domenica 10 febbraio 2019

Lavoro e politica, inchiesta sulle classi popolari.

Da: https://www.facebook.com/cantiereperidee - http://sbilanciamoci.info/


Chi è il popolo, cosa vuole, come si rappresenta. Inchiesta di un gruppo di ricercatori nelle periferie di quattro grandi città, battute tra novembre e marzo attraverso focus group e interviste in profondità.

Nell’Italia degli anni post-crisi, le questioni del lavoro (mancanza o peggioramento delle condizioni), della sanità (assenza di servizi o sempre più costosi) e della casa (degrado infrastrutturale o affitti non più sostenibili) sembrano ancora rappresentare i problemi centrali vissuti quotidianamente dai settori popolari della società. Questo è ciò che emerge da una ricerca realizzata da una rete di ricercatori e attivisti (“Il Cantiere delle Idee”), che tra novembre e marzo hanno letteralmente girato l’Italia e visitato le periferie di quattro città (Milano, Firenze, Roma e Cosenza) incontrando e intervistando circa 50 persone (tramite focus group e interviste in profondità) per approfondire le condizioni sociali e il rapporto con la politica di un ampio settore, quello con maggiori difficoltà economiche, della popolazione italiana.

Sabato 19 maggio (2018) dalle 10 alle 17 a Firenze (Palazzo Bastogi – Regione Toscana, Sala delle Feste, Via Cavour 18), i/le ricercatori/ricercatrici e gli/le attivisti/e del Cantiere presenteranno pubblicamente i risultati della ricerca in un evento significativamente titolato Popolo? Chi? Al lavoro per nuove idee, partendo da un’indagine sulle classi popolari.

Il quadro che emerge dalle interviste è per molti aspetti inedito e sorprendente, e merita una seria e approfondita riflessione da parte della classe politica, in particolare di quelle forze politiche che hanno storicamente avuto nella funzione di rappresentanza del popolo e dei settori socialmente più svantaggiati, la loro ragione di esistere. 

(https://www.facebook.com/sinistratoscana/videos/) (https://www.facebook.com/ControradioFirenze/videos/)

LORENZO CINI, UNO DEI RICERCATORI, CI ILLUSTRA L'INDAGINE: https://archive.org/details/ClassiPopolariLorenzoCini 


Il lavoro – dicevamo – o meglio, la sua mancanza e/o la sua precarizzazione, sembra essere la questione dirimente nel vissuto della larga maggioranza degli intervistati. Dal Nord al Sud, dalle periferie della metropoli a quelle della città di provincia, non c’è nessuno che non abbia sottolineato le difficoltà incontrate al lavoro (dall’intervistato/a medesimo/o e/o riferite ai suoi cari, vedi alla voce figli, amici e genitori) come il problema principale delle loro vita. Fin qui, purtroppo, nulla di nuovo. Dieci anni di crisi economica e,  soprattutto, di soluzioni politiche inadeguate alla risoluzione di questi problemi non potevano che generare e perpetrare questa generalizzata situazione di “povertà” lavorativa e sociale.

sabato 9 febbraio 2019

venerdì 8 febbraio 2019

Nuovi scenari in America Latina - Da Lula da Silva a Bolsonaro

Da: Università Popolare Antonio Gramsci - https://www.facebook.com/unigramsci/?ref=settings - https://www.unigramsci.it/
31/01/2019, Università La Sapienza, Facoltà di Lettere e Filosofia, Aula A, Istituto di Studi Religiosi.

Il primo Gennaio si è insediato a palazzo Planalto il neoeletto presidente del Brasile Jair  Bolsonaro. La sua elezione è avvenuta dopo una campagna elettorale a dir poco surreale perché segnata dall'assenza del principale esponente di sinistra, l’ex presidente Lula, arrestato nella scorsa primavera,  nonché dalle ripetute dichiarazioni controverse, se non apertamente reazionarie, dell’attuale presidente. Una elezione che pone interrogativi sulle caratteristiche del processo di fascistizzazione in corso nel paese carioca e sulle similitudini con processi analoghi in corso in altri paesi europei e negli stessi  Stati Uniti.

Quali sono i fattori che hanno determinato l’elezione di Bolsonaro? Alcuni analisti pongono l’attenzione su diversi elementi quali l’aumentata percezione del problema della sicurezza, un sentimento di risentimento sociale generalizzato quale risultato della crisi economica,   il ruolo della chiesa evangelica e soprattutto  l’interesse degli Stati Uniti a sostenere l’unica opzione politica, quella di estrema destra,  in grado di poter governare la crisi e contemporaneamente destabilizzare la stessa borghesia brasiliana. Inoltre c’è da chiedersi quali siano le possibilità che quello che si presenta come un "fascismo d’istinto"  possa invece  radicarsi e divenire una dittatura aperta e quali saranno le relazioni politiche tra il Brasile e gli altri paesi dell’America Latina, tra cui il Venezuela, nell'attuale quadro di crisi capitalistica mondiale.

L’iniziativa che qui si propone mira ad analizzare tali questioni nel tentativo di  trovare un quadro analitico coerente attraverso il quale leggere i fenomeni in corso in Sud America.
                                                
Relazioni di:
- Matteo Bifone dottorando presso l’Università di San Paolo e collaboratore del giornale La Città Futura.

- Geraldina Colotti giornalista del Manifesto.

- Interventi dei collettivi Militant e Tanas

- Dibattito al quale parteciperà il pubblico e il Prof. Marco Ramazzotti.

Modera Alessandra Ciattini docente di Antropologia alla Sapienza e all'Università Popolare A.Gramsci.

giovedì 7 febbraio 2019

Per una sovranità democratica e popolare. Cioè costituzionale. L’ultimo libro di Alessandro Somma: “Sovranismi” - Vladimiro Giacché -

Da: http://www.marx21.it - Vladimiro Giacché è un economista italiano. - alessandro-somma è professore ordinario di diritto comparato nell’Università di Ferrara.
Vedi anche: La Costituzione italiana e i trattati europei: convivenza possibile?*- Vladimiro Giacché 
Leggi anche: L'Europa e le false credenze della Sinistra - Alessandro Somma
     "       "    : Impoverimento reale e cause immaginarie. L’euro come capro espiatorio che serve a nascondere l’aumento dello sfruttamento –  Maurizio Donato
 

"Quando un regno è condotto verso l'abisso da bande di briganti che si sono impadronite del governo, coloro che predicono la fine trovano scarso credito per le seguenti ragioni: i grandi regni hanno in sé qualcosa di durevole già per la loro stessa grandezza. La vita in piccolo continua al solito modo, i panettieri vendono il pane, si stampano libri, escono i giornali, si celebrano matrimoni, si seppelliscono i morti, si costruiscono case. In tutto ciò è ancora all'opera la ragione. L'osservatore spera quindi, senza cercare di rendersi esattamente conto della questione, che questa grande riserva di ragione, questa collaudatissima attività quotidiana, debba pure rimediare ai tratti demenziali dei reggitori. Questi tratti demenziali desumono da ciò una parvenza di plausibilità, di ragione addirittura." (B. Brecht, Me-ti libro delle svolte)

E già... Ma questo potrebbe valere in grande per l'UE e in piccolo per ogni singolo Stato... 
(il collettivo)



Poche parole hanno conosciuto un improvviso boom negli ultimi anni come i termini “sovranismo” e “sovranisti”. Di queste parole, ormai onnipresenti nel nostro dibattito politico, chi compulsasse i quotidiani anche solo di due-tre anni non troverebbe quasi traccia. E francamente di un’altra parola-contenitore di incerto significato, oltretutto in genere adoperata come etichetta denigratoria e dispregiativa, proprio non si sentiva la mancanza.

Un motivo in più per apprezzare l’ultimo libro di Alessandro Somma, “Sovranismi. Stato, popolo e conflitto sociale” (Roma, Derive/Approdi, 2018), dedicato precisamente al compito di risalire ai diversi significati che oggi assume il concetto di “sovranità”, al quale quello di “sovranismo” confusamente allude, e i limiti ai quali è sottoposto nel contesto dell’Unione Europea. Al termine di questa disamina, l’autore descrive nell’ultimo capitolo i compiti e gli obiettivi di un “sovranismo democratico” che voglia porsi all’altezza delle sfide del presente.

Prima di procedere a un esame sommario dei contenuti di questo testo, la cui facilità di lettura - un pregio ben noto ai lettori dei libri di Alessandro Somma - non deve trarre in inganno (i temi trattati infatti sono molti, importanti e molto ben approfonditi), devo premettere che mi occuperò qui della linea argomentativa che mi pare centrale, mentre per motivi di spazio dovrò lasciare ai lettori del libro il piacere di scoprire numerosi altri temi importanti. 

Il testo parte da un assunto forte sulla fase che stiamo vivendo: “L’epoca attuale è indubbiamente caratterizzata dal rigetto del mercato autoregolato e del processo di denazionalizzazione che ha accompagnato la sua affermazione”. Un rigetto che non si verifica oggi per la prima volta: il rifiuto del mercato autoregolato quale fondamento della società si ebbe tra la prima e la seconda guerra mondiale, e diede luogo a esperienze sociali e politiche radicalmente diverse tra loro quali l’Unione Sovietica e i fascismi. Dopo la seconda guerra mondiale, l’esigenza di una regolamentazione del mercato si tradusse in una rottura con la tradizione liberista che si realizzò da un lato nella drastica limitazione dei movimenti di capitale conseguente agli accordi di Bretton Woods, dall’altro nella costruzione - anche all’interno del mondo capitalista - di strutture sociali e politiche di redistribuzione della ricchezza che facessero da contrappeso al naturale squilibrio a favore del capitale dei rapporti capitale/lavoro ove lasciati a meri meccanismi di mercato (il cosiddetto “compromesso keynesiano” tra capitale e lavoro). 

martedì 5 febbraio 2019

Homo sacer - Giorgio Agamben

 Da: AccademiaIISF - Istituto Italiano per gli Studi Filosofici
 Giorgio_Agamben è un filosofo italiano.

In occasione della pubblicazione dell’edizione integrale di "Homo sacer" Quodlibet, Giorgio Agamben dialoga con Carlo Galli e Geminello Preterossi, introduce Massimiliano Marotta, coordina Paolo Vinci:
                                                 

sabato 2 febbraio 2019

L'algoritmo sovrano - Renato Curcio

Da: Centro Sociale 28 Maggio - Renato Curcio, socio fondatore di Sensibili alle foglie e socioanalista, ha pubblicato per queste edizioni numerosi titoli. Su questo tema, ricordiamo qui:L’impero virtuale, 2015; L’egemonia digitale, 2016; La società artificiale, 2017. http://www.sensibiliallefoglie.it

                                

venerdì 1 febbraio 2019

La giornata lavorativa - Maria Grazia Meriggi

Da: http://www.consecutio.org - Maria Grazia Meriggi, Accademia di Brera, Milano - mgmeriggi@fastwebnet.it -


Parlerò da storica soprattutto e quindi cercando di dare conto della pertinenza delle analogie ed esemplificazioni storiche che Marx fornisce intorno al tema della giornata lavorativa e ricordando inoltre, per semplificare, che la durata cronologica della giornata lavorativa, legale e poi anche contrattuale, è il frutto dei rapporti di forza prodotti nel conflitto di classe. Si inizia a definire che cos’è – al di sotto dell’evidenza empirica e contrattuale – la giornata lavorativa.

Una precisazione si rende però necessaria. Dei molti modi in cui sono presenti le narrazioni storiche nel Capitale ne sottolineo soprattutto due. Marx talvolta riassume e sintetizza comprimendo nel tempo in una narrazione in raccourci vicende che si sono sviluppate secondo le linee di tendenza da lui indicate in un lungo arco di tempo. Esempio caratteristico: l’accumulazione originaria in cui Marx comprime il passaggio secolare dall’agricoltura di villaggio con ampie aree comuni alla formazione di una eccedenza di popolazione che alimenta il proletariato industriale passando attraverso le enclosures. Agli inizi del Novecento Paul Mantoux (1906) ha ricostruito analiticamente i passaggi indicati da Marx, attraverso la formazione di un numeroso proletariato di salariati agricoli, attestandone anche la lucidità interpretativa. Altre volte invece – come nel caso di questo capitolo – Marx descrive processi in atto e ricorre a fonti di prima mano che sono le stesse cui ricorrono anche gli storici successivi dell’economia e della società inglesi ed europee del XIX secolo. Queste fonti sono gli atti ufficiali e i materiali statistici prodotti dagli ispettorati del lavoro che di mano in mano si formano presso i ministeri economici. In particolare i famosi blue books, i «libri azzurri» degli ispettori incaricati di verificare il rispetto della legislazione sulle fabbriche. In questo caso Marx è al tempo interprete e cronista appassionato dei processi che descrive con grande fedeltà.

1. Limiti della giornata lavorativa 

giovedì 31 gennaio 2019

Rispecchiamento, dialettica e neo-positivismo - Stefano Garroni


Da: Stefano Garroni, Dialettica riproposta, a cura di Alessandra Ciattini, lacittadelsole.Stefano_Garroni è stato un filosofo italiano.




Nell’aggiunta 2 al § 19 della sua Enciclopedia1, Hegel descrive una rigida alternativa intorno al sapere, affrontando così un tema, di cui si discuteva non solo al suo tempo, perché al contrario proprio l’alternativa, di cui Hegel dice, è tornata d’attualità anche in epoca a noi contemporanea. Leggiamo, dunque, la pagina hegeliana.

“Due opposte opinioni che si hanno intorno al pensiero: «questo è solo un pensiero (Gedanke)!» lo si dice, per intendere che si tratta di qualcosa di soggettivo, arbitrario e casuale, che nulla ha a che vedere con la cosa stessa, con il vero e con il reale. Oppure, si può avere del pensiero un’opinione così diversa, da sostenere che solo mediante esso può conoscersi la natura di dio e non certo mediante i sensi.”

Come si vede, – una volta che si ricordi l’identificazione tra dio e logos o ragione, che Hegel eredita dalla tradizione classica – qui è perfettamente delineata l’alternativa fra una concezione del conoscere, fondata sulla mediazione del pensiero; ed un’altra concezione – che ad es. ritroviamo senz’altro in Schopenhauer e in Bergson (ma anche in tanti autori ad Hegel contemporanei), secondo cui la conoscenza effettiva, profonda, reale è resa im-possibile, proprio dalla presenza della mediazione del pensiero; nel proseguo della nostra analisi, vedremo che appunto questi due filosofi saranno oggetto privilegiato della critica neopositivista di Moritz Schlick.

Insomma, Hegel delinea l’opposizione fra una concezione scientifica e razionale del conoscere, ed un’altra, che punta piuttosto su cose come, il sentimento, l’intuizione, l’immedesimazione del soggetto con l’oggetto. In definitiva, il misticismo.

“Il sentimento in quanto tale – continua Hegel – è la forma della sensibilità, che ci accomuna all’animale; quella del sentimento è la forma più vile per il contenuto spirituale. Questo contenuto – cioè, dio stesso (ovvero, per chiarire ancora una volta, la razionalità, che si dispiega nel mondo, perché è la razionalità del mondo. Nota mia, S.G.) – è nella sua verità solo nel pensiero e in quanto pensiero. In questo senso, dunque, il pensiero non è solo pensiero, sì piuttosto il modo sommo e, se ben esaminato, l’unico, in cui l’Eterno, ciò-che-è-in-sé-e-per-sé può esser colto. La logica non serve solo a pensare – cosa che si presterebbe all’obiezione che gli uomini pensano normalmente, anche senza saper nulla di logica. Ma, da quando si è capito che del pensiero va fatta esperienza (erfahren) anche come il Sommo, il Vero, la logica non serve solo a questo: se la scienza della logica analizza il pensare nella sua attività e nella sua produzione (e il pensare non è un’attività priva di contenuto, poiché produce pensanti e pensati), allora il contenuto è il mondo soprasensibile (cioè quella dimensione, che non si riduce all’immediatezza del sentire, dell’esperire. Nota mia, S.G.) ed occuparsi di esso è mantenersi in tale mondo.

Raggiunta una prima chiarezza a proposito della pagina hegeliana, azzardiamo un accostamento, che ha effettivamente qualcosa di provocatorio.

martedì 29 gennaio 2019

La strana nascita dello spazio e del tempo - Guido Tonelli

Da: Festa Scienza Filosofia - Guido_Tonelli è un fisico del CERN, professore dell’Università degli Studi di Pisa e ricercatore associato dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, è uno dei protagonisti della scoperta del bosone di Higgs.

                             

lunedì 28 gennaio 2019

I concetti fondamentali della filosofia di Hegel (II parte) - Renato Caputo

Da: https://www.lacittafutura.it - Approfondimenti teorici (Unigramsci) - Renato Caputo insegna storia e filosofia. 
Link al video della lezione tenuta per l’Università popolare Antonio Gramsci su concetti analoghi

La filosofia come comprensione del proprio tempo con il pensiero
La verità, secondo Hegel, non è mai qualche cosa di dato, di finito, ma è il risultato di un processo e dei momenti necessari che sono stati superati dialetticamente – ovvero tolti in ciò che c’era di non più attuale e tesaurizzati per quanto c’era di ancora vitale – per raggiungere tale risultato. La filosofia hegeliana è filosofia reale e, perciò, segna una cesura con il pensiero utopistico, improntato non alla conoscenza scientifica della realtà storica, ma alla pura aspirazione del dover essereL’idea in effetti non è, sottolinea Hegel, così impotente da restare un mero dover essere, una pura aspirazione, un mero concetto astratto in quanto tale soggettivo.
Al contrario la filosofia ha come missione fondamentale quella di far comprendere la realtà nella sua razionalità, nella sua necessità, ovvero in modo scientifico. Deve dunque, innanzitutto, consentire di comprendere concettualmente la propria epoca storica – comprese le leggi, la morale e la religione di cui occorre intendere la razionalità-necessità – per consentire così all’uomo d’azione, al Politico di intervenire in modo razionale su di essa, con profitto, per razionalizzare ulteriormente l’esistente, realizzando nell’idea il concetto che ne costituiva, in modo generalmente non del tutto consapevole, il movente. Una volta ricompresa razionalmente la nuova realtà storica, diverrà la base per elaborare un nuovo concetto, che richiedere, per essere a sua volta realizzato, una nuova azione storica.
L’indissolubile nesso dialettico fra filosofia e storia, pensiero e azione, teoria e prassi
Hegel utilizza, per rappresentare la filosofia, la metafora della Nottola (la civetta) di Atena-Minerva, l’uccello notturno posto come simbolo della Dea della ragione, che indica la visione dall’alto che consente al filosofo di comprendere la realtà nella sua verità, ovvero nel suo insieme, nella sua totalità, levandosi in volo sul far della sera, ossia quando l’azione storica, che necessariamente la precede, si è compiuta. Più grande è l’azione storica più significativa sarà, dunque, la sua comprensione filosofica e, proprio per questo, secondo Hegel i grandi sistemi filosofici, che sintetizzano in sé tutti i precedenti sviluppi delle scienze filosofiche compendiandole, sono realizzabili solo quando un’intera epoca storica si è compiuta e si è così giunti nella notte che precede l’alba di un nuovo mondo. La grande azione storica su cui riflette la filosofia di Hegel è la Rivoluzione francese e la sua affermazione in Europa – prima con le imprese napoleoniche e poi con la lotta dei popoli nazionali contro l’impero bonapartista – e la coeva rivoluzione industriale che segnano il tramonto della grande epoca storica cristiano-medievale, dal cui compimento-superamento nascerà il mondo moderno capitalista-borghese. 

giovedì 24 gennaio 2019

Mia carissima Julca - Antonio Gramsci

Da: Antonio Gramsci, Lettere dal carcere - https://www.facebook.com/riccardo.bellofiore.3
Vedi anche: http://www.raiscuola.rai.it/articoli/luciano-canfora-la-lezione-di-libert%C3%A0-di-antonio-gramsci


Mia carissima Julca,

ti voglio descrivere la mia vita quotidiana nelle sue linee più essenziali, perché tu possa seguirla e coglierne di tanto in tanto qualche tratto. Come sai, perché deve avertelo già scritto Tania, io abito insieme ad altri quattro amici, fra i quali l’ingegnere Bordiga di Napoli, del quale forse conosci il nome. Gli altri tre sono: un ex deputato riformista di Perugia, l’avv. Sbaraglini e due amici abruzzesi. Adesso dormo in una stanza con uno di questi abruzzesi, Piero Ventura; prima dormivamo in tre, perché era insieme a noi l’ex deputato massimalista di Verona Paolo Conca, un simpatico tipo di operaio, che la notte non ci lasciava dormire perché assillato dal pensiero della moglie; sospirava, soffiava, poi accendeva il lume e fumava dei sigari pestilenziali. La moglie è finalmente venuta anche lei ad Ustica per raggiungere il marito e il Conca ci ha lasciato. Siamo dunque in cinque, divisi in tre camerette da letto (tutta la casa): abbiamo a nostra disposizione una bellissima terrazza, dalla quale ammiriamo lo sconfinato mare durante il giorno e il magnifico cielo durante la notte. Il cielo sgombro di ogni fumosità cittadina, permette di godersi queste meraviglie col massimo di intensità. I colori dell’acqua marina e del firmamento sono veramente straordinari per la varietà e la profondità: ho visto degli arcobaleni unici nel loro genere.

Al mattino, di solito, io sono il primo a levarmi; l’ingegnere Bordiga afferma che in questo momento il mio passo ha caratteristiche speciali, è il passo dell’uomo che non ha ancora preso il caffè e lo attende con una certa impazienza. Io stesso faccio il caffè, se non sono riuscito a convincere il Bordiga a farlo, date le sue attitudini spiccate per la cucina. Incomincia quindi la nostra vita: si va a scuola, come insegnanti o come scolari. Se è giorno di posta, si va sulla marina ad attendere con ansia l’arrivo del vaporetto: se per il cattivo tempo la posta non giunge, la giornata è rovinata, perché una certa malinconia si diffonde su tutti i volti. A mezzogiorno si mangia: io partecipo ad una mensa comune e proprio oggi mi spetta fare da cameriere e da sguattero: non so ancora se dovrò sbucciare le patate, preparare le lenticchie o pulire l’insalata prima di servire in tavola. Il mio debutto è atteso con molta curiosità: parecchi amici volevano sostituirmi nel servizio, ma io sono stato incrollabile nel volere adempiere la mia parte. La sera dobbiamo rientrare nelle nostre abitazioni alle 8.

Talvolta vengono delle visite di sorveglianza per accertare se veramente siamo in casa. A differenza dei coatti comuni noi non siamo chiusi dal di fuori. Altra differenza consiste nel fatto che la nostra libera uscita dura fino alle 8 e non solamente fino alle 5; potremmo avere dei permessi serali se fossero necessari per qualche cosa. In casa, alla sera giuochiamo alle carte. Non avevo giocato mai finora; il Bordiga assicura che ho la stoffa per diventare un buon giocatore di scopone scientifico. Ho già ricostituito una certa bibliotechina e posso leggere e studiare. I libri e i giornali che mi arrivano hanno già determinato una certa lotta tra me e il Bordiga, il quale sostiene a torto che io sono molto disordinato; a tradimento egli mette il disordine tra le cose mie, con la scusa della simmetria e dell’architettura: ma in realtà io non riesco più a trovar nulla nel guazzabuglio simmetrico che mi trovo combinato.

Carissima Julca: scrivimi a lungo sulla vita tua e dei bambini. Appena è possibile, mandami la fotografia di Giuliano. Delka ha fatto ancora molti progressi? Gli sono cresciuti nuovamente i capelli? La malattia ha lasciato in lui qualche conseguenza? Scrivimi molto di Giuliano. E Genia è guarita?

Ti abbraccio stretta stretta ANTONIO 

15 1 1927

mercoledì 23 gennaio 2019

Riflessioni 17... - Stefano Garroni

Da: https://www.facebook.com/groupsStefano_Garroni è stato un filosofo italiano. - 
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/10/riflessioni-16-stefano-garroni.html  


Per una pace perpetua (1775) è un’operetta scritta da Kant, quando ormai il suo pensiero fondamentale era stato fissato nelle sue grandi Opere.

Dal titolo si potrebbe ricavare che Kant riconosca quale aspirazione più profonda dei popoli, quella di vivere in pace; ma più volte su questo Kant esprime dubbi, considerando tale obiettivo utopico e fantastico; ma ciò non basta a far sì che Kant abbandoni tale obiettivo; si pensa forse che l’espressione di Moltke [Helmuth von Moltke the Elder], secondo cui “una pace perpetua è un sogno e in nessun caso un bel sogno”, oppure a Voltaire, il quale anche parla di un sogno, che può tradursi in realtà tanto poco, quanto poco vi può essere pace tra i regnanti, come tra gli elefanti e i rinoceronti, la volpe e il cane; o si pensa stupidamente che Kant nella sua introduzione comporti che, nell’epoca dell’armamento atomico, ogni sforzo per la pace tra i popoli è un cimitero (Kirchhof), in cui l’umanità si adagerà per un’eterna pace.

Ma nello scritto non troviamo nulla di tutto questo; è vero piuttosto che Kant affronta il tema così come fa nel caso, in generale, dei concetti della ragione: l’idea della pace perpetua appartiene ai concetti che sono al di là delle possibilità dell’esperienza e che, dunque, non troveranno mai un oggetto ad essi pienamente corrispondente: ciò che solo è realistico è che l’esperienza umana si tenda verso il raggiungimento di un obiettivo in verità, irrealizzabile.

Non potremmo mai raggiungere, quell’obiettivo, perché infinitamente lontano. Piuttosto quello che ci poniamo è un compito del tutto reale ed alla cui realizzazione possiamo lavorare con successo, cioè a dire, ricercare la strada, che ci permetta di avvicinarci –solo avvicinarci- a quello scopo.

Questo tendere, destinato ad una insoddisfazione senza fine, appartiene agli imperativi morali, che ogni essere razionale approva e sul diritto che, in definitiva, deve valere per tutto il mondo umano.

Così gli argomenti di Kant circa la strada per la pace perpetua si basano sull’idea di libertà, sulla legge morale e sulla sua dottrina del diritto. Cosa significa per lui, in questo insieme, libertà? Come si pone, da politico, Kant nei suoi confronti?

Già nel 1781, dunque circa 50 anni prima dello scritto sulla “Pace perpetua”, espresse, nella Critica della ragion pura, la sua concezione della migliore costituzione possibile, nella lapidaria espressione: “Una Costituzione della massima libertà umana secondo leggi, la quale fa sì che la libertà di ognuno possa sussistere in connessione con quella degli altri (non una Costituzione della maggiore felicità, poiché quest’ultima ne deriverebbe di per sé) è dunque per lo meno un’idea necessaria, che non si debba disporre, solo, del primo schizzo di una Costituzione statale, ma sì di una Costituzione completa di tutte le leggi”. Una simile libertà è una condizione fondamentale per una pacifica vita sociale degli uomini. E questa resta una ferma componente della sua costruzione critica.

Nessuna meraviglia che Kant non si trovasse minimamente d’accordo con il modo, in cui, in Francia, si cercava di portare avanti l’idea di libertà. Ed e’ comprensibile anche come egli sicuramente preferisse la via legale e non quella violenta: Kant spiega, per fare un esempio, che non è giusto che se i sottomessi cacciano via un tiranno, che opprime la loro libertà, non gli riconoscano, una volta detronizzato, diritti e libertà.

Come l'idea di libertà, anche la dottrina del’imperativo categorico restò indiscussa nel sistema kantiano della ragione, e proprio nei termini in cui essa compare nello scritto, di cui ci stiamo occupando. L’imperativo categorico, secondo il quale è vero che il volere razionale vale per il singolo eticamente, così come è vero che esso vale nello stesso senso anche nel comportamento dei popoli l’un verso l’altro, in breve: “la volontà universale data a priori, la quale ha nella ragione la propria origine e la propria sede, è la sola, che può definire (bestimmen) che cosa sia giusto”. Questo pensiero ben presto si radicò nella dottrina morale kantiana ed anche nel presente scritto funge da idea cardine, intorno a cui gli altri pensieri a proposito della libertà del mondo umano si vanno ordinando.



martedì 22 gennaio 2019

La dura lotta intercapitalista - Paolo Massucci

Leggi anche: Conflittualità intercapitalistica (anarchia della produzione) - Gianfranco Pala (https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/07/conflittualita-intercapitalistica.html)

Questo articolo preso dal Sole 24 Ore
(https://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2019-01-15/recessione-porte-modello-solo-export-non-funziona-piu-071019.shtml?uuid=AEDbdlEHci)
ci permette di fare una breve anche se ovvia riflessione...

L'articolo in sintesi evidenzia come più o meno tutti i Paesi dell'Eurozona registrino forti avanzi delle partite correnti e mette ciò in relazione con il rallentamento economico prima, con la stagnazione e poi con la vera e propria recessione registrata in questi giorni nell'Eurozona.

Le spiegazioni si limitano al fatto, relativamente noto, che se troppi Paesi basano la propria economia sull'export anziché bilanciare le partite correnti con i consumi interni, allora nascono difficoltà, ovvie, di sbocco delle merci esportate: infatti se un paese è esportatore netto, un'altro necessariamente deve essere importatore netto. Ad esempio gli USA di Trump, ribaltando il modello precedente, con le loro politiche protezioniste e i dazi sulle importazioni stanno sostenendo investimenti produttivi e produzione interna e ostacolando le importazioni (dunque in sostanza si assiste ad un riorientamento a vantaggio dell'export contro l'import).

Quello che l'articolo omette di chiarire esplicitamente è che in Europa (ma anche nel mondo) le politiche neoliberiste (sono infatti le oligarchie capitalistico-finanziarie che orientano le politiche economiche dei governi) portano a ridurre le imposte sul capitale e ridurre il costo del lavoro: questo, a sentire i mass media, appare come qualcosa di ottimo e benefico per l'economia e per il Paese (come se fossimo tutti sulla stessa barca, senza classi sociali) ma in realtà è tutt'altro che indolore! Se si riducono le imposte sul capitale allora per garantire la parità di bilancio, o comunque per non incrementare il deficit pubblico, devono essere aumentate le imposte sul lavoro o le tasse sui consumi (IVA), e devono ridursi qualità, estensione ed efficacia dei servizi pubblici; se si riduce il costo del lavoro di converso si devono ridurre salari, salari differiti (pensioni) e salari indiretti (stato sociale).

Cosa comporta dunque tutto questo in un Paese, cioè la presenza di capitali produttivi ipertrofici e di consumi depressi ? Comporta che il Paese, per non bloccarsi, deve orientare la propria economia alle esportazioni. Ma l'intera Europa negli ultimi trent'anni si sta muovendo in questa direzione e ora i nodi arrivano al pettine, peraltro nel momento in cui anche gli USA di Trump stanno riorientando la propria economia verso l'export. La competizione tra gli Stati, sia in Europa sia in tutto il mondo, per gratificare e quindi conquistarsi i capitali globali, è all'origine di quelle politiche neoliberiste che aumentano in maniera drammatica la polarizzazione di redditi e ricchezze, restringono lo stato sociale (quei servizi universalistici la cui costituzione, pur mai completata, sanciva il progresso civile delle politiche socialdemocratiche), comportano sofferenza e insicurezza sociale e disgregazione sociale, con comportamenti -in assenza di alcuna consapevolezza e coscienza di classe- di estrema competizione tra individui e sentimenti di rabbia che sfociano persino nel razzismo.

Ora, a queste devastazioni nella sfera sociale prodotte dalle politiche neoliberiste, si aggiunge un inceppamento della circolazione del denaro, in quanto le merci prodotte dai capitali industriali non trovano più sufficienti sbocchi a seguito del prevalere, appunto, a livello mondiale, di un modello economico globale vocato sempre più alle esportazioni. Ma come risolvere questa crisi se gli stessi poteri capitalistici per aumentare i profitti spingono sempre più i governi ad adottare politiche sempre più neoliberiste? Non sembra in questo caso, almeno per ora, che "la mano invisibile del mercato" sia in grado di sanare questa crisi. 

Paolo Massucci (Collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni")