La teoria Marxista poggia la sua forza sulla scienza... che ne valida la verità, e la rende disponibile al confronto con qualunque altra teoria che ponga se stessa alla prova del rigoroso riscontro scientifico... il collettivo di formazione Marxista Stefano Garroni propone una serie di incontri teorici partendo da punti di vista alternativi e apparentemente lontani che mostrano, invece, punti fortissimi di convergenza...
domenica 24 aprile 2022
Il 25 aprile, la Resistenza italiana e la guerra in Ucraina. Antifascismo reale e antifascistismo liberale - Stefano G. Azzarà
sabato 23 aprile 2022
La conflittualità valutaria e l’enigma del gas valutato in rubli - Francesco Schettino
Da: https://www.lantidiplomatico.it - Francesco Schettino è un economista, docente All’Università degli studi della Campania Luigi Vanvitelli e all’Università Popolare Antonio Gramsci di Roma. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni ed è stato uno dei maggiori collaboratori della pregevole rivista marxista La Contraddizione (https://rivistacontraddizione.wordpress.com).
Vedi anche: "CRISI DISUGUAGLIANZE E POVERTÀ" - Sergio Cararo intervista Francesco Schettino
giovedì 21 aprile 2022
Dalle OLIGARCHIE alla VOLONTÀ di POTENZA - dialogo con Luciano CANFORA
martedì 19 aprile 2022
La situazione militare in Ucraina - Jacques Baud
Da: https://www.orazero.org - https://www.thepostil.com/the-military-situation-in-the-ukraine - Questo articolo appare per gentile concessione del Centre Français de Recherche sur le Renseignement , Parigi. Tradotto dal francese da N. Dass. - Jacques Baud è un ex colonnello di stato maggiore, ex membro dell'intelligence strategica svizzera, specialista dei paesi dell'est.
Parte prima: La strada per la guerra
Per anni, dal Mali all’Afghanistan, ho lavorato per la pace e rischiato la vita per essa. Non si tratta quindi di giustificare la guerra, ma di capire cosa ci ha portato ad essa. Noto che gli “esperti” che si alternano in televisione analizzano la situazione sulla base di informazioni dubbie, il più delle volte ipotesi erette a fatti, e poi non si riesce più a capire cosa sta succedendo. È così che si crea il panico.
Il problema non è tanto sapere chi ha ragione in questo conflitto, ma mettere in discussione il modo in cui i nostri leader prendono le loro decisioni.
Cerchiamo di esaminare le radici del conflitto. Si comincia da quelli che negli ultimi otto anni sono identificati come “separatisti” o “indipendentisti” del Donbass. Questo non è vero. I referendum condotti dalle due repubbliche autoproclamate di Donetsk e Lugansk nel maggio 2014, non erano referendum di “indipendenza” (независимость), come alcuni giornalisti senza scrupoli hanno sostenuto, ma referendum di “autodeterminazione” o “autonomia” (самостоятельность). La qualifica “filorusso” suggerisce che la Russia era una parte del conflitto, ma non è corretto, e sarebbe stato più giusto utilizzare il termine “russofoni”. Inoltre, questi referendum sono stati condotti contro il consiglio di Vladimir Putin.
Infatti, queste repubbliche non cercavano di separarsi dall’Ucraina, ma di avere uno status di autonomia, garantendo loro l’uso della lingua russa come lingua ufficiale. Infatti il primo atto legislativo del nuovo governo nato dal rovesciamento del presidente Yanukovych, è stata l’abolizione, il 23 febbraio 2014, della legge Kivalov-Kolesnichenko del 2012 che rendeva il russo una lingua ufficiale. Un po’ come se i golpisti decidessero che il francese e l’italiano non sono più lingue ufficiali in Svizzera.
Questa decisione ha provocato una tempesta nella popolazione russofona. Il risultato è stata una repressione feroce contro le regioni russofone (Odessa, Dnepropetrovsk, Kharkov, Lugansk e Donetsk) che è stata attuata a partire dal febbraio 2014 e ha portato a una militarizzazione della zona e ad alcuni massacri (a Odessa e Marioupol, i più famosi). Alla fine dell’estate 2014, rimanevano solo le repubbliche autoproclamate di Donetsk e Lugansk.
lunedì 18 aprile 2022
Annie Lacroix-Riz: "C'è un contesto storico che spiega perché la Russia è stata messa all'angolo"
Da: Robin Delobel | investigaction.net - Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare - Annie Lacroix-Riz è una storica francese. È docente di Storia contemporanea alla Università Paris VII - Denis-Diderot.
sabato 16 aprile 2022
Pace - Gianni Minà
Leggi anche: "ORA BASTA" - Gianni Minà
A DIEGO - Gianni Minà
Sento da troppi giorni i tamburi della guerra che, in maniera opprimente, si stanno avvicinando sempre di più nelle nostre vite, appesantite dagli affanni, chi più chi meno, della quotidianità, ma non certo lacerate dai drammi che la guerra porta.
Ho 84 anni, ero un bambino durante la seconda guerra mondiale, ma mi ricordo molto bene il tragico bagaglio che aveva portato: mio nonno ferroviere fu ucciso in un bombardamento degli alleati mentre stava lavorando insieme ai suoi colleghi, la disperazione dei miei, la fatica e la paura di essere sfollati, la mancanza del cibo, il freddo, il terrore di chi rischia la morte per un tozzo di pane, le file interminabili per l’acqua. E poi, i grandi egoismi di molti, i gesti eroici di pochi, la generosità e l’altruismo esercitati in silenzio di altri.
Oggi la mia mente ripercorre quei ricordi dolorosi e vedo che nulla è cambiato: c’è chi inneggia alla guerra, anche nucleare, incurante dei dolori che porta, chi si fa alfiere di vari interessi, chi randella quotidianamente chi la pensa in maniera critica, azzerando il confronto e trasformando il dialogo in una assurda polarizzazione: amico di Putin se sei per la pace o difensore della democrazia se aderisci all’invio di armi per l’Ucraina. Perfino il Papa è stato dichiarato “pacifista estremista”, come se invocare la pace fosse da vigliacchi o peggio, da inetti, incapaci di “prendere una posizione”.
Roba da matti, o da incoscienti. O roba da falchi…
Anche Raniero La Valle, un giornalista e mio antico collega della Rai, che ha prodotto storici documentari sulla Palestina, la Cambogia e il Vietnam, nel suo editoriale su Facebook, sostiene di aver paura della guerra, perché: “anche a noi fu detto “Vincere! E vinceremo”, come infatti accadde con armate straniere che si combatterono sul nostro suolo e dal cielo distrussero le nostre città. (…) Ma noi abbiamo paura che le ultime notizie, magari come allora nascoste nelle “brevi” e poi a lungo secretate, ci informino di un’azione altamente meritoria e densa di valori imperituri come quelle compiute a Hiroshima e Nagasaki; abbiamo paura di perdere non la vita, ma ciò per cui abbiamo combattuto per tutta la vita: per la pace, la libertà, l’onore, la difesa dei popoli martoriati ed oppressi dalle colonie, dagli Imperi, dalla Trilaterale, dagli Esodi, dalle guerre bipartisan, dalla fame, dalla “giustizia infinita” inalberata per gratificare il mondo intero della democrazia, dei respingimenti, dei porti chiusi e delle estradizioni; così come abbiamo combattuto contro le operazioni alla “Desert Storm” per annientare Stati canaglia e terrorismi, o contro i missili stranieri da Comiso puntati contro l’Ungheria.”
venerdì 15 aprile 2022
Guerra in Ucraina: l'Italia ripudia la guerra. Intervista alla costituzionalista Alessandra Algostino
giovedì 14 aprile 2022
Borghesi e Proletari - Karl Marx
Da: Il "MANIFESTO del PARTITO COMUNISTA " Karl Marx e Friedrich Engels (1848) - https://marxpedia.org - Coordinamento Comunista Versilia - Livorno per il Marxismo-Leninismo (https://www.facebook.com/profile.php?id=100064596770092)
La storia di ogni società esistita fino a questo momento, è storia di lotte di classi.
Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in breve, oppressori e oppressi, furono continuamente in reciproco contrasto, e condussero una lotta ininterrotta, ora latente ora aperta; lotta che ogni volta è finita o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la comune rovina delle classi in lotta.
Nelle epoche passate della storia troviamo quasi dappertutto una completa articolazione della società in differenti ordini, una molteplice graduazione delle posizioni sociali. In Roma antica abbiamo patrizi, cavalieri, plebei, schiavi; nel medioevo signori feudali, vassalli, membri delle corporazioni, garzoni, servi della gleba, e, per di più, anche particolari graduazioni in quasi ognuna di queste classi.
La società civile moderna, sorta dal tramonto della società feudale, non ha eliminato gli antagonismi fra le classi. Essa ha soltanto sostituito alle antiche, nuove classi, nuove condizioni di oppressione, nuove forme di lotta.
La nostra epoca, l'epoca della borghesia, si distingue però dalle altre per aver semplificato gli antagonismi di classe. L'intera società si va scindendo sempre più in due grandi campi nemici, in due grandi classi direttamente contrapposte l'una all'altra: borghesia e proletariato.
Dai servi della gleba del medioevo sorse il popolo minuto delle prime città; da questo popolo minuto si svilupparono i primi elementi della borghesia.
La scoperta dell'America, la circumnavigazione dell'Africa crearono alla sorgente borghesia un nuovo terreno. Il mercato delle Indie orientali e della Cina, la colonizzazione dell'America, gli scambi con le colonie, l'aumento dei mezzi di scambio e delle merci in genere diedero al commercio, alla navigazione, all'industria uno slancio fino allora mai conosciuto, e con ciò impressero un rapido sviluppo all'elemento rivoluzionario entro la società feudale in disgregazione.
L'esercizio dell'industria, feudale o corporativo, in uso fino allora non bastava più al fabbisogno che aumentava con i nuovi mercati. Al suo posto subentrò la manifattura. Il medio ceto industriale soppiantò i maestri artigiani; la divisione del lavoro fra le diverse corporazioni scomparve davanti alla divisione del lavoro nella singola officina stessa.
Ma i mercati crescevano sempre, il fabbisogno saliva sempre. Neppure la manifattura era più sufficiente. Allora il vapore e le macchine rivoluzionarono la produzione industriale. All'industria manifatturiera subentrò la grande industria moderna; al ceto medio industriale subentrarono i milionari dell'industria, i capi di interi eserciti industriali, i borghesi moderni.
La grande industria ha creato quel mercato mondiale, ch'era stato preparato dalla scoperta dell'America. Il mercato mondiale ha dato uno sviluppo immenso al commercio, alla navigazione, alle comunicazioni per via di terra. Questo sviluppo ha reagito a sua volta sull'espansione dell'industria, e nella stessa misura in cui si estendevano industria, commercio, navigazione, ferrovie, si è sviluppata la borghesia, ha accresciuto i suoi capitali e ha respinto nel retroscena tutte le classi tramandate dal medioevo.
Vediamo dunque come la borghesia moderna è essa stessa il prodotto d'un lungo processo di sviluppo, d'una serie di rivolgimenti nei modi di produzione e di traffico.
Ognuno di questi stadi di sviluppo della borghesia era accompagnato da un corrispondente progresso politico. Ceto oppresso sotto il dominio dei signori feudali, insieme di associazioni armate ed autonome nel Comune, talvolta sotto la forma di repubblica municipale indipendente, talvolta di terzo stato tributario della monarchia, poi all'epoca dell'industria manifatturiera, nella monarchia controllata dagli stati come in quella assoluta, contrappeso alla nobiltà, e fondamento principale delle grandi monarchie in genere, la borghesia, infine, dopo la creazione della grande industria e del mercato mondiale, si è conquistata il dominio politico esclusivo dello Stato rappresentativo moderno. Il potere statale moderno non è che un comitato che amministra gli affari comuni di tutta la classe borghese.
Segui la lettura: https://marxpedia.org/2019/03/12/borghesi-e-proletari-2/
martedì 12 aprile 2022
La lotta continua! Il discorso di Jean-Luc Mélenchon dopo il primo turno delle presidenziali.
Da: https://www.sinistraineuropa.it -
Si apre una nuova pagina della lotta. Voi la affronterete, noi la affronteremo con orgoglio per il lavoro svolto. Questa forza immensa che abbiamo costruito con le nostre mani, tante volte sotto il disprezzo e gli insulti, è tutta qui. E per ogni tappa, è qui se decidete di conservarla, di difenderla come avete fatto finora nonostante tutto.
Questa mattina, era una bella giornata a Marsiglia. I raggi del sole saltavano di onda in onda sul mare che si ritirava. Questa mattina, mentre mi preparavo ad entrare in questo evento di cui non sapevo nulla, gli echi dell’Oyapock, la frontiera francese con il Brasile, mi hanno presto raggiunto. E poi quelli dei Maroni. E poi quelli della Martinica. E poi quelli della Guadalupa. E poi quelli di Reunion. Che, al primo turno, al primo turno, mi hanno eletto come loro presidente. E ho visto nelle loro decisioni ciò che volevano dire in modo pieno e completo. Lo stato in cui si trovano il paese e la sua gente in tutte le parti del territorio: uno stato di esasperazione e la sensazione di essere entrati in uno stato di emergenza ecologica, sociale e ora, ancora una volta, lo vediamo stasera, uno stato di emergenza politica.
Perché il quadro, il quadro che avete davanti agli occhi, così come è stato concepito, non da noi, e nemmeno dal popolo francese, ma dalle istituzioni della Quinta Repubblica e da questo strano sistema di sorteggio che si traduce nel chiedervi di scegliere tra due mali che vi sembrano entrambi terribili per voi anche se non della stessa natura. E ognuno di voi si trova di fronte al muro della sua coscienza, della decisione che deve prendere. È la condizione umana ad essere costantemente di fronte a decisioni che sono spesso difficili da prendere.
Beh, l’ultima volta cosa è successo? Vi ho detto quello che vi dirò di nuovo. No, conosco la vostra rabbia, miei compatrioti, di tutti voi di cui ho parlato poco fa. Conosco la vostra rabbia. Non lasciate che vi faccia commettere errori irreparabili. Finché la vita continua, la lotta continua! Ed è mio dovere dirvi, come il più vecchio tra voi, che l’unico compito che dobbiamo darci è quello che compie il mito di Sisifo: la pietra cade di nuovo nel burrone, quindi la tiriamo su.
Non siete né deboli né impotenti. Siete in grado di combattere questa battaglia, e la prossima, e la prossima ancora, quante saranno. Guardatemi: non ho mai mollato, non ho mai ceduto, non ho mai abbassato lo sguardo ed è così che abbiamo costruito questa forza.
Quindi ora tocca a voi. Nella battaglia che si avvicina, abbiamo costruito il perno del popolo. Poiché era lì, tutti i tipi di persone hanno potuto approfittarne per dare un voto e portarci a questo punto.
Le battaglie si presentano davanti a voi. Non commettiamo l’errore di farci deviare appena arrivati. Sappiamo per chi non voteremo mai. Vi ricordate quali furono le reazioni dei media dopo la nostra dichiarazione? Chi pensate che siano i francesi? Che siano incapaci di sapere cosa fare? Sono capaci di decidere ciò che è bene per il paese. Non perderemo mai la nostra fiducia nella democrazia. Quindi non dovete dare un voto a Madame Le Pen.
Quindi lo so bene, lo ripeto perché a volte, anche quando dico delle cose, è come se non le avessi dette. Quindi ricomincio da questo punto del film: non dovete dare un solo voto a Madame Le Pen. Non dovete dare un solo voto a Madame Le Pen. Non dovete dare un solo voto a Madame Le Pen. Quindi penso che il messaggio per questa parte sia stato ascoltato. Quindi ora, cosa faremo? Apriremo questa nuova pagina e le 310.000 persone che mi hanno sostenuto scriveranno il loro punto di vista.
Detto questo, non nascondiamo la violenza della delusione. La violenza della delusione sta prima di tutto nel pensare a tutto ciò che sarebbe potuto essere e che non sarà. E questo più di ogni altra cosa mi brucia. Quello che mi preparavo a fare, quello che pensavo fosse immediatamente a portata di mano, le belle squadre che avevamo a disposizione e che erano pronte a schierarsi per assumere tutti i compiti che dovevano essere fatti.
Sì, è una delusione. Ma allo stesso tempo, come possiamo nasconderci? Io sono come te, lì in mezzo. Come posso nascondere il mio orgoglio per il lavoro che abbiamo fatto? Il Polo del Popolo esiste. Se non ci fossimo noi, cosa resterebbe? Cosa avremmo? Non avremmo nulla. E abbiamo costruito questa forza (…). La lotta continua. La lotta continua.
lunedì 11 aprile 2022
L’importanza dell’Eurasia - Alessandra Ciattini
L’idea dell’importanza dell’Eurasia per garantirsi il dominio del mondo risale ai primi del Novecento e in particolare a uno scritto di Halford John Mackinder intitolato The Geographical Pivot of History, pubblicato nel 1904. In questo articolo egli sosteneva che la regione che va dall’Europa centrale alla Siberia rappresentava nelle condizioni politiche del tempo il “cuore geopolitico mondiale”, da lui definito appunto Heartland, e inespugnabile da parte delle potenze talassocratiche come la Gran Bretagna, che al tempo appunto dominava i mari. Il grande geografo e antropologo britannico prefigurava una forte alleanza tra la Germania e la Russia zarista, che però orientavano la loro politica in senso diverso, convinto che chi avesse dominato questa ampia e ricca regione avrebbe esteso il suo controllo anche all’Africa, costituendo l’Eurafrasia, ossia ciò che egli definiva “isola mondiale”. Chi avesse realizzato questo progetto avrebbe messo sotto il suo controllo gran parte delle terre e delle risorse mondiali, garantendosi così un dominio indiscusso sul mondo. A suo parere la classe dirigente britannica, che si era scontrata con i russi nell’Asia centrale nell’Ottocento, doveva prendere in considerazione questo pericolo e cercare di sventarlo.
Come si può capire da quanto esposto, l’analisi di Mackinder aveva un carattere esclusivamente geopolitico e quindi prendeva in considerazione esclusivamente gli Stati come protagonisti della storia e detentori di risorse materiali senza tenere in conto la loro stratificazione di classe e le dinamiche inerenti al sistema capitalistico radicato in questi paesi.
Un interessante articolo di Davide Papini ci aiuta ad approfondire questo non facile aspetto spiegando dettagliatamente l’origine e gli obiettivi dell’atlantismo [1], sorto probabilmente nel 1913, quando fu istituita la Federal Reserve, dominata dai grandi banchieri internazionali.
Nella descrizione di Papini le forze atlantiste, ossia quelle che spinsero gli Stati Uniti a intervenire nella Prima e nella Seconda guerra mondiale per espandersi nell’Eurasia, mettevano insieme “un composito schieramento di élites (dinastie bancarie, magnati industriali, leader politici, personalità culturali), accomunate da ingenti interessi materiali e dalla medesima visione del mondo”. I veri capi di questo gruppo di potere erano i proprietari delle grandi banche d’affari che dominavano la City di Londra e Wall Street a New York. Il loro scopo, purtroppo in gran parte realizzato, era quello di trasformare il mondo in unico mercato globale, dove avrebbe dovuto spadroneggiare un’unica moneta, imponendo quindi il signoraggio del dollaro, che i vari paesi avrebbero dovuto chiedere in prestito per far funzionare le loro economie, indebitandosi a vita. Eventi che sono divenuti sempre più palesi negli ultimi decenni del XX secolo a partire dagli inizi della crisi economica iniziata alla fine dei Trenta anni gloriosi. Le forze atlantiste riunivano le antiche massonerie e le istituzioni mondialiste come, per esempio, il Council on Foreign Relations o il Royal Institute of International Affairs. Tali personaggi si prefiggevano di imporre al cosiddetto blocco occidentale, comprendente anche il Giappone conquistato a suon di bombe atomiche dagli Stati uniti, “il catechismo del nuovo ordine mondiale atlantista, di cui il mercatismo e il cosmopolitismo costituivano gli elementi basilari”.
domenica 10 aprile 2022
Quale idea di Occidente? Un’analisi filosofica del conflitto - Vincenzo Costa
Leggi anche: Filosofia e scienza - Vincenzo Costa
COME DISTRUGGERE UN PAESE: IL NOSTRO - Vincenzo Costa
sabato 9 aprile 2022
Cosa sta succedendo dentro l’ONU?
Da: http://misiones.cubaminrex.cu - https://www.facebook.com/giannimina38 -
New York, 7 aprile 2022
venerdì 8 aprile 2022
Gianfranco Pala: L’"AntiKeynes" - Francesco Schettino
martedì 5 aprile 2022
Sotto la bandiera altrui - Lenin (1915)
Da: www.resistenze.org - Lenin, Opere complete, vol. 21, Editori Riuniti, Roma, 1967, pp. 119-139. Pubblicato per la prima volta nella Raccolta, I, delle edizioni «Priliv», Mosca. Firmato: N. Konstantinov - Trascrizione per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare in occasione dell'anniversario della scomparsa di Lenin (22/01/1924)
domenica 3 aprile 2022
Come il neoliberismo arrivò in Italia - Intervista a Luciano Gallino (2015)
Da: https://jacobinitalia.it -
Dario Colombo, sociologo, si è occupato della neoliberalizzazione delle politiche sociali e lavora nel campo della microprogettazione sociale.
Enrico Gargiulo, sociologo all’Università di Bologna, si occupa di trasformazioni della cittadinanza, integrazione dei migranti e sapere di polizia.
Luciano Gallino (1927-2015), sociologo tra i più autorevoli della nostra epoca, ha insegnato all’Università di Torino. Si è occupato delle trasformazioni del lavoro e dei processi produttivi nell’epoca della globalizzazione.
Leggi anche:
LA LOTTA DI CLASSE DOPO LA LOTTA DI CLASSE - Luciano Gallino
La genealogia della catastrofe Italiana - Alessandra Ciattini
Vedi anche: Perché quella di classe è una lotta continua... - Luciano Gallino
Un’attualissima (e inedita) intervista ritrovata a Luciano Gallino: su come la sinistra postcomunista è divenuta neoliberista e sulla «lotta di classe dopo la lotta di classe»
Quest’intervista a Luciano Gallino, scomparso nel novembre del 2015, è stata condotta da Dario Colombo ed Enrico Gargiulo a inizio giugno dello stesso anno per essere inserita in un volume collettivo dedicato ai vari aspetti della penetrazione del neoliberismo in Italia. Il libro, purtroppo, non ha mai visto la luce. L’intervista qui pubblicata, inoltre, è stata creduta irrimediabilmente persa: il dispositivo usato per la registrazione è stato rubato durante un viaggio in treno e il disco rigido su cui era stata copiata, poco dopo, è rimasto danneggiato. A diversi tecnici è stato chiesto di recuperare il file, senza successo. Sette anni dopo, un vecchio pc, quasi per caso, è capitato nelle mani di una persona che, inaspettatamente e fortunatamente, è riuscita a recuperare il prezioso contenuto che, proprio nei giorni in cui cade il decimo anniversario dell’uscita del suo Lotta di classe dopo la lotta di classe, qui finalmente pubblichiamo. (Jacobin Italia)
Caro professor Gallino, prima di tutto le chiediamo una definizione complessiva di neoliberismo: cosa si intende con questo termine? Cos’è il neoliberismo come fenomeno globale degli ultimi decenni e cosa, soprattutto, non è?
Dagli anni Ottanta del secolo scorso, con l’avvento al potere di leader politici come Ronald Reagan negli Stati uniti e Margaret Thatcher nel Regno Unito, si usa designare come neoliberismo o neoliberalismo un’ideologia universale che afferma che qualunque settore della società, ciascun individuo in essa e, infine, la società intera in quanto somma dei due elementi precedenti, può funzionare meglio, costare meno, presentare minor problemi, essere più efficace ed efficiente qualora sia governata in ogni momento dai principi di una razionalità economica e strumentale.
La razionalità strumentale ha a che fare soprattutto con il rapporto tra mezzi scarsi – rispetto all’attore che li vuole utilizzare – e fini alternativi – che possono dare esiti molto diversi. Qualunque altro ragionamento passa in secondo piano dinanzi a questo impegno e presupposto. Non solo l’economia, l’impresa o il commercio dovrebbero essere organizzati e gestiti secondo il principio della razionalità economica ma anche i servizi pubblici: scuola, sanità, ricerca, beni culturali. E così tutte le azioni degli individui, perché solo in questo modo la loro somma complessiva darebbe origine a una società migliore, nel senso di più efficiente e con costi minori.
Se poi mi chiede che cosa non è, si può dire una cosa precisa e piuttosto trascurata: il neoliberalismo non è una dottrina che vuole scoprire come funziona il mondo, spiegarlo agli altri e conformarlo in modo che sia più consono rispetto a leggi individuate e scoperte. Tra le grandi dottrine politiche questo approccio caratterizza ad esempio il marxismo. Marx voleva scoprire come funzionava davvero il mondo capitalistico e spiegarlo, per poi correggerlo, emendarlo e fondare un altro ordine sociale. Il neoliberalismo è una dottrina essenzialmente costruttivistica. Essa non dice, come dicevano i liberali classici, che l’essere umano è di per sé un homo oeconomicus, dice che l’essere umano anche se non lo è, può essere spinto in diversi modi ad agire come un uomo economico e questo ha i suoi vantaggi non solo in economia ma anche nella famiglia, nei rapporti sociali, in politica e in qualunque altro settore della società. Il neoliberalismo, tra tutte le grandi dottrine politiche, non è una teoria scientifica nel senso che vuole scoprire come funziona la realtà, vuole piuttosto costruire la realtà secondo i propri principi e i propri canoni, nella convinzione che tutto funzionerebbe meglio.
sabato 2 aprile 2022
La battaglia del gas. Con la mossa russa in gioco la nostra sopravvivenza - Alberto Negri
Leggi anche: Il nuovo, pericoloso, «arco della crisi» - Alberto Negri
Le pipeline in Siria e Iraq: il vero motivo strategico della guerra* - Alberto Negri