martedì 14 ottobre 2025

Cuba e Harlem - Nicolò Monti

Da: Nicolò Monti (Post del 3/10/2024) - Nicolò Monti - Nicolo-Monti già segretario nazionale della Federazione Giovanile Comunista Italiana (FGCI). 

Leggi anche: https://giuliochinappi.com/2020/09/26/fidel-castro-il-discorso-piu-lungo-nella-storia-dellonu-26-settembre-1960/


Era il Settembre del 1960, 9 mesi prima Fidel Castro entrava a L’Avana e portava la Rivoluzione a Cuba. Gli Stati Uniti fin da subito con Eisenhower si posero in netto contrasto, d’altronde Cuba per gli statunitensi era un’isola casinò, dove potevano fare ciò che volevano. Una vera e propria colonia. Non c’era ancora il Bloqueo, che sarebbe arrivato con Kennedy, ma il clima era di piena ostilità. Quando Fidel Castro con la sua delegazione raggiunse New York per partecipare all’assemblea ONU, che quell’anno verteva proprio sulla decolonizzazione, l’ostilità divenne realtà. 

Nessun albergatore della città voleva ospitare la delegazione cubana. Anche dopo l’intervento del Segretario Generale dell’ONU l’albergo che doveva ospitare la delegazione chiese in cambio una cauzione altissima. Fidel, furioso, promise di accamparsi con tutta la delegazione a Central Park. “Siamo gente di montagna, siamo abituati a dormire all’aria aperta” disse. Quando i cubani stavano realmente per andare nel cuore di Manhattan, arriva la proposta di Malcom X, il leader socialista nero rivoluzionario, di ospitare tutta la delegazione nel quartiere simbolo della comunità nera di New York. 

L’alloggio proposto era l’Hotel Theresa, nel cuore del quartiere. Nessun bianco aveva mai soggiornato nell’hotel, fino a quel momento. Fidel Castro non ci pensò due volte e accettò con entusiasmo la proposta di Malcom X. L’occasione di dare risalto alla nuova Cuba rivoluzionaria antirazzista e confrontare la rivoluzione con il segregazionismo statunitense era gigantesca. Fidel e Malcom si incontrarono la sera dell’arrivo della delegazione. Parlarono per ore della Rivoluzione, della lotta della comunità nera statunitense, del sostegno ai movimenti anticoloniali nel terzo mondo e di Patrice Lumumba. 

Per tutta la durata della permanenza della delegazione cubana, migliaia di persone di Harlem si sono radunate davanti l’Hotel Theresa per salutare Fidel e i rivoluzionari cubani. In quei giorni molti leader mondiali anticolonialisti e antimperialisti hanno raggiunto Harlem, confrontandosi direttamente con la popolazione. Tra di loro anche Nikita Kruscev. È considerato uno degli eventi più importanti della storia di Harlem, che in quei giorni divenne il centro del mondo. Un quartiere che in quegli anni era un vero e proprio ghetto, massacrato dalle leggi razziste statunitensi. Da quel giorno Harlem e Cuba sono indissolubilmente legate. 

lunedì 13 ottobre 2025

Ripartire dalla Flotilla per costruire un’Europa di pace e un’alternativa politica - Marcello Mustè

Da: https://www.strisciarossa.it - Marcello Mustè, Università di Roma Sapienza (Filosofia teoretica), è uno storico della filosofia e filosofo italiano. Marcello Mustè

Leggi anche: Da Labriola a Gramsci, quel marxismo che ha saputo essere originale. - Marcello Mustè  



Foto Marco Di Gianvito/ZUMA Press Wire/Shutterstock 

“Blocchiamo tutto”. È uno slogan ragionevole e pieno di significato. Solo pochi anni fa il mondo si è fermato per il diffondersi di una malattia globale, il Covid-19, che ha costretto la gran parte degli Stati ad assumere misure restrittive e la comunità scientifica a cercare e trovare, in tempi rapidissimi, rimedi efficaci per salvaguardare la vita e la salute degli uomini. Oggi è esploso un altro virus, di origine e natura diversa, ma più pericoloso e distruttivo dell’altro. Questo virus consiste nel ritorno generalizzato della guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali, con i programmi di riarmo e di creazione di nuovi e più micidiali ordigni nucleari che inevitabilmente ne seguono. Questa è la malattia che si sta propagando nel nostro tempo.

Il sintomo principale di questa patologia è lo svuotamento sistematico e programmatico degli organismi internazionali, a cominciare dall’Onu, come si è visto in maniera esemplare lo scorso 18 settembre, con l’abuso del potere di veto da parte degli Stati Uniti (l’ennesimo, cioè il sesto in meno di due anni) nel Consiglio di sicurezza sulla possibilità di un cessate il fuoco nella striscia di Gaza. Al disegno di eliminare l’efficacia degli istituti di regolazione internazionale (quelli vòlti alla pace e alla sicurezza, come le Nazioni Unite, e quelli economici), corrisponde il vuoto di egemonia delle “grandi potenze” e, in modo particolare, il declino dell’America, ormai incapace di governare i conflitti globali e regionali nel senso di una pur minima stabilità.

domenica 12 ottobre 2025

Il testo integrale dell’accordo firmato da Israele e Hamas per “porre fine alla guerra” a Gaza - Middle East Eye

Da: https://contropiano.org - Middle East Eye -

Middle East Eye ha ottenuto una copia dell’accordo firmato da Israele, Hamas e dai mediatori in Egitto per porre fine al genocidio di Gaza.

Il documento, che include le firme di diversi mediatori, tra cui l’inviato degli Stati Uniti Steve Witkoff, è intitolato “Passi di attuazione per la proposta del presidente Trump per una ‘fine completa della guerra di Gaza’”.

Descrive in dettaglio sei fasi dell’accordo, a partire dall’annuncio del presidente degli Stati Uniti Donald Trump che la guerra a Gaza è finita e che “le parti hanno concordato di attuare i passi necessari a tal fine”.

Il secondo passo afferma che “la guerra finirà immediatamente con l’approvazione del governo israeliano”. Il governo israeliano ha approvato giovedì la prima fase dell’accordo.

Il terzo passo richiede “l’inizio immediato del pieno ingresso di aiuti umanitari e soccorsi” nella Striscia di Gaza, mentre il quarto passo dice che l’esercito israeliano [IDF] “si ritirerà secondo le linee concordate secondo la mappa X allegata al presente documento, e questo sarà completato dopo l’annuncio del presidente Trump ed entro 24 ore dall’approvazione del governo israeliano.

“L’IDF non tornerà nelle aree da cui si è ritirato, fino a quando Hamas attuerà pienamente l’accordo”.

Nella quinta fase, che avrà luogo “entro 72 ore dal ritiro delle forze israeliane, tutti gli ostaggi israeliani, vivi e deceduti, detenuti a Gaza saranno rilasciati”.

Mentre la dichiarazione che tutti i prigionieri vivi e morti saranno rilasciati durante questo arco di 72 ore, una delle sottoclausole del quinto passo richiede “l’istituzione di un meccanismo di condivisione delle informazioni… su eventuali ostaggi deceduti che non sono stati recuperati entro le 72 ore o sui resti degli abitanti di Gaza detenuti da Israele.

“Il meccanismo deve garantire che i resti di tutti gli ostaggi siano riesumati e rilasciati in modo completo e sicuro. Hamas eserciterà il massimo sforzo per garantire l’adempimento di questi impegni il prima possibile”, aggiunge.

La sottoclausola successiva afferma che “man mano che Hamas rilascia tutti gli ostaggi, Israele rilascerà in parallelo il numero corrispondente di prigionieri palestinesi secondo le liste allegate”, seguita da un’altra sottoclausola che dichiara che “lo scambio di ostaggi e prigionieri avverrà secondo il meccanismo concordato attraverso i mediatori e attraverso il CICR senza alcuna cerimonia pubblica o copertura mediatica”.

L’ultimo passo elencato dice che “sarà formata una task force di rappresentanti di Stati Uniti, Qatar, Egitto, Turchia e altri paesi che sarà concordata dalle parti, per seguire l’attuazione con le due parti e coordinarsi con loro”.

Ecco il documento integrale:

sabato 11 ottobre 2025

La nuova governance mondiale parte dalla Cina - Michela Arricale

Da: Tracce Di Classe - Michela  Arricale avvocata di lotta dal 2012, esercita la libera professione in difesa dei diritti umani.
Ascolta anche Yesterday's Papers: La Flottilla sfida Israele, l'Italia trema di Michela Arricale https://grad-news.blogspot.com/2025/09/yesterdays-papers-la-flottilla-sfida.html


                                                                         

venerdì 10 ottobre 2025

Il Genocidio è fallito e Netanyahu ha perso - Raniero La Valle

Da: https://www.ilfattoquotidiano.it/.../il.../8154129 - Raniero La Valle - Raniero La Valle è un giornalista, politico e intellettuale italiano. 

Leggi anche: CONSIDERAZIONI SULL’ACCORDO PER IL CESSATE IL FUOCO - Alfredo Facchini - https://www.facebook.com/alfredo.facchini/posts 

ERA PREBELLICA? ALL'ARMI SIAM POLACCHI - Raniero La Valle 

Fino all’ultimo i ciecosionisti (li chiamiamo così perché il sionismo è una cosa più seria e anche più umana di quello che si è manifestato a Gaza) hanno mantenuto il punto che in questo caso non si sia trattato di un genocidio. Ancora domenica alla trasmissione In onda lo ha sostenuto Francesco Giubilei abusando della sofferenza di Liliana Segre, che nell’agosto scorso si era detta “straziata” per l’“abominio” in cui vedeva Israele “sprofondare”, ma si era opposta all’uso di questa parola per aiutare israeliani e palestinesi a non cadere “in quell’abisso”; per reazione a questo abuso, Francesca Albanese si è alzata ed è uscita dallo studio televisivo. 

È dunque opportuno giungere a una conclusione di questa altissima controversia, che non si può liquidare col qualunquistico argomento che non sarebbe importante dare un nome alle cose; e la domanda più pertinente, ora che, se tutto va come sembra promettere, c’è un arresto in questa corsa verso l’abisso, chiedersi come è andata a finire a Gaza. 

“Finire” è il termine sempre usato da Netanyahu per dire che non si sarebbe fermato per nessun motivo (neanche quello di non sacrificare gli ostaggi) prima di “finire il lavoro”. E ora invece deve fermarsi prima che “il lavoro” sia finito. Magari strapperà qualche brandello dei suoi obiettivi, ma non ciò che voleva. Dunque per lui è una micidiale sconfitta, perché per effetto del- l’ordine di Trump l’abominio da lui provocato diventa inutile, e il suo costo, per lui, per Israele e per lo stesso popolo ebraico, si rivela esorbitante. 

A questo punto, più che chiedersi se il genocidio c’è stato o no, è importante chiedersi come è andato a finire, cioè se è riuscito o no. Nella definizione di genocidio, formalizzata dal diritto positivo, ovvero dalla vigente Convenzione sul genocidio, ratificata da 153 Stati, si dà genocidio a due condizioni: che si distrugga in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso come tale; e che lo si faccia avendo “l’intenzione” di distruggerlo. 

Ebbene, quello che è accaduto a Gaza è che Netanyahu e il governo di Israele hanno effettivamente distrutto la popolazione di Gaza. “In parte” uccidendola, “in tutto” riducendo essa e la sua terra a un “non essere”. Ma sono stati battuti nell’intenzione di farla finita con la “questione palestinese”, cioè di distruggere il popolo palestinese “come tale”, ossia nella sua esistenza politica come popolo, sia che ciò voglia dire uno “Stato palestinese”, sia che, essendo questo Stato reso impossibile e per sempre escluso da Netanyahu, voglia dire una esistenza statuale con pieni diritti in uno Stato multinazionale democratico e pluralista. 

Perciò Netanyahu e la versione teocratica del “messianismo realizzato” sono stati sconfitti, mentre il popolo palestinese può di nuovo contare di vivere e di potere, sia pure con ulteriori patimenti e lotte, realizzare le sue speranze e acquisire i suoi diritti. 

E chi ha vinto? Secondo la cronaca, ha vinto Trump dettando la sua legge a Israele e minacciando i palestinesi. Ma, secondo la grande storia, hanno vinto la Flotilla, quanti si sono idealmente domiciliati a Gaza, a cominciare da Papa Francesco che lo faceva ogni sera abbracciandone per telefono il parroco, hanno vinto le folle che sono insorte in tutto il mondo per difendere la causa dei palestinesi e dell’umanità, hanno vinto i tre milioni di giovani e meno giovani che in Italia, in cento città, si sono “alzati dai divani” e “hanno gettato il corpo nella lotta”, come ha scritto Simonetta Sciandivasci l’altro giorno sulla Stampa. 

Ma si è rivista anche l’America che ci era consueta, che non poteva perdersi nel mostrare di sposare l’intenzione di distruggere “in tutto” un popolo negato e oppresso, lei che pretende di essere la luce dei popoli e il modello normativo della democrazia e dell’umanesimo universale. 

Per tutto questo, il genocidio non è riuscito. 

giovedì 9 ottobre 2025

Trump e Netanyahu: Inganno e Follia Nucleare - Scott Ritter

Da: frontezero - Scott Ritter è un ex ufficiale dell’intelligence del Corpo dei Marines degli Stati Uniti che ha prestato servizio nell’ex Unione Sovietica applicando i trattati sul controllo degli armamenti, nel Golfo Persico durante l’operazione Desert Storm e in Iraq supervisionando la disattivazione delle armi di distruzione di massa. Il suo libro più recente è Il disarmo al tempo della perestrojka, pubblicato da Clarity Press. Scott Ritter 


Scott Ritter spiega perché il piano di pace di Trump e Netanyahu è solo un inganno e come la vera minaccia riguardi la scelta degli Stati Uniti di ignorare l’offerta di Vladimir Putin di estendere il trattato New START. Mentre si parla di cessate il fuoco, in realtà cresce il rischio di una nuova corsa agli armamenti nucleari che potrebbe riportare USA e Russia sull’orlo di uno scontro atomico.

                                                                         

mercoledì 8 ottobre 2025

Il sionismo è arrivato al capolinea - Ilan Pappé

Da: https://lespresso.it -  Ilan Pappé è docente presso l’Università di Exeter ed è stato senior lecturer di scienze politiche presso l’Università di Haifa. È l’autore de “La Pulizia etnica della Palestina” e “Dieci Miti su Israele”. Pappé è definito come uno dei “nuovi storici” che, dopo la pubblicazione di documenti britannici e israeliani a partire dai primi anni ‘80, hanno riscritto la storia della fondazione di Israele nel 1948. 

Leggi anche: Il sionismo ideologia razzista di un movimento coloniale - Ilan Pappé 

Vedi anche: Brevissima storia del conflitto tra Israele e Palestina - ILAN PAPPÉ  

“La brutalità di Israele è il segno della sua fine” - Ilan Pappé 


«In inglese è Israel on the brick. Un titolo efficace. Quando parlo della fine di Israele non parlo della sua fine come Stato, ma come regime. Qualsiasi regime può essere sostituito. È successo in Sudafrica, con quello dell’apartheid; è accaduto in Iran nel 1979 con lo scià. Ecco: io credo che il regime del sionismo in Israele sia giunto al termine». 



Lo storico israeliano parla di regime agli sgoccioli. E nel suo ultimo libro confuta l’idea di “due popoli, due Stati”. Allo stato attuale solo “una diversa forma di occupazione”

 

È un’occasione davvero rara incontrare Ilan Pappé (Haifa, 1954), docente di Storia del Medio Oriente all’università di Exeter, Gran Bretagna, condirettore del Centro europeo per gli studi sulla Palestina, apprezzato scrittore israeliano, autore di una dozzina di libri tradotti in tutto il mondo. Fa parte della Nuova storiografia israeliana: un filone di studi che punta a ricostruire, sulla base di documenti ufficiali e ufficiosi, tutti gli eventi che hanno portato dall’inizio del secolo scorso all’attuale tragedia di Gaza. Non è amato nel suo Paese. Si è fatto molti nemici tra le autorità ufficiali. È una voce dissonante. In questo momento di forti divisioni, di crimini di guerra gravissimi compiuti da Israele con l’accusa di genocidio, è l’unico in grado di raccontare una verità diversa dalla narrazione ufficiale. Si potrà dissentire o condividere quanto sostiene. Resta un prezioso testimone di quanto accade nel suo Paese da dove è appena rientrato. Lo incontriamo di passaggio a Mantova in occasione del Festival della Letteratura dove ci anticipa il suo nuovo libro “La fine di Israele” in uscita per Fazi il prossimo 7 ottobre, il giorno in cui ricorre il pogrom di Hamas nel 2023.

 

Lei racconta della presenza in Israele di uno scontro tra l’anima laica e quella religiosa. Tra quelli che chiama lo Stato di Giudea e lo Stato di Israele.

 

«Negli ultimi 20 anni si è imposta in Israele una visione molto marcata tra due anime ebraiche che hanno poco in comune. L’unica cosa che le unisce è un nemico: i palestinesi. Ma al di là di questo aspetto hanno una visione diversa, direi opposta, della società. La parte che per anni ha dominato è quella che possiamo chiamare la sinistra, i sionisti liberali. I quali restano comunque razzisti nei confronti dei palestinesi ma puntano a un Paese moderno che si ispiri all’Occidente. C’è poi un’altra ideologia che pensa che ci sia spazio in quella terra solo per gli ebrei».


Oggi prevale quest’ultima?

martedì 7 ottobre 2025

Lavrov all’ONU: “Vogliono la guerra totale” | Conferenza stampa integrale

Da: frontezeroSergej Viktorovič Lavrov è un diplomatico e politico russo, attuale Ministro degli affari esteri della Russia. È attualmente il secondo ministro degli esteri al mondo per permanenza in carica.


Conferenza stampa integrale di Sergey Lavrov del 27 settembre 2025 a margine della settimana di alto livello dell’Assemblea Generale ONU. Il Ministro degli Esteri russo risponde a domande su Ucraina, Gaza, Iran, multipolarismo e ruolo delle Nazioni Unite.

                                                                         

lunedì 6 ottobre 2025

Il capitale di Marx oggi - Roberto Fineschi

Da: Materialismo Storico, n° 1/2025 (vol. XVIII) – E-ISSN 2531-9582 -  https://marxdialecticalstudies.blogspot.com - 

Roberto Fineschi (https://it.wikipedia.org/wiki/Roberto_Fineschi) è docente alla Siena School for Liberal Arts. Ha studiato filosofia e teoria economica a Siena, Berlino e Palermo. Fra le sue pubblicazioni: Marx e Hegel (Roma 2006), Un nuovo Marx (Roma 2008) e il profilo introduttivo Marx (Brescia 2021). È membro del comitato scientifico dell’edizione italiana delle Opere complete di Marx ed Engels, dell’International Symposium on Marxian Theory e della Internationale Gesellschaft Marx-Hegel für dialektisches Denken. (http://marxdialecticalstudies.blogspot.com - https://www.facebook.com/roberto.fineschi - Marx. Dialectical Studies - laboratoriocritico.org!). - 

Vedi anche: "MARX e HEGEL Fondamenti per una rilettura" - Roberto Fineschi 

Leggi anche: Il «nuovo» Capitale: una teoria in costruzione - Sebastiano Taccola  

L’attualità del Capitale, liberato dalle secche di interpretazioni superate - Ascanio Bernardeschi intervista Roberto Fineschi 


Buonasera a tutti. Grazie al prof. Azzarà per aver organizzato questo evento e a tutti i colleghi che si sono resi disponibili per venire a discuterne. Estendo i ringraziamenti ai presenti per la loro partecipazione. 

Iniziamo dal feticcio: il libro è editorialmente bellissimo, arricchito da stampe di dipinti otto-novecenteschi sulla storia del lavoro. Una prima nota da mettere in evidenza è che il volume è uscito nei Millenni di Einaudi, vale a dire un classico che resiste al tempo e che dura nei secoli. Qualcuno potrebbe interpretarla come una sorta di imbalsamazione, il bel monumento... ai caduti. Invece, almeno per i contatti che ho avuto io con la casa editrice, mi è parso che ci fosse l’idea di un contenuto politico,di politica culturale. Come se ci fosse una sorta di malessere anche all’interno della cultura ufficiale “borghese” nei confronti delle teorie predominanti. Probabilmente anche una borghesia diciamo moderatamente progressista e di vedute più ampie si rende conto che certi paradigmi mainstream, ahimè spiegano sempre meno e che quindi una strumentazione che parta da un paradigma diverso, anche senza volerlo abbracciare ovviamente in toto, può essere presa in considerazione; forse certe categorie non sono da buttar via. C’era anche una dimensione culturale, di politica culturale, per dare degli spunti contenutistici anche a un possibile movimento progressista in senso lato. 

Veniamo più concretamente all’edizione. Innanzitutto è una ritraduzione completa, non solo mia; diamo onore ai miei collaboratori che sono Stefano Breda, Gabriele Schimmenti e Giovanni Sgro’. Abbiamo diviso in quattro eque parti e poi chiaramente è stato rimesso insieme, omogeneizzato dal sottoscritto. 

domenica 5 ottobre 2025

"Il revisionismo storico. Problemi e miti" - Domenico Losurdo

Da: osservatorio filosofico - Domenico Losurdo (Sannicandro di Bari, 14 novembre 1941 – Ancona, 28 giugno 2018) è stato un filosofo, saggista e storico italiano. - http://domenicolosurdo.blogspot.com 


"Il revisionismo storico. Problemi e miti", di Domenico Losurdo. Un testo che, con una mole impressionante di aneddoti e riferimenti, spiega ampiamente come e perché a scrivere la Storia sono sempre quelli che vincono. 

                      

sabato 4 ottobre 2025

Intervento di Susan Abulhawa al dibattito della Oxford Union* -

Da: https://www.assopacepalestina.org - https://www.anbamed.it - Susan Abulhawa è una scienziata, scrittrice e attivista palestinese-americana. Il suo primo romanzo, Ogni Mattina a Jenin, è stato tradotto in 32 lingue e ha venduto più di un milione di copie.

Vedi anche: Chi è Susan Abulhawa https://www.anbamed.it/2025/01/01/intervista-a-susan-abu-alhawa 
Leggi anche: “A Gaza l’imperatore è nudo, la sua malevolenza è chiara. Chi tace è complice” - Maria Tavernini e Alessandro Di Rienzo

Per ascoltare il discorso in inglese: 
Susan Abulhawa | This House Believes Israel is an Apartheid State Responsible for Genocide https://www.youtube.com/watch?v=2ZCWCGebAuU 

Non risponderò alle domande finché non avrò finito di parlare, quindi, per favore, astenetevi dall’interrompermi.

Al Congresso Mondiale Sionista del 1921 Chaim Weizman, un ebreo russo, in merito al problema di cosa fare degli abitanti indigeni del territorio, disse che i palestinesi erano simili alle “rocce della Giudea, ostacoli che devono essere eliminati come su un difficile sentiero”.

David Gruen, un ebreo polacco che cambiò il suo nome in David Ben Gurion per sembrare appartenere alla regione disse: “Dobbiamo espellere gli arabi e prendere il loro posto”.

Ci sono migliaia di conversazioni di questo tipo tra i primi sionisti che pianificarono e attuarono la colonizzazione violenta della Palestina e l’annientamento del suo popolo nativo. Ma ci riuscirono solo in parte, assassinando o epurando etnicamente l’80% dei palestinesi, il che significa che il 20% di noi è rimasto, un ostacolo resistente alle loro fantasie coloniali che divenne oggetto delle loro ossessioni nei decenni successivi, soprattutto dopo aver conquistato ciò che restava della Palestina nel 1967.

I sionisti si lamentano della nostra presenza e dibattono pubblicamente in tutti i circoli (politici, accademici, sociali, culturali) cosa fare di noi, cosa fare del tasso di natalità palestinese, dei nostri bambini che loro definiscono una minaccia demografica.

Benny Morris, che originariamente avrebbe dovuto essere qui, una volta espresse rammarico per il fatto che Ben Gurion “non avesse finito il lavoro” di sbarazzarsi di tutti noi, il che avrebbe evitato quello che loro chiamano il “problema arabo”. Benjamin Netanyahu, un ebreo polacco il cui vero nome è Benjamin Mileikowsky, una volta si lamentò dell’occasione mancata, durante la rivolta di piazza Tienanmen del 1989, di espellere ampie fasce della popolazione palestinese “mentre l’attenzione mondiale era concentrata sulla Cina”.

Alcune delle loro argomentate soluzioni per il fastidio provocato dalla nostra esistenza includono la politica di “rompergli le ossa” negli anni ’80 e ’90, ordinata da Yitzhak Rubitzov, ebreo ucraino che cambiò il suo nome in Yitzhak Rabin (per le stesse ragioni).

Quella politica orribile che ha reso disabili generazioni di palestinesi non è riuscita a farci andare via. E, frustrati dalla resilienza palestinese, è emerso un nuovo discorso, soprattutto dopo che un enorme giacimento di gas naturale è stato scoperto al largo della costa settentrionale di Gaza del valore di trilioni di dollari.

venerdì 3 ottobre 2025

Operazione Bluemoon - Eroina di Stato -

Da: vincitorige - 

Documento della Rai sull'operazione Bluemoon. Nel periodo più duro dello scontro di classe avvenuto negli anni 70, nelle piazze italiane fa la sua comparsa un nuovo tipo di droga "L'eroina". Un mare che avanza inesorabilmente, propagandato e pubblicizzato come atto liberatorio di fatto inghiotte e fagocita le coscienze e l'azione di migliaia di giovani militanti dell'autonomia (dopo il 77 il mare divenne un oceano) arrivando lì dove il bastone dello stato borghese non poteva colpire.

                                                                            

La storia riguardo le motivazioni è abbastanza veritiera. Il fatto che i giovani dei primi anni '70 come me, credessero che la mariuhana (che poi era l'hashish che girava, l'erba era troppo leggera ed ingombrante da trasportare attraverso le frontiere) fosse la "droga" più pericolosa in assoluto, è un'emerita stronzata. Lo sapevamo benissimo che l'hashish non provocava dipendenza. I fatti si sono svolti diversamente. Nei primi anni '70 Roma era piena di fumo di tutti i colori, odori e provenienze. Già allora fumava molta gente che si riforniva in diversi bar, muretti, parchi. Improvvisamente un "bel" giorno il fumo scomparve. Andavamo in giro a chiedere fumo e tutti ci dicevano la stessa cosa: "Il fumo non c'è, c'è solo eroina". Non è neanche vero che non si sapesse niente dell'eroina, perchè dall'America erano arrivate le notizie di cosa provocava. Solo che erano voci che si spargevano a livello di passaparola. Perchè penso che questa "operazione blue moon" era allo studio già da un po', quindi i media non ne parlavano proprio. Quando la provai per la prima volta, ero consapevole che non era una cosa da fare in modo continuato come il fumo. Quello che non sapevo e non sapevano molti altri, era che una volta che l'avevi assaggiata, sarebbe stato molto difficile, anzi, diciamo pure quasi impossibile, non ripetere l'esperienza. Per poco più di un mese non successe niente. La compravo perchè mi piaceva. Non perchè il mio corpo ne avesse bisogno. Poi sono cominciati i fastidi: sbadigli e lacrimazione incontrollabili, mal di schiena, le gambe che non ti sostenevano, i muscoli incordati, l'ansia alle stelle e la mente che non riusciva a pensare ad altro. Non me la sono mai presa più di tanto per quello che ci avevano fatto. Eravamo la prima generazione scolarizzata di massa. Conoscevamo la Costituzione, i nostri diritti e li reclamavamo a brutto muso. Se guardo la cosa coi loro occhi, la sola cosa che potevano fare era distruggerci psicologicamente e fisicamente. Si parlava nelle prime radio private, nelle piazze e nei cortei ed eravamo credibili perchè parlavamo Costituzione alla mano. Non avrebbero potuto in nessun modo screditarci politicamente. Eravamo pericolosi per il sistema. Si sono studiati una bella trappola a tavolino e noi ci abbiamo infilato dentro tutti e due i piedi. Purtroppo la cosa brutta è stata che l'eroina non è un arma da cecchini, ma un'arma di distruzione di massa. Ci sono caduti e ci sono morti un sacco di giovani che con la politica non avevano niente a che fare. Ma loro ci avevano visto giusto, perchè tra quelli che non ci sono cascati, parecchi poco tempo dopo hanno dichiarato guerra armata allo stato. Se non ci fossimo caduti in tanti quell'esercito contro lo stato sarebbe stato molto più numeroso. Certo non li giustifico, ma nemmeno riesco ad odiarli, perchè ci hanno visto più lontano di noi. Poi non era nemmeno impossibile scoprire dove sarebbero andati a parare. Si sapeva cosa era successo negli USA, non serviva la sfera di cristallo per scoprire che stavano facendo la stessa cosa qui. Era una guerra e purtroppo le guerre pulite non esistono. 

giovedì 2 ottobre 2025

Dallo sciopero al fronte di lotta internazionale - Alessandra Ciattini

Da: https://futurasocieta.com - Alessandra Ciattini (Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni - Membro del Coordinamento Nazionale del Movimento per la Rinascita Comunista) ha insegnato Antropologia culturale alla Sapienza di Roma. E' docente presso l'Università Popolare Antonio Gramsci (https://www.unigramsci.it). 

L’atroce genocidio dei palestinesi ha suscitato negli ultimi tempi numerose manifestazioni in tutte le parti del mondo, compresa l’Italia. Ha anche spinto molti capi di Stato nella recente Assemblea generale delle Nazioni Unite ad attaccare la folle politica dello Stato sionista e l’appoggio fornito a esso dagli Usa, che hanno bloccato qualsiasi possibilità di intervento umanitario volto a poner termine all’eccidio. L’aspetto importante di queste proteste sta nel fatto che, accanto all’assoluto sostegno al popolo palestinese, sono apparse anche rivendicazioni di carattere politico e sociale, che mostrano come stia divenendo sempre più chiaro il legame tra la politica bellicista del blocco euroatlantico e l’austerità fascista che si vuole imporre ai lavoratori del mondo. 


Le numerose manifestazioni contro l’atroce genocidio perpetrato in Palestina, che si sono svolte in molte città italiane lo scorso 22 settembre con la partecipazione di lavoratori, famiglie, giovani, bambini, indette dall’Usb, dai sindacati di base e da altre organizzazioni radicali, hanno riunito circa un milione di persone. Un evento che è stato da molti definito storico, caratterizzato da uno sciopero generale e dai blocchi ai porti di Genova, Salerno, Marghera, Livorno, delle stazioni di Napoli, Milano e Roma e di alcune tangenziali senza suscitare le disapprovazione degli automobilisti che sono rimasti in coda. Molti esultano affermando che la rassegnazione, il sentimento di impotenza delle masse sono finalmente finiti e che ora probabilmente comincia un’altra fase, non solo in Italia come vedremo, che riporterà – ci auguriamo – i lavoratori al centro dell’iniziativa politica non solo contro quello che sta avvenendo a Gaza, ma anche contro la guerra in tutte le sue forme e contro tutte quelle politiche antipopolari che sono la diretta conseguenza delle folli scelte belliciste degli Usa e del suo vile e corrotto sottoposto: l’Unione Europea.

L’evento era stato preceduto da una serie di altre proteste, che non hanno avuto la stessa affluenza, tra cui la mobilitazione indetta dalla Cgil insieme a uno sciopero di 4 ore dei lavoratori, con un presidio a Roma davanti a Montecitorio. Naturalmente, in questo momento così difficile e pericoloso (per alcuni saremmo già entrati nella Terza guerra mondiale) la celebrazione di due manifestazioni distinte, dovute al fatto che la cosiddetta sinistra (Pd e company), deve sempre difendere la sua immagine moderata e mite, costituisce un controsenso e anche un’espressione di vigliaccheria da parte di questo settore che suscita sempre meno interesse in gran parte della popolazione. Tuttavia, molti di quelli che continuano a essere legati a queste organizzazioni sono scesi in piazza il 22 settembre, esprimendo la volontà di una presa di posizione forte contro il genocida Israele e a difesa della Global Sumud Flotilla, che sta tentando di portare aiuti allo stremato popolo di Gaza. 

mercoledì 1 ottobre 2025

La sparizione della Palestina: cos’è la pulizia etnica in Cisgiordania - Roberta De Monticelli

Da: https://www.phenomenologylab.eu - Roberta De Monticelli è una filosofa italiana. Ha insegnato filosofia del linguaggio all'Università di Pisa e alla Università degli Studi di Milano. Ha poi insegnato dal 1989 al 2004 Filosofia moderna e contemporanea all'Università di Ginevra
Vedi anche: Libertà del volere: un'illusione antica? - Roberta De Monticelli 


 Questo pezzo, uscito il 24 settembre 2025 sul “manifesto” e ripreso sul sito di Assopace Palestina non è che una prima sintesi del viaggio che sotto la guida di Luisa Morgantini, anima viva della Palestina resistente nonviolenta, e con l’organizzazione – miracolosa, di questti tempi – di Assopace Palestina ha visto una quarantina e più di persone delle più varie età e provenienze – e fra loro molti giornalisti – attraversare in lungo e in largo per oltre 10 giorni quello che resta della Cisgiordania, di Gerusalemme est, e di alcune città un tempo a prevalenza araba inglobate nello Stato di Israele. Molto ancora verrà dai report dei partecipanti. Ho scelto a simbolo di questo viaggio  La zona d’ombra che vela il cerchio di pietre intorno al sangue di Awdi, leader e resistente nonviolento della piccola comunità di Umm Al Kheir, apparentemente condannata dalle ruspe dei coloni  che avanzano implacabili (si sentiva il loro rumore sullo sfondo). A pochi metri da lì abbiamo visto l’assassino aggirarsi impunemente, col suo mitra a tracolla. E’ come il seguito del film No Other Land, che proprio in quell’area, Masafer Yatta, si svolge. 


E’ già sulle pagine dell’Economist. Mentre anche alcuni stati d’Europa si apprestano a riconoscere lo stato di Palestina, la Palestina sta sparendo, sotto i nostri occhi. La lunga, lunghissima sosta che ai veicoli provenienti da Gerico viene imposta dalla polizia israeliana di frontiera al valico di Allenby ci lascia il tempo di sfogliare la stampa internazionale. Certo, è in crude parole il senso più comunicabile di questo viaggio nel basso inferno, che ancora una volta Assopace Palestina e la sua anima illuminata, Luisa Morgantini, ha permesso di fare a chi ha fame e sete di conoscenza, ancora prima che di giustizia.

La Palestina sta sparendo – è la sola certezza sopravvissuta a  questa decina di giorni di traversata del dolore, dell’umiliazione, dell’angustia estrema che provoca  il cappio inesorabile di muri e cancelli e violenza bruta, stretto intorno al collo magrissimo della Cisgiordania. Che ti pare di respirare a fatica, di sentirlo intorno al tuo collo, quel cappio. Il cappio della pulizia etnica, che è rubare terra, demolire case, gettare cemento nei pozzi, affamare i dipendenti delle amministrazione sempre più stracciate delle aree A, fino a che  non amministrino più che miseria, sporco e disperazione. Perché l’annessione è questo: prendersi la terra, l’acqua e ogni risorsa, appropriarsi perfino delle ricette tradizionali palestinesi, dopo aver ridotto a quasi nulla le risorse dell’UNRWA la United Nations Relief and Works Agency for Palestine, cioè dell’ultimo resto di quella che fu l’umanità comune e la nostra solidarietà, con un sistema di scuole che aveva reso la Palestina il più alfabetizzato dei Paesi arabi e certo anche di molti paesi occidentali. E’ rapinare le terre dove c’è memoria dei millenni umani, a costo di farne falsi, ridicoli trofei al mito di Sion, come le mura di Gerico crollate al suono dello shofar, quasi voleste metter sotto teche nazional-tribali le piume degli angeli, o mettere nelle bottigliette dei turisti la Ruah, il soffio di Gerusalemme. E’ sradicare ulivi e ammazzare bestiame, è distruggere scuole e teatri, è uccidere: per annettere la Palestina, non i palestinesi. Quelli vanno ormai esplicitamente, senza vergogna, chiusi nei ghetti sempre più stretti, sorvegliati, chiusi, delle loro città.

Ci scorrono nella mente le immagini delle  città palestinesi  che abbiamo attraversato – Gerico l’antichissima, Betlemme inginocchiata sulla sua mangiatoia vuota, deserta di turisti, Gerusalemme Est nel cappio dei sequestri di case e proprietà palestinesi a Jeikh Sharrah, Ramallah che pulsa intorno al grande cuore di Fadwa Bargouti, moglie e avvocata di Marwan Bargouti – quello che chiamano il Nelson Mandela palestinese, che da oltre vent’anni è nelle carceri israeliane. Quello che un torvo gaglioffo chiamato Ben Gvir, che oggi rappresenta lo stato di Israele si è permesso poche settimane fa di andare vigliaccamente, con un suo manipolo di manigoldi, a minacciare a favore di telecamere fin dentro la sua prigione di tortura e fame.

E poi Jenin, Jenin e la meravigliosa avventura del Freedom Theatre, oh guardatevi almeno le sue origini, che sono le origini stesse della tragedia israelo-palestinese, nel film Arna’s Children, girato dal suo fondatore Juliano Mer Khamisun omaggio a sua madre o forse alla sua terra. E Nablus e il campo di Balata, e Tulkarem – la triade dei campi profughi svuotati, oltre quarantamila negli ultimi due anni. E Hebron, naturalmente, questa metafora del male che si insedia in alto, come gli avamposti dei coloni cresciuti a dismisura in questi due anni, e avvelena e isterilisce e insozza tutto ciò che tocca, ma a Hebron l’alto vuol dire i piani alti delle case, rubati alla città araba, il cui nome invece, Al Khalil, vuol dire l’Amico, così come Haram el Khalil è la tomba dell’Amico, la cui supposta sepoltura verrà presto totalmente appropriata da una nazione che pare sempre più abissalmente precipitare verso lo stato tribale. L’Amico è Abramo, il padre delle genti. Di tutte le genti del libro.

Se a Gaza c’è il genocidio, nel resto della Palestina c’è la pulizia etnica, che è questo: questo stringersi inesorabile del cappio al collo di un impiccato, questo abbattersi implacabile dei martelli sui chiodi di un crocefisso. Mille morti ammazzati dall’esercito o dai coloni, 10.000 prigionieri di cui 3500 in detenzione amministrativa, senza formalizzazione di accusa e possibilità di difesa contro tortura e fame; 40.000 rifugiati sfollati, 30 comunità contadine espulse dalle loro valli, il progetto E 1 della grande area da ripulire a nord est di Gerusalemme, che lascerà il cuore della Palestina per sempre separato da ciò che ne resta – le sei città-prigione dove il futuro è abolito. E’ questo, che è successo qui dopo il 7 ottobre.

martedì 30 settembre 2025

LORO TRUMP, NOI LULA

 Da: Maurizio Acerbo - 



Da leggere il discorso del Presidente del Brasile Lula - che ha riconosciuto lo Stato di Palestina 15 anni fa! - all'apertura del dibattito generale dell'80ª Assemblea generale delle Nazioni Unite (New York, 23 settembre 2025). Il compagno Lula ha criticato gli USA, difeso la Palestina, condannato la guerra a Gaza e in Ucraina, reso omaggio a José Pepe Mujica e Papa Francesco. Eccovi l'intero testo tradotto. Merita una lettura attenta. (M. Acerbo) 



Signora Presidente dell'Assemblea Generale, Annalena Baerbock,
Signor Segretario Generale António Guterres,
Cari Capi di Stato e di Governo e rappresentanti degli Stati membri qui riuniti.
Questo dovrebbe essere il momento di celebrare le Nazioni Unite.
Creata alla fine della guerra, l'ONU simboleggia la massima espressione dell'aspirazione alla pace e alla prosperità.
Oggi, tuttavia, gli ideali che ispirarono i suoi fondatori a San Francisco sono minacciati, come mai prima nella loro storia.
Il multilateralismo si trova a un nuovo bivio.
L'autorità di questa organizzazione è tenuta in ostaggio.
Stiamo assistendo al consolidamento di un ordine internazionale caratterizzato da ripetute concessioni alla politica di potenza.
Gli attacchi alla sovranità, le sanzioni arbitrarie e gli interventi unilaterali stanno diventando la regola.
Esiste un chiaro parallelismo tra la crisi del multilateralismo e l'indebolimento della democrazia.
L'autoritarismo si rafforza quando non riusciamo ad agire di fronte ad atti arbitrari.
Quando la società internazionale vacilla nel difendere la pace, la sovranità e lo stato di diritto, le conseguenze sono tragiche.
In tutto il mondo, le forze antidemocratiche cercano di soggiogare le istituzioni e soffocare le libertà.
Adorano la violenza, lodano l'ignoranza, agiscono come milizie fisiche e digitali e limitano la stampa.
Anche sotto un attacco senza precedenti, il Brasile ha scelto di resistere e di difendere la sua democrazia, riconquistata quarant'anni fa dal suo popolo, dopo due decenni di governi dittatoriali.
Non vi è alcuna giustificazione per misure unilaterali e arbitrarie contro le nostre istituzioni e la nostra economia.
L'aggressione all'indipendenza del potere giudiziario è inaccettabile.
Questa ingerenza negli affari interni è favorita da un'estrema destra sottomessa, nostalgica delle egemonie del passato.
Falsi patrioti pianificano e promuovono pubblicamente azioni contro il Brasile.
La pace non può essere raggiunta impunemente.

lunedì 29 settembre 2025

Russia e Polonia si spartiranno l’Ucraina? Scott Ritter spiega lo scenario

Da: frontezero - Scott Ritter è un ex ufficiale dell’intelligence del Corpo dei Marines degli Stati Uniti che ha prestato servizio nell’ex Unione Sovietica applicando i trattati sul controllo degli armamenti, nel Golfo Persico durante l’operazione Desert Storm e in Iraq supervisionando la disattivazione delle armi di distruzione di massa. Il suo libro più recente è Il disarmo al tempo della perestrojka, pubblicato da Clarity Press.

In questa intervista del 17 settembre 2025, l’analista militare ed ex ispettore ONU Scott Ritter risponde alle domande del professore Glenn Diesen sulle tensioni tra NATO, Russia e Polonia. Secondo Ritter, la guerra in Ucraina sta entrando in una fase decisiva: con l’esercito ucraino allo stremo e milioni di perdite, l’ipotesi di una spartizione del paese tra Mosca e Varsavia non è più fantapolitica, ma uno scenario concreto. 

Si parla delle esercitazioni Zapad 2025, del ruolo della Polonia e dei suoi 40.000 soldati al confine, del possibile “assorbimento” dell’Ucraina occidentale e delle reali capacità militari della NATO. Ritter sottolinea come gli Stati Uniti si stiano progressivamente “disconnettendo” dal conflitto, lasciando l’Europa a fronteggiare le conseguenze. 

                                                                           

domenica 28 settembre 2025

La politica contraddittoria degli Usa e dell’Ue verso la Russia - Alessandra Ciattini

Da: https://futurasocieta.com - Alessandra Ciattini (Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni - Membro del Coordinamento Nazionale del Movimento per la Rinascita Comunista) ha insegnato Antropologia culturale alla Sapienza di Roma.  E' docente presso l'Università Popolare Antonio Gramsci (https://www.unigramsci.it). 

Usa e Ue condannano la Russia di Putin e minacciano di piegarla, riducendola in miseria. Purtroppo per loro, la realtà fattuale e gli stessi meccanismi del sistema economico dominante impediscono l’effettiva rottura con il paese euroasiatico, straordinariamente ricco di risorse. Inoltre, se questo avvenisse, per l’Europa, vaso di coccio tra vasi di ferro, sarebbe il disastro che già si sta delineando.

Il passato 28 agosto è uscito un interessante articolo sulla CNN, a firma di Laurent Kent, sul commercio tra Usa ed Europa da un lato, e Federazione Russa dall’altro, che nonostante vari anni di guerra, continua imperterrito e ammonta a svariati miliardi di dollari. Naturalmente, non avendo sbocchi al mare, né Ungheria né Slovacchia possono fare a meno del petrolio russo, che arriva loro attraverso l’oleodotto via terra Druzhba (Amicizia), bombardato in varie occasioni da Zelensky, e, pertanto, restano nel 2025 i maggiori importatori di questa risorsa energetica.

Come è noto, il grande Trump ha raddoppiato i dazi all’India, portandoli  al 50%, con lo scopo dichiarato di castigare il paese asiatico per aver sostenuto la Russia nella guerra in Ucraina, mantenendo in piedi questa per lei vantaggiosa relazione commerciale. Da parte sua, l’India ha correttamente sostenuto di essere stata ingiustamente punita, dal momento che molti altri paesi continuano a commerciare tranquillamente con il paese di Putin, dichiarando che avrebbe varato “dazi secondari”. Dopo aver banchettato nel castello di Windsor con i soliti straricchi, Trump è tornato a invitare gli europei a smettere di comprare il petrolio e il gas russi e a sanzionare chi li compra, ossia soprattutto Cina e India, con le quali l’Ue non può assolutamente non mantenere convenienti relazioni commerciali. A suo parere, solo in quel momento il prezzo del greggio si abbasserebbe e Putin sarebbe costretto a desistere della sua politica aggressiva contro l’Ucraina. Utilizzando esplicitamente il ricatto, ha dichiarato che non metterà altre sanzioni alla Russia, con cui probabilmente in Alaska ha prefigurato nuovi progetti commerciali ed economici e da cui vorrebbe essere nella sua immaginazione aiutato per confrontarsi con il suo principale nemico, se gli europei non faranno altrettanto con la Russia e con i paesi che a suo parere la sostengono. Sempre inginocchiandosi religiosamente, l’Ue ha annunciato il diciannovesimo pacchetto di sanzioni, spergiurando che nel 2027 cesserà di acquistare le risorse energetiche dal paese euroasiatico.

sabato 27 settembre 2025

La guerra del Peloponneso e quelle di oggi. - Luciano Canfora

Da: Il Fatto Quotidiano - Luciano Canfora, filologo, storico, saggista, professore emerito dell’Università di Bari, membro del Consiglio scientifico dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana e direttore della rivista Quaderni di Storia, Dedalo Edizioni. (Luciano Canfora Podcast
Ascolta anche: Luciano Canfora — Il falso mito dell'Occidente https://www.youtube.com/watch?v=-O67CJIrZNY (Inedito, 2025)

                                                                         

venerdì 26 settembre 2025

Moneta e memoria - Giorgio Agamben

 Da: https://www.quodlibet.it - Giorgio Agamben è un filosofo italiano. Ha scritto diverse opere che spaziano dall'estetica alla filosofia politica, dalla linguistica alla storia dei concetti, proponendo interpretazioni originali di categorie come forma di vita, homo sacer, stato di eccezione e biopolitica. La sua opera è studiata in tutto il mondo.

Leggi anche: "Il vecchio e il nuovo" - Giorgio Agamben

Semiotica e Moneta*- Carlo Sini 

L'uomo e il denaro*- Carlo Sini 

Del denaro. I mezzi e i fini - Remo Bodei 

Moneta, il termine latino dal quale il nostro deriva, viene da moneo, «ricordare, pensare» ed era in origine la traduzione del greco Mnemosyne, che significa «memoria». Moneta divenne così a Roma il nome del tempio in cui si celebrava la dea memoria e si coniava la moneta. È a partire da questo nesso etimologico fra la moneta e la memoria che si dovrebbe guardare al riaccendersi oggi delle discussioni sull’abolizione della moneta unica europea e del recupero di ogni paese della propria moneta tradizionale. Sotto l’urgente questione «monetaria» agisce una non meno urgente questione di memoria, cioè nulla di meno che la riscoperta della memoria propria di ciascuno dei paesi europei che, abdicando alla sovranità sulla propria moneta, hanno senza accorgersene in qualche modo abrogato anche il proprio patrimonio di ricordi.

Se la moneta è innanzitutto il luogo della memoria, se nella moneta, in quanto può pagare per tutto e stare al posto di tutto, ne va per il singolo e per la collettività del ricordo del passato e dei morti, non sorprende allora che nella rottura del rapporto fra passato e presente che definisce il nostro tempo emerga con inaggirabile urgenza il problema monetario. Quando un illustre economista dichiara che il solo modo che la Francia (come forse ogni paese europeo) ha di uscire dalla sua crisi è di riacquistare l’autorità sulla propria moneta, egli sta in realtà suggerendo a quel paese di ritrovare il rapporto con la propria memoria. La crisi della comunità europea e della sua moneta che è ormai alle porte è una crisi della memoria e la memoria – è bene non dimenticarlo – è per ogni paese un luogo eminentemente politico. Non c’è politica senza memoria, ma una memoria europea è altrettanto inconsistente della sua moneta unica. 

23 settembre 2025

giovedì 25 settembre 2025

“La brutalità di Israele è il segno della sua fine” - Ilan Pappé

Da: frontezero - Video originale BreakTrough News  • Is Zionism Collapsing? w/ Historian Ilan P... - Traduzione e doppiaggio a cura di Frontezero
Ilan Pappé è docente presso l’Università di Exeter ed è stato senior lecturer di scienze politiche presso l’Università di Haifa. È l’autore de “La Pulizia etnica della Palestina” e “Dieci Miti su Israele”. Pappé è definito come uno dei “nuovi storici” che, dopo la pubblicazione di documenti britannici e israeliani a partire dai primi anni ‘80, hanno riscritto la storia della fondazione di Israele nel 1948. (Ilan Pappé)

Il 19 settembre 2025 lo storico israeliano Ilan Pappé ha rilasciato questa intervista a BreakThrough News, analizzando il genocidio in corso a Gaza, la crisi interna della società israeliana e il futuro della Palestina. Dall’implosione del progetto sionista alle prospettive di uno Stato unico democratico, Pappé spiega perché la brutalità estrema di Israele non sia un segno di forza ma di debolezza.