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lunedì 8 agosto 2022

Forme della razionalità in Aristotele - Enrico Berti

Da: AccademiaIISF -  Enrico Berti (Valeggio sul Mincio, 3 novembre 1935 – Padova, 5 gennaio 2022) è stato professore emerito di Storia della filosofia presso l’Università degli Studi di Padova e massimo studioso di Aristotele in Italia. Fra le sue innumerevoli pubblicazioni ricordiamo In principio era la meraviglia (Laterza), Sumphilosophein. La vita nell’Accademia di Platone (Laterza), Storia della Metafisica (Il Mulino) e Aristotelismo (Il Mulino).

Vedi anche: Sulla meccanica aristotelica - Giorgio Israel 
Le passioni tra Heidegger e Aristotele - ENRICO BERTI
'La Fisica e Aristotele' - Carlo Rovelli, Monica Ugaglia, Diana Quarantotto
"Anthròpina phronein: la saggezza del limite" - Salvatore Natoli
Il problema del limite. La scienza e il postumano - Remo Bodei 
Aristotele: l'Amicizia - Enrico Berti
Sulla METAFISICA (Filosofia Prima) di Aristotele - Enrico Berti
Etica Nicomachea di Aristotele - Enrico Berti
L'etica in Aristotele - Enrico Berti
Fisica di Aristotele - Enrico Berti
Aristotele: "Politica" - Enrico Berti
Il linguaggio nel pensiero di Aristotele - Enrico Berti
Il realismo di Aristotele: vecchio o nuovo?*- Enrico Berti
Logos e techne nella filosofia antica*- Enrico Berti
Il principio di non contraddizione come fondamento necessario ma non sufficiente della verità. Enrico Berti
"L'idea di filosofia pratica dall'antichità ad oggi" - Enrico Berti
La questione del corpo in Aristotele - Enrico Berti
Intervista a Enrico Berti: cosa ereditiamo dalla filosofia greca

lunedì 2 novembre 2020

Il denaro nel Capitale - Roberto Fineschi

Da: http://marxdialecticalstudies.blogspot.com -Trascrizione leggermente rivista dell’intervento tenutosi il giorno 11 gennaio 2018 all’interno del 4° ciclo (2017-2018) - L’anima nell'era della tecnica. Denaro. Natura, storia, religione? Ciclo di incontri su autori e temi della filosofia contemporanea organizzati dal Liceo Da Vinci di Casalecchio, dal Liceo Marco Minghetti di Bologna, con il sostegno e la collaborazione della Casa della Conoscenza e dal Comune di Casalecchio. Video. Sbobinatura e trascrizione di Rosalba Scinardo Ratto. - Roberto_Fineschi è un filosofo ed economista italiano.

Vedi anche: Il Denaro nel Capitale - Roberto Fineschi

Leggi anche: Del denaro. I mezzi e i fini - Remo Bodei

L'uomo e il denaro*- Carlo Sini

SUL 3° DE "Il CAPITALE" di Marx - CARLO SINI



Prima di tutto vorrei spendere due parole su Karl Marx, che voi sicuramente conoscerete, perché so che i vostri docenti vi hanno preparato per queste lezioni e anche perché fino a qualche anno fa era un autore molto popolare. Non c’era bisogno che i docenti lo introducessero, perché era conosciuto di per sé, perché al di là della sua teoria economica e sociale era un autore che aveva un forte impatto politico e, come saprete certamente, era addirittura l’autore di riferimento dell’ideologia di una parte del mondo, dell’Unione Sovietica, dei cosiddetti paesi oltrecortina, la cui visione politica e istituzionale si rifaceva a quest’autore.

Il venir meno di questa esperienza storico-politica, con la caduta del muro di Berlino e con la fine dell’Unione Sovietica ha reso meno popolare automaticamente anche l’autore a cui questi paesi si riferivano e quindi è un po’ sparito. Per un certo periodo è addirittura più che sparito, c’è stata una damnatio memoriae, non se ne poteva parlare perché il crollo del socialismo reale appariva come l'evidenza che aveva sbagliato tutto: se il socialismo reale era la verifica della bontà delle sue teorie, il crollo del Socialismo reale automaticamente sembrava la verifica del contrario.

Adesso, a distanza di un po’ di anni, è rinato l’interesse verso quest’autore perché finalmente si è presa la giusta direzione, cioè si è iniziato a distinguere tra quello che Marx ha detto, scritto e teorizzato da una parte e dall’altra le esperienze politiche, non solo del Socialismo reale ma anche in altri paesi, che a lui si sono ispirate. Senza dire che le due cose sono identiche, ma distinguendo i piani si può ancora vedere che cosa ha da dire Marx all’oggi per la comprensione del mondo reale, al di là delle esperienze storiche del passato.

In questo senso, anche solo semplicemente ascoltando le notizie al telegiornale, avrete risentito parlare di Marx in relazione alla crisi finanziaria e anche industriale, che negli ultimi anni purtroppo hanno attanagliato gran parte del mondo. Perché hanno ripescato Marx per parlare di questa cosa? E lo hanno fatto anche figure che non sono particolarmente vicine a questo autore. Perché nonostante tutto, la teoria di Marx fornisce delle spiegazioni alle tendenze di fondo dello sviluppo del modo di produzione capitalistico, che ci permettono di capire più di altre teorie mainstream, in particolare per esempio proprio nella spiegazione della crisi. Secondo la teoria di Marx, la crisi è normale che ci sia, se studiate la sua teoria si vede che lo sviluppo economico ciclicamente incorre in delle crisi, sia finanziarie che produttive e in questo senso l’esperienza pratica conferma la teoria. Mentre le teorie più ortodosse e mainstream non conoscono crisi cicliche, ma solo crisi di mancato equilibrio frizionale, che poi in qualche modo si riappiana.

mercoledì 29 dicembre 2021

Declinazioni del concetto di natura tra ontologia e storia - Luca Illetterati

Da: AccademiaIISF - 
Luca Illetterati è professore ordinario di filosofia teoretica presso il Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata dell’Università di Padova. 



(1/5) Luca Illetterati - Introduzione: per un’ontologia storica 

                                                                           

(2/5) "Physis" e vita - https://www.youtube.com/watch?v=Pj_3QXt2-Qs 

(3/5) Creature e artefattihttps://www.youtube.com/watch?v=uE6hoca6LXI 


(5/5) Paesaggi contemporanei https://www.youtube.com/watch?v=BK-v7CWPvh8 

sabato 6 ottobre 2018

"Dallo schiavo al robot. Lavoro, macchine, automazione"- Remo Bodei - (3/3)

Da: AccademiaIISF Remo_Bodei è un filosofo italiano.- 
                                                                                                Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2017/04/il-problema-del-limite-la-scienza-e-il.html -
                                                                                                                    https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/09/lalgoritmo-sovrano-renato-curcio_18.html -


Secondo incontro: https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/09/dallo-schiavo-al-robot-lavoro-macchine_29.html 

 --------Terzo incontro

giovedì 29 gennaio 2015

LA LEGGE LA LIBERTA' LA GRAZIA - Remo Bodei, Antonio Delogu

                                           


"La reminiscenza sartriana, il "siamo condannati a essere liberi", non vuole alludere alla libertà come peso dell'esistenza. Vuole alludere invece - e direi che nello stesso Sartre, nel Sartre filosofo della libertà, c'è questo motivo - vuole dunque alludere alla morale della responsabilità e - aggiungerei - alla durezza di Hegel nei confronti del singolo. Penso specialmente all'ultima parte del quinto capitolo della Fenomenologia, in cui la Cosa stessa, come Hegel dice, cioè il corso storico e la sua razionalità, ricomprende in sé l'azione del singolo, che fatuamente ne rivendica la proprietà. La pietra lanciata dalla mano è del diavolo, dice Hegel riprendendo un antico proverbio. Agendo mi espongo ai voleri della Fortuna, cioè la mia azione si intreccia con quelle altrui e con il complesso delle circostanze, la Cosa stessa ora accennata. E tuttavia la Cosa stessa non mi è estranea, perché si appunta nell'autocoscienza, è la "mia" Cosa, ho comunque contribuito a produrla. È stato detto che in guerra non vi sono vittime innocenti, e Hegel potrebbe condividere questa espressione che allude alla universale responsabilità. Per un verso dunque la mia azione è poca cosa, perché è destinata a perdersi nel miro gurge del corso storico, per un altro verso il corso storico mi appartiene o - ma in questo caso è la stessa cosa - io appartengo al corso storico. Hegel spinge sino in fondo la sua geniale tesi. Il corso storico ha la sua logica di fronte a cui l'opera del singolo è irrilevante. Persino il famoso grand'uomo di Hegel, Alessandro magno, Giulio Cesare, non sono dei veri creatori, non somigliano per nulla agli uomini di Nietzsche o di Carlyle, perché la loro azione non va oltre il portare alla luce una situazione virtualmente presente. La repubblica romana era virtualmente cesariana quando Cesare vi dispiegò la sua azione politica. Hegel infatti parla di un "cupo tessere dello spirito", cioè di un corso delle cose che si viene svolgendo inconsciamente, sicchè l'uomo d'azione interviene a cose quasi fatte, l'uomo di pensiero, il filosofo, interviene a cose fatte e anzi quando la situazione non solo si è consolidata, ma è già in crisi, sta per mutare (l'uccello di Minerva che inizia il suo volo al crepuscolo). Potrebbe sembrare che questa dottrina possa spingere a un atteggiamento quietista: se la mia azione è poca cosa non vale la pena di impegnarsi troppo. E invece abbiamo visto che l'atteggiamento hegeliano è di assoluta responsabilità. Certo la mia azione è eminentemente rischiosa, può perdersi nel non-senso e comunque solo tardi, solo a processo compiuto saprò o altri saprà quale sarà stato il risultato e quindi il significato del mio impegno. Ma nel mio agire devo credere (qui il temine è appropriato) di realizzare il Bene (l'ineludibile motivo kantiano). È una illusione necessaria che governa la mia libertà. E Hegel mostra che sfuggire a questa libertà è impossibile perché è impossibile sfuggire alla mia essenza di uomo."

Francesco Valentini

mercoledì 29 aprile 2020

" Hegel "- Vittorio Hosle

Da: Maria Teresa de Vito - Vittorio Hosle è un filosofo, saggista e traduttore.
Leggi anche: Studio su Hegel: LA LOGICA - Stefano Garroni 
                       https://ilmanifesto.it/hegel-contro-il-pensiero-che-proietta-lesistenza-umana-oltre-il-logos-nel-mistero
Vedi anche:  La dialettica di Hegel. Origine, struttura, significato... - Roberto Finelli
                   "Il boccio, il fiore, il frutto" - Carlo Sini
                    Hegel e la dialettica - Remo Bodei 


Il video ha inizio al secondo 0,50. La prima e la seconda parte della lezione sono collegate automaticamente.

                                                      Prima parte:
                                                                                

                                                     Seconda parte: https://www.youtube.com/watch?v=JpOgpJQla6w&list=TLPQMjkwNDIwMjC5KHLeaiLI_A&index=2


domenica 4 dicembre 2016

L'EGEMONIA DIGITALE - Renato Curcio



"Io sono l'automa", così si è presentato a una visita medica obbligatoria, un lavoratore deella ACEA di Roma. "In che senso scusi?" gli ha chiesto la dottoressa. E lui, con un tono angosciato: "Nel senso che ormai non sono più una persona, il tablet personale mi comanda come un robot, nel senso che mi sento un automa, gli presto le mani è vero, ma per il resto quasi non decido più nulla; nel senso che questi ci pilotano: 'vai qua e vai là', 'inserisci il tuo numero matricola e poi segui i comandi'; nel senso che il tablet attivato mi geo-localizza e mi programma la giornata; nel senso che ogni spostamento è controllato e se mi fermo a prendere un caffè o a urinare in un luogo non previsto il tablet lo registra; nel senso che è il tablet che mi porta in giro e ho paura! Ho paura che il tablet registri anche quello che le sto dicendo adesso che siamo in visita. Ecco in che senso".


Questo libro restituisce il percorso di un cantiere socianalitico che, partendo dalle narrazioni d’esperienza dei suoi partecipanti, si è interessato ai modi in cui l’impero virtuale cerca di costruire la sua capacità egemonica sul mondo del lavoro. Ripercorrendo la micro-fisica dei processi innescati dai dispositivi digitali che mediano l’attività lavorativa – smartphone, piattaforme, sistemi gestionali, registri elettronici – in queste pagine si esplorano alcune metamorfosi radicali che, mentre rovesciano il rapporto millenario tra gli umani e i loro strumenti, sconvolgono ciò che fino a ieri abbiamo familiarmente chiamato “lavoro”. Alcuni territori chiave – la digitalizzazione della scuola, della professione medica, dei servizi, dei trasporti condivisi, dei grandi studi legali e delle banche – assunti come analizzatori, ci raccontano l’impatto trasformativo delle nuove tecnologie e il disorientamento dei lavoratori. Ma, nello stesso tempo, fanno emergere le linee liberticide su cui questo processo procede: la cattura degli atti, la dittatura dei dati, il trionfo della quantità e le narrazioni sostitutive con cui esso si racconta. Proprio riflettendo su queste tendenze che velocemente ci attraversano fino al punto di chiamarci in causa singolarmente il libro, infine, indica quattro pericolose tendenze generali – l’autismo digitale, l’obesità tecnologica, l’ethos della quantità, lo smarrimento dei limiti – e si chiede se non sia forse giunto il momento, dopo le ambigue interpretazioni del Novecento, di cominciare a distinguere il progresso sociale dal progresso tecnologico.

domenica 11 settembre 2016

La filosofia del “limite” nel secolo del nichilismo. Intervista a Remo Bodei di Francesco Postorino*


Remo Bodei ha recentemente pubblicato Limite (il Mulino), una importante riflessione filosofica sull'idea di limite nell'epoca della globalizzazione. In questa intervista, si ricapitolano di questa riflessione i tratti principali.

Il concetto del «limite» come è stato interpretato nelle diverse epoche e, in particolare, nella modernità?

Diversamente dal mondo antico, dove l’andare oltre i confini stabiliti dalla divinità è hybris che viene punita, la modernità è un andare al di là dei limiti, un plus ultra, un navigare verso l’ignoto. Nelle sue avventure spirituali e nello slancio verso la scoperta di terre incognite, il pensiero moderno ha infranto i divieti di indagare sui misteri della natura, del potere e di Dio, rivalutando così la curiosità prima condannata come “concupiscenza degli occhi”. Sebbene non si debba avere una concezione trionfalistica della modernità, come innovazione pura, completa rottura dei ponti con il passato, essa certamente ha sfidato molti tabù imposti dalla tradizione, specie quelli segnati dalla religione cristiana.

Il lungo, ma oggi accelerato processo della cosiddetta globalizzazione ha ovviamente portato mutamenti radicali all’idea di limite. I confini degli Stati sono diventati “porosi”, civiltà prima lontane o indifferenti si intersecano, si incontrano e si scontrano. I mezzi di comunicazione di massa e le migrazioni mutano il panorama. Ma le principali civiltà contemporanee hanno davvero cancellato tutti i limiti? O non è meglio sostenere che alcuni li hanno addirittura riproposti e perfino violentemente rafforzati mediante la restaurazione dogmatica di fedi, mentalità e comportamenti del passato (come nel caso dell’applicazione letterale della sharia, che significa, appunto, ritorno alla “strada battuta”)? Ci sono limiti da rifiutare e limiti da conservare. Per distinguerli occorre coltivare l’arte del distinguere, lasciandosi guidare, nello stesso tempo, da un’adeguata conoscenza delle specifiche situazioni, da un ponderato giudizio critico e da un vigile senso di responsabilità.  

Se guardiamo specificamente alla filosofia, nel periodo da Locke a Kant, la filosofia moderna si è interrogata a lungo sui limiti dell’intelletto umano. Fin dove può giungere una solida conoscenza basata sull’esperienza o sul sapere matematico prima di lasciare spazio alla fede o alla metafisica, ossia a questioni indecidibili e a convinzioni non razionalmente argomentabili? Se per Locke ogni idea trae il suo materiale unicamente dall’esperienza dei sensi, è chiaro che non si può attribuire valore di verità a quanto si pone al di fuori di essa. Kant, a sua volta, delimita la sfera di validità dell’esperienza paragonando l’intelletto a un’isola dai confini ben precisi, circondata da un mare di apparenze, verso il quale gli uomini si sentono però irresistibilmente attratti.

La tentazione da evitare è quella di lasciarsi attirare dalle Sirene della metafisica, che invitano allo scriteriato viaggio nell’oceano dell’apparenza, di lasciarsi sedurre da ciò che è inverificabile e contrario all’unica verità alla nostra portata, quella dettata dall’esperienza. Non bisogna quindi abbandonare il solido terreno di quest’isola dai “confini immutabili” per affrontare un’impresa che è, comunque, destinata al naufragio. Sul terreno della dialettica, ossia dell’illusione di poter risolvere problemi insolubili (ad esempio, se l’anima è mortale o immortale o se l’universo è finito o meno), non ci sono altro che “antinomie”, soluzioni in contraddizione tra loro.

lunedì 26 dicembre 2016

Per una rinascita del materialismo storico negli studi di filosofia, storia e scienze umane*- Stefano G. Azzarà**


Da diversi decenni, gli studi di orientamento storico-materialistico in ambito filosofico – ma considerazioni non molto diverse potrebbero essere fatte per l’ambito storico e più in generale per le scienze umane nel loro complesso – versano nelle università italiane in una situazione di grave difficoltà. Non ricostruisco qui nei dettagli il rilevante significato culturale che per una lunga stagione questa corrente ha avuto nel nostro paese. La linea di pensiero che da Labriola conduce a Gramsci e al gramscismo ha ripensato dalle fondamenta le categorie del marxismo, riconducendole al loro rapporto genetico con la dialettica hegeliana e dunque sia con l’esperienza della filosofia classica tedesca in senso stretto, sia con tutto il dibattito politico-culturale che dalla Rivoluzione francese ha attraversato il XIX secolo. Questa impostazione, che più volte si è misurata con le autonome prese di posizione di Croce e Gentile e che dunque ha saputo dialogare con i punti più alti della tradizione filosofica italiana, ha saputo proporre poi su queste basi una riflessione originale. Una riflessione che dopo la sconfitta del fascismo e la fine della Seconda guerra mondiale, e da quel momento almeno fino agli anni Settanta del Novecento, non solo ha contribuito a modernizzare il dibattito culturale di un paese che risultava ancora per larghi tratti arretrato rispetto alle esperienze europee più avanzate ma ha anche posto le basi intellettuali per una sua rinascita civile e politica.

Ritengo sbagliata, largamente immaginaria e persino strumentale la tesi assai diffusa che parla di un interminabile inverno del pensiero all’insegna dell’egemonia culturale marxista in Italia, sia quando questa tesi assume il tono nostalgico del rimpianto di una nobiltà perduta, sia – come per lo più in verità accade – quando si presenta come il sospiro di sollievo caricaturale di chi ritiene di essersi liberato una volta per tutte da una dittatura ideologica soffocante e persino totalitaria. Tuttavia, è vero che, proprio prendendo sul serio la riflessione gramsciana sulla posizione decisiva della produzione culturale nel funzionamento della società, sul ruolo degli intellettuali e sull’importanza della dimensione del consenso nella politica, il marxismo italiano aveva saputo esercitare su molteplici piani un’influenza assai profonda, in grado di confrontarsi ad armi pari con altre e diverse tradizioni – dal liberalismo all’azionismo, dall’esistenzialismo al personalismo cattolico – che rendevano un tempo quanto mai ricco e pluralistico il panorama filosofico nazionale. E da qui aveva saputo proiettarsi all’avanguardia del dibattito internazionale, facendo conoscere e apprezzare in tutti i paesi l’afflato umanistico, storicistico e universalistico – e dunque profondamente democratico – della sua ispirazione.

Oggi la situazione appare molto diversa per questa impostazione e un patrimonio culturale di grande rilievo è andato in frantumi e sembra essersi del tutto disperso. Lasciato libero il campo dalle vecchie generazioni di studiosi, il materialismo storico non ha pressoché più cittadinanza nel mondo accademico in quanto tradizione di studi con una sua legittimità e autonomia. E se ancora persiste un certo rispetto “archeologico” nei suoi confronti quando si guarda alle acquisizioni del passato, la sua stessa dignità scientifica non viene più riconosciuta e viene semmai contestata quando si tratta invece di affrontare le grandi questioni del presente.

mercoledì 17 febbraio 2021

L’ineffabile, l’anima e l’origine. Una riflessione sul Geist hegeliano - Carla Maria Fabiani

 Da: https://mondodomani.org/dialegesthai - Carla Maria FabianiUniversità del Salento. Department of Humanities - dialettica.filosofia - FRANCESCO-VALENTINI 

Leggi anche: Il tema hegeliano del "riconoscimento". - Stefano Garroni

Studio su Hegel: Filosofia, Storia, Etica - Stefano Garroni 

HEGEL, SCIENZA DELLA LOGICA (1812)

Vedi anche: Hegel: Fenomenologia dello spirito. La questione ontologica della "cosa stessa" - Remo Bodei



- La conversazione cadde sulla dialettica. “In fondo — disse Hegel — la dialettica non è altro che lo spirito di contraddizione [Widerspruchsgeist], regolato e metodicamente coltivato, insito in ogni uomo; uno spirito che celebra la sua grandezza nella distinzione tra il vero e il falso [Unterscheidung des Wahren vom Falschen].” “Purché — intervenne Goethe — questa capacità e queste arti dello spirito non siano così spesso male impiegate e utilizzate per rendere vero il falso e falso il vero.” “Certo — ribatté Hegel — questo succede, ma soltanto ad uomini che hanno lo spirito malato [die geistig krank sind].” -                                     [J.P. Eckermann, Colloqui con Goethe, 18 ottobre 1827].


1. Ineffabile e Anima in alcuni testi di Hegel

Consideriamo qui alcuni testi ‘anomali’ della produzione hegeliana: l’Antropologia, la prima parte dello spirito soggettivo della Grande Enciclopedia del 18301 e le Vorlesungen über die Ästhetik, raccolte e pubblicate da H. Gustav Hotho (1836-38 e poi 1842).2 L’anomalia consiste nel prendere come base filologica del nostro intervento testi in gran parte non pubblicati dall’autore: l’Estetica, per es., è frutto di una sistemazione da parte di Hotho di appunti e manoscritti di Hegel e dei suoi allievi senza distinzione e con forzature (ormai ampiamente riconosciute) operate sui testi di lezione per garantire un impianto organico dell’opera a stampa; l’Antropologia è un testo corposo e degno di nota solo a patto che si leggano le Aggiunte, cioè quelle note ai singoli paragrafi, non pubblicate dall’autore, ma frutto anch’esse di appunti e/o manoscritti di lezione.3

Lavorare principalmente su testi non pubblicati da Hegel, tuttavia, non può essere considerato anomalo, visto che la maggior parte della critica più recente sta operando proprio in questa direzione.4 L’anomalia allora si sposta dal piano strettamente filologico a quello filosofico e di contenuto. Come e perché tenere insieme e leggere insieme l’Estetica e l’Antropologia.

La nostra proposta, al riguardo, è quella di articolare una nozione hegeliana che compare nell’incipit della Logica: unsagbar, tradotto come indicibile o ineffabile:

S’intende, o si opina [Man meint], che l’essere sia anzi l’assoluto Altro che il nulla, e niente è più chiaro che la loro assoluta differenza, e niente sembra più facile, che di poterla assegnare. Ma è altrettanto facile convincersi che ciò è impossibile e che cotesta differenza è ineffabile [unsagbar].5

È qui che Hegel pone il problema del Cominciamento, a cui è connessa tutta la trattazione della monotriade Essere-​Nulla-​Divenire.

martedì 2 dicembre 2014

Danaro, lavoro, macchine in Hegel - Remo Bodei

Vedi anche:  http://www.filosofia.it/argomenti/danaro-lavoro-macchine-in-hegel


Il modello hegeliano di sistema quale «circolo di circoli» - che non è chiusura al nuovo, ma piuttosto la sua costante assimilazione per espansione e ritorno in sé - ha il suo fondamento analogico nella natura del danaro. La circolarità del sistema è, infatti, un ininterrotto processo di «arricchimento», analogo alla «ricchezza circolante», la quale aumenta ogni volta la sua massa in proporzione alle dimensioni già raggiunte, inglobando il concreto, attraverso contraddizioni che non sembrano attualmente trovare una soluzione. 

Tale arricchimento del pensiero, mediante ‘circolazione allargata’ è anche storicamente lo schema di sviluppo economico e politico di tutta la civilisierte Welt, poiché tutti i fenomeni più diversi hanno la radice comune nello Zeitgeist che ha «dato l’ordine di avanzare» e di ingrandire le proprie forze. Ormai «la morta ricchezza esiste ora solo nei tesori dei Cosacchi, dei Tartari; nel mondo civilizzato si tratta della ricchezza circolante», che, tuttavia, si distribuisce in maniera estremamente disuguale: «Nella stessa proporzione in cui si accresce la ricchezza, si accresce pure la miseria, se non si provvede a deviarla diversamente tramite ad esempio la colonizzazione». 

Uno dei meriti maggiori della Rivoluzione francese, con l’abolizione del feudalesimo, è stato appunto per Hegel l’impulso dato alla proprietà e alla ricchezza circolanti, sia pure all’interno di laceranti contraddizioni. La dialettica del «danaro» e del «Kapital» si presenta in forma assai articolata nelle                                                   Vorlesungen über Rechtsphilosophie del periodo berlinese. 

Hegel descrive qui – in maniera quasi dickensiana –un’economia contraddistinta dall’elevatissima concentrazione della ricchezza in poche mani e dal conseguente crearsi di una immensa massa di lavoratori poveri o disoccupati, esseri umani sospinti dalla miseria più spaventosa nell’umiliazione e nell’abbrutimento, una situazione alla quale gli Stati cercano inutilmente di porre rimedio con dei «palliativi», come l’emigrazione nelle colonie. Di fonte a un simile spettacolo, Hegel giunge a dire che l’estrema povertà rende lecito, a chi la subisce, anche il furto finalizzato alla propria sopravvivenza: «tale azione è illegale, ma sarebbe ingiusto considerarla come un furto comune. Sì, l’uomo ha diritto a tale azione illegale». Il tramonto dell’epoca è quindi per lui connesso, oltre che alla «farsa» della Restaurazione, all’insolubilità di conflitti come questi, che la filosofia deve indagare con i suoi grandi occhi di civetta.