Solo negli ultimi 5 anni l’Italia ha perso un milione di
occupati, di cui 300mila nel settore metalmeccanico. La piccola risalita fatta
registrare l’anno scorso, pur così enfatizzata (l’Italia della retorica
Renziana che riparte), è stata del tutto assorbita in quanto drogata dagli
sgravi che il Governo regalava agli imprenditori che assumevano. Finita la
droga si è tornati a licenziare in scioltezza e si sono gettati al vento chi
dice 10 chi dice 20 miliardi di Euro. Va così in tutta Europa? Solo in Spagna
si sono verificate perdite di occupati pari a quelle intervenute in Italia. In
Germania invece si è tornati al livello degli anni precedenti la crisi e,
quindi, mentre l’Italia ha perso, come si è detto, 1 milione di occupati, la
Germania ha aumentato i suoi di 1 milione e mezzo.
Pare proprio si sia
configurata un’Europa del Lavoro e dell’Economia a due velocità. Ed allora la
Gran Bretagna ha pensato bene di salutare questa Europa con il referendum di
giugno. E la Gran Bretagna non è la Grecia, che è stata calpestata un anno fa, e
va ascoltata. Perché la Brexit ci costringe per davvero a ragionare
sull’esistenza o meno di un’alternativa “allo stato di cose presenti” che
l’assetto economico assunto dall’UE ci impone, a partire dal lontano trattato
di Maastrich. E quel trattato, impedendo la compressione della disoccupazione,
da allora considerata “elemento funzionale al mantenimento degli equilibri
interni al sistema economico capitalistico”, negava anche l’intervento pubblico
in Economia (bloccati gli aiuti di Stato, eccezion fatta per le Banche ben
s’intende) e imponeva le privatizzazioni. E un furia privatizzatrice spazzò
l’Italia che, con Bersani in testa, enfatizzava privatizzazioni a “lenzuolate”.
Se oggi noi ci apprestiamo a dire no nel referendum costituzionale, è bene
rammentare che fu proprio la UE, imponendo la “coesistenza pacifica” con la
disoccupazione e la cancellazione della mano pubblica in Economia, ad assestare
il primo doloroso colpo di piccone alla nostra Carta Costituzionale che
sostiene esattamente l’opposto. Il secondo, mortale, fu l’imposizione più
recente del vincolo di Bilancio (il pareggio dell’art.81). Da tutto ciò ne
discende che il concetto di “piena occupazione” in Italia è stato riposto nello
scantinato del Novecento, a fianco della Programmazione Economica, l’IRI e le
Partecipazioni Statali. In quello scantinato sono quindi finite le lezioni di
John Keynes che, all’interno dell’Economia di Mercato, sollecitava interventi
di Stato, attraverso i quali il sistema capitalistico avrebbe retto alla sfida,
si era nel trentennio 1945-1975, portata dall’economia di piano dell’Unione
Sovietica. Oggi, che non esiste più l’Unione Sovietica e la sfida se si vuole è
con il “Socialismo di Mercato” della Cina, quelle antiche lezioni tornerebbero
comunque utili perché la crisi economica mondiale, iniziata negli USA nel 2007,
ha, tra le sue cause, lo ricorda l’economista Thomas Piketty, proprio il
fallimento delle politiche neoliberiste spinte dell’ultimo quarto di secolo, da
quando ossia l’Unione Sovietica è uscita di scena e il capitale non aveva più
il nemico.