La teoria Marxista poggia la sua forza sulla scienza... che ne valida la verità, e la rende disponibile al confronto con qualunque altra teoria che ponga se stessa alla prova del rigoroso riscontro scientifico... il collettivo di formazione Marxista Stefano Garroni propone una serie di incontri teorici partendo da punti di vista alternativi e apparentemente lontani che mostrano, invece, punti fortissimi di convergenza...
lunedì 31 agosto 2015
Sullo Stato* - Vladimir Lenin
*Lezione tenuta l'11 luglio 1919 all'università di Sverdlov.
Nella questione dello stato, nella dottrina dello stato, nella teoria dello stato, quando conoscerete la questione e l'avrete abbastanza approfondita, scorgerete sempre la lotta delle diverse classi fra di loro, lotta che si riflette o si esprime nella lotta tra le differenti concezioni dello stato, nella valutazione della funzione e del significato dello stato.
la cosa più importante per trattare questa questione in modo scientifico, consiste nel non dimenticare il nesso storico fondamentale, nel considerare ogni questione tenendo conto del modo come un dato fenomeno è sorto nella storia, delle tappe principali che ha attraversato nel suo sviluppo e, partendo dal suo sviluppo, esaminare che cosa esso è diventato oggi.
domenica 30 agosto 2015
Democrazia e moneta in Inghilterra - Karl Polanyi
L’articolo fu pubblicato in Der
Österreichische Volkswirt, influente settimanale economico e
finanziario dell’Europa centrale, di cui Karl Polanyi era direttore all’estero.
E’ contenuto in una scelta ( Cronache
della grande trasformazione, a cura di Michele Cangiani, Torino, 1993) di
alcuni degli articoli che, negli anni 1924-1938, Polany scrisse per
il settimanale
[19 settembre 1931]
“La crisi non è passata –né quella politica,
né quella finanziaria. Al contrario essa è appena all’inizio e durerà a
lungo”. Così si espresso Winston Churchill alla Camera dei Comuni nella
discussione sul bilancio [1]. Nessuno dubita che abbia ragione. E’ in gioco una
scelta globale.
Dalla guerra in poi il sistema politico inglese
è stato completamente scompigliato dall’ascesa del Labour Party. Era infatti
sempre stato un sistema bipartitico. Il governo di minoranza del Labour nel
1924 fu una soluzione obbligata. La ripetizione del tentativo, con il secondo
governo di minoranza nel 1929, fu avvertita come una grave anomalia. Le
possibilità di esistenza e il modo di funzionare dei partiti e della democrazia
sono da allora una questione aperta.
Il denaro è tempo. Trasformato. - Maurizio Donato
"La natura stessa della circolazione delle
merci genera un’apparenza opposta:
la metamorfosi è visibile solo come movimento del
denaro.
La merce non percorre più nella sua pelle naturale
la seconda metà della circolazione, ma nella sua pelle
d’oro." [Karl Marx, Il capitale]
Il denaro è pertanto una forma fenomenica che riflette le relazioni di tutte le altre merci, ma anche i “rapporti umani nascosti dietro di essa”. In tal senso, nella sua materialità incarnata in oro, argento o moneta si attua la sua “magia”: scompare il lavoro umano e le modalità storico-sociali della sua realizzazione, lasciando al suo posto il “feticcio che abbaglia l’occhio”. Solo l’occhio della mente riesce quindi a cogliere sempre la sua reale sostanza di lavoro sociale umano cristallizzato, a eliminare l’arcano dovuto all’atomizzazione dei rapporti di produzione, e ristabilire il libero dominio sulla storia.
“.. il valore è sostanza di rapporti reali che si
fa forma: ma per diventare forma – forma di valore – la sostanza appare come
grandezza. Per Marx, dunque, partendo dalla sostanza di valore, la grandezza
costituisce un primo passaggio, che è necessario in un ben determinato gruppo
di problemi ma non in altri.. Deve poi “mutare forma” – cioè “trasformarsi”
(letteralmente e semanticamente) – nelle varie e successive “forme di valore”:
dalla forma “semplice” (“semplice” hegelianamente), alla forma “monetaria” che
è poi il prezzo, in tutte le sue differenti accezioni." (Gianfranco Pala, Il valore della teoria,
Roma, 2003)
“Il medesimo
capitale appare in una duplice caratteristica. Ma esso non opera che una volta
e ugualmente non produce il profitto che una volta. Come poi le persone che
hanno diritto a questo profitto se lo ripartiscano, è una questione in sé e
per sé puramente empirica, che appartiene al regno della casualità”
[Capitale, III, cap.22].
nel primo stadio dell’analisi, quello – tipico del I libro
del Capitale – cui ci riferiamo, non compaiono i prezzi perché – in un certo
senso – non ce n’è bisogno. Il livello di astrazione è quello che si riferisce
al capitale in generale; quando invece e se si volesse scendere al livello in cui
studiare come i singoli capitali si fanno concorrenza tra loro, allora
apparirebbe necessario introdurre la categoria dei prezzi.
sabato 29 agosto 2015
Cos’è davvero la Cina? - Intervista a Domenico Losurdo
"Ritengo corretta
la definizione dei dirigenti cinesi: la Cina si trova allo stadio primario del
socialismo, destinato a durare per alcuni decenni. È una definizione che
riconosce quanto di capitalista c’è nei rapporti sociali vigenti, ma anche
quanto fortemente il Paese sia impegnato in un processo di costruzione di una
società postcapitalistica. Dobbiamo prendere atto che il socialismo si sviluppa
attraverso un faticoso processo di apprendimento. Non sono adeguate né la
categoria di tradimento né quella di fallimento. Non ha senso fare valere tali
categorie per un paese e per un partito che, dopo aver contribuito potentemente
alla vittoria della rivoluzione anticolonialista mondiale, stanno oggi mettendo
fortemente in discussione anche il neocolonialismo praticato dall’Occidente e
dagli USA. [...]
Conducendo la più
grande rivoluzione anticolonialista della storia, la Cina ha contribuito
potentemente al rovesciamento del sistema coloniale classico; ai giorni nostri,
come ho già spiegato, sta mettendo in discussione il neocolonialismo già sul
piano economico. Ora dobbiamo considerare l’aspetto politico. Nella misura in
cui l’Occidente attribuisce a se stesso il diritto di intervenire militarmente
in ogni angolo del mondo, senza l’autorizzazione del Consiglio di sicurezza
dell’ONU, di fatto continua a collocarsi sulla scia del colonialismo e
dell’imperialismo. Conviene tener presente una definizione che Lenin dà
dell’imperialismo: è il sistema in base al quale un piccolo gruppo di «nazioni
elette» rivendica a se stesse il diritto all’indipendenza statale e nazionale,
che nega invece alle altre. I presidenti statunitensi parlano del loro Paese
come dell’unica «nazione indispensabile», come della nazione eletta da Dio, col
compito di guidare il mondo: è la negazione del principio di uguaglianza tra
popoli; ebbene, se ci chiediamo qual è il Paese che si batte di più per la
democratizzazione dei rapporti internazionali, a mio avviso si tratta proprio
della Cina. Prima ancora che sul piano politico, essa lo fa sul piano
economico. Se fino a qualche tempo fa le potenze occidentali potevano scatenare
embarghi con un forte potere di ricatto su intere nazioni, oggi l’efficacia di
questi strumenti di pressione si è ridotta significativamente, anche a seguito
dello sviluppo economico e commerciale del grande paese asiatico".
venerdì 28 agosto 2015
LUKÁCS - Renato Caputo
Fra gli scritti giovanili di Lukács (Budapest 1885 –
Budapest 1971), anteriori all’approdo al marxismo, occorre ricordare, in
particolare, L’anima e le forme e Teoria del romanzo. Tali opere risentono
della formazione del giovane Lukács, che ha avuto modo di studiare con alcuni
dei maggiori filosofi e sociologi del tempo, come Heinrich Rickert e Georg
Simmel. In esse la riflessione sull’arte e la vita si intreccia sempre più con
la filosofia della storia, che diverrà un punto fermo della visione del mondo
di Lukács negli anni successivi.
Per quanto riguarda la prima opera, del 1911, influenzata in
particolare dalla filosofia della vita allora in voga, Lukács mostra come
l’opera d’arte da una parte esprime un determinato atteggiamento nei confronti
della vita, dall’altra interviene sul suo caotico corso regolandolo mediante la
forma. A differenza della scienza che mira al contenuto, ovvero si occupa dei
fatti e delle loro connessioni e ha, dunque, come oggetto il mondo naturale,
l’arte è caratterizzata dalla forma in quanto esprime le anime e i loro destini
e ha come oggetto la sfera dello spirito. In Teoria del romanzo (1916) Lukács
affronta per la prima volta l’opera d’arte in una prospettiva storicistica, che
sarà posta al centro dei successivi sviluppi della sua teoria estetica.
Nel corso della prima guerra imperialistica mondiale, Lukács
pone in discussione le sue convinzioni filosofiche giovanili; esse gli paiono
radicate in un mondo – il mondo grande borghese in cui è nato e cresciuto –
destinato a un irreversibile tramonto. Ciò lo porta a studiare con passione
l’opera di Marx e, in seguito, ad assumere incarichi di primo piano nella
rivoluzionaria Repubblica dei Consigli ungherese (1919) per conto del partito
comunista.
Durante tale breve ma intensa esperienza Lukács compone una
serie di scritti volti a indagare il movimento consiliare nell’ottica di
un’indagine marxista del rapporto fra etica e politica, tesa a individuare le
origini filosofiche del comunismo al di là di Marx nella morale kantiana, negli
scritti del giovane Fichte e nella filosofia hegeliana. Dopo la rapida
sconfitta della repubblica sovietica ungherese, per sfuggire alla terribile
repressione del terrore bianco, Lukács è costretto ad abbandonare il proprio
paese e a vivere in esilio prima in Austria, quindi in Germania.
Nel 1922 Lukács dà alle stampe la più significativa e
influente fra le sue opere giovanili: Storia e coscienza di classe, in cui
raccoglie una serie di saggi, scritti a partire dal 1919, volti a enucleare il
metodo filosofico del marxismo, che segnano la rinascita della filosofia
marxista in occidente. Storia e coscienza di classe, in effetti, per la
riscoperta della centralità del legame fra Hegel e Marx, e in particolare per
l’importanza che assegna alla dialettica hegeliana nell’opera di Marx, per
l’accento posto sulla soggettività sociale, per la cesura tanto con
l’economicismo e il positivismo, quanto con la dialettica della natura, è
considerata l’opera che ha inaugurato il marxismo occidentale.
BUONISMO ASTRATTO E SPIETATEZZA CONCRETA - Alessandra Ciattini
Contraddizione
A mio parere, una delle contraddizioni più eclatanti
dell'ideologia dominante – quella che pervade i mass media e che è propagandata
da quel piccolo e vorace gruppo di “intellettuali” interrogati costantemente
sulle questioni dirimenti del mondo attuale - è rappresentata dall'adesione al
relativismo culturale che, se preso sul serio implica che non possiamo in
nessun modo stabilire qual’ il giudizio veritiero su un certo problema [1];
adesione accompagnata contraddittoriamente dalla convinzione che sia possibile
distinguere l'”ideologico” dal non “ideologico”, ossia che, una volta
identificato un problema, sia possibile individuare la strada – l'unica opportuna
e certamente la più auspicabile – per affrontarlo e risolverlo, senza
attardarsi nell'analisi delle grandi opzioni etico- politiche [2], all'interno
delle quali – anche se occultate e messe tra parentesi – gli stessi problemi
vengono formulati, per dare ad essi una risposta con la finalità di promuovere
certi specifici interessi radicati in determinati settori sociali.
Ciò che ai su menzionati “intellettuali” dà fastidio in modo
particolare è il fatto che l'”ideologico”, caratterizzante ovviamente sempre e
unicamente il pensiero altrui [3], è espressione di certe condizioni sociali e
proprio per questo rappresenta gli interessi di coloro che si trovano a vivere
in esse e che magari sono desiderosi di trasformarle. Dal loro punto di vista,
la soluzione autentica ai problemi deve essere proposta ed elaborata,
distaccandosi il più possibile da tali interessi, che contaminano e sporcano
l'opera disinteressata del pensiero, che a loro dire dovrebbe mirare ad una
risposta pragmatica che soddisferebbe il benessere generale non compreso dagli
“ideologici”, proprio perché strettamente avvinti al loro particolare
tornaconto [4].
lunedì 24 agosto 2015
Lavoro astratto e feticismo - Maurizio Donato
Ora, la domanda che ci stiamo ponendo è: può il lavoro
astratto che diventa valore, pur essendo una categoria teorica, avere una
determinazione direttamente quantitativa, cioè assumere una grandezza
determinata? E, se sì, a che “prezzo”? La risposta di Marx appare positiva: il
prodotto del lavoro, le merci, non solo acquisiscono la forma sociale di valore,
ma valore di una determinata grandezza.
E’ un passaggio che
possiamo semplificare così: se sono in grado di pensare che il valore di una
merce dipende dal tempo di lavoro, posso anche chiedermi: quanto valore?
che significa – per il valore, ma non solo – essere una
“grandezza sociale”?
Supponiamo – con Isaak Rubin – che una comunità futura debba
decidere come, e di conseguenza quanto, valutare il lavoro delle persone. Si
potrebbe essere d’accordo nel valutare che una giornata lavorativa di un
operaio non qualificato valga (ad es.) 1 e una giornata lavorativa di un
operaio qualificato 3, una giornata lavorativa di un operaio esperto ne valga 2
di uno non esperto e così di seguito. Significherebbe questo che “realmente” un
certo lavoratore, più qualificato o più esperto, lavora più ore di un altro
meno qualificato o meno esperto? Evidentemente no. Dal punto di vista delle ore
concrete di lavoro effettuate, è ben possibile che siano le stesse o che i
lavoratori più esperti o più qualificati lavorino meno dei loro compagni. Il
significato di una tale convenzione indica che la quantità di “lavoro sociale”
A è maggiore, cioè è valutata più, della quantità di lavoro sociale di B.
Si tratta di “contabilità sociale” che ha ad oggetto unità
di massa omogenea di lavoro la cui metrica è ordinata con criteri politici da
parte di un organismo sociale. Si tratta, in poche parole, di grandezze sociali
nello stesso senso in cui il valore, lavoro “congelato”, “gelatina di lavoro
umano omogeneo”, è espressione materiale, reale non meno che ideale, del lavoro
sociale nella forma specifica che il lavoro possiede in una economia mercantile
e capitalistica, cioè lavoro astratto.
In questo senso lavoro astratto e valore non hanno solo una
espressione qualitativa, ma anche quantitativa, una determinata grandezza,
nello stesso senso in cui il lavoro sociale computato dagli organi di una comunità
futura ha una grandezza determinata.
Per Marx le relazioni sociali di produzione tra le persone
sono espresse in forma materiale. Provate a scomporre e ricomporre questa frase
così: la forma materiale nasconde rapporti sociali. In questo senso il salario,
in qualsiasi forma appaia: monetaria o reale, è un rapporto sociale. Il
capitale è un rapporto sociale, in qualsiasi forma si presenti.
domenica 23 agosto 2015
AUTONOMIA PROLETARIA, Critica della politica - Enzo Modugno
Insomma, democratici o no, al pensiero politico l'equazione
«legge-volontà popolare» non riesce, proprio come non riesce a Smith
l'equazione valore-lavoro: questi ne conclude che la legge del valore-lavoro
contenuto non regola il modo di produzione di merci; quelli che il principio
dell'autodeterminazione non si realizza nello Stato moderno rappresentativo.
Il che è certamente vero se si considera la classe operaia e
il suo interesse ad abolire gli attuali rapporti di produzione.
Ma non è vero se si considerano operai e capitalisti come
agenti dello scambio, il cui interesse consiste nel far rispettare la libertà e
l'uguaglianza, ecc. È in questi rapporti che «cerca scampo» lo Stato moderno
rappresentativo, che in questo senso è veramente lo Stato
dell'autodeterminazione del popolo: solo che le difficoltà che contrastano
l'autodeterminazione sono le difficoltà stesse della volontà; è l'esistenza
stessa di questa «volontà» - che porta segnata in fronte la sua appartenenza ad
individui isolati che scambiano le loro merci - ad indicare che la sua
autodeterminazione non potrà realizzarsi che come volontà di garantire i
rapporti di scambio.
Cioè come volontà di tenere in piedi uno Stato a garanzia
delle leggi della circolazione. Il lavoratore può davvero esprimere la sua
volontà: ma può essere solo la volontà di un individuo che scambia la sua merce
sul mercato, e come tale il suo interesse è che venga venduta al suo valore,
che venga rispettata l'uguaglianza e la libertà, ecc., ecc. Ciò che tiene unito
lo Stato, scrive Hegel, non è la forza, ma «unicamente il sentimento
fondamentale dell'ordine, che tutti hanno». Questa e solo questa è la volontà
che può essere espressa: la volontà della persona isolata (abbiamo visto che il
partito non modifica questo isolamento), dell'agente dello scambio.
Cioè una volontà uguagliata, astratta; quando comprano la
stessa merce, operaio e capitalista sono uguali. Ed è questa volontà che
può/deve diventare generale. E se è come agenti del mercato che possono essere
uguali, è dunque solo in questa sfera che si possono equiparare le volontà. Se
si presentassero come agenti dell'altra sfera, della produzione, l'uguaglianza
verrebbe cancellata, non sarebbero più comparabili, non si arriverebbe mai a
una legge. Dunque non la volontà di agente della produzione, ma solo quella di
agente dello scambio può essere uguagliata.
La possibilità di questo uguagliamento è la possibilità
stessa dello Stato moderno.
La legge dunque è l'espressione della volontà dei
proprietari privati e indipendenti, condizionata dai loro interessi comuni.
[...]
E non si tratta della mancanza di una linea rivoluzionaria.
«Il potere sopprime la libertà degli operai così come il capitale» afferma Marx
nel 1871; a) movimento economico e b) azione politica, sono «indissolubilmente
uniti » (IX risoluzione della Conferenza di Londra del 1871).
a) Finché il lavoro si cristallizza nelle merci, è in questa
forma che i proletari possono riappropriarsene; ma nello stesso tempo essi
comprendono che fin quando il prodotto del lavoro si presenterà in forma di
merce sarà impossibile una effettiva riappropriazione. Dunque lotta salariale
ma nello stesso tempo lotta contro il lavoro salariato, contro il rapporto di
produzione capitalistico, contro la produzione di merci.
b) finché la società esprimerà un potere politico, i
proletari dovranno lottare per riappropriarsene, ma nello stesso tempo essi
comprendono che fin quando «la forza sociale si separa nella figura della forza
politica, non sarà possibile nessuna emancipazione umana»(Marx, Questione
ebraica).
Queste cose erano già chiare cento anni fa. Il problema che
si pone dunque non è quello della linea rivoluzionaria, bensì quello di capire
perché per esempio la socialdemocrazia tedesca, che al tempo della sua
fondazione queste cose le sapeva benissimo, ha seguito poi un'altra strada. La
sua storia non può essere spiegata con i «tradimenti» e gli «errori» (Questo modo
di procedere somiglia alla pretesa di spiegare la storia dei rapporti di
produzione come «una falsificazione malignamente organizzata dai governi»). Né
la si può spiegare mettendola sul conto della «burocrazia»: bisognerebbe
spiegare il perché della burocrazia.
D'altra parte ad impedirne il destino non basta la buona
volontà dei dirigenti, per quanto essi soggettivamente possano elevarsi al di
sopra dei rapporti che li determinano.
È a questi rapporti che bisogna guardare, alla «struttura
istituzionale» di questi partiti.
Le origini dell’ondata populista in Italia - Aldo Giannuli
Il movimento di tipo populista cerca in primo luogo un capo
carismatico capace di portarlo alla vittoria, un’incarnazione dello spirito di
rivolta, sottratto alle alchimie partitiche. Nello stesso tempo, il leader
carismatico agisce da “riduttore di complessità”, rispondendo anche all’
esigenza di forte semplificazione della politica. Il populismo aspira a portare
i problemi “al livello del popolo” che ritiene educato quanto basta a capire
l’essenza dei problemi, delegando il dettaglio tecnico a quanti il “Capo”
designerà a questo scopo. In un certo senso, il “tecnico” (inteso come
depositario di un sapere esclusivo che determina la scelta politica) è ancora
più del “politico” il nemico da battere, per cui le questioni vanno spogliate
dalla loro complessità, ridotte nei termini più “semplici” e decise, affidando
al tecnico un ruolo meramente esecutivo terminale. E spesso questa avversione
al tecnico si accompagna ad una istintiva diffidenza verso l’intellettuale in
genere (l’anti intellettualismo è una componente estremamente ricorrente del
populismo).
Se la protesta del 1992-93 faceva ancora uso delle categorie
politiche di destra e sinistra, quella attuale le respinge per reclamare la
soggettività del “popolo” in quanto tale, che si presenta nella sua “unità”
contro divisioni viste come funzionali solo agli interessi della classe
politica. Ed in questo senso, quella attuale è una forma di populismo radicale,
estraneo alla classe politica, assai poco incline alla mediazione.
La classe politica della Seconda Repubblica, ha usato il
populismo come strumento di raccolta del consenso, vellicando spesso gli umori
antipolitici della società, ha distrutto o ridotto all’impotenza i corpi
intermedi fra Stato e società (partiti, sindacati, associazionismo ecc.) non ha
prodotto alcun materiale di cultura politica (riviste, centri studi, inchieste,
convegni, grandi dibattiti politici ecc. sono
un lontano ricordo del passato di cui non c’è traccia alcuna nello
scorso ventennio).
Per cui, se la classe politica della Prima Repubblica aveva
–nel bene e nel male- condotto un’opera di alfabetizzazione politica delle
classi popolari, socializzandole alla democrazia, quella della Seconda hanno fatto una sorta di
sistematica “anti pedagogia politica” che ha prodotto una spoliticizzazione di
massa.
sabato 22 agosto 2015
Il riconoscimento in Hegel - Carla Maria Fabiani
«affinché sorga in te
il desiderio di riconoscimento (quello stesso desiderio che nutro io nel mio
intimo) sono disposto a mettere in pericolo la mia e la tua vita». (G.W.F. Hegel)
L’esperienza che Hegel ci sta descrivendo va collocata
letteralmente fuori della storia: essa è un’esperienza originaria, innata, o trascendentale:
cioè, è un’esperienza che ciascuno di noi – in quanto uomo – vive costantemente
dentro di sé e fuori di sé, nel confronto con gli altri. Essa non è
un’esperienza particolare (storicamente collocata), ma un’esperienza universale
(è la condizione dell’essere umano): siamo uomini perché desideriamo essere
riconosciuti, ma tale desiderio viene ostacolato, impedito – rimanendo spesso
un desiderio insoddisfatto – poiché gli altri non sono disposti a riconoscerci
senza che noi, a nostra volta, riconosciamo loro. La nostra struttura
antropologica – cioè il nostro essere uomini – coincide con l’irrefrenabile
desiderio di riconoscimento.
Il desiderio di riconoscimento ci rivela – dice
Hegel – il concetto di Spirito (Geist,
in tedesco), e cioè il fatto che gli uomini sono fondamentalmente soggetti
spirituali, ossia relazionali: il che vuol dire semplicemente che gli esseri
umani sono tali solo in relazione con altri esseri umani. L’isolamento dagli
altri non può costituire la condizione permanente della loro esistenza.
Tuttavia, essere uomini spirituali richiede uno sforzo di emancipazione e di
uscita da condizioni naturali che ci mettono in contrasto anche violento gli
uni con gli altri.
Per Hegel, la natura va negata: essa, di per sé, non
realizza le nostre aspirazioni più profonde, e per prima l’aspirazione alla
libertà. Spirito quindi per Hegel vuol dire anzitutto relazione fra singoli Io
che decidono di chiamarsi Noi; essi si riconoscono come un insieme coeso di
differenti Io.
Allora la lotta a morte si accende proprio quando ciascun uomo o
ciascun Io pretende di essere riconosciuto senza però voler riconoscere a sua
volta l’altro: e questa mancanza di piena corrispondenza fra i desideri,
secondo Hegel, sempre accade nel mondo degli uomini.
Il desiderio di
riconoscimento porta con sé l’eventualità del conflitto: gli esseri umani
possono rifiutarsi di riconoscere l’altro. Possono cioè restare indifferenti
alla pressante richiesta di riconoscimento da parte dell’altro. «Io sono qui, tu sei lì»; «Io sono naturalmente autosufficiente da te e
non ho bisogno del tuo riconoscimento». E questo è solo un esempio di come
l’uomo possa rifiutare la relazione con l’altro. È allora che metto seriamente
a rischio la mia vita, pur di essere riconosciuto: «o mi riconosci o ti uccido».
venerdì 21 agosto 2015
LA SCIENZA COME TEORESI COSTRUTTIVA -
Il video non è tecnicamente un gran ché. Il collettivo non era ancora sufficientemente esperto per maneggiare con la dovuta attenzione e cura le immagini e la loro resa visiva. E, però, forse in questo caso il risultato è raggiunto proprio in funzione dell'attenzione necessariamente dovuta al dialogo, rigorosamente in diretta, tra i due interlocutori.
Bello scambio di idee... Abbiamo estremo bisogno di questi ragionamenti di largo respiro che sono il nostro pane... intendo con pane il nostro lavoro teorico politico di fondo che è la base della prassi politica necessaria di un comunista.
Bello scambio di idee... Abbiamo estremo bisogno di questi ragionamenti di largo respiro che sono il nostro pane... intendo con pane il nostro lavoro teorico politico di fondo che è la base della prassi politica necessaria di un comunista.
mercoledì 19 agosto 2015
DEMENZA DIGITALE
Alcune aziende che quindici anni fa non esistevano, come Google e Facebook, oggi costituiscono la nuova e potente oligarchia planetaria del capitalismo digitale. Internet ne rappresenta l’intelaiatura, e i suoi utenti, vale a dire circa tre miliardi di persone, la forza lavoro utilizzata. Le nuove tecnologie digitali fanno ormai parte della nostra vita quotidiana, le portiamo addosso e controllano tutti gli ambienti della vita sociale, dai luoghi di lavoro ai templi del consumo. Questo libro propone una riflessione sui dispositivi attraverso i quali questa oligarchia e queste tecnologie catturano e colonizzano il nostro immaginario a fini di profitto economico e di controllo sociale. E mette in luce il risvolto di tutto ciò, ovvero l’emergere di una nuova e impercepita sudditanza di quel popolo virtuale che, riversando ingenuamente messaggi, fotografie, selfie, ansie e desideri su piattaforme e social-network, contribuisce con le sue stesse pratiche a rafforzare il dominio del nuovo impero. Non conosciamo ancora le conseguenze sui tempi lunghi di questo ulteriore passaggio del modo di produzione capitalistico. Chiara invece appare la necessità di immaginare pratiche di decolonizzazione personale e collettiva per istituire nei luoghi ordinari della vita varchi di liberazione.
“L’anima si colora con
il colore dei suoi pensieri” (Marco Aurelio)
Neuroplasticità cerebrale: “In campo medico l’istruzione è
ritenuta unanimemente il fattore decisivo per la salute di un individuo (...)
inoltre l’istruzione rende liberi – liberi da molte costrizioni, perché chi è
istruito può porsi criticamente nei confronti di sé stesso e del proprio
ambiente e non è esposto passivamente alle contingenze. Questo riduce lo
stress, che a sua volta distrugge i neuroni“. (…) “I fondamenti (…)
dell’apprendimento permanente (Long Life Learning) stanno in una buona
istruzione nell’infanzia e nell’adolescenza“. (M. Spitzer, 2012)
La «riserva cognitiva»: tutto dipende dal punto in cui si
parte
Concetto centrale: più tardi veniamo esposti al sistema
digitale (comunque dopo l’età dello sviluppo) più facilmente riusciamo a
mantenere intatte le capacità cognitive che vengono compromesse da un uso
intenso dei media digitali.
Un adulto che comincia ad utilizzare i media digitali
dispone di sufficiente esperienza nella ricerca, memorizzazione e gestione
delle informazioni, perché ha sedimentato nel suo cervello un passato
«analogico».
Un bambino che non ha ancora sviluppato la corteccia
prefrontale (che guida il comportamento previsionale, la pianificazione di
schemi di azione nel tempo, la capacità di relazione con il mondo esterno) e
che viene precocemente esposto ai media, crea da zero le sue capacità cognitive
di base sul modello digitale, con tutte le conseguenze osservate dagli studi.
In pratica: se partiamo da «più in alto», ci accorgiamo meno
della discesa… Chi parte da molto basso, invece, è già subito a valle…
http://www.davincialba.it/clil-genta/demenza-digitale.pdf
La società del controllo è un fatto irreversibile,
afferma Lyon; così come la modernità è divenuta liquida e non c’è
più possibilità che ritorni al suo stato solido, aggiunge Bauman.
Le tecnologie della sorveglianza aiutano tuttavia
gli uomini e le donne a migliorare la propria vita, perché riducono
al minimo il tempo dedicato alle mille incombenze quotidiane. Ma ecco profilarsi
un altro caso di ambivalenza: l’immanente conseguenza dei molteplici
dispositivi della sorveglianza è infatti il controllo capillare
e diffuso dei comportamenti individuali e collettivi . Viene
così progressivamente cancellata ogni tipo di intimità. La vita dei singoli
è ridotto a un profilo dove consumi, relazioni sentimentali,
lavorative vanno a comporre un aggregato di dati gestito dallo Stato
e da parte di imprese che utilizzano quei dati per le proprie strategie
di marketing; o per venderle ad altre imprese. L’«economia dei big
data» è possibile proprio grazie a questa incessante espropriazione
delle relazioni sociali ridotte a consumi, gusti, attitudini (...) il
«sesto potere» costituito dalla sorveglianza è rappresentato da un
inedito complesso militare-digitale sancito da un’alleanza tra pari tra lo
stato e imprese che raccolgono, gestiscono ed elaborano una massa
imponente di dati individuali.
sabato 15 agosto 2015
Il valore delle merci - Maurizio Donato
“La geometria euclidea
ha svolto una funzione essenziale nell’insegnamento scientifico per il suo uso
del metodo dimostrativo, cioè perché consiste in “teoremi”, ma anche e
soprattutto per l’evidenza della sua natura di “modello” di situazioni concrete
facilmente rappresentabili. È evidente infatti che i punti, i segmenti, i
triangoli e gli altri enti di cui si occupa un manuale di geometria non sono
oggetti concreti, ma è altrettanto evidente che la possibilità di disegnare
delle figure concrete, che “approssimano” quelle ideali oggetto della
matematica, fornisce un grande aiuto all’intuizione e una chiave essenziale per
le applicazioni della teoria. Studiando la geometria euclidea ci si abitua
quindi (è questo il punto essenziale!) a usare “enti teorici”, analizzabili con
rigore, per descrivere utilmente oggetti concreti, senza confondere gli uni con
gli altri.” (Lucio Russo)
Merce, valore, capitale, plusvalore: categorie, assieme ad
altre che introdurremo più avanti, la cui comprensione chiara renderà agevole
seguire la logica del modello. Ricordando che queste note non sostituiscono in
alcun modo lo studio del testo, ma ne costituiscono solo una introduzione, una
guida alla lettura, facciamo un passo avanti per quanto riguarda l’importanza
dell’utilizzo del metodo astratto basato sulle categorie.
venerdì 14 agosto 2015
Una candela che brucia dalle due parti. Rosa Luxemburg tra critica dell’economia politica e rivoluzione - Riccardo Bellofiore
Interiormente, mi sento molto più a mio agio in un piccolo tratto di giardino, come qui, o in un campo, stesa sull’erba e circondata di calabroni, che in un congresso del partito. A voi posso dire tutto ciò, voi non mi sospetterete subito di aver tradito il socialismo. Voi lo sapete, malgrado questo spero di morire al mio posto: in una battaglia di strada o in un penitenziario. Ma nel mio intimo, io appartengo più agli uccelli che ai miei “compagni”. E questo non perché solo nella natura, come tanti politici che hanno fatto interiormente bancarotta, io trovo un rifugio, un riposo. Al contrario, io trovo nella natura, come tra gli uomini, tanta crudeltà, che ne soffro molto.
Ed ancora in un’altra lettera del 3 luglio 1900 al suo compagno di allora, Leo Jogiches, leggiamo queste frasi:
Noi, tutti e due, internamente “viviamo” di continuo, cioè cambiamo, cresciamo, perciò di continuo si crea una sproporzione, uno squilibrio, una disarmonia di alcune parti dell’anima con le altre. Dunque bisogna fare una continua revisione interna, ricostituire l’ordine e l’armonia. C’è sempre qualche cosa da fare con se stessi, ma per non perdere mai la misura delle cose, che consiste a mio avviso nell’utilità della vita esteriore, l’atto positivo, l’attività creativa, in una parola per non affondare nella consumazione e nella digestione spirituale, ci vuole il controllo di un’altra persona, che ci sia vicina, che comprenda tutto, ma che sia fuori da questo “io” che cerca l’armonia.
Della persona che ha scritto in uno dei suoi ultimi articoli
su Rote Fahne, nel dicembre 1918, “Un mondo deve essere distrutto, ma ogni
lacrima che scorra sul volto, per quanto asciugata, è un atto d’accusa” non si
può, non si deve, perdere la tensione tra momento della lotta e momento della
com-passione: non lo si può, non lo si deve perdere, perché è appunto nel
legame tra “forza” della trasformazione sociale e “debolezza” che si riconosce
in sé e cui si vuole dare spazio nel mondo che risiede quanto di più
inquietante ed innovativo questa rivoluzionaria può dire a noi ancora oggi.
Eraclito - Antonio Gargano
Le radici del pensiero filosofico - Eraclito (Bodei, Detienne, Gadamer):
https://www.youtube.com/watch?v=q61bgE5Pe14
giovedì 13 agosto 2015
Un parricidio compiuto (un parricidio al quadrato). Il confronto finale di Marx con Hegel - Intervista a Roberto Finelli a cura di Ambrogio Garofano
"...per me l’analogia è tra Hegel e il Marx della maturità,
perché, torno a dire, il Marx che precede la maturità è tutto subalterno a
Hegel. Feuerbach e il primo Marx usano una strumentazione hegeliana e di questo
loro utilizzo non sono consapevoli fino in fondo. Invece, con il Marx della
maturità l’analogia con Hegel consiste in questo: nel fatto che per entrambi la
filosofia o la teoria in tanto è scienza in quanto produce una riunificazione
delle scissioni reali. Per Hegel la filosofia è scienza perché conduce dalla
scissione iniziale alla mediazione finale, sia la scissione della Fenomenologia
dello spirito (sensibile concreto e universale astratto) sia la scissione
iniziale della Scienza della logica (essere e nulla). La filosofia per Hegel è
compenetrazione progressiva di questi poli inizialmente l’uno opposto
all’altro. E appunto come ho provato a dire è il circolo del presupposto/posto
che alimenta il rigore scientifico di questo percorso. Ora, Marx a me sembra
che nel Capitale faccia esattamente il medesimo, a partire da una soggettività
che, come dicevo all’inizio, non è quella degli esseri umani, degli individui
agenti della storia, ma è quella di una soggettività impersonale che io chiamo
la ricchezza astratta del capitale e dalla sua tendenza illimitata
all’accumulazione quantitativa. Marx deve riuscire a dar conto dell’esistenza
di questo soggetto come cuore della modernità e come soggetto tendenzialmente
totalizzante a partire da una costatazione fenomenologica di scissione. Ed è
qui che sta l’analogia con Hegel: sia Hegel che Marx hanno un inizio
fenomenologico. Per entrambi l’inizio è non arbitrario, non
soggettivo, è fenomenologicamente ciò che è più a portata di mano, il dato più
diffuso: la certezza sensibile o l’essere come prima categoria in Hegel, la merce
per Marx. Si tratta della datità più generale, quindi un inizio fenomenologico
per entrambi, che deve sottrarre l’inizio dell’esposizione scientifica ad una
arbitrarietà di scelta soggettiva e a partire da questo inizio obbligato dare
vita ad un percorso di svolgimento categoriale prodotto dalle scissioni
dell’inizio medesimo."
FILOSOFIA DELLA STORIA - G. G. Federico Hegel
"Argomento di queste lezioni è la storia
filosofica del mondo, vale a dire che esse non contengono pure riflessioni
generali sulla storia, con alcuni esempi tratti dalla medesima per rischiararle,
ma presentano l'essenza stessa della storia del mondo. E per spiegare sul bel
principio che cosa sia questa storia, sembra necessario, avantitutto, di
definire le varie maniere di trattare la storia.
Vi sono in generale tre di queste maniere:
a) La storia
contemporanea o primitiva;
b) La storia riflessa;
c) La storia
filosofica.
A) Per ciò che riguarda la prima, io metto
in questa categoria, per spiegare tosto con un caso determinato il mio
pensiero, la storia di Erodoto e di Tucidide, ed altri simili storici, i quali
descrivono i fatti, gli avvenimenti e le circostanze che essi avevano avanti
agli occhi, al cui spirito essi appartennero; e ciò che era in certo modo
esterno, lo elevarono ad una rappresentazione spirituale. (...)
L'argomento di simili storie non può quindi
essere di una grande estensione ((si consideri Erodoto, Tucidide,
Guicciardini); ciò che di vivo e di attuale loro stà d'innanzi ne forma la
materia essenziale. La coltura dell'autore è quella stessa da cui partono le
azioni che entrano nella sua opera; lo spirito dello storico e quello degli
avvenimenti ch'egli racconta, sono una e medesima cosa. [...]
B) Il secondo genere di storia l'abbiamo
chiamata riflessa, ed è quella storia la cui esposizione nasce non dal tempo
presente, ma dalla riflessione dello spirito sul passato. [...]
C) Il terzo genere di storia finalmente è la
filosofica. (...) In generale la filosofia della storia non è altro che un
esaminare col pensiero filosofico la medesima. (...) Il pensiero che la
filosofia vi apporta, è il semplice pensiero della ragione, cioè 'che la
ragione governa il mondo' ; che adunque anche la storia del mondo si è
sviluppata ragionevolmente. Questa convinzione e questo modo di vedere è una
premessa in riguardo alla storia, considerata come tale; per la filosofia poi
non è una premessa, ma una verità provata. Per mezzo di questa cognizione
speculativa vien da essa dimostrato che la ragione, (qui noi possiamo
contentarci di questa espressione, senza spiegare più da vicino il rapporto suo
con Dio) è la 'sostanza', e in pari tempo 'l'infinita potenza', è 'l'infinita
materia' di ogni vita naturale e spirituale, è parimenti 'l'infinita forma',
l'esecutrice del suo stesso concetto. (...)
La filosofia dimostra
come la ragione si riveli nel mondo, e come in esso non si riveli che lei sola,
i di lei pregi ed eccellenza. Qui dobbiamo supporre tutto questo come
dimostrato. (...)
Deve dunque risultare dalla stessa
esposizione della storia del mondo: che le cose passarono in essa
razionalmente, che essa ha seguita la marcia ragionevole e necessaria dello
spirito del mondo; spirito la cui natura in vero è sempre una e la stessa, ma
che solo nell'esistenza del mondo sviluppa questa sua natura. Tale deve essere,
come si è detto, il risultato della storia".
domenica 9 agosto 2015
Le categorie fondamentali - Maurizio donato
Prendiamo l’incipit del Capitale, le parole con cui si apre
il primo capitolo: “La ricchezza delle società nelle quali predomina
il modo
di produzione capitalistico si presenta come una immane raccolta
di merci
e la merce singola si presenta come sua forma elementare.” Analizziamo il
testo parola per parola...
IL LIBRO DEL FILOSOFO* - Stefano Garroni
*Da "SUL PERTURBANTE", Stefano Garroni, Ed. Kappa
La filosofia di cui Nietzsche parla tien fisso lo sguardo,
attraverso le contingenze temporali, sugli 'eterni problemi', sul 'culmine
spirituale', vive, insomma, in quella dimensione 'zeitlos' (atemporale, eterno,
non soggetto alla moda) in cui non c'è posto né per il popolo reale, né per gli
affanni e preoccupazioni politiche. E' quella filosofia che risveglia la fede
in un mito costruito sul vuoto, perché ha il fine non già di conoscere, ma di
render piena la vita e che ricava, da
questa sua funzione, la possibilità di discriminare 'ciò che è grande' e 'ciò
che è piccolo', ciò che serve alla 'Vollendung des Lebens' (pienezza del
vivere) e ciò che, invece, da essa allontana. E' proprio questa la filosofia, di cui Nietzsche afferma il primato sulla
scienza.
Propriamente quella conoscitiva è un'attività transferenziale: nel senso che, mediante
la scienza, l'uomo trasferisce fuori di sé, negli oggetti, qualità che, invece,
appartengono al suo modo di vivere.
Così facendo, l'uomo dimostra debolezza di carattere;
attribuendo al mondo la piccolezza, la meschinità del suo modo di vivere, egli si
sottrae allo sforzo di modificarlo. Facendo della propria, meschina misura la
misura del mondo, s'acqueta e tutta l'ansia di completezza, che la vita
quotidiana continuamente smentisce, la distoglie dall'autentica finalità,
traducendola in smodato desiderio di conoscere.
"se dobbiamo
erigere una cultura, abbiamo bisogno d'inaudite capacità artistiche per
spezzare la smodata pulsione al conoscere, e per produrre una nuova unità.
L'altissima nobiltà del filosofo si mostra nel suo concentrare la smodata
pulsione al conoscere, nel suo imbrigliarla in vista dell'unità". (F.
Nietzsche, Das Philosophen Buch, A.
30, p 19)
sabato 8 agosto 2015
venerdì 7 agosto 2015
IL CREDITO* - Ernest Mandel
*Da "Trattato di economia marxista", Ernest
Mandel, Capitolo VII, Samonà e Savelli

Al pari del commercio, il credito consente una considerevole
riduzione del tempo di rotazione dei capitali, consente una mobilità sempre maggiore del capitale circolante di fronte
all'immobilizzo di una frazione crescente del capitale in gigantesche
installazioni fisse (All'inizio della crisi, il credito permette persino di
attutire i primi colpi di una brutale caduta dei prezzi. Nella misura in cui
l'imprenditore lavora con capitali presi a prestito, può vendere al di sotto del prezzo di produzione. Basta
infatti che il prezzo ottenuto consenta il pagamento dell'interesse, inferiore
al profitto medio). Attenua così a scadenza immediata le contraddizioni che
derivano dall'evoluzione del capitalismo. Ma allo stesso tempo inasprisce
queste stesse contraddizioni a lunga scadenza. Agli albori del capitalismo
industriale ciascun capitalista poteva rendersi conto assai rapidamente se il
tempo di lavoro speso per produrre le merci fosse o no tempo di lavoro
socialmente necessario. Bastava andare al mercato e cercare acquirenti per
queste merci al loro prezzo di produzione. Quando il commercio e il credito si
frappongono tra l'industriale e il consumatore, questo industriale comincia con
il realizzare in modo automatico il valore delle sue merci. Ma d'ora innanzi
ignora se queste merci troveranno o no
uno sbocco reale, se incontreranno un "consumatore finale". Molto
dopo aver già speso il denaro, equivalente delle merci prodotte, si può
constatare che queste sono invendibili, non rappresentano più veramente tempo
di lavoro socialmente necessario. Il crack è allora inevitabile. Il credito tende ad allontanare questo crack, rendendolo però più violento
quando alla fine si produce.
Permettendo una espansione della produzione senza rapporto
diretto con le capacità di assorbimento del mercato; mascherando per tutto un periodo
di tempo le relazioni reali tra il potenziale produttivo e le possibilità di
consumo solvibile; stimolando la circolazione e il consumo delle merci al di là
del potere d'acquisto realmente disponibile, il credito ritarda la scadenza
delle crisi periodiche, aggrava i fattori di squilibrio e di conseguenza rende la crisi più violenta
quando scoppia.
Il fatto è che il credito non fa che accentuare il divorzio fondamentale tra le due funzioni essenziali della moneta - mezzo di circolazione e mezzo di pagamento -, non fa che sviluppare il divorzio fondamentale tra la circolazione delle merci e la circolazione del denaro che realizza il loro valore di scambio, contraddizioni che costituiscono le fonti prime e generali delle crisi capitalistiche.
giovedì 6 agosto 2015
L’astrazione - Maurizio Donato
Partiamo dallo studio di alcune categorie molto generali,
astratte, per capire meglio le relazioni economiche concrete, sapendo che tali
categorie (la merce, il valore, il capitale, il denaro, lo sfruttamento) sono “relazioni
astratte di una totalità vivente e concreta già data“.
E’ un metodo logico, e noi adotteremo il metodo logico e il
metodo storico. Andremo continuamente “avanti e indietro”. A quale scopo?
Proviamo a porci una domanda: qual è il modo migliore per ricostruire lo
sviluppo delle diverse forme economiche che ha assunto la società umana? Come
possiamo capire meglio la natura del capitalismo?
Marx, a un certo punto del suo discorso, tira fuori una
delle sue frasi famose: “L’anatomia dell’uomo è una chiave per l’anatomia
della scimmia”. Perché gli animali? vi chiederete. E’ che mentre Marx
scrive il Capitale, un altro scienziato, Charles Darwin, sta scrivendo la sua
celeberrima opera sull’evoluzione. Darwin manda poi una copia del suo libro a
Marx che lo stima e sa bene quanto la questione dell’evoluzione sia importante
non solo per le scienze naturali, ma pure per le scienze sociali. Eppure –
notate la differenza – Marx non crede che sia possibile dall’anatomia della
scimmia ricavare insegnamenti utili a comprendere l’anatomia umana: pensa – in
un certo senso – al contrario.
“Ciò che nelle specie animali inferiori accenna a
qualcosa di superiore può essere compreso solo se la forma superiore è già
conosciuta. L’economia borghese fornisce quindi la chiave di quella antica ecc.
In nessun caso però procedendo al modo degli economisti che cancellano tutte le
differenze storiche e in tutte le forme della società vedono la società
borghese“.
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