Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/08/il-ruolo-della-germania-nella-crisi.html
seconda parte: https://www.youtube.com/watch?v=l0FhNlxM7Vw
terza parte: https://www.youtube.com/watch?v=r9ijzh9qkeI
La teoria Marxista poggia la sua forza sulla scienza... che ne valida la verità, e la rende disponibile al confronto con qualunque altra teoria che ponga se stessa alla prova del rigoroso riscontro scientifico... il collettivo di formazione Marxista Stefano Garroni propone una serie di incontri teorici partendo da punti di vista alternativi e apparentemente lontani che mostrano, invece, punti fortissimi di convergenza...
domenica 22 gennaio 2017
sabato 21 gennaio 2017
L'imperialismo. Fase suprema del capitalismo*- Vladimir Lenin (1916)
[...] Una delle particolarità dell'imperialismo, collegata
all'accennata cerchia di fenomeni, è la diminuzione dell'emigrazione dai paesi
imperialisti e l'aumento dell'immigrazione in essi di individui provenienti da
paesi più arretrati, con salari inferiori. Secondo Hobson l'emigrazione inglese
è scesa da 242 mila persone nel 1884 a sole 169 mila nel 1900. L'emigrazione
della Germania raggiunse il punto culminante nel decennio 1881-1890, con
1.453.000, e nei due decenni successivi scese a 544 e 341 mila. Invece crebbe
il numero dei lavoratori accorsi in Germania dall'Austria, dall'Italia, dalla
Russia, ecc. Secondo il censimento del 1907 vivevano allora in Germania
1.342.294 stranieri, di cui 440.800 lavoratori industriali e 257.329 lavoratori
della terra [*10]. In Francia i lavoratori delle miniere sono
"in gran parte" stranieri: polacchi, italiani, spagnuoli [*11]. Negli Stati Uniti gli immigrati dall'Europa
orientale e meridionale coprono i posti peggio pagati, mentre i lavoratori
americani danno la maggior percentuale di candidati ai posti di sorveglianza e
ai posti meglio pagati [*12]. L'imperialismo tende a costituire tra i
lavoratori categorie privilegiate e a staccarle dalla grande massa dei
proletari.
Occorre rilevare come in Inghilterra la tendenza
dell'imperialismo a scindere la classe lavoratrice, a rafforzare in essa
l'opportunismo, e quindi a determinare per qualche tempo il ristagno del
movimento operaio, si sia manifestata assai prima della fine del XIX e degli
inizi del XX secolo. Ivi, infatti, le due importanti caratteristiche
dell'imperialismo, cioè un grande possesso coloniale e una posizione di
monopolio nel mercato mondiale, apparvero fin dalla metà del secolo XIX. Marx
ed Engels seguirono per decenni, sistematicamente, la connessione
dell'opportunismo in seno al movimento operaio con le peculiarità imperialiste
del capitalismo inglese. Per esempio Engels scriveva a Marx il 7 ottobre 1858:
"... l'effettivo, progressivo imborghesimento del
proletariato inglese, di modo che questa nazione, che è la più borghese di
tutte, sembra voglia portare le cose al punto da avere un'aristocrazia borghese
e un proletariato accanto alla borghesia. In una nazione che
sfrutta il mondo intero, ciò è in certo qual modo spiegabile".
Circa un quarto di secolo più tardi, in una lettera dell'11
agosto 1881 egli parla delle "peggiori Trade-unions inglesi che si
lasciano guidare da uomini che sono venduti alla borghesia o per lo meno pagati
da essa".
In una lettera a Kautsky del 12 settembre 1882, Engels
scriveva:
"Ella mi domanda che cosa pensino gli operai della
politica coloniale. Ebbene: precisamente lo stesso che della politica in
generale. In realtà non esiste qui alcun partito operaio, ma solo radicali,
conservatori e radicali-liberali, e gli operai si godono tranquillamente
insieme con essi il monopolio commerciale e coloniale dell'Inghilterra sul
mondo" [*13].
Lo stesso dice Engels anche nella prefazione alla seconda
edizione (1892) della Situazione della classe operaia in Inghilterra.
Qui sono svelati chiaramente cause ed effetti. Cause: 1)
sfruttamento del mondo intero per opera di un determinato paese; 2) sua
posizione di monopolio sul mercato mondiale; 3) suo monopolio coloniale.
Effetti: 1) imborghesimento di una parte del proletariato inglese; 2) una parte
del proletariato si fa guidare da capi che sono comprati o almeno ,pagati dalla
borghesia. L'imperialismo dell'inizio del XX secolo ha ultimato la spartizione
del mondo tra un piccolo pugno di Stati, ciascuno dei quali sfrutta attualmente
(nel senso di spremerne soprapprofitti) una parte del " mondo" quasi
altrettanto vasta che quella dell'Inghilterra nel 1858; ciascuno di essi ha sul
mercato mondiale una posizione di monopolio grazie ai trust, ai cartelli, al
capitale finanziario e ai rapporti da creditore a debitore; ciascuno possiede,
fino ad un certo punto, un monopolio coloniale (vedemmo che dei 75 milioni di
chilometri quadrati di tutte le colonie del mondo, ben 65
milioni, cioè l'86 % sono nelle mani delle sei grandi potenze; 61 milioni, cioè
l'81 % appartengono a tre sole potenze).
La situazione odierna è contraddistinta dall'esistenza di
condizioni economiche e politiche tali da accentuare necessariamente
l'inconciliabilità dell'opportunismo con gli interessi generali ed essenziali
del movimento operaio. L'imperialismo, che era virtualmente nel capitalismo,
s'è sviluppato in sistema dominante i monopoli capitalistici hanno preso il
primo posto nell'economia e nella politica; la spartizione del mondo è
ultimata, e d'altro lato in luogo dell'indiviso monopolio dell'Inghilterra
osserviamo la lotta di un piccolo numero di potenze imperialistiche per la
partecipazione al monopolio, lotta che caratterizza tutto l'inizio del XX
secolo. In nessun paese l'opportunismo può più restare completamente vittorioso
nel movimento operaio per una lunga serie di decenni, come fu il caso per
l'Inghilterra nella seconda metà del secolo XIX; ma invece in una serie di
paesi l'opportunismo è diventato maturo, stramaturo e fradicio, perché esso,
sotto l'aspetto di socialsciovinismo, si è fuso interamente con la politica
borghese [*14].
giovedì 19 gennaio 2017
Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro*- Karl Marx
*Scritto nell'autunno del 1843 e pubblicato nell'unico numero degli "Annali franco-tedeschi" nel febbraio del 1844. https://www.marxists.org/
AL SUO CARO PATERNO
AMICO
IL CONSIGLIERE SEGRETO DI
GOVERNO SIGNOR LUDWIG VON WESTFALEN DI TREVIRI
QUESTE RIGHE SEGNO DI FILIALE AFFETTO L'AUTORE DEDICA
QUESTE RIGHE SEGNO DI FILIALE AFFETTO L'AUTORE DEDICA
Perdonerà, mio caro paterno Amico, se premetto il Suo nome a me così caro
ad un opuscolo senza importanza. Son troppo impaziente per attendere un'altra
occasione di darLe una piccola prova del mio affetto.
Possano quanti dubitano dell'Idea avere come me la ventura di ammirare un
vecchio giovanilmente vigoroso, che ogni progresso dei tempi saluta con
l'entusiasmo e insieme la saggezza della verità, e che con quell'idealismo
profondamente convinto e solarmente luminoso, che solo conosce la parola vera,
evocatrice degli spiriti tutti del mondo, non mai si ritrasse tremante davanti
alle ombre proiettate dagli spiriti retrogradi, davanti al cielo dei suoi tempi
sovente oscurato da fosche nubi, ma con divina energia e con sguardo virilmente
sicuro sempre, attraverso tutti i mascheramenti, guardò all’empireo, che arde
nel cuore del mondo. Ella, mio paterno Amico, fu sempre per me un vivente argumentum
ad oculos che l’idealismo non è un’immaginazione, ma è una verità. Non ho bisogno di far voti per la Sua salute fisica: lo Spirito è il grande magico
medico, cui Ella si è affidata.
PREFAZIONE
La forma di questo lavoro sarebbe da un lato più rigorosamente
scientifica, dall'altro, in vari punti, meno pedante di quanto non sia se la
sua destinazione originaria non fosse stata quella di una dissertazione di
laurea. A darlo tuttavia alle stampe in questa forma sono indotto da motivi
estrinseci. Inoltre credo di aver risolto in esso un problema della storia della
filosofia greca rimasto finora insoluto.
Gli esperti sanno che per l'argomento di questa trattazione non v'è alcun
lavoro preparatorio in qualche modo utilizzabile. Le chiacchiere che hanno
fatte Cicerone e Plutarco sono state ripetute fino ad oggi. Gassendi, che
liberò Epicuro dall'interdetto col quale lo avevano colpito i Padri della
Chiesa e tutto il Medioevo, l'età dell'irrazionalità in atto, non è che un
momento interessante. Egli si studia di trovare un accomodamento della sua
coscienza cattolica con la sua cultura pagana e di Epicuro con la Chiesa:
fatica, invero, vana. È come se si volesse gettare sul corpo serenamente
florido della greca Laide una cristiana tonaca monacale. Dalla filosofia di
Epicuro Gassendi impara piuttosto che saperci erudire intorno alla medesima.
Si consideri questa trattazione solo come premessa di uno scritto più
ampio, nel quale esporrò specificatamente il ciclo delle filosofie epicurea,
stoica e scettica nei loro nessi con tutta la speculazione greca. I difetti del
presente lavoro in fatto di forma e cose del genere saranno colà eliminati.
Hegel ha certo fissato, nel complesso, con esattezza le linee generali
dei menzionati sistemi; ma da una parte, data la mirabile vastità e arditezza
del piano della sua storia della filosofia, dalla quale soltanto la storia
della filosofia stessa può datarsi, era impossibile entrare nei particolari,
dall’altra al gigantesco pensatore la sua veduta intorno a ciò che egli
chiamava speculativo per eccellenza impediva di riconoscere l'alta importanza
che questi sistemi hanno per la storia della filosofia greca e per lo spirito
greco in generale. Tali sistemi sono la chiave della vera storia della
filosofia greca. Sul loro legame con la vita greca si trova un cenno più
approfondito nello scritto del mio amico Köppen Federico il Grande e i
suoi avversati.
mercoledì 18 gennaio 2017
La scomparsa del marxismo nella didattica e nella ricerca scientifica in economia politica in Italia*- Guglielmo Forges Davanzati**
**(Università del Salento)
La lotta di classe “dall’alto” si è tradotta in una rilevante compressione della quota dei salari sul Pil , un formidabile attacco ai diritti dei lavoratori, e, per quanto qui rileva, una riorganizzazione dei sistemi formativi pienamente funzionale alle nuove forme di regolazione capitalistica. E ha dato luogo anche a una ridefinizione della divisione internazionale del lavoro, che ovviamente ha riguardato anche l’Italia.
domenica 15 gennaio 2017
Marx rivisitato: capitale, lavoro e sfruttamento*- Riccardo Bellofiore
*Da: http://www.dialetticaefilosofia.it/ (pubblicato in Il terzo libro del Capitale di Marx, a cura di Marco L. Guidi, “Trimestre”, XXIX, n.
1-2, 1996, pp. 29-86)
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/01/lacqua-pesante-e-il-bambino-leggero.html
https://ilcomunista23.blogspot.it/2013/09/riproposte-dialettiche-le-astrazioni-in.html
Il metodo del Capitale
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/01/lacqua-pesante-e-il-bambino-leggero.html
https://ilcomunista23.blogspot.it/2013/09/riproposte-dialettiche-le-astrazioni-in.html
Il metodo del Capitale
Il dibattito sul metodo del Capitale è stato sempre molto
sostenuto. Quale concezione della verità ha Marx nella sua opera più matura?
Quale rapporto esiste tra questa teoria della verità e la costruzione dei tre
volumi? Si può certo dire che è un problema legato – come afferma, del resto,
lo stesso Marx nel “Poscritto” alla seconda edizione del I libro – alla
questione di che cosa sia una realtà dialettica, di come una realtà dialettica
possa essere espressa e raccontata in un libro, come appunto quello del
Capitale. Ma in questo modo, forse, il problema si sposta soltanto, dal terreno
epistemologico a quello, se possibile ancora più spinoso, del ruolo e della
portata della dialettica in Marx.
Quello che è certo è che la teoria della verità operante nel
Capitale non ha molto a che vedere con la teoria della conoscenza propria del
cosiddetto materialismo storico, come Marx stesso l’ha sintetizzata ad esempio
nell’“Introduzione” del ’59 a Per la critica dell’economia politica. Il
rapporto di prassi e teoria concepito come primato della struttura sulla
sovrastruttura rimanda agli aspetti più meccanicistici del pensiero di Marx.
D’altra parte, in questo approccio la teoria della conoscenza viene situata
nella sovrastruttura, ed è perciò intesa come conseguente a una data struttura
economica. Questo punto di vista finisce allora con il rivelarsi
intrinsecamente contraddittorio, perché limita la validità della legge posta:
dovendo affermare, implicitamente ma chiaramente, la legge stessa non valida
per la propria teorizzazione.
Il tipo di epistemologia presente nei tre libri del Capitale
fa invece riferimento a una diversa teoria del conoscere, che definiremo del
“presupposto-posto”. Marx l’ha esposta, anche se in modo non completo e
implicito, nell’“Introduzione” del ’57 ai Grundrisse. In questa concezione, il
rapporto teoria-prassi è analizzato all’interno di una teoria della scienza
che: (i) si vuole valida per le sole scienze sociali, e non è perciò
estendibile alle scienze naturali, contro l’interpretazione di Marx data dal
materialismo dialettico; (ii) nell’ambito delle stesse scienze sociali è
definibile, e acquista pregnanza, solo a partire da una determinata soglia
dello sviluppo storico. Le radici di questa visione metodologica sono da
rinvenire in Hegel, nell’Hegel della Scienza della logica di Norimberga.
giovedì 12 gennaio 2017
mercoledì 11 gennaio 2017
Ripensare l’oppressione femminile*- Johanna Brenner, Maria Ramas
*Da: Période https://traduzionimarxiste.wordpress.com/
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/11/genere-e-famiglia-in-marx-una-rassegna.html
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/11/genere-e-famiglia-in-marx-una-rassegna.html
Abbiamo difeso l’idea secondo la quale i rapporti di classe
nella produzione capitalistica, coniugati ai fattori biologici della
riproduzione, hanno innescato un potente processo che ha condotto al sistema
familiare-domestico, assicurando così la subordinazione costante delle donne e
la loro vulnerabilità eccessiva allo sfruttamento capitalista. Evidenziando
come l’oppressione femminile in regime capitalistico derivi dal confronto tra
imperativi dell’accumulazione capitalista, da una parte, e le strutture della
riproduzione umana, dall’altra, la nostra analisi si è concentrata
sull’organizzazione di un movimento per le donne della classe operaia. Perché
se lo sviluppo del capitalismo nel XIX secolo ha posto le basi per un
rovesciamento del sistema familiare-domestico aprendo la via verso altri
sistemi, l’implementazione di questi ultimi richiede una lotta politica. I
rapporti di classe capitalisti, motivati dalla ricerca del profitto,
continueranno ad esercitare pressioni per privatizzare la riproduzione ed imporre
alle famiglie della classe operaia il peso delle persone a carico. Questa
tendenza, e l’incapacità, fino ad oggi, della classe operaia a porvi freno,
sono sufficienti a spiegare la persistenza della divisione sessuale del lavoro
e l’ineguaglianza dei sessi.
Le divisioni sessuali non sono dunque del tutto integrate
alla divisione del lavoro capitalistica o ai rapporti di produzione, come
prodotti dall’equilibrio delle forze in un dato momento storico. La situazione
storica è essenzialmente definita dallo sviluppo delle forze produttive,
dall’organizzazione della classe operaia, l’organizzazione delle donne fra di
loro e lo stato dell’economia. Qualsiasi trasformazione nella condizione delle
donne della classe operaia, richiede una più ampia responsabilità collettiva
verso le persone dipendenti – sopratutto i bambini. Poiché il sistema attuale
va a beneficio degli uomini, quantomeno nel breve termine, il cambiamento
dipende dalla capacità da parte del movimento femminista di orientare la lotta
di classe operaia in tal senso. Ci sembra dunque che Marx ed Engels abbiano
correttamente identificato la tendenza del capitalismo all’equiparazione dei
sessi. Beninteso, l’uguaglianza dei sessi nel contesto del capitalismo non
equivale alla liberazione delle donne, la quale necessiterebbe di un
superamento del capitalismo. Piuttosto, lo intendiamo come un sistema dinamico,
che trasforma la vita quotidiana e crea le condizioni per nuove forme di lotta
e di coscienza. L’esito della vicenda storica del capitalismo, e della nostra,
sarà determinato da una lotta politica che dovrà comprendere queste tendenze
contraddittorie.
L’oppressione
femminile potrebbe non essere il risultato del «patriarcato», e
nemmeno degli interessi fondamentali del capitalismo. È questa il
presupposto da cui partono la Brenner e la Ramas, al pari dell’obiettivo della
loro potente critica, Michèle Barrett. Secondo quest’ultima, l’oppressione
femminile è il prodotto di un’ideologia borghese, la quale plasma la
soggettività delle classi popolari e favorisce la divisione salariale tra
uomini e donne. Per le autrici del testo che segue, una simile spiegazione non
regge. Ma è necessario compiere una deviazione al fine di spiegare
l’oppressione femminile: comprendere come la riproduzione biologica ed il
lavoro industriale hanno degradato i rapporti di forza tra uomini e donne a
beneficio dei primi. La sfida teorica rappresentata dal tema dell’oppressione
femminile richiede una risposta dialettica, una risposta che sia agli antipodi
rispetto al funzionalismo. Un tale approccio consente di identificare lo
Stato-provvidenza e la lotta per la socializzazione della cura delle persone a
carico come il nodo del problema e, pertanto, della battaglia femminista.
Leggi tutto: https://traduzionimarxiste.wordpress.com/2017/01/05/ripensare-loppressione-femminile/#more-22179
lunedì 9 gennaio 2017
Cuba protagonista del processo di decolonizzazione in Africa*- Alessandra Ciattini
*Da: https://www.lacittafutura.it/
Il dissolvimento dell’Unione Sovietica e dei paesi
socialisti dell’est europeo ha prodotto nel movimento comunista la dispersione
dei suoi appartenenti in gruppuscoli di scarsa rilevanza politica; al contempo,
ha generato un profondo senso di sconfitta e di impotenza, probabilmente non
esaminato fino in fondo, e che purtroppo non ha suscitato un’intensa
riflessione sui caratteri del “socialismo realizzato”, che era stata avviata
con l’affermarsi dello stalinismo.
Questi sentimenti comprensibili, accompagnati da un senso di
smarrimento, e dalla martellante propaganda ideologica mirante a farci credere
che viviamo nel migliore dei mondi possibili e che la “democrazia realizzata” –
come la definisce Luciano Canfora [1] – costituisce il regime politico più
rispettoso dei diritti umani, ci ha fatto dimenticare una serie di vittorie
straordinarie. Ho in mente il fondamentale contributo di Cuba alla
decolonizzazione dell’Africa; processo che negli ultimi decenni – con il mutare
del sistema delle relazioni internazionali – non solo ha subito una battuta
d’arresto, ma addirittura un’involuzione, giacché siamo ormai nel pieno di una
fase neocoloniale e di ritorno alla colonizzazione diretta.
Come scrive lo storico Piero Gleijeses, in una lettera indirizzata a Barack
Obama con l’obiettivo di difendere i cinque cubani fino a qualche
tempo fa ingiustamente incarcerati negli Stati Uniti, la vittoria cubana in Angola e Namibia ebbe
ampie ripercussioni e – citando Nelson Mandela - aggiunge che
smontò il mito dell’invincibilità dell’oppressore bianco. A suo parere tale
vittoria produsse l’umiliazione degli Stati Uniti, evento che questi ultimi non
possono perdonare a Fidel Castro, e per questo si sono rivalsi sui
cinque cubani agenti dell’antiterrorismo, che di fatto sono stati solo dei
<<prigionieri politici>>. Naturalmente si potrebbe aggiungere a
queste parole che la stessa esistenza di Cuba, dopo cinquant’anni di bloqueo,
costituisce un’umiliazione perenne per la superpotenza, difficile da mandare
giù.
sabato 7 gennaio 2017
L’ACQUA PESANTE E IL BAMBINO LEGGERO*- Gianfranco Pala
*Convegno RdC, Roma
2006 [in Il bambino e l’acqua sporca] http://www.webalice.it/gianfrancopala40/pubblicazioni.htm
l’ignoranza teorica di marxismo e la non meditata azione
politica
È né più né meno che un inganno sobillare il popolo
senza offrirgli nessun fondamento solido e meditato per
la sua azione.
Risvegliare speranze fantastiche (non di altro si era
parlato),
lungi dal favorire la salvezza di coloro che soffrono,
porterebbe inevitabilmente alla loro rovina:
rivolgersi ai lavoratori senza possedere idee
rigorosamente scientifiche e teorie ben concrete
significa giocare in modo vuoto e incosciente con la
propaganda,
creando una situazione in cui da un lato un apostolo
predica,
dall’altro un gregge di somari lo sta a sentire a bocca
aperta:
apostoli assurdi e assurdi discepoli.
In un paese civilizzato non si può realizzare nulla
senza teorie ben solide e concrete;
e finora, infatti, nulla è stato realizzato
se non fracasso ed esplosioni improvvise e dannose,
se non iniziative che condurranno alla completa rovina
la causa per la quale ci battiamo.
L’ignoranza non ha mai giovato a nessuno!
[Karl Marx, Colloqui (cur. H.M. Enzensberger – Annenkov
su Weitling)]
1. Un paradosso che si erge di fronte a tutti noi può
servire bene come metafora iniziale. Oggi, date le drammatiche condizioni del
pianeta, forse è meglio provare a salvare l’“acqua”, pulendola, e non il
“bambino”, perché solo in questa maniera, forse, anche lui potrà sopravvivere,
altrimenti nulla potrà procedere. L’acqua potabile, che per noi è
“pesante” come l’essere, è l’analisi del modo di produzione capitalistico che
Marx ha sviluppato, oggettivamente e “cinicamente”, direbbe Lenin; il bambino –
il sedicente marxismo, fuor di metafora – è stato reso così “leggero” che ha
continuato a sguazzare sempre più nell’acqua non solo sporca ma anche molto
inquinata. È cresciuto, sì, ma è cresciuto in un ambiente sempre più lontano e
distaccato da quella pulizia, da quella “potabilità”, che pesa come un macigno,
ora ignorata e sempre più rigettata.
La metafora nella sua interezza non ha, ovviamente, un senso
preciso e corretto per la fisica nucleare; ma vale la pena svilupparla
(menzionando per competenza alcune definizioni di esperti, così da concluderla
rapidamente). Occorre l’acqua pesante per far sì che essa impedisca che la
reazione a catena diventi incontrollabile. Costringendo gli elementi in spazi
sempre più ristretti, ognuno di essi tende a muoversi in maniera unica e
coerente, diventando un unico grande “organo”; si crea così una direzione, non
più caotica e con versi opposti che si annullano dialetticamente. Seguendo per
grandi linee ciò che dicono gli esperti, è indispensabile destabilizzare la
materia inquinante presente nell’acqua grezza, separando dall’acqua i solidi
pesanti che tenderanno a depositarsi, rendendo così necessario un drenaggio
periodico dell’acqua reflua per mantenere pulita la “base”. Il marxismo,
che ha la parte di unico “grande organo” in questo tropo, ha bisogno per la sua
base, per mantenere pulita la sua acqua, che siano periodicamente fatti
precipitare i corpi inquinanti.
venerdì 6 gennaio 2017
Marc Bloch oltre la nouvelle histoire: prospettive teoriche da riscoprire*- Adriana Garroni
*Da: http://figuredellimmaginario.altervista.org/
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/04/la-filosofia-francese-contemporanea.html
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/04/la-filosofia-francese-contemporanea.html
Con questo articolo si
ripercorrere una tappa fondamentale della storia della storiografia moderna: la
reazione contro il positivismo del tardo XIX sec. fino all’elaborazione di
nuovi metodi e nuovi oggetti della ricerca storica novecentesca. Si propone
un’analisi del dibattito storiografico francese novecentesco, dalla storia totale di Marc Bloch
e Lucien Febvre alle riflessioni di Le Goff e altri storici sulla antropologia storica e
sulla, tanto celebrata quanto criticata, dilatazione dell’ambito della ricerca
storica. Si sostiene la necessità di riscoprire quegli strumenti intellettuali
di analisi e di sintesi, ravvisabili certamente nell’opera di Bloch, coi quali
elaborare non solo nuove sintesi della conoscenza storica, ma anche una
interpretazione complessiva delle nostre società, che è condizione necessaria
per il loro miglioramento.
Gli ultimi decenni del XIX sec. furono caratterizzati da una
vera e propria “rivolta contro il positivismo”;1 come ha scritto lo studioso
italiano Angelo D’Orsi, dall’«avvento di una nuova epistéme, ossia l’insieme delle concezioni e dei modi di
considerare e organizzare i processi della conoscenza»,2 ponendo così le basi
per il salto qualitativo della storiografia novecentesca.
La nuova storia si
proponeva di accogliere i migliori risultati della storiografia positivista e
le innovazioni metodologiche e interpretative apportate dalle altre scienze
sociali. Influenzati dal marxismo, gli storici statunitensi furono i primi a
parlare di new history3 e a dare
nuova enfasi ai fattori socio-economici nella spiegazione storica. Cominciarono
a occuparsi di intellectual history e
respinsero le divisioni disciplinari per concentrarsi sui legami che le diverse
attività umane intrattengono con la storia delle società. E così, nel corso del
Novecento si affermò in Europa e negli Stati Uniti l’attenzione verso la storia
della cultura in senso generale, delle idee e delle abitudini mentali degli
uomini in una data epoca e in un dato ambiente. Si trattò di una trasformazione
complessiva della scienza storica, dei suoi oggetti e del suo metodo, che avrà
esiti diversi nei diversi ambienti intellettuali. A questo proposito D'Orsi ha
osservato che:
Una dilatazione dell’ambito disciplinare appare insomma
l’asse su cui si indirizza prevalentemente la storiografia della prima metà del
Novecento, a partire da suggestioni ottocentesche. Il cinquantennio seguente
non farà che sviluppare questa tendenza, portandola talora all’estremo, sino,
in qualche caso, a far perdere a taluna disciplina storiografica il proprio
baricentro.4
giovedì 5 gennaio 2017
A che serve la storia?*- Luciano Canfora (27 febbraio 1998)
Canfora:
Mi chiamo Luciano Canfora, insegno Filologia greca e
latina e mi occupo di storia. Come mai questo mestiere? Credo che le
cause siano sempre molto soggettive, comunque ne immagino una. Quando facevo il
liceo, eravamo alla metà degli anni Cinquanta, cioè in un'epoca di grandi
contrapposizioni ideologiche, politiche, e questo spingeva a studiare la storia
per capire il presente in un modo abbastanza cogente e anche, direi,
drammatico. Ma, nel prosieguo di tempo, mi sono reso conto che questo studio,
senza una buona attrezzatura, non si può condurre e allora il lavoro che faccio
è un lavoro che si potrebbe definire un lavoro preparatorio allo studio della
storia appunto, allo studio dei testi. Si discute molto se questo sia un
mestiere produttivo, quello di studiare la storia. Molti dubitano che sia
utile. Io credo che per cominciare una discussione sulla storia, possiamo
vedere la scheda che racconta in breve di che la storia per lo più tratta.
Sosteneva Cicerone che chiunque non fosse a conoscenza
del proprio passato non avesse alcun futuro davanti a sé. L'affermazione,
almeno in teoria, - nella pratica le cose stanno un po' diversamente e la storia
la si insegna e la si studia poco - raccoglie il consenso dei più, ma non di
tutti. Un filosofo, sicuramente un po' estremo, ma non per questo meno
importante, come Friedrich Nietzsche, sosteneva infatti che la storia fosse una
disciplina deprecabile e fuorviante, l'espressione massima di quel pensiero
razionale, che impedisce di seguire gli istinti più profondi e vitali della
natura umana. Maestra di vita per alcuni, come Tucidide, Erodoto e Marx, o
esercizio inutile e addirittura dannoso per altri, vedi Seneca o Voltaire,
comunque sia la storia occupa un ruolo decisivo nell'agire umano, dalla cultura
alla politica. Quest'ultima, in particolare, è costantemente soggetta alle
interferenze dell'interpretazione storica, fino a ingenerare l'annosa polemica sull'uso
politico della storia. Qui il rischio della mistificazione è sempre in agguato.
Sicuramente però lo studio della storia può aiutare a interpretare
correttamente il presente. Non a caso alla storia, e al rigore analitico che
essa richiede, i regimi totalitari di questo secolo, hanno contrapposto il
mito, cercando, in presunte età dell'oro - la mitologia germanica per il
nazismo, l'Impero Romano per il fascismo nostrano -, le proprie radici. Chissà
se nei primi vent'anni del secolo ci si fosse applicati un po' di più allo
studio della fine di imperi centrali e un po' meno a mitizzare i Nibelunghi,
forse la barbarie nazista avrebbe trovato terreno meno fertile.
mercoledì 4 gennaio 2017
Perché no al reddito di cittadinanza*- Aldo Giannuli
*Da: http://www.aldogiannuli.it/
A quanto pare, dopo il M5s, Sel, il Pci (già Partito dei
comunisti italiani) ora anche Berlusconi si pronuncia a favore del reddito di
cittadinanza. Tanta convergenza appare un po’ sospetta, vi pare?
Magari varrebbe la pena di chiedersi se tutti intendano la stessa cosa. Tutti
fanno riferimento “all’Europa” ma in Europa esistono sistemi abbastanza diversi
e l’indicazione chiarisce poco. Qui non vogliamo passare in rassegna le diverse
soluzioni adottate, ci limiteremo solo ad alcune osservazioni generali.
Leggi anche: http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-falsa-contrapposizione-tra-reddito-minimo-e-lavoro/
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/12/salario-minimo-garantito-reddito-di.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/12/salario-minimo-garantito-reddito-di.html
I giovani non devono chiedere reddito ma lavoro.
Partiamo da una premessa: se si sta pensando ad
un modello una tantum per venire incontro alle situazioni di sofferenza sociale
esistenti, ad esempio un assegno di 5-600 euro per 18 mesi, anche allo scopo di
riattivare il mercato interno e permettere a molte aziende di ripartire ed
assumere, non avremmo nulla da eccepire, salvo fare i conti per capire dove
prendiamo i soldi (ovviamente distraendoli da altre destinazioni attuali). Sin
qui tutto bene, ma questo non è il reddito di cittadinanza, reddito garantito o
comunque lo si voglia chiamare. Con questa espressione si intende un sussidio
stabilmente concesso a chi non raggiunga un certo livello ritenuto necessario
alla sopravvivenza. In alcuni casi il contributo è concesso per un certo
periodo di tempo (in genere uno o due anni), in altri non prevede particolari
limiti di tempo, ma il beneficiario deve accettare le offerte di lavoro che gli
vengono fatte (magari con la facoltà di rifiutare le prime due offerte). In
alcune situazione il reddito non è compatibile con altre forme di reddito,
lavoro incluso, in altre l’assegno statale è una integrazione del salario da un
lavoro precario o comunque sottopagato. Come si vede le forme sono diverse, e
quindi ma qui facciamo un discorso in generale su uno schema base che prevede
un reddito costante per un tempo prolungato.
Il primo problema che si pone è se l’assegno sia
compatibile o no con un altro reddito da lavoro ovviamente basso. Naturalmente
l’assegno statale si immagina sia piuttosto contenuto, diciamo 5 o 600 euro al
mese con i quali nessuno può vivere, per cui, proibire che contemporaneamente
si possa svolgere altro lavoro significa solo incrementare il lavoro nero e
spingere il lavoratore ad accettare lavori senza versamenti di sorta.
Immaginiamo invece che si conceda di affiancare un lavoro all’assegno statale.
Il risultato sarebbe solo quello di spingere i datori di lavoro a tenere bassi
i salari e l’assegno avrebbe solo una funzione adattativa del lavoratore alle
condizioni di sotto salario. Peggio ancora se il reddito statale fosse a tempo:
nessun datore di lavoro accetterebbe di assumere il lavoratore
integrandone il salario essendo molto più facile licenziarlo e trovare un
altro dipendente che goda di un periodo di reddito garantito.
martedì 3 gennaio 2017
Che cos’è l’economia*- Vladimiro Giacché**
*Da: "Materialismo
Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane ”
**(Centro Europa Ricerche)
Leggi anche: http://www.emilianobrancaccio.it/2017/01/03/brancaccio-nellunione-europea-arrestare-i-capitali-non-i-migranti/
...alcune caratteristiche di fondo dell’economia
neoclassica. Essa per un verso si trova in continuità con l’economia classica
di Adam Smith e David Ricardo, sotto un duplice profilo: nel pensare che
l’egoismo degli attori economici, unito alla concorrenza, dia luogo a un
risultato positivo per la società, e nel ritenere che i mercati si
riequilibrino da soli.
D’altra parte però, rispetto agli economisti precedenti
(e in particolare Smith, Ricardo e Marx), l’economia neoclassica si differenzia
sotto almeno tre aspetti importanti: in primo luogo, sposta l’attenzione dalla
produzione al consumo e allo scambio; in secondo luogo, sposta l’attenzione
dall’offerta alla domanda (e più precisamente la domanda di un soggetto che è
l’individuo egoista e razionale); in terzo luogo, accoglie come un dato di
fatto la struttura sociale in essere.
Cosa manca all’economia neoclassica? Volendo sintetizzare,
potremmo rispondere: la consapevolezza della storicità dei fenomeni economici,
della complessità dell’interazione tra soggetto e società e del ruolo
dell’ideologia nella costruzione stessa della teoria economica.
la prova della storicità dell’oggetto dell’economia si
ricava dal mutamento stesso di significato del concetto di “economia” nel corso
del tempo: quella che per noi è oggi l’economia per antonomasia (la produzione
e lo scambio finalizzati al profitto), era definita «crematistica»
(letteralmente: arte di arricchirsi) da Aristotele, che la giudicava contro
natura; Aristotele chiamava invece «economia» (letteralmente: amministrazione
della casa) e giudicava «secondo natura» esclusivamente quell’attività economica
in cui produzione e scambio sono finalizzati al consumo.
Nella società che l’economista studia il comportamento umano
interviene nel processo e ne altera i risultati.
lunedì 2 gennaio 2017
La guerra di tutti contro tutti - Gian Paolo Calchi Novati
Morto
lo storico Calchi Novati studioso di Africa e Terzo Mondo
http://www.corriere.it/cultura/17_gennaio_02/calchi-novati-morto-pavia-africa-terzo-mondo-colonialismo-ispi-ipalmo-074e6eea-d0cf-11e6-bd06-82890b12aab1.shtml
Leggi anche: http://www.sinistrainrete.info/estero/2524.html#.UQEXVy7zhQc.facebook
http://www.corriere.it/cultura/17_gennaio_02/calchi-novati-morto-pavia-africa-terzo-mondo-colonialismo-ispi-ipalmo-074e6eea-d0cf-11e6-bd06-82890b12aab1.shtml
Leggi anche: http://www.sinistrainrete.info/estero/2524.html#.UQEXVy7zhQc.facebook
domenica 1 gennaio 2017
Perchè è fallito il comunismo?*- Domenico Losurdo (9/11/1999)
Sono Domenico Losurdo e insegno Storia
della filosofia all'Università di Urbino. Oggi discutiamo della fine
del comunismo e possiamo iniziare con una scheda introduttiva che potrà
stimolare il dibattito.
Lo storico inglese Eric J. Hobsbawm attribuisce
all'esaurimento dell'esperienza del comunismo sovietico una paradossale
conferma delle tesi di Karl Marx. "Le forme produttive - diceva infatti
Marx - si trasformano in catene della produzione stessa". Secondo questa
teoria, quando un sistema produttivo invecchia, intrappola l'economia e
determina così la crisi del mondo sociale, che era espressione di quel modello
economico. La crisi dell'economia sovietica ha prodotto la fine del mondo
comunista. "Il tentativo comunista produsse - scrive Hobsbawm - risultati
notevoli, ma a costi umani elevatissimi e intollerabili e al prezzo di
edificare ciò che alla fine si è rivelato una economia senza sbocchi e un
sistema politico sul quale non si può esprimere alcun giudizio positivo. La
tragedia della Rivoluzione d'Ottobre sta nel fatto che essa poteva solo
produrre quel tipo di socialismo: spietato, brutale, autoritario. "Nel
fallimento del comunismo non si può dimenticare però - dice ancora Hobsbawm -
che la Rivoluzione d'Ottobre produsse il più formidabile movimento
rivoluzionario organizzato della storia moderna". La sua espansione
mondiale non ha paragoni e, per trovare nel passato un elemento simile, bisogna
risalire alle conquiste realizzate dall'Islam nel primo secolo della sua
storia. Appena trenta o quarant'anni dopo l'arrivo di Lenin alla stazione
Finlandia di Pietrogrado, un terzo dell'umanità si trovò a vivere sotto regimi
partiti direttamente dai dieci giorni che sconvolsero il mondo. Che cosa è
stato allora il comunismo per il Novecento? L'eredità di un movimento che ha
coinvolto milioni di persone ad ogni latitudine del pianeta può consistere
soltanto nel passato di un'illusione?
STUDENTESSA:
Come simbolo della trasmissione noi
abbiamo scelto la falce e il martello perché maggiormente rappresentano e
descrivono il comunismo e quello che era il suo ideale di una società senza
classi, senza proprietà privata, nelle mani del proletariato. Questi sono tutti
principi teorici perché quando il comunismo ha preso il potere ha conosciuto
strumenti come la dittatura, le armi, la strage. Secondo Lei, non si è
contraddetto nel tempo? Oppure non è stata proprio questa forma di
degenerazione a portarne la caduta?
LOSURDO:
venerdì 30 dicembre 2016
CONTROSTORIA DEL SECOLO BREVE, nazismo, fascismo e seconda guerra mondiale - Renato Caputo
12 LEZIONE. LA SECONDA GUERRA MONDIALE
L’invasione della Polonia e della Francia; l’intervento dell’Italia; la guerra d’Inghilterra; la guerra della Germania e dei suoi alleati contro l’U.R.S.S.; l’intervento in guerra degli U.S.A; la svolta del 1942-1943; la caduta del fascismo in Italia; la resistenza; la vittoria degli alleati:
11 LEZIONE. L’AVVENTO IN GERMANIA DEL NAZIONALSOCIALISMO E IL FASCISMO FINO ALLA SECONDA GUERRA MONDIALE
L’eliminazione delle opposizioni e la conquista del potere; il regime totalitario nazionalsocialista; La guerra di Etiopia; la guerra civile spagnola: https://www.youtube.com/watch?v=u3ph6vNo8hE&feature=share
L’invasione della Polonia e della Francia; l’intervento dell’Italia; la guerra d’Inghilterra; la guerra della Germania e dei suoi alleati contro l’U.R.S.S.; l’intervento in guerra degli U.S.A; la svolta del 1942-1943; la caduta del fascismo in Italia; la resistenza; la vittoria degli alleati:
11 LEZIONE. L’AVVENTO IN GERMANIA DEL NAZIONALSOCIALISMO E IL FASCISMO FINO ALLA SECONDA GUERRA MONDIALE
L’eliminazione delle opposizioni e la conquista del potere; il regime totalitario nazionalsocialista; La guerra di Etiopia; la guerra civile spagnola: https://www.youtube.com/watch?v=u3ph6vNo8hE&feature=share
Lezioni precedenti: (1/2) https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/controstoria-del-secolo-breve-dalla.html
giovedì 29 dicembre 2016
ECONOMIA MALATA, TEORIA CONVALESCENTE*- Marco Palazzotto intervista Giorgio Gattei
Vedi anche: https://www.youtube.com/watch?v=w1h5Xc4JcMM
Abbiamo assistito al fallimento del movimento per Tsipras
in Europa e il governo greco oggi non fa che perpetrare una politica di
austerità in continuità con i precedenti governi (in teoria) più a
destra. Podemos sembra non riuscire a superare l’impronta
populista dell’anti-casta in salsa grillina. Idem in Italia in cui il M5S si
accinge, probabilmente, ad accrescere il proprio potere, soprattutto se il
governo Renzi non riuscirà a superare il voto referendario. Alcuni segnali
positivi arrivano dall’Inghilterra, che almeno vede ricompattare una sinistra
attorno a Corbyn. Che percorsi occorre intraprendere in Italia e in Europa,
secondo te, per costruire un movimento di massa che faccia da contraltare alle
politiche di austerità e che tenti di superare il potere dei grandi comitati
d’affari europei rappresentati dalle istituzioni UE e dal blocco
franco-tedesco?
Sullo stato attuale di ciò che avrebbe dovuto essere una “sinistra eterna” e di cui ha parlato da qualche parte François Furet (ma che adesso proprio ‘eterna’ non può dirsi), al momento la vedo andare alla deriva per la perdita del doppio ancoraggio alla marxiana critica dell’economia politica e alla pratica della lotta di classe che è stata sostituita da una accozzaglia di “scontri di civiltà”, guerre di religione, conflitti geopolitici e quant’altro. Va però detto che questo fallimento della “sinistra” non è proprio tutto colpa sua, perché come si poteva mantenere “marxista” e “classista” dopo lo squagliamento vergognoso (perché senza nemmeno un gemito) dell’URSS e dopo la dimostrazione logica dell’erroneità di quella “trasformazione dei valori in prezzi di produzione” che avrebbe dovuto confermare che il profitto non è altro che sfruttamento del lavoro altrui? A ciò si è poi aggiunto un tale rimescolamento delle classi sociali che ha trasformato il “capitalismo padronale” di un tempo, quando di contro avevamo le altre persone, nell’attuale “capitalismo patrimoniale” in cui di fronte abbiamo le altre cose. E mi spiego.
Una volta le posizioni di classe erano nette: da una parte c’erano i proletari, sia di città che di campagna, con il loro salario, e dall’altra i “padroni delle ferriere” con i profitti, i proprietari di terre e di case con le rendite, i possessori di risparmi in banca o in borsa con gli interessi e i dividendi. Insomma, c’eravamo noi e c’erano loro. Ma oggi? Complice la grande “rivoluzione salariale” degli anni ’60-’70, il lavoratore medio ha visto crescere il proprio reddito fino al punto di potersi permettere l’acquisto della propria casa e (caso mai) anche una seconda abitazione, mentre col denaro risparmiato s’è comprato azioni e obbligazioni sia pubbliche che private, e perfino il suo accantonamento pensionistico è affidato a fondi d’investimento il cui rendimento è fatto dipendere dall’andamento volubile di borsa. Per questo nella sua denuncia dei redditi possono arrivare a confluire, oltre al salario, anche rendite, interessi, dividendi e addirittura profitti se nel tempo libero esercita, lui o la sua famiglia, una qualche attività in proprio. Ed è per questo che il suo livello di benessere economico viene ad essere il risultato non soltanto dalla remunerazione che gli paga il suo datore di lavoro, ma pure dalla redditività del patrimonio mobiliare e immobiliare che ha costituito nel tempo, alla stessa maniera (fatta salva la dimensione quantitativa) dei “riccastri” di una volta.
Sullo stato attuale di ciò che avrebbe dovuto essere una “sinistra eterna” e di cui ha parlato da qualche parte François Furet (ma che adesso proprio ‘eterna’ non può dirsi), al momento la vedo andare alla deriva per la perdita del doppio ancoraggio alla marxiana critica dell’economia politica e alla pratica della lotta di classe che è stata sostituita da una accozzaglia di “scontri di civiltà”, guerre di religione, conflitti geopolitici e quant’altro. Va però detto che questo fallimento della “sinistra” non è proprio tutto colpa sua, perché come si poteva mantenere “marxista” e “classista” dopo lo squagliamento vergognoso (perché senza nemmeno un gemito) dell’URSS e dopo la dimostrazione logica dell’erroneità di quella “trasformazione dei valori in prezzi di produzione” che avrebbe dovuto confermare che il profitto non è altro che sfruttamento del lavoro altrui? A ciò si è poi aggiunto un tale rimescolamento delle classi sociali che ha trasformato il “capitalismo padronale” di un tempo, quando di contro avevamo le altre persone, nell’attuale “capitalismo patrimoniale” in cui di fronte abbiamo le altre cose. E mi spiego.
Una volta le posizioni di classe erano nette: da una parte c’erano i proletari, sia di città che di campagna, con il loro salario, e dall’altra i “padroni delle ferriere” con i profitti, i proprietari di terre e di case con le rendite, i possessori di risparmi in banca o in borsa con gli interessi e i dividendi. Insomma, c’eravamo noi e c’erano loro. Ma oggi? Complice la grande “rivoluzione salariale” degli anni ’60-’70, il lavoratore medio ha visto crescere il proprio reddito fino al punto di potersi permettere l’acquisto della propria casa e (caso mai) anche una seconda abitazione, mentre col denaro risparmiato s’è comprato azioni e obbligazioni sia pubbliche che private, e perfino il suo accantonamento pensionistico è affidato a fondi d’investimento il cui rendimento è fatto dipendere dall’andamento volubile di borsa. Per questo nella sua denuncia dei redditi possono arrivare a confluire, oltre al salario, anche rendite, interessi, dividendi e addirittura profitti se nel tempo libero esercita, lui o la sua famiglia, una qualche attività in proprio. Ed è per questo che il suo livello di benessere economico viene ad essere il risultato non soltanto dalla remunerazione che gli paga il suo datore di lavoro, ma pure dalla redditività del patrimonio mobiliare e immobiliare che ha costituito nel tempo, alla stessa maniera (fatta salva la dimensione quantitativa) dei “riccastri” di una volta.
mercoledì 28 dicembre 2016
martedì 27 dicembre 2016
Sergio Cesaratto: "Sei Lezioni di economia"- Fassina, Gawronski, Moavero, La Malfa.
lunedì 26 dicembre 2016
Per una rinascita del materialismo storico negli studi di filosofia, storia e scienze umane*- Stefano G. Azzarà**
Da diversi decenni, gli studi di orientamento
storico-materialistico in ambito filosofico – ma considerazioni non molto
diverse potrebbero essere fatte per l’ambito storico e più in generale per le
scienze umane nel loro complesso – versano nelle università italiane in una
situazione di grave difficoltà. Non ricostruisco qui nei dettagli il rilevante
significato culturale che per una lunga stagione questa corrente ha avuto nel
nostro paese. La linea di pensiero che da Labriola conduce a Gramsci e al
gramscismo ha ripensato dalle fondamenta le categorie del marxismo,
riconducendole al loro rapporto genetico con la dialettica hegeliana e dunque
sia con l’esperienza della filosofia classica tedesca in senso stretto, sia con
tutto il dibattito politico-culturale che dalla Rivoluzione francese ha
attraversato il XIX secolo. Questa impostazione, che più volte si è misurata
con le autonome prese di posizione di Croce e Gentile e che dunque ha saputo dialogare
con i punti più alti della tradizione filosofica italiana, ha saputo proporre
poi su queste basi una riflessione originale. Una riflessione che dopo la
sconfitta del fascismo e la fine della Seconda guerra mondiale, e da quel
momento almeno fino agli anni Settanta del Novecento, non solo ha contribuito a
modernizzare il dibattito culturale di un paese che risultava ancora per larghi
tratti arretrato rispetto alle esperienze europee più avanzate ma ha anche
posto le basi intellettuali per una sua rinascita civile e politica.
Ritengo sbagliata, largamente immaginaria e persino
strumentale la tesi assai diffusa che parla di un interminabile inverno del
pensiero all’insegna dell’egemonia culturale marxista in Italia, sia quando
questa tesi assume il tono nostalgico del rimpianto di una nobiltà perduta, sia
– come per lo più in verità accade – quando si presenta come il sospiro di
sollievo caricaturale di chi ritiene di essersi liberato una volta per tutte da
una dittatura ideologica soffocante e persino totalitaria. Tuttavia, è vero
che, proprio prendendo sul serio la riflessione gramsciana sulla posizione
decisiva della produzione culturale nel funzionamento della società, sul ruolo
degli intellettuali e sull’importanza della dimensione del consenso nella
politica, il marxismo italiano aveva saputo esercitare su molteplici piani
un’influenza assai profonda, in grado di confrontarsi ad armi pari con altre e
diverse tradizioni – dal liberalismo all’azionismo, dall’esistenzialismo al
personalismo cattolico – che rendevano un tempo quanto mai ricco e pluralistico
il panorama filosofico nazionale. E da qui aveva saputo proiettarsi
all’avanguardia del dibattito internazionale, facendo conoscere e apprezzare in
tutti i paesi l’afflato umanistico, storicistico e universalistico – e dunque
profondamente democratico – della sua ispirazione.
Oggi la situazione appare molto diversa per questa
impostazione e un patrimonio culturale di grande rilievo è andato in frantumi e
sembra essersi del tutto disperso. Lasciato libero il campo dalle vecchie
generazioni di studiosi, il materialismo storico non ha pressoché più
cittadinanza nel mondo accademico in quanto tradizione di studi con una sua
legittimità e autonomia. E se ancora persiste un certo rispetto “archeologico”
nei suoi confronti quando si guarda alle acquisizioni del passato, la sua
stessa dignità scientifica non viene più riconosciuta e viene semmai contestata
quando si tratta invece di affrontare le grandi questioni del presente.
mercoledì 21 dicembre 2016
Epoca, fasi storiche, Capitalismi. ("Forme" e "figure" nella teoria della Storia di Marx)*- Roberto Fineschi
lunedì 19 dicembre 2016
CONTROSTORIA DEL SECOLO BREVE, Il fascismo, La crisi del 1929. - Renato Caputo
10 LEZIONE: LA GRANDE CRISI ECONOMICA DEL 1929 E LE SUE CONSEGUENZE: La crisi del 1929; tentativi di uscire dalla crisi: protezionismo e autarchia; gli Usa dal dopoguerra al New Deal; la Francia dal dopoguerra al Fronte popolare:
9 LEZIONE. IL FASCISMO: la sconfitta del movimento operaio e la controffensiva fascista; l’avvento del fascismo; le istituzioni dello stato fascista in Italia; il Concordato con la Chiesa: https://www.youtube.com/watch?v=TQfcE7LlFQE&feature=share
9 LEZIONE. IL FASCISMO: la sconfitta del movimento operaio e la controffensiva fascista; l’avvento del fascismo; le istituzioni dello stato fascista in Italia; il Concordato con la Chiesa: https://www.youtube.com/watch?v=TQfcE7LlFQE&feature=share
Lezioni precedenti: (1/2) https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/controstoria-del-secolo-breve-dalla.html
martedì 13 dicembre 2016
Populismo*- Elena Maria Fabrizio
Tra i sintomi che affliggono le democrazie occidentali, la
manipolazione dell’opinione pubblica e la manipolazione del voto sono i più
noti. E non c’è consultazione politica e referendaria, con o senza quorum, che
non confermi questo trend. Così, puntualmente, nell’ultima consultazione la
tutela della Costituzione e il conseguente rigetto di una riforma
irresponsabile che non ci avrebbe protetto da maggioranze retrograde, populiste
e autoritarie, viene surclassato da altri dati, dotati di scarsa oggettività e
più semplicistici. Non solo i cittadini avrebbero innanzi tutto votato per dire
Sì o No al Presidente del Consiglio Renzi e al suo governo, ma con questa
scelta, più che esprimersi sulla sua politica e le sue leggi, si sarebbero di
fatto espressi sull’alternativa Renzi o il populismo, che è ovviamente sempre
quello degli altri, Salvini e Grillo in primis. Sembra quasi superfluo
evidenziare che la carente analiticità di questa lettura eleva il populismo a
giudizio di secondo grado cui scadono nell’analisi del voto, ma già prima nei
modi e nei toni della campagna referendaria, quegli stessi sostenitori che
hanno eretto il Pd a partito antipopulista per eccellenza; il quale non cede
alla tentazione di dividere ancora una volta l’elettorato nel popolo che interpreta
correttamente i propri valori (cambiamento, bellezza, sogno, futuro) dal popolo
che al contrario ne sarebbe incapace.
La comunicazione sistematicamente
distorta dell’ideologia dominante
domenica 11 dicembre 2016
Fidel e la religione*- Alessandra Ciattini
In un articolo dedicato al marxismo cubano, Aurelio
Alonso Tejada sottolinea giustamente le capacità tattiche e
strategiche di Fidel Castro in quanto dirigente politico [1], ma occorre
aggiungere che il pragmatismo del capo storico della Rivoluzione cubana non
costituisce un’opzione che fa strame dei principi, ma anzi ad essi si richiama
per individuare la tattica più adeguata per metterli in pratica.
A mio parere tali capacità risaltano in particolare
nell’atteggiamento politico che Fidel ha tenuto nei confronti
della religione, che a Cuba si presenta in un ventaglio complesso di
manifestazioni, e nei confronti delle correnti progressiste sorte sia in seno alla
Chiesa Cattolica che alle Chiese protestanti in America Latina.
Ricorderò, in primo luogo, i rapporti che stabilì, durante
un suo viaggio in Cile, con il Movimento dei cristiani per il
socialismo, quando si riunì con un gruppo di sacerdoti (dicembre 1971) e
formulò i due principi a cui si sarebbe dovuta ispirare la collaborazione tra i
marxisti e i cristiani. Essi sono: 1) i cristiani costituiscono <<alleati
strategici>> dei marxisti per portare avanti il processo di liberazione
dell’America Latina; 2) il cristiano può accettare tranquillamente la
metodologia analitica marxista, senza mettere in discussione la propria fede
religiosa.
Successivamente, l’anno seguente, Fidel invitò a Cuba dodici
sacerdoti cileni, i quali parteciparono ad attività di lavoro volontario. Alla
conclusione di questa significativa esperienza questi sacerdoti pubblicarono
sul Granmaun’importante dichiarazione che evidenziava una
convergenza di intenti tra i cristiani rivoluzionari e i marxisti. In tale
dichiarazione si evidenziavano queste 3 considerazioni: 1) l’origine dei mali
dell’America Latina sta nello sfruttamento capitalistico; 2) il socialismo
costituisce una necessità storica; 3) i cristiani debbono considerarsi
obbligati moralmente a lottare insieme ai marxisti contro la violenza
istituzionalizzata generata nel subcontinente dal capitalismo [2].
sabato 10 dicembre 2016
Dal fordismo al capitalismo bio-cognitivo - Andrea Fumagalli
"Il passaggio dal capitalismo fordista-industriale al capitalismo cognitivo-immateriale è quindi
la metamorfosi del ciclo del capitale dalla formula: denaro-merce-denaro (D-M-D')
a quello: denaro-conoscenza-denaro (D-M(K)-D')."
Leggi anche: http://effimera.org/produttivita-del-lavoro-precarieta-circolo-vizioso-delleconomia-italiana-andrea-fumagalli-2/
la metamorfosi del ciclo del capitale dalla formula: denaro-merce-denaro (D-M-D')
a quello: denaro-conoscenza-denaro (D-M(K)-D')."
Leggi anche: http://effimera.org/produttivita-del-lavoro-precarieta-circolo-vizioso-delleconomia-italiana-andrea-fumagalli-2/
venerdì 9 dicembre 2016
ELEMENTI DI ECONOMIA DEL LAVORO - Guglielmo Forges Davanzati
L’economia del lavoro ha come proprio campo d’indagine lo studio del funzionamento del mercato del lavoro, con particolare riferimento all’individuazione delle cause della disoccupazione e dei meccanismi che sono alla base della determinazione dei salari, sia sul piano teorico, sia sul piano empirico. A tal fine, e per quanto riguarda la trattazione che segue, si fa propria un’opzione metodologica che rinvia alla coesistenza di paradigmi alternativi e competitivi, non riconducibili a un schema teorico unitario e unanimemente condiviso. Questa opzione si basa sulla convinzione che ogni schema teorico si basa su assiomi, ovvero su premesse non dimostrate né dimostrabili, che sono radicalmente in contrapposizione con gli assiomi propri di altri schemi teorici e che, per questa ragione, non si rende possibile giungere a una sintesi. In quanto segue, verranno descritti i principali orientamenti teorici presenti nel dibattito contemporaneo: il modello neoclassico, il modello keynesiano, il modello postkeynesiano nella sua variante della c.d. teoria monetaria della produzione.
Si propongono, a seguire, due appendici: la prima dà conto del dibattito su diseguaglianze distributive e crescita economica; la seconda riporta un breve importante saggio di M. Kalecki, rilevante per la comprensione dello studio del funzionamento del mercato del lavoro in una prospettiva postkeynesiana e marxista. Alla trattazione di queste teorie vengono qui aggiunte due sezioni dedicate, rispettivamente, agli effetti delle politiche di deregolamentazione del mercato del lavoro sull’occupazione e al dibattito sugli effetti dell’accumulazione di capitale umano sulla crescita economica e dell’occupazione.
Alla stesura di questi appunti hanno contribuito Andrea Pacella (Università di Catania) che ha scritto parte del cap.1 e Gabriella Paulì (Università del Salento), che ha scritto parte del cap.4 e del cap. 5. Lecce, marzo 2016
LEGGI TUTTO: https://www.dropbox.com/s/lqbu9gy1iqvepoe/ELEMENTI%20DI%20ECONOMIA%20DEL%20LAVORO%20-FORGES%20DAVANZATI.pdf?dl=0
mercoledì 7 dicembre 2016
La “Via Cinese” e il contesto internazionale
Tutti gli interventi e le relazioni a questi indirizzi:
http://www.marx21.it/index.php/internazionale/cina/27292-la-via-cinese-e-il-contesto-internazionale-tutti-i-materiali-dal-convegno
https://ilgiornaledelriccio.wordpress.com/2016/11/04/la-via-cinese-e-il-contesto-internazionale-relazione-del-forum-europeo-2016-con-giulietto-chiesa-domenico-losurdo-vladimiro-giacche-ed-esponenti-cinesi/
martedì 6 dicembre 2016
Referendum “sociale” o costituzionale? Torna il problema delle “periferie” per il Pd - Marco Valbruzzi
Quali sono state le principali motivazioni che hanno spinto
gli elettori alle urne? E, soprattutto, perché hanno deciso di promuovere o
bocciare il progetto di revisione costituzionale del governo Renzi? Quali sono
stati gli strati sociali maggiormente favorevoli (o contrari) alla riforma? Per
rispondere a tali quesiti, l’Istituto Cattaneo ha analizzato la distribuzione
del voto nelle sezioni di Bologna per cercare di capire se i settori dove il
disagio sociale è maggiore hanno avuto un comportamento più critico nei
confronti del governo e della sua riforma. Un’analisi di questo tipo è resa
possibile dall’esistenza di dati socio-demografici della popolazione (età,
genere, reddito, presenza di immigrati ecc.), disaggregati a livello di singola
sezione elettorale e messi liberamente a disposizione dal comune di Bologna. Il
problema del Pd nelle periferie, sia geografiche che “sociali”, era già emerso
chiaramente nelle elezioni amministrative del 2016: nel territorio, il partito
di Renzi aveva perso progressivamente contatto e consenso negli strati sociali
più deboli, appartenenti a quel “ceto medio impoverito” di cui stanno
discutendo in questi giorni analisti e commentatori. Il referendum
costituzionale di domenica ha rappresentato un nuovo laboratorio d’analisi
all’interno del quale verificare se il voto favorevole alla riforma – sostenuto
dal Pd – ha “sofferto” in misura maggiore nelle aree di Bologna più disagiate o
in difficoltà. [...]
In sintesi, con il voto nel referendum costituzionale del 4
dicembre si conferma l’orientamento degli elettori a votare “contro” il governo
in carica, sia nelle elezioni politiche (comprese quelle amministrative) che in
quelle referendarie. Il voto diventa lo strumento attraverso il quale i
cittadini esprimono il loro malcontento verso una situazione di crisi –
economica e sociale – dalla quale non vedono ancora alcuna via d’uscita. Il
voto contro l’establishment, in opposizione alla classe di governo di turno, ha
trovato un nuovo canale di espressione nel referendum costituzionale,
trasformando un giudizio sulla riforma della Costituzione in una valutazione
sull’operato del governo Renzi e sulla condizione sociale degli elettori. Se ogni
occasione elettorale è buona per esprimere la propria insoddisfazione, anche un
referendum costituzionale può facilmente trasformarsi in un referendum
“sociale”. Con i risultati che ora sappiamo.
Leggi tutto: http://www.cattaneo.org/wp-content/uploads/2016/12/Analisi-Istituto-Cattaneo-Referendum-4-dicembre-2016-Pd-referendum-e-periferie-sociali-05.12.16.pdf
Leggi anche: http://www.infodata.ilsole24ore.com/2016/12/05/referendum-dire-no-stati-giovani-disoccupati-meno-abbienti/
Leggi anche: http://www.infodata.ilsole24ore.com/2016/12/05/referendum-dire-no-stati-giovani-disoccupati-meno-abbienti/
lunedì 5 dicembre 2016
Rosa Luxemburg e la teoria del capitalismo*- Una recensione di Paul M. Sweezy
Questa recensione dell’opera di Rosa Luxemburg, The
Accumulation of capital [trad. di Agnes Schwarzschild, intr. di Joan
Robinson, London and New Haven 1951], apparve in “The New statesman and Nation”
il 2 giugno 1951 ed è riportata nel volume Paul M. Sweezy, Il
presente come storia, trad. di Ruggero Amaduzzi, Torino 1962
L’edizione italiana dell’opera è L'accumulazione del
capitale. Contributo alla spiegazione economica dell'imperialismo e ciò che gli
epigoni hanno fatto della teoria marxista. Una anticritica [trad. di
Bruno Maffi, introduzione di Paul M. Sweezy, Torino, 1968]
Per comprendere L’accumulazione del capitale ci
si deve collocare nella letteratura socialista della fine del secolo XIX e
dell’inizio del secolo XX. Era quello il periodo del grande dibattito fra i
marxisti “ortodossi” e i “revisionisti”, un dibattito che, sul piano puramente
analitico, si accentrava attorno alla questione: può il capitalismo continuare
ad espandersi indefinitamente, o presto o tardi crollerà in forza delle
contraddizioni economiche che gli sono congenite? I revisionisti sostenevano la
tesi dell’espandibilità indefinita e ne traevano la conclusione che non c’era
fratta per il socialismo e non c’era bisogno di prepararsi alla situazione
d’emergenza: tutto si poteva aggiustare tranquillamente e gradualmente. Gli
“ortodossi” erano unanimi nel respingere questa teoria, ma tutt’altro che unanimi
sulla teoria che ritenevano giusta. Fu proprio questo problema che Rosa
Luxemburg si propose di risolvere con L’accumulazione del capitale.
Il titolo stesso rivela dove essa riteneva di aver individuato il nucleo del
problema e riassume, come può farlo un breve titolo, l’argomento dell’intera
opera.
domenica 4 dicembre 2016
L'EGEMONIA DIGITALE - Renato Curcio
"Io sono l'automa", così si è presentato a una visita medica obbligatoria, un lavoratore deella ACEA di Roma. "In che senso scusi?" gli ha chiesto la dottoressa. E lui, con un tono angosciato: "Nel senso che ormai non sono più una persona, il tablet personale mi comanda come un robot, nel senso che mi sento un automa, gli presto le mani è vero, ma per il resto quasi non decido più nulla; nel senso che questi ci pilotano: 'vai qua e vai là', 'inserisci il tuo numero matricola e poi segui i comandi'; nel senso che il tablet attivato mi geo-localizza e mi programma la giornata; nel senso che ogni spostamento è controllato e se mi fermo a prendere un caffè o a urinare in un luogo non previsto il tablet lo registra; nel senso che è il tablet che mi porta in giro e ho paura! Ho paura che il tablet registri anche quello che le sto dicendo adesso che siamo in visita. Ecco in che senso".
Questo libro restituisce il percorso di un cantiere socianalitico che, partendo dalle narrazioni d’esperienza dei suoi partecipanti, si è interessato ai modi in cui l’impero virtuale cerca di costruire la sua capacità egemonica sul mondo del lavoro. Ripercorrendo la micro-fisica dei processi innescati dai dispositivi digitali che mediano l’attività lavorativa – smartphone, piattaforme, sistemi gestionali, registri elettronici – in queste pagine si esplorano alcune metamorfosi radicali che, mentre rovesciano il rapporto millenario tra gli umani e i loro strumenti, sconvolgono ciò che fino a ieri abbiamo familiarmente chiamato “lavoro”. Alcuni territori chiave – la digitalizzazione della scuola, della professione medica, dei servizi, dei trasporti condivisi, dei grandi studi legali e delle banche – assunti come analizzatori, ci raccontano l’impatto trasformativo delle nuove tecnologie e il disorientamento dei lavoratori. Ma, nello stesso tempo, fanno emergere le linee liberticide su cui questo processo procede: la cattura degli atti, la dittatura dei dati, il trionfo della quantità e le narrazioni sostitutive con cui esso si racconta. Proprio riflettendo su queste tendenze che velocemente ci attraversano fino al punto di chiamarci in causa singolarmente il libro, infine, indica quattro pericolose tendenze generali – l’autismo digitale, l’obesità tecnologica, l’ethos della quantità, lo smarrimento dei limiti – e si chiede se non sia forse giunto il momento, dopo le ambigue interpretazioni del Novecento, di cominciare a distinguere il progresso sociale dal progresso tecnologico.
sabato 3 dicembre 2016
CONTROSTORIA DEL SECOLO BREVE, il primo dopoguerra - Renato Caputo
8 LEZIONE. IL PRIMO DOPOGUERRA IN ITALIA - Problemi economico e sociali dell’Italia post-bellica; la crisi dello Stato liberale; il biennio rosso e l’occupazione delle fabbriche:
7. LEZIONE. DOPOGUERRA e REPUBBLICA DI WEIMAR. La Repubblica di Weimar e la sua crisi;
i fondamenti ideologici del nazionalsocialismo: https://www.youtube.com/watch?v=DIAEu36UWBY&feature=share
Lezioni precedenti: (1/2) https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/controstoria-del-secolo-breve-dalla.html
(5/6) https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/11/controstoria-del-secolo-breve-movimenti.htmlvenerdì 2 dicembre 2016
La Costituzione italiana e i trattati europei: convivenza possibile?*- Vladimiro Giacché
*Da. http://www.marx21.it/
Leggi anche: http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/11/30/referendum-il-si-e-lattacco-finale-dei-mercati-al-benessere-dei-lavoratori/3224280/
Intervento di Vladimiro Giacché, Vice Presidente dell'Associazione politica e culturale MARX XXI,
nel corso del convegno organizzato dalla Casa Rossa di Milano, il 5 novembre 2016.
Leggi anche: http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/11/30/referendum-il-si-e-lattacco-finale-dei-mercati-al-benessere-dei-lavoratori/3224280/
Intervento di Vladimiro Giacché, Vice Presidente dell'Associazione politica e culturale MARX XXI,
nel corso del convegno organizzato dalla Casa Rossa di Milano, il 5 novembre 2016.
giovedì 1 dicembre 2016
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