mercoledì 11 maggio 2022

La fabbrica della “russofobia” in Occidente - Sergio Cararo

Da: https://contropiano.org - Sergio Cararo, Rete dei Comunisti, Direttore di CONTROPIANO.

Leggi anche: Annie Lacroix-Riz: "C'è un contesto storico che spiega perché la Russia è stata messa all'angolo"


Il nostro paese e l’Occidente sono in preda ad una evidente sindrome di russofobia. Potrebbe apparire tale ma non è una novità. Non lo è sicuramente per le leadership e le società europee e, di conseguenza, neanche per quelle statunitensi.

Colpisce il fatto che la Russia possa essere zarista o socialista, capitalista o nazionalista, ma alla fine in Europa scatta comunque il demone russofobico. Da dove nasce questo pregiudizio che troppo spesso è diventato contrapposizione frontale o guerra?

Prima di arrivare all’isteria a cui stiamo assistendo in queste settimane c’è una lunga storia da conoscere, ragione per cui prendetevi il tempo necessario per conoscerla.


Le radici della russofobia in Europa

C’è un interessante libro di Guy Mettan edito dalla Teti “Russofobia. Mille anni di diffidenza”, che aiuta a capire molte cose.

Per molti aspetti la russofobia ha qualcosa in comune con l’antiebraismo ossia un antico “documento” – ritenuti quasi unanimemente dei falsi storici – che ne dimostrerebbe la intrinseca natura aggressiva e dominatrice. Nel caso delle comunità ebraiche sarebbe il “Protocollo dei Savi di Sion” (tra l’altro si dice elaborato proprio nella Russia zarista). Nel caso della Russia sarebbe addirittura il “Testamento di Pietro il Grande”, fatto arrivare in Europa, e poi pubblicato e utilizzato in Francia durante l’invasione napoleonica della Russia.

Il documento fu consegnato ai francesi da un generale polacco, tal Sokolnicki, già nel 1797, ma fu pubblicato più tardi in appendice al libello “Des progrès de la Puissance russe” di Charles Louis-Lesur, nel quale si asseriva che sin dal XVIII secolo i regnanti russi puntavano ad impadronirsi di Germania, Francia e persino della Spagna dei Borboni.

Delle pubblicazioni successive all’epoca napoleonica, curate da Dominique Georges-Frederic de Pradt, tornarono alla carica indicando l’Impero zarista come una potenza asiatica e dispotica dalla natura libido dominandi con l’ambizione intrinseca di “espandersi verso occidente con la violenza e con l’inganno”.

Contestualmente, un altro autore francese, Saint-Marc Girardin affermava che se la Russia zarista fosse riuscita a sottomettere tutti i popoli slavi, si sarebbe servita di loro per dominare l’Europa, la sua cultura e la sua anima.

Inutile dire che queste pubblicazioni aumentarono la loro fortuna e la loro influenza alla vigilia della “Guerra di Crimea” nel 1856, quando Gran Bretagna, Francia e Italia si schierarono al fianco della Turchia contro la Russia… e l’Italia mandò i bersaglieri.

Ma se la russofobia è stata un arma di combattimento nell’Ottocento nello scontro tra gli imperi in espansione (soprattutto quello britannico e quello zarista), il sentimento russofobo e slavofobo in Europa ha radici ancora più antiche ed ha origine in Germania.

domenica 8 maggio 2022

"Pace proibita"



𝐔𝐧𝐚 𝐩𝐫𝐨𝐭𝐞𝐬𝐭𝐚 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐫𝐨 𝐥’𝐞𝐬𝐚𝐥𝐭𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐚𝐫𝐦𝐢 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐬𝐨𝐥𝐮𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞. 

                                                                          


sabato 7 maggio 2022

l'Economia della Guerra - Marco Veronese Passarella

Da: OttolinaTV - Marco Veronese Passarella è docente di economia presso la Leeds University.

Dai mercantilisti fino a John Maynard Keynes, 
la ricerca del modo migliore per finanziare la guerra ha plasmato l'intera storia del Pensiero Economico 

                                                                           

giovedì 5 maggio 2022

Liquidare la Russia e isolare la Cina - Lucio Caracciolo (12.04.2021)

Da: https://www.facebook.com/francesco.syloslabini - Articolo uscito su https://www.azione.ch - Lucio Caracciolo è un giornalista italiano fondatore e direttore della rivista italiana di geopolitica Limes (https://www.limesonline.com). 

Vedi anche Carlo Rovelli: “Ucraini usati come pedina per far male https://www.youtube.com/watch?v=unbn8j3qxXA&t=915s


Anche questo articolo di Lucio Caracciolo, uscito nell'aprile 2021, dieci mesi prima delle vicende belliche in Ucraina, come anche aveva anticipato Manlio Dinucci nel suo Rand Corp: come abbattere la Russia - Manlio Dinucci, ci riporta a dover valutare bene le argomentazioni tanto care alla propaganda bellicista occidentale. 


Una su tutte quella relativa alla causa scatenante e nello stesso tempo incontrovertibile che inchioda e zittisce brutalmente chiunque osi anche solo minimamente mettere in discussione la possibilità di una pace possibile: 

"c'è un aggressore e c'è un aggredito". 


Se anche  si accetti questa categorica affermazione, ma cercando di argomentare qualche distinguo valido e conseguente, si viene tacciati per "filorussi" anzi peggio "filoputin", in una logica intransigente giocata su "buoni e cattivi" a prescindere da tutto. 

Noi non sappiamo quale evoluzione prenderà la vicenda bellica ma non dobbiamo in nessun modo sottovalutare i rischi estremi che questa potrebbe avere in futuro per tutti noi. (il collettivo)

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Big Game - Gli Stati Uniti definiscono le priorità del decennio sullo scacchiere internazionale, rafforzando le alleanze nel Pacifico e in Europa per aver ragione delle due altre potenze mondiali - 

Gli Stati Uniti hanno deciso di buttare fuori pista la Cina entro questo decennio. La Cina ha giocato la carta russa per impedirlo, stringendo una quasi inedita intesa con la Russia. Per la prima volta dalla seconda guerra mondiale gli americani si trovano quindi a fronteggiare due grandi potenze, la seconda e la terza del pianeta, in una partita che segue ormai la logica di guerra. Somma zero.

In questo schema triangolare, Washington ha due opzioni per evitare il possibile scontro contemporaneo con entrambe le rivali. La prima, elementare secondo la grammatica della potenza, è di giocare la più debole contro la più forte: Mosca contro Pechino. La seconda, più rischiosa, sta nel liquidare prima la Russia per poi chiudere il match con la Cina ormai isolata. Soffocandola nel suo angolo di mondo dove, senza più il vincolo con i russi, Pechino sarebbe completamente circondata: lungo i mari dalla linea India-Australia-Giappone teleguidata da Washington. Per terra da quasi tutti i vicini, India e Russia in testa.

lunedì 2 maggio 2022

Sachs: «Il grande errore degli Stati Uniti è credere che la Nato sconfiggerà la Russia» - Federico Fubini

Da: https://www.corriere.it/politica/22_maggio_01 - Federico Fubini è inviato e editorialista di economia del «Corriere della Sera», di cui è vicedirettore ad personam.

Jeffrey D Sachs, professore universitario presso la Columbia University, è Direttore del Center for Sustainable Development presso la Columbia University e Presidente del Sustainable Development Solutions Network delle Nazioni Unite. Ha servito come consigliere di tre Segretari generali delle Nazioni Unite e attualmente ricopre il ruolo di avvocato SDG sotto il Segretario generale António Guterres. 

Leggi anche: È ora di discutere i termini di pace con la Russia https://www.project-syndicate.org - 

Vedi anche: L'intervista a Sergio Romano sulla crisi Ucraina (2014) https://www.youtube.com/watch?v=6p22xDodVws 



L’economista della Columbia University: «Gli Stati Uniti sono più riluttanti della Russia nella ricerca di una pace negoziata. Negli anni Novanta l’America sbagliò a negare gli aiuti a Mosca, la responsabilità fu di Bush padre e di Clinton»

Jeffrey Sachs, direttore dello Earth Institute della Columbia University, nominato nel 2021 da papa Francesco all’Accademia Pontificia, risponde con questa intervista all’articolo del 23 aprile in cui il Corriere si chiede se gli errori dell’Occidente nei rapporto con la Russia post-sovietica, che negli anni ‘90 ha vissuto una drammatica crisi economica, hanno contribuito ad aprire la strada al nazionalismo revanscista di Vladimir Putin. Sachs fu consigliere economico del Cremlino fra il 1990 e il 1993. 


Imporre sanzioni sempre più dure sulla Russia è la linea giusta? 

«Accanto alle sanzioni abbiamo bisogno di una via diplomatica. Negoziare la pace è possibile, sulla base dell’indipendenza dell’Ucraina e escludendo che aderisca alla Nato. Il grande errore degli americani è credere che la Nato sconfiggerà la Russia: tipica arroganza e miopia americana. È difficile capire cosa significhi "sconfiggere la Russia", dato che Vladimir Putin controlla migliaia di testate nucleari. I politici americani hanno un desiderio di morte? Conosco bene il mio paese. I leader sono pronti a combattere fino all’ultimo ucraino. Sarebbe molto meglio fare la pace che distruggere l’Ucraina in nome della "sconfitta" di Putin».

sabato 30 aprile 2022

Perchè l’Occidente odia la Russia e Putin - Fabrizio Marchi

Da: http://www.linterferenza.info - Fabrizio Marchi insegna Filosofia, è direttore della rivista "l'interferenza".

Leggi anche: Crisi russo-ucraina: facciamo un po' di chiarezza - Fabrizio Marchi - + Appendice Pablo Iglesias (Podemos) 

Annie Lacroix-Riz: "C'è un contesto storico che spiega perché la Russia è stata messa all'angolo" 

Vedi anche: Guerra in Ucraina: aspetti regionali e prospettive di pace.https://www.youtube.com/watch?v=arRoy11YX2I

L'incontro tra Putin e Xi Jinping allontana la guerra: appunti per l'Europa


Anche se può sembrare fantapolitico, specie per chi non si occupa di politica internazionale, è importante sottolineare che l’obiettivo strategico dell’offensiva globale americana (leggi, fra le altre cose, l’espansione della NATO ad est), è la Cina, non la Russia.

L’indebolimento o addirittura la destabilizzazione della Russia sul medio-lungo periodo è “solo” (con molte virgolette…) un passaggio intermedio, anche se di enorme importanza, al fine di isolare la Cina, il vero e più importante competitor degli americani. Che ciò sia possibile è tutto da verificare, naturalmente, ma a mio parere questa è l’intenzione.

Gli Stati Uniti puntano a prolungare quanto più possibile il conflitto in Ucraina se non a renderlo permanente. In questo modo sperano di dissanguare la Russia sia dal punto di vista militare che soprattutto economico, e di logorarla con il tempo anche sul piano psicologico, minando la coesione interna. Sul medio periodo la guerra potrebbe rafforzare e sta già rafforzando molto la leadership di Putin ma sul lungo potrebbe, forse, indebolirla. Del resto, restare impantanati in una guerra di lungo periodo può essere ed è stato destabilizzante per tutti. Pensiamo al Vietnam per gli USA e all’Afghanistan sia per l’America che per l’Unione Sovietica, solo per portare alcuni esempi noti. E per quanto la leadership di Putin sia molto solida, non possiamo escludere a priori nel tempo un suo indebolimento interno. Quanto e se ciò sia possibile, come dicevo, è altro discorso ma io credo che la strategia del Pentagono sia questa.

Subito dopo il crollo dell’URSS (ma il disfacimento era iniziato già da tempo) la Russia era ridotta ad una colonia, un paese con un enorme serbatoio di materie prime da saccheggiare e una grande massa di manodopera a bassissimo costo a disposizione per le multinazionali e le aziende occidentali, più un governo di affaristi senza scrupoli in combutta con la mafia e guidato da un fantoccio ubriacone al servizio degli USA. I quali erano ormai convinti di avere il mondo in pugno. E questo è stato il loro più grave errore. Un errore che per la verità hanno commesso spesso negli ultimi trent’anni. Sono rimasti letteralmente spiazzati dalla crescita economica impetuosa, se non portentosa, della Cina e non pensavano che la Russia potesse risollevarsi e ritrovare la sua forza, il suo baricentro, la sua identità, che è quella di un grande paese, con una grande storia, una grande cultura e un grande popolo che non può accettare di essere ridotto ad una colonia dell’Occidente.

Che ci piaccia o no (questo è del tutto indifferente al fine della comprensione delle cose) Putin è stato l’uomo che ha incarnato questa rinascita. Ed è proprio questo che l’Occidente non gli perdona. Perché gli ha tolto quel grande giocattolo che pensavano di avere ormai tra le mani e così facendo gli ha tolto il sogno – che sembrava ormai raggiunto – di poter dominare sull’intero pianeta.

Che poi la crociata antirussa sia all’insegna della difesa dei valori occidentali, della libertà, dei diritti civili e della democrazia, è ovviamente scontato, ma sono chiacchiere, propaganda delle più scontate, minestrine per ingenui (non voglio infierire…). L’Occidente fa e ha fatto affari, appoggiato, finanziato, armato e spesso creato di sana pianta le più feroci dittature in tutto il mondo (così come non esita oggi a nobilitare la peggiore feccia nazifascista mai vista in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale in poi), figuriamoci se il problema possono essere i diritti e la democrazia. Se Putin fosse al suo servizio potrebbe pure mangiarsi letteralmente i bambini a colazione che non gliene importerebbe assolutamente nulla e troverebbero anche il modo di occultarlo.

Indebolire, ridimensionare drasticamente o addirittura destabilizzare la Russia e insediare un governo compiacente, significherebbe, come dicevo, isolare la Cina. Pensiamo oggi all’India, un paese formalmente collocato nella sfera di influenza occidentale ma di fatto non ad esso omogeneo, per ovvie ragioni geografiche e quindi economiche e commerciali. Venendo meno la Russia, cioè l’altro principale bastione, oltre alla Cina, del blocco (euro)asiatico, l’India verrebbe inevitabilmente risucchiata nella sfera occidentale e forse anche il Pakistan, alleato fino a poco più di un anno o due anni fa degli Stati Uniti.

Si tratta ovviamente di una strategia e di un progetto ambiziosissimi che gli americani potrebbero giocarsi sul medio e lungo periodo. Del resto, se non riescono a spezzare in qualche modo il legame fra Russia e Cina, cioè l’asse centrale del (possibile ma non ancora del tutto omogeneo) blocco asiatico, per gli Stati Uniti e per il blocco occidentale le cose si potrebbero mettere molto male.

E’ per questo che la crisi in corso è sicuramente la più grave e inquietante dal termine della seconda guerra mondiale ad oggi. Una crisi di cui obiettivamente non siamo in grado di prevedere gli sviluppi e soprattutto gli esiti, potenzialmente drammatici.

P.S. E anche quanto sta accadendo è una delle conseguenze del crollo dell’URSS e del blocco sovietico. 

Canto Notturno di un Pastore Errante dell'Asia - Giacomo Leopardi



"Canto Notturno di Un Pastore Errante Dell'Asia" di Giacomo Leopardi. 
Recita Arnoldo Foà. 
Musica: Blucobalto dei Negramaro.  
                                                                           
                                                                           

venerdì 29 aprile 2022

Note su “Il Mediterraneo” di Fernand Braudel - Andrea Baldazzini

 Da: https://www.pandorarivista.it - Fernand Braudel, Il Mediterraneo: lo spazio la storia gli uomini le tradizioni, Bompiani, Milano 2008, p. 43. - Andrea Baldazzini Ricercatore Senior presso AICCON, centro di ricerca dell’Università di Bologna dedicato alla promozione della cultura della cooperazione e del non profit, dove si occupa di imprenditoria sociale, innovazione e trasformazioni dei sistemi di welfare territoriale. Svolge inoltre attività di formazione e consulenza per organizzazioni di terzo settore e pubbliche amministrazioni. Per «Pandora Rivista» è membro della Redazione. 

Leggi anche: A che serve la storia?*- Luciano Canfora  

FILOSOFIA DELLA STORIA - G. G. Federico Hegel  

Storia del pensiero scientifico e filosofico* – Ludovico Geymonat  

Marc Bloch oltre la nouvelle histoire: prospettive teoriche da riscoprire*- Adriana Garroni 

Vedi anche:  Marc Bloch - Alessandro Barbero  

"che scienza è la Storia?" - Aldo Giannuli 



Quest’opera, pubblicata per la prima volta nel 1949, ha rappresentato un vero e proprio momento di rottura nella storiografia contemporanea. Fernand Braudel è stato il principale rappresentante della cosiddetta seconda generazione dell’École des Annales, fondata da Lucien Febvre e Marc Bloch alla fine degli anni Venti a partire dalla rivista «Annales d’histoire économique et sociale», una rivista dalla quale nascerà un modo totalmente nuovo di studiare la storia, probabilmente il più rivoluzionario di tutto il Novecento.

Quali sono dunque i tratti distintivi di questo approccio storiografico? Perché il libro di Braudel sul Mediterraneo fornisce ancora oggi molti spunti imprescindibili, non solo per leggere la storia, ma anche per riflettere, ad esempio, sulla geopolitica di questo spazio? Perché la storia è necessaria a immaginare un futuro aperto e potenziale?

Andiamo con ordine, per quanto riguarda la prima domanda si può rispondere affermando che sono almeno quattro le caratteristiche peculiari dell’École des Annales:

  • L’interdisciplinarietà, ovvero, l’idea che la storia debba fuoriuscire dal suo «immobilismo accademico» aprendosi alle altre discipline, e lo stesso titolo della prima rivista Annales d’histoire économique et sociale mostra chiaramente come essa venga fin da subito pensata nelle sue strette correlazioni che la legano all’economia e al sociale. Non a caso infatti, soprattutto Febvre e Bloch guardano con interesse al marxismo e alla psicanalisi intendendoli entrambi come nuove modalità di presentare la pluralità dell’esperienza umana. Da qui poi l’interesse storico per le «dimensioni viventi della persona», come il lavoro o gli stili di vita, segni di una pratica storiografica radicalmente differente rispetto a quella ottocentesca classica.
  • Oggetto della storia può così diventare lo stesso mondo contemporaneo e non solo ciò che è temporalmente lontano. Lo storico può finalmente cominciare a occuparsi anche di fatti che lo coinvolgono in prima persona, e rispetto ai quali non vi deve essere per forza quel distacco solitamente richiesto in nome di un presunto oggettivismo epistemologico.
  • Nasce allora il desiderio di scrivere una «storia totale», non limitandosi più ai meri aspetti politici, militari o diplomatici.
  • Il racconto storiografico passa dunque dallo studio degli ‘eventi’ (l’histoire événementielle come la chiamano Bloch e Febvre che schiaccia la storia sulla storia-politica) a quello delle strutture, delle ricorrenze, delle interconnessioni, guardando al passato come ad un «flusso» e non come ad una somma di epoche o manifestazioni di qualche Spirito.

mercoledì 27 aprile 2022

Discussione intorno al senso della guerra - Roberto Fineschi

Da: https://www.facebook.com/roberto.fineschi -  Roberto Fineschi (Marx. Dialectical Studies) è un filosofo italiano. Allievo di Alessandro Mazzone, Membro del comitato scientifico dell’edizione italiana delle Opere di Marx ed Engels.

Leggi anche: Fare la pace o fare la guerra? - Roberto Fineschi

Violenza, classi e persone nel capitalismo crepuscolare - R. Fineschi

Vedi anche: Violenza, classi e Stato nel capitalismo crepuscolare" - R.Fineschi, M.Casadio, A.Allegra.



Sabato 9 aprile, il Centro Casa Severino e l'Associazione di Studi Emanuele Severino hanno promosso un incontro interdisciplinare sul tema della guerra. Qui sotto la trascrizione minimamente rivista del mio intervento. 

Da una parte vorrei tentare di fare un discorso più generale diciamo di quadro. Facendo questo inevitabilmente ci si presta alla critica di non cogliere la drammaticità del presente: quando muoiono persone, si distruggono città è difficile distogliere lo sguardo; ovviamente si tenta di farlo non per ignorare il dramma ma per proporre una riflessione più ampia, inquadrata in un contesto di sistema, in questo caso relativo al concetto di guerra e violenza nella modernità e, a fortiori, anche al caso ucraino. 

La guerra non è certo una novità contemporanea; da quando esistono società complesse l'uomo ha sempre fatto guerre; da sempre i filosofi se ne sono occupati, ma più recentemente è nata una disciplina che in modo più politically correct ha cercato di affrontarla in maniera ancora più esplicita: le relazioni internazionali. In esse si cerca di sciogliere il nodo della guerra non per giustificarla da un punto di vista morale, ma per spiegarne la necessità fattuale nel mondo politico (i rapporti di potere producono degli equilibri che non si tratta di giudicare perché belli o brutti, ma semplicemente in quanto instaurano un ordine) o nel tentativo di evitarla proprio per le caratteristiche che ha. 

Tanto gli approcci realisti e neorealisti, quanto quelli che hanno invece cercato una via diplomatica, non violenta alla soluzione delle controversie internazionali di stampo liberale o neoliberale (Bobbio ad esempio), a mio modo di vedere hanno una questione filosofica di fondo che consiste nel partire da una concezione che dal punto di vista di Marx è criticabile, vale a dire il contrattualismo: considerare la formazione dell'istituzione statuale come un contratto sociale, che naturalmente si risolve poi diversamente in diversi filosofi. Il tratto comune è che se si instaura una società che in qualche modo argina la violenza anarchica dello stato di natura a livello interno, il problema si ripropone a livello esterno nelle relazioni internazionali in cui, di nuovo, i singoli funzionano come atomi anarchici. Secondo alcuni la loro interazione porta naturalmente a un equilibrio tra forze contrapposte e, alla fine, stabilisce un ordine che non è necessariamente giusto o bello, ma è un ordine. Invece secondo altri quest'ordine va costruito in qualche modo replicando la dimensione contrattualistica attraverso istituzioni terze che riescano, da una posizione super partes, a riconciliare e ricomporre il dissidio atomico dell'anarchia. 

lunedì 25 aprile 2022

Pandemia covid-19 oggi - Paolo Massucci

Paolo Massucci, Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni. 


Faccio alcune brevi considerazioni sulla pandemia. Siamo in una situazione ancora molto incerta e non risolta per tanti versi. Intanto appare assurdo che tra una settimana cadono altre restrizioni in particolare riguardo all'obbligo della mascherina, nel momento in cui i livelli di contagio, già altissimi, stabili per settimane, sono ora in nuovo chiaro aumento (si tratta del 16% di positivi su 500 mila tamponi, di cui il 70% antigenici con il 50% di falsi negativi). 

Certo la gravità della malattia è molto ridotta rispetto a quando, con solo 8 mila positivi registrati, avevamo 800 decessi al giorno e gli ospedali pieni. Tuttavia abbiamo oggi ben 150-200 morti covid al giorno, o almeno positivi al covid: siamo in grado di dire quanti di questi sono morti per o con covid19? Se stimiamo che il 2,5% della popolazione generale sia positiva al covid (un dato possibile, ipotizzabile), allora 50 persone al giorno muoiono positive al covid (calcolo basato su 780 mila morti l'anno in Italia), di cui 4 per covid (rapporto tra decessi giornalieri totali e decessi covid) e 46 con covid. Ma gli altri 120 (dato che muoiono almeno 170 persone al giorno per covid, dati SSN) allora muoiono effettivamente per covid.

Insomma tra 100 e 150 persone muoiono per covid ogni giorno ed è un numero spaventoso. Poi si consideri che ci sono persone che muoiono per le complicazioni del covid, ma dopo essersi negativizzate.

Posso ipotizzare, ed esiste un dibattito in merito, che alcuni epidemiologi di riferimento, ma non tutti, concordano, che le nuove decisioni di "rilassamento" sulle restrizioni sociali (mascherina in particolare), abbiano lo scopo, a parte gli ovvi benefici psicologici ed economici, di far circolare il virus e costruire una immunità di massa robusta, per prevenire la prossima ondata autunnale più che probabile.

La cosa è sensata? Non saprei, ma, a parte i 150 morti covid suddetti, tutt'ora gli ospedali funzionano male, in quanto alle carenze strutturali di organico ed investimenti (grazie alla riduzione dello stato sociale compiuto e tuttora in corso da parte delle politiche neoliberiste imposte dagli interessi dei capitalisti) si aggiungono gli oneri organizzativi ed economici della suddivisione dei reparti ospedalieri in aree covid e non covid. Gli interventi non urgenti continuano ad essere procrastinati per carenze di strutture e sale operatorie covid free disponibili; senza contare che se prima di un intervento il paziente, sempre sottoposto a tamponi, viene riscontrato positivo, l'intervento viene rimandato. La sanità sta funzionando decisamente peggio e ciò ormai da oltre due anni: ci stanno facendo abituare ad una sanità di serie B? Forse se ne avvantaggia il debito pubblico, in quanto si devono pagare meno pensioni, perché si vive meno (dati INPS noti) ma l'età pensionabile non diminuisce (può solo aumentare, mai ridursi, come stabilito dalla legge Fornero).

Green pass. Il green pass a mio avviso non serve più: basta semmai un certificato vaccinale. Io sono a favore dell'obbligo vaccinale (allorché i dati delle istituzioni scientifiche del farmaco ne intravedano l'utilità); ma il green pass, che comporta anche una eventuale temporanea esclusione di validità in caso di positività o di quarantena o isolamento, non ha più senso in quanto i contatti stretti non producono più quarantena e i tamponi effettuati sono ormai pochissimi: è saltata in pratica ogni possibilità di tracciamento. Inoltre lo stesso vaccino, che fornisce il green pass, impedisce troppo poco l'infezione e la possibilità di trasmetterla ad altri. A mio avviso il green pass oggi è solo una inutile complicazione, che produce falsa sicurezza. Da abolire subito.

Tamponi: se non li aggiorniamo sono quasi inutili, almeno quelli rapidi, con tanti falsi negativi.

Vaccino. Il vaccino ad oggi, a mio avviso, ha salvato da decessi che in Italia sarebbero potuti arrivare a un milione. E non dimentichiamoci inoltre che esiste anche il long covid. Tuttavia oggi ci troviamo in una situazione problematica. Infatti, mentre nei primi 12-18 mesi dall'inizio della pandemia il virus è mutato poco e si è potuto preparare un eccellente vaccino, a un certo punto il virus, a causa della pressione selettiva dovuta alla immunità acquisita con guarigione o vaccino (cambia poco), ha iniziato a mutare rapidamente, acquisendo forme estremamente contagiose e che "bucano" il vaccino (che comunque rimane protettivo per le forme gravi, quindi salvifico).

Il problema è che il virus muta rapidamente e non si fa in tempo a starci dietro con l'aggiornamento dei vaccini. La quarta dose serve a poco. Si parla di possibile vaccino aggiornato per settembre, che però dovrebbe essere progettato sin d'ora: ma su quale virus? Quale variante di Omicron, dato che si avvicendano l'un l'altra ogni mese? E a settembre avremo ancora omicron e simili? Nessuno può dirlo. C'è quindi preoccupazione a livello OMS, perché non si vede una strada chiara sul vaccino futuro per controllare la pandemia.

Mascherine. Sostengo che, purtroppo, sia assolutamente necessario l'obbligo delle mascherine in tutti i luoghi chiusi e per strada in caso di affollamento o tra persone che si parlano vicine. Altro che eliminarle! Bisogna inoltre lavarsi le mani e tenere aperte finestre e finestrini nei luoghi chiusi, scuole ed ospedali (ove possibile) compreso.

La questione dei filtri e della ventilazione nelle scuole etc. C'è una lettera di un ingegnere di Torino che appunto chiede questo e che in altri paesi tipo Canada è stato fatto. Inoltre tutte le misure ragionevoli (ridurre numero scolari per es.) non sono state prese. 

Nessun ampliamento della rete e frequenza dei mezzi pubblici è stata attuata ed oggi si viaggia di nuovo come nei carri bestiame.

In sostanza: - se si tengono aperte le scuole - se si tengono in funzione le fabbriche e gli uffici a pieno regime - se si tengono in attività le discoteche e i ristoranti - se si aprono i cinema ecc. e così via, non c'è niente da fare, il virus continuerà a diffondersi. 

Poiché è evidentemente impossibile che, almeno per ora, si restringa di nuovo e con decisione la circolazione delle persone, ebbene, l'epidemia continuerà.

Ormai al primo posto c'è la guerra. Del resto se ne fottono... 

domenica 24 aprile 2022

Il 25 aprile, la Resistenza italiana e la guerra in Ucraina. Antifascismo reale e antifascistismo liberale - Stefano G. Azzarà

Da: https://www.facebook.com/stefano.azzara - Stefano G. Azzarà insegna Storia della filosofia politica all’Università di Urbino. È segretario alla presidenza dell’Internationale Gesellschaft Hegel-Marx. Dirige la rivista “Materialismo Storico”(materialismostorico - http://materialismostorico.blogspot.com). È impegnato in un confronto tra le grandi tradizioni filosofico-politiche della contemporaneità: liberalismo, conservatorismo, marxismo.



Andiamo al cuore del problema.
 


L'equiparazione tra la guerra in Ucraina e la Resistenza, con la conseguente assimilazione dell'esercito e delle formazioni paramilitari ucraine (nazisti di Azov compresi) ai partigiani, è la narrazione che costituisce il nucleo dell'operazione ideologica con la quale soprattutto il Pd ma in generale tutte le forze liberali, con i loro apparati egemonici, intendono affrontare l'imminente 25 aprile, al fine di spazzare via definitivamente ogni lettura alternativa e ogni alternativa culturale. 


Questa assimilazione è sbagliata sul piano storico ed è pericolosa sul piano politico e va perciò respinta senza tentennamenti, respingendo al mittente al contempo il ricatto morale che le è sotteso. 

Sono decenni, ormai, che il paradigma politico antifascista classico, nato dall'alleanza tra paesi capitalistici e Urss e corroborato dalla teoria storiografica del cosiddetto "fascismo internazionale", è stato soppiantato dal paradigma del "totalitarismo": un dispositivo che serve ad affermare il primato ontologico della democrazia liberale occidentale, intesa come l'unica immanenza politica possibile ovvero come la realtà politica in quanto tale, e a delegittimare ogni forma politica diversa, in primo luogo quella socialista, assimilandola alla minaccia nazifascista. 

Tutto ciò che non è liberalismo, viene detto, è giocoforza totalitario e dunque è il male assoluto. Ragion per cui le differenze tra i diversi tipo di "totalitarismo" - nazismo, fascismo, comunismo, fondamentalismo islamico, per un certo periodo persino il populismo... -, pur se in apparenza macroscopiche, sono secondarie e irrilevanti rispetto al comune peccato mortale di sacrilegio verso il liberalismo. 

sabato 23 aprile 2022

La conflittualità valutaria e l’enigma del gas valutato in rubli - Francesco Schettino

Da: https://www.lantidiplomatico.it - Francesco Schettino è un economista, docente All’Università degli studi della Campania Luigi Vanvitelli e all’Università Popolare Antonio Gramsci di Roma. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni ed è stato uno dei maggiori collaboratori della pregevole rivista marxista La Contraddizione (https://rivistacontraddizione.wordpress.com).

Vedi anche: "CRISI DISUGUAGLIANZE E POVERTÀ" - Sergio Cararo intervista Francesco Schettino

L'attualità più stringente ci induce a pensare che la questione valutaria sia di nuovo al centro dell'attenzione. Non è un caso che essa venga adoperata come arma all’interno di un conflitto esplicito e che sembri essere la reazione più forte e più evidente che il governo russo ha messo in piedi per contrastare le sanzioni che nel frattempo continuano a mutare forma e divenire sempre più coercitive nei confronti della Russia e del popolo russo. Se ne è parlato tanto però sembra opportuno specificare alcuni elementi innanzitutto semplificando all'osso la questione. È pertanto importante tornare un po’ indietro e cercare di delineare dal punto di vista concettuale che cosa è una valuta internazionale e perché appunto il governo russo abbia pensato di attuare una mossa del genere per agire da contrappeso alle sanzioni internazionali. 

Innanzitutto, è importante districarci da quel nodo teorico perlopiù inventato dal mainstream - in altri termini la scuola liberale, conosciuta in dottrina come neoclassica o marginalista - per cui la moneta non possa influenzare le variabili reali come disoccupazione e reddito (il famoso “velo”). A livello capitalistico la moneta è una merce a tutti gli effetti disponendo di tutte le caratteristiche degli altri beni prodotti capitalisticamente e cioè di un valore d’uso, un valore di scambio. Solo le banche centrali hanno l’autorità per emetterle e dunque si può dire che esista un monopolio nella sua produzione.

Semplificando al massimo, dunque, quando si parla di due elementi fondamentali ossia delle riserve internazionali di valuta pregiata e al contempo della valutazione di alcune risorse, come per esempio il caso del gas - o potrebbe essere anche quello del petrolio -, in valute diverse si toccano questioni di un certo rilievo che vanno a far vacillare i gangli del sistema stesso. In sostanza, le riserve internazionali - che quasi tutte le banche centrali del mondo detengono - servono principalmente per tre ragioni 1) Acquistare merci straniere; 2) Agire da potenziale contrappeso (anche come deterrente) per eventuali ondate speculative al ribasso sulla valuta nazionale; 3) Onorare contratti (anche debiti) denominati in valuta pregiata straniera.