sembrano accorgersene, e pensano a reimpasti di governo, dove peraltro l’ultima
parola spetta alla Troika, mentre il 40% della popolazione – tra cui molti
bambini – è povera e oltre 4 milioni di greci vivono in case inagibili o in
famiglie che non hanno alcun reddito, scontando gli effetti di un progetto (la
UE) che non è affatto “degenerato” rispetto a quanto previsto, ma è sempre
stato totalitario fin dall’inizio.
Attenzioni ed apprensioni.
Sulle montagne della Grecia la
prima neve è attesa per la fine della settimana, secondo i meteorologi, e
allora lungo tutto il paese ci si prepara, si compra all’ingrosso la legna, come
accade ogni anno da quando è iniziata la “crisi”. Ad Atene, davanti alle
edicole, i Greci scrutano, o piuttosto commentano molto acidamente ciò che la
stampa crede di potergli raccontare. “Tutti bugiardi”. Buona, questa!
La così detta “crisi” in realtà è una forma di guerra
(economica, culturale, e simbolica che mina la società e distrugge la sovranità
popolare e nazionale così come la … rara democrazia ancora in essere), dati i
cambiamenti, ormai … largamente fatti propri tra i Greci.
Costituzione e sistema elettorale: dalla Costituente proporzionalista al maggioritario.*- Aldo Giannuli

E, per convincersene, bastino poche osservazioni. Ad
esempio, nessun sistema a sistema maggioritario affida al Parlamento la
funzione di revisione costituzionale o, per lo meno, non solo ad esso,
prevedendosi o referendum popolari preventivi, o un ruolo determinante del Capo
dello Stato oppure delle regioni o stati federati o anche di un Senato
altrimenti eletto.
Di fatto, tanto la Costituzione formale quanto quella
materiale hanno avuto il sistema proporzionale come pietra angolare su cui
basarsi. La costituzione materiale perché in questo sistema elettorale
valorizzava il ruolo dei partiti come organizzatori della democrazia, la
Costituzione formale perché esso garantiva tanto la rigidità del testo,
quanto l’accentuato pluralismo del sistema, che induceva a forme di governo di
coalizione e ad intese più ampie della maggioranza di governo per decisioni
delicate come l’elezione del Presidente, dei membri della Corte Costituzionale
e del Csm. Tutto questo realizzava un equilibrio fra poteri di maggioranza e
diritti delle opposizioni che, anche se mai perfetto, tuttavia garantiva un
ruolo dinamico del Parlamento.
Dagli anni settanta, tuttavia, si manifestò una crescente
degenerazione della vita interna dei partiti che produsse la
sclerotizzazione del sistema istituzionale nel suo complesso. Di ciò venne data
indebitamente la colpa al sistema proporzionale e, invece di procedere ad una
regolamentazione per legge dei partiti, in modo da consentire l’intervento del
giudice ordinario nei molti casi delle vere e proprie frodi (a cominciare dai
tesseramenti truccati) e contrastare la degenerazione partitocratica, si
preferì la strada del tutto controproducente del passaggio al sistema
maggioritario, lasciando pericolosamente non mutate le norme più delicate
(art.138, elezione del Presidente ecc.). Con una discutibile sentenza, la Corte
Costituzionale decise di ammettere il referendum, probabilmente anche per
effetto della pressione dell’opinione pubblica, debitamente pilotata dai mass
media attraverso una accorta gestione dell’inchiesta “Mani Pulite” che fu
l’ariete di sfondamento della manovra.
Superato l’ostacolo del referendum, la manovra
proseguì introducendo una forma surrettizia di presidenzialismo, con
l’indicazione del candidato Presidente del Consiglio, la cui scelta, secondo il
dettato costituzionale, sarebbe spettata esclusivamente al Presidente della
Repubblica. Per la verità, questa norma implicita trovò applicazione imperfetta
e discontinua, perché, pur se in modo difettoso, la nostra continuava ad essere
una Costituzione parlamentare, per cui, di fronte alla alle turbolenze di
maggioranza, il Presidente nominò Capi del governo privi di investitura
popolare (Dini nel 1995, D’Alema nel 1998, D’Amato nel 2000). Questa prassi,
sul lungo periodo ha prodotto paradossalmente un iper protagonismo del
Presidente della Repubblica, la cui figura ha finito per essere sempre più
simile a quella del Presidente “regnante” della Costituzione gaullista
francese. Non solo il Presidente ha ripetutamente nominato Capi del Governo di
suo gradimento e con maggioranze ribaltate (Monti nel 2011, Letta nel 2013,
Renzi nel 2014) ma si è posto come supervisore e garante, sino a presiedere
riunioni dei capigruppo di maggioranza o, peggio ancora, promuovere processi di
revisione costituzionale scavalcando procedure dell’art 138.
Siamo alla decostituzionalizzazione dell’ordinamento
giuridico. Una sorta di colpo di stato strisciante, apertosi con il referendum
voluto da Occhetto, Segni e Pannella e che oggi passa attraverso la riforma
renziana che non sarà neppure l’ultima, quando l’effetto combinato
dell’assurdo premio di maggioranza dell’Italicum e la sostanziale abrogazione
del bicameralismo, spianerà la strada ad una più complessiva revisione
costituzionale, che forse farà strame della prima parte, quella dei diritti dei
cittadini e dei principi sociali, conformemente a quanto richiesto, due anni fa, dalla grande
banca americana Jp Morgan.
lunedì 31 ottobre 2016
Tempesta perfetta. Nove interviste per capire la crisi*- Tommaso Gabellini
Tempesta Perfetta nasce con l’intento di mostrare l’urgente bisogno di
un dibattito sulle cause della crisi e sulle possibili soluzioni che tengano
conto di un punto di vista autonomo, del lavoro. Occorre partire da un’analisi
seria e disincatata per permettere alla generazione cresciuta nella crisi di capire
che le alternative esistono e che un rovesciamento degli attuali rapporti di
forza sia possibile solo dopo aver elaborato un’attenta critica nei confronti
del paradigma culturale dominante. Il libro offre molti spunti di riflessione
in tal senso, e costituisce un’ottima lettura sia per chi sia a digiuno di
nozioni economiche, sia per chi si interessi già di alcune tematiche ma voglia
avere un quadro d’insieme più ampio.
Si chiama Tempesta Perfetta, è la prima prova
editoriale della Campagna Noi Restiamo, pubblicata da Odradek, raccoglie le
interviste di dieci economisti – Riccardo Bellofiore,
Giorgio Gattei, Joseph Halevi, Simon Mohun,
Marco Veronese Passarella, Jan Toporowski, Richard Walker,
Luciano Vasapollo, Leonidas Vatikiotis, Giovanna Vertova
– sulla crisi;
domenica 30 ottobre 2016
(U.S.)America nell'epoca Tecnetronica*- Zbigniew Brzezinski (1968)
*Versione originale: http://www.unz.org/Pub/Encounter-1968jan-00016 (Traduzione a cura del collettivo)
Leggi come premessa e commento: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/brzezinski-e-la-futurologia-america-in.html

"L’intenso coinvolgimento nella conoscenza applicata potrebbe gradualmente provocare l’indebolimento della tradizione di imparare solo per imparare. La comunità intellettuale, comprese le Università, potrebbe diventare un’altra ‘industria’, che recepisce i bisogni sociali come i diktat del mercato, con gli intellettuali che ricercano le ricompense materiali e politiche più consistenti. L’ansia per il potere, il prestigio e la bella vita potrebbe significare la fine dell’ideale aristocratico del distanziamento intellettuale e della ricerca disinteressata della verità."
La nostra non è più la convenzionale era rivoluzionaria; stiamo entrando in una nuova fase di trasformazione nella storia umana. Il mondo è nell’era di una trasformazione più drammatica nelle sue conseguenze storiche e umane di quelle provocate sia dalla rivoluzione francese che da quella bolscevica. Viste da una prospettiva a lungo termine, queste famose rivoluzioni hanno semplicemente scalfito la superficie della condizione umana. I cambiamenti da esse innescati hanno implicato trasformazioni nella distribuzione del potere e della proprietà all’interno della società; essi non hanno toccato l’essenza dell’esistenza individuale e sociale. La vita – personale e organizzata- è continuata quasi come prima, anche se alcune forme esterne (soprattutto politiche) furono trasformate in maniera sostanziale. Per quanto ciò possa apparire sconvolgente ai loro seguaci dovremmo convenire che Robespierre e Lenin sono stati soltanto dei riformatori morbidi, considerando i cambiamenti che si produrranno a partire dal 2000.
Leggi come premessa e commento: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/brzezinski-e-la-futurologia-america-in.html

"L’intenso coinvolgimento nella conoscenza applicata potrebbe gradualmente provocare l’indebolimento della tradizione di imparare solo per imparare. La comunità intellettuale, comprese le Università, potrebbe diventare un’altra ‘industria’, che recepisce i bisogni sociali come i diktat del mercato, con gli intellettuali che ricercano le ricompense materiali e politiche più consistenti. L’ansia per il potere, il prestigio e la bella vita potrebbe significare la fine dell’ideale aristocratico del distanziamento intellettuale e della ricerca disinteressata della verità."
La nostra non è più la convenzionale era rivoluzionaria; stiamo entrando in una nuova fase di trasformazione nella storia umana. Il mondo è nell’era di una trasformazione più drammatica nelle sue conseguenze storiche e umane di quelle provocate sia dalla rivoluzione francese che da quella bolscevica. Viste da una prospettiva a lungo termine, queste famose rivoluzioni hanno semplicemente scalfito la superficie della condizione umana. I cambiamenti da esse innescati hanno implicato trasformazioni nella distribuzione del potere e della proprietà all’interno della società; essi non hanno toccato l’essenza dell’esistenza individuale e sociale. La vita – personale e organizzata- è continuata quasi come prima, anche se alcune forme esterne (soprattutto politiche) furono trasformate in maniera sostanziale. Per quanto ciò possa apparire sconvolgente ai loro seguaci dovremmo convenire che Robespierre e Lenin sono stati soltanto dei riformatori morbidi, considerando i cambiamenti che si produrranno a partire dal 2000.
A
differenza delle rivoluzioni del passato la metamorfosi avanzante non avrà
leader carismatici con dottrine contrastanti, ma il suo impatto sarà molto più
profondo. La maggior parte del cambiamento che ha così tanto preso posto nella
storia umana è stato graduale, essendo le grandi ‘rivoluzioni’ meri segni di
punteggiatura in un lento, ineludibile processo. Invece, la trasformazione che
si avvicina giungerà molto più rapidamente e avrà più profonde conseguenze nel
modo e anche forse nel significato della vita umana, che qualsiasi precedente
esperienza fatta dalle generazioni che ci hanno preceduto.
L’America
sta già cominciando a sperimentare questi cambiamenti e in questa fase sta
diventando una società tecnetronica: una società che è plasmata culturalmente,
psicologicamente, socialmente ed economicamente dall’impatto della tecnologia e
dell’elettronica, in particolare dall’uso dei computer e dallo sviluppo delle
telecomunicazioni. Il processo industriale non è più la causa principale dei
cambiamenti sociali, attraverso la modificazione dei costumi, della struttura e
dei valori sociali.
Questo cambiamento sta dividendo gli Stati Uniti dal resto
del mondo, promuovendo un’ulteriore frammentazione in una umanità sempre più
differenziata, e imponendo agli americani
l’obbligo speciale di alleviare i dolori del confronto che ne
scaturisce.
La
società technetronica
sabato 29 ottobre 2016
"Ottobre" di Ejzenstejn
Il Film fu girato quasi interamente a Leningrado e qui proiettato il 20 gennaio 1928: 7 rulli, 2220 metri; ma il metraggio originale era di 3800. La critica legata al regime accusò il regista di eccessivo sperimentalismo ed estetismo, inoltre il regista fu costretto ad eliminare dalla versione definitiva dell'opera i protagonisti della cosiddetta opposizione di sinistra, Trotsky e Zinov'ev, in quei mesi caduti in disgrazia per essersi opposti a Stalin
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2012/10/i-dieci-giorni-che-sconvolsero-il-mondo.html
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2012/10/i-dieci-giorni-che-sconvolsero-il-mondo.html
venerdì 28 ottobre 2016
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