Da: https://www.phenomenologylab.eu - Roberta De Monticelli è una filosofa italiana. Ha insegnato filosofia del linguaggio all'Università di Pisa e alla Università degli Studi di Milano. Ha poi insegnato dal 1989 al 2004 Filosofia moderna e contemporanea all'Università di Ginevra
Vedi anche: Libertà del volere: un'illusione antica? - Roberta De Monticelli

Questo pezzo, uscito il 24 settembre 2025 sul “manifesto” e ripreso sul sito di Assopace Palestina non è che una prima sintesi del viaggio che sotto la guida di Luisa Morgantini, anima viva della Palestina resistente nonviolenta, e con l’organizzazione – miracolosa, di questti tempi – di Assopace Palestina ha visto una quarantina e più di persone delle più varie età e provenienze – e fra loro molti giornalisti – attraversare in lungo e in largo per oltre 10 giorni quello che resta della Cisgiordania, di Gerusalemme est, e di alcune città un tempo a prevalenza araba inglobate nello Stato di Israele. Molto ancora verrà dai report dei partecipanti. Ho scelto a simbolo di questo viaggio La zona d’ombra che vela il cerchio di pietre intorno al sangue di Awdi, leader e resistente nonviolento della piccola comunità di Umm Al Kheir, apparentemente condannata dalle ruspe dei coloni che avanzano implacabili (si sentiva il loro rumore sullo sfondo). A pochi metri da lì abbiamo visto l’assassino aggirarsi impunemente, col suo mitra a tracolla. E’ come il seguito del film No Other Land, che proprio in quell’area, Masafer Yatta, si svolge.

E’ già sulle pagine dell’Economist. Mentre anche alcuni stati d’Europa si apprestano a riconoscere lo stato di Palestina, la Palestina sta sparendo, sotto i nostri occhi. La lunga, lunghissima sosta che ai veicoli provenienti da Gerico viene imposta dalla polizia israeliana di frontiera al valico di Allenby ci lascia il tempo di sfogliare la stampa internazionale. Certo, è in crude parole il senso più comunicabile di questo viaggio nel basso inferno, che ancora una volta Assopace Palestina e la sua anima illuminata, Luisa Morgantini, ha permesso di fare a chi ha fame e sete di conoscenza, ancora prima che di giustizia.
La Palestina sta sparendo – è la sola certezza sopravvissuta a questa decina di giorni di traversata del dolore, dell’umiliazione, dell’angustia estrema che provoca il cappio inesorabile di muri e cancelli e violenza bruta, stretto intorno al collo magrissimo della Cisgiordania. Che ti pare di respirare a fatica, di sentirlo intorno al tuo collo, quel cappio. Il cappio della pulizia etnica, che è rubare terra, demolire case, gettare cemento nei pozzi, affamare i dipendenti delle amministrazione sempre più stracciate delle aree A, fino a che non amministrino più che miseria, sporco e disperazione. Perché l’annessione è questo: prendersi la terra, l’acqua e ogni risorsa, appropriarsi perfino delle ricette tradizionali palestinesi, dopo aver ridotto a quasi nulla le risorse dell’UNRWA la United Nations Relief and Works Agency for Palestine, cioè dell’ultimo resto di quella che fu l’umanità comune e la nostra solidarietà, con un sistema di scuole che aveva reso la Palestina il più alfabetizzato dei Paesi arabi e certo anche di molti paesi occidentali. E’ rapinare le terre dove c’è memoria dei millenni umani, a costo di farne falsi, ridicoli trofei al mito di Sion, come le mura di Gerico crollate al suono dello shofar, quasi voleste metter sotto teche nazional-tribali le piume degli angeli, o mettere nelle bottigliette dei turisti la Ruah, il soffio di Gerusalemme. E’ sradicare ulivi e ammazzare bestiame, è distruggere scuole e teatri, è uccidere: per annettere la Palestina, non i palestinesi. Quelli vanno ormai esplicitamente, senza vergogna, chiusi nei ghetti sempre più stretti, sorvegliati, chiusi, delle loro città.
Ci scorrono nella mente le immagini delle città palestinesi che abbiamo attraversato – Gerico l’antichissima, Betlemme inginocchiata sulla sua mangiatoia vuota, deserta di turisti, Gerusalemme Est nel cappio dei sequestri di case e proprietà palestinesi a Jeikh Sharrah, Ramallah che pulsa intorno al grande cuore di Fadwa Bargouti, moglie e avvocata di Marwan Bargouti – quello che chiamano il Nelson Mandela palestinese, che da oltre vent’anni è nelle carceri israeliane. Quello che un torvo gaglioffo chiamato Ben Gvir, che oggi rappresenta lo stato di Israele si è permesso poche settimane fa di andare vigliaccamente, con un suo manipolo di manigoldi, a minacciare a favore di telecamere fin dentro la sua prigione di tortura e fame.
E poi Jenin, Jenin e la meravigliosa avventura del Freedom Theatre, oh guardatevi almeno le sue origini, che sono le origini stesse della tragedia israelo-palestinese, nel film Arna’s Children, girato dal suo fondatore Juliano Mer Khamis, un omaggio a sua madre o forse alla sua terra. E Nablus e il campo di Balata, e Tulkarem – la triade dei campi profughi svuotati, oltre quarantamila negli ultimi due anni. E Hebron, naturalmente, questa metafora del male che si insedia in alto, come gli avamposti dei coloni cresciuti a dismisura in questi due anni, e avvelena e isterilisce e insozza tutto ciò che tocca, ma a Hebron l’alto vuol dire i piani alti delle case, rubati alla città araba, il cui nome invece, Al Khalil, vuol dire l’Amico, così come Haram el Khalil è la tomba dell’Amico, la cui supposta sepoltura verrà presto totalmente appropriata da una nazione che pare sempre più abissalmente precipitare verso lo stato tribale. L’Amico è Abramo, il padre delle genti. Di tutte le genti del libro.
Se a Gaza c’è il genocidio, nel resto della Palestina c’è la pulizia etnica, che è questo: questo stringersi inesorabile del cappio al collo di un impiccato, questo abbattersi implacabile dei martelli sui chiodi di un crocefisso. Mille morti ammazzati dall’esercito o dai coloni, 10.000 prigionieri di cui 3500 in detenzione amministrativa, senza formalizzazione di accusa e possibilità di difesa contro tortura e fame; 40.000 rifugiati sfollati, 30 comunità contadine espulse dalle loro valli, il progetto E 1 della grande area da ripulire a nord est di Gerusalemme, che lascerà il cuore della Palestina per sempre separato da ciò che ne resta – le sei città-prigione dove il futuro è abolito. E’ questo, che è successo qui dopo il 7 ottobre.