lunedì 26 dicembre 2016

Per una rinascita del materialismo storico negli studi di filosofia, storia e scienze umane*- Stefano G. Azzarà**


Da diversi decenni, gli studi di orientamento storico-materialistico in ambito filosofico – ma considerazioni non molto diverse potrebbero essere fatte per l’ambito storico e più in generale per le scienze umane nel loro complesso – versano nelle università italiane in una situazione di grave difficoltà. Non ricostruisco qui nei dettagli il rilevante significato culturale che per una lunga stagione questa corrente ha avuto nel nostro paese. La linea di pensiero che da Labriola conduce a Gramsci e al gramscismo ha ripensato dalle fondamenta le categorie del marxismo, riconducendole al loro rapporto genetico con la dialettica hegeliana e dunque sia con l’esperienza della filosofia classica tedesca in senso stretto, sia con tutto il dibattito politico-culturale che dalla Rivoluzione francese ha attraversato il XIX secolo. Questa impostazione, che più volte si è misurata con le autonome prese di posizione di Croce e Gentile e che dunque ha saputo dialogare con i punti più alti della tradizione filosofica italiana, ha saputo proporre poi su queste basi una riflessione originale. Una riflessione che dopo la sconfitta del fascismo e la fine della Seconda guerra mondiale, e da quel momento almeno fino agli anni Settanta del Novecento, non solo ha contribuito a modernizzare il dibattito culturale di un paese che risultava ancora per larghi tratti arretrato rispetto alle esperienze europee più avanzate ma ha anche posto le basi intellettuali per una sua rinascita civile e politica.

Ritengo sbagliata, largamente immaginaria e persino strumentale la tesi assai diffusa che parla di un interminabile inverno del pensiero all’insegna dell’egemonia culturale marxista in Italia, sia quando questa tesi assume il tono nostalgico del rimpianto di una nobiltà perduta, sia – come per lo più in verità accade – quando si presenta come il sospiro di sollievo caricaturale di chi ritiene di essersi liberato una volta per tutte da una dittatura ideologica soffocante e persino totalitaria. Tuttavia, è vero che, proprio prendendo sul serio la riflessione gramsciana sulla posizione decisiva della produzione culturale nel funzionamento della società, sul ruolo degli intellettuali e sull’importanza della dimensione del consenso nella politica, il marxismo italiano aveva saputo esercitare su molteplici piani un’influenza assai profonda, in grado di confrontarsi ad armi pari con altre e diverse tradizioni – dal liberalismo all’azionismo, dall’esistenzialismo al personalismo cattolico – che rendevano un tempo quanto mai ricco e pluralistico il panorama filosofico nazionale. E da qui aveva saputo proiettarsi all’avanguardia del dibattito internazionale, facendo conoscere e apprezzare in tutti i paesi l’afflato umanistico, storicistico e universalistico – e dunque profondamente democratico – della sua ispirazione.

Oggi la situazione appare molto diversa per questa impostazione e un patrimonio culturale di grande rilievo è andato in frantumi e sembra essersi del tutto disperso. Lasciato libero il campo dalle vecchie generazioni di studiosi, il materialismo storico non ha pressoché più cittadinanza nel mondo accademico in quanto tradizione di studi con una sua legittimità e autonomia. E se ancora persiste un certo rispetto “archeologico” nei suoi confronti quando si guarda alle acquisizioni del passato, la sua stessa dignità scientifica non viene più riconosciuta e viene semmai contestata quando si tratta invece di affrontare le grandi questioni del presente.

lunedì 19 dicembre 2016

CONTROSTORIA DEL SECOLO BREVE, Il fascismo, La crisi del 1929. - Renato Caputo

10 LEZIONE:    LA GRANDE CRISI ECONOMICA DEL 1929 E LE SUE CONSEGUENZE: La crisi del 1929; tentativi di uscire dalla crisi: protezionismo e autarchia; gli Usa dal dopoguerra al New Deal; la Francia dal dopoguerra al Fronte popolare:


9 LEZIONE.     IL FASCISMO: la sconfitta del movimento operaio e la controffensiva fascista; l’avvento del fascismo; le istituzioni dello stato fascista in Italia; il Concordato con la Chiesa:     https://www.youtube.com/watch?v=TQfcE7LlFQE&feature=share
 
                                      (3/4)   https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/11/controstoria-del-secolo-breve-dalla.html 
                                        (5/6)   https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/11/controstoria-del-secolo-breve-movimenti.html                                           
                                          (7/8)   https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/12/controstoria-del-secolo-breve-il-primo.html 

martedì 13 dicembre 2016

Populismo*- Elena Maria Fabrizio



Populismo di secondo grado e manipolazione dell’esito referendario

Tra i sintomi che affliggono le democrazie occidentali, la manipolazione dell’opinione pubblica e la manipolazione del voto sono i più noti. E non c’è consultazione politica e referendaria, con o senza quorum, che non confermi questo trend. Così, puntualmente, nell’ultima consultazione la tutela della Costituzione e il conseguente rigetto di una riforma irresponsabile che non ci avrebbe protetto da maggioranze retrograde, populiste e autoritarie, viene surclassato da altri dati, dotati di scarsa oggettività e più semplicistici. Non solo i cittadini avrebbero innanzi tutto votato per dire Sì o No al Presidente del Consiglio Renzi e al suo governo, ma con questa scelta, più che esprimersi sulla sua politica e le sue leggi, si sarebbero di fatto espressi sull’alternativa Renzi o il populismo, che è ovviamente sempre quello degli altri, Salvini e Grillo in primis. Sembra quasi superfluo evidenziare che la carente analiticità di questa lettura eleva il populismo a giudizio di secondo grado cui scadono nell’analisi del voto, ma già prima nei modi e nei toni della campagna referendaria, quegli stessi sostenitori che hanno eretto il Pd a partito antipopulista per eccellenza; il quale non cede alla tentazione di dividere ancora una volta l’elettorato nel popolo che interpreta correttamente i propri valori (cambiamento, bellezza, sogno, futuro) dal popolo che al contrario ne sarebbe incapace. 

La comunicazione sistematicamente distorta dell’ideologia dominante 

domenica 11 dicembre 2016

Fidel e la religione*- Alessandra Ciattini


In un articolo dedicato al marxismo cubano, Aurelio Alonso Tejada sottolinea giustamente le capacità tattiche e strategiche di Fidel Castro in quanto dirigente politico [1], ma occorre aggiungere che il pragmatismo del capo storico della Rivoluzione cubana non costituisce un’opzione che fa strame dei principi, ma anzi ad essi si richiama per individuare la tattica più adeguata per metterli in pratica.

A mio parere tali capacità risaltano in particolare nell’atteggiamento politico che Fidel ha tenuto nei confronti della religione, che a Cuba si presenta in un ventaglio complesso di manifestazioni, e nei confronti delle correnti progressiste sorte sia in seno alla Chiesa Cattolica che alle Chiese protestanti in America Latina.

Ricorderò, in primo luogo, i rapporti che stabilì, durante un suo viaggio in Cile, con il Movimento dei cristiani per il socialismo, quando si riunì con un gruppo di sacerdoti (dicembre 1971) e formulò i due principi a cui si sarebbe dovuta ispirare la collaborazione tra i marxisti e i cristiani. Essi sono: 1) i cristiani costituiscono <<alleati strategici>> dei marxisti per portare avanti il processo di liberazione dell’America Latina; 2) il cristiano può accettare tranquillamente la metodologia analitica marxista, senza mettere in discussione la propria fede religiosa.

Successivamente, l’anno seguente, Fidel invitò a Cuba dodici sacerdoti cileni, i quali parteciparono ad attività di lavoro volontario. Alla conclusione di questa significativa esperienza questi sacerdoti pubblicarono sul Granmaun’importante dichiarazione che evidenziava una convergenza di intenti tra i cristiani rivoluzionari e i marxisti. In tale dichiarazione si evidenziavano queste 3 considerazioni: 1) l’origine dei mali dell’America Latina sta nello sfruttamento capitalistico; 2) il socialismo costituisce una necessità storica; 3) i cristiani debbono considerarsi obbligati moralmente a lottare insieme ai marxisti contro la violenza istituzionalizzata generata nel subcontinente dal capitalismo [2].

sabato 10 dicembre 2016

Dal fordismo al capitalismo bio-cognitivo - Andrea Fumagalli

"Il passaggio dal capitalismo fordista-industriale al capitalismo cognitivo-immateriale è quindi
la metamorfosi del ciclo del capitale dalla formula:    denaro-merce-denaro (D-M-D')
a quello:    denaro-conoscenza-denaro (D-M(K)-D')."



Leggi anche:   http://effimera.org/produttivita-del-lavoro-precarieta-circolo-vizioso-delleconomia-italiana-andrea-fumagalli-2/

venerdì 9 dicembre 2016

ELEMENTI DI ECONOMIA DEL LAVORO - Guglielmo Forges Davanzati


L’economia del lavoro ha come proprio campo d’indagine lo studio del funzionamento del  mercato  del  lavoro,  con  particolare  riferimento  all’individuazione  delle  cause  della disoccupazione e dei meccanismi che sono alla base della determinazione dei salari, sia sul piano teorico, sia sul piano empirico. A tal fine, e per quanto riguarda la trattazione che segue, si fa propria un’opzione metodologica che rinvia alla coesistenza di paradigmi alternativi e competitivi, non riconducibili a un schema teorico unitario e unanimemente condiviso. Questa opzione si basa sulla convinzione che ogni schema teorico si basa su assiomi, ovvero su premesse non dimostrate né dimostrabili, che sono radicalmente in contrapposizione con gli assiomi propri di altri schemi teorici e che, per questa ragione, non  si  rende  possibile  giungere  a  una  sintesi.  In  quanto  segue,  verranno  descritti  i principali  orientamenti  teorici  presenti  nel  dibattito  contemporaneo:  il  modello neoclassico, il modello keynesiano, il modello postkeynesiano nella sua variante della c.d. teoria monetaria della produzione.

Si propongono, a seguire, due appendici: la prima dà conto del dibattito su diseguaglianze distributive e crescita economica; la seconda riporta un breve importante saggio di M. Kalecki, rilevante per la comprensione dello studio del funzionamento del mercato del lavoro in una prospettiva postkeynesiana e marxista. Alla trattazione di queste teorie vengono qui aggiunte due sezioni dedicate, rispettivamente, agli effetti delle politiche di deregolamentazione del mercato del lavoro sull’occupazione e al dibattito sugli effetti dell’accumulazione di capitale umano sulla crescita economica e dell’occupazione.

Alla stesura di questi appunti hanno contribuito Andrea Pacella (Università di Catania) che ha scritto parte del cap.1 e Gabriella Paulì (Università del Salento), che ha scritto parte del cap.4 e del cap. 5. Lecce, marzo 2016

LEGGI TUTTO:        https://www.dropbox.com/s/lqbu9gy1iqvepoe/ELEMENTI%20DI%20ECONOMIA%20DEL%20LAVORO%20-FORGES%20DAVANZATI.pdf?dl=0

martedì 6 dicembre 2016

Referendum “sociale” o costituzionale? Torna il problema delle “periferie” per il Pd - Marco Valbruzzi

Quali sono state le principali motivazioni che hanno spinto gli elettori alle urne? E, soprattutto, perché hanno deciso di promuovere o bocciare il progetto di revisione costituzionale del governo Renzi? Quali sono stati gli strati sociali maggiormente favorevoli (o contrari) alla riforma? Per rispondere a tali quesiti, l’Istituto Cattaneo ha analizzato la distribuzione del voto nelle sezioni di Bologna per cercare di capire se i settori dove il disagio sociale è maggiore hanno avuto un comportamento più critico nei confronti del governo e della sua riforma. Un’analisi di questo tipo è resa possibile dall’esistenza di dati socio-demografici della popolazione (età, genere, reddito, presenza di immigrati ecc.), disaggregati a livello di singola sezione elettorale e messi liberamente a disposizione dal comune di Bologna. Il problema del Pd nelle periferie, sia geografiche che “sociali”, era già emerso chiaramente nelle elezioni amministrative del 2016: nel territorio, il partito di Renzi aveva perso progressivamente contatto e consenso negli strati sociali più deboli, appartenenti a quel “ceto medio impoverito” di cui stanno discutendo in questi giorni analisti e commentatori. Il referendum costituzionale di domenica ha rappresentato un                                                                                                            nuovo laboratorio d’analisi all’interno del quale verificare se il voto favorevole alla riforma – sostenuto dal Pd – ha                                                                                                        “sofferto” in misura maggiore nelle aree di Bologna più disagiate o in difficoltà. [...]

In sintesi, con il voto nel referendum costituzionale del 4 dicembre si conferma l’orientamento degli elettori a votare “contro” il governo in carica, sia nelle elezioni politiche (comprese quelle amministrative) che in quelle referendarie. Il voto diventa lo strumento attraverso il quale i cittadini esprimono il loro malcontento verso una situazione di crisi – economica e sociale – dalla quale non vedono ancora alcuna via d’uscita. Il voto contro l’establishment, in opposizione alla classe di governo di turno, ha trovato un nuovo canale di espressione nel referendum costituzionale, trasformando un giudizio sulla riforma della Costituzione in una valutazione sull’operato del governo Renzi e sulla condizione sociale degli elettori. Se ogni occasione elettorale è buona per esprimere la propria insoddisfazione, anche un referendum costituzionale può facilmente trasformarsi in un referendum “sociale”. Con i risultati che ora sappiamo.



lunedì 5 dicembre 2016

Rosa Luxemburg e la teoria del capitalismo*- Una recensione di Paul M. Sweezy

Questa recensione dell’opera di Rosa Luxemburg, The Accumulation of capital [trad. di Agnes Schwarzschild, intr. di Joan Robinson, London and New Haven 1951], apparve in “The New statesman and Nation” il 2 giugno 1951 ed è riportata nel volume  Paul M. Sweezy, Il presente come storia, trad. di Ruggero Amaduzzi, Torino 1962
L’edizione italiana dell’opera è L'accumulazione del capitale. Contributo alla spiegazione economica dell'imperialismo e ciò che gli epigoni hanno fatto della teoria marxista. Una anticritica [trad. di Bruno Maffi, introduzione di Paul M. Sweezy, Torino, 1968] 



   Rosa Luxemburg è una delle poche figure veramente grandi nella storia del movimento socialista internazionale, e L’accumulazione del capitale è incontestabilmente la sua opera maggiore. Che l’opera sia ora accessibile in inglese, e in una traduzione eccellente, è un’ottima cosa.


   Per comprendere L’accumulazione del capitale ci si deve collocare nella letteratura socialista della fine del secolo XIX e dell’inizio del secolo XX. Era quello il periodo del grande dibattito fra i marxisti “ortodossi” e i “revisionisti”, un dibattito che, sul piano puramente analitico, si accentrava attorno alla questione: può il capitalismo continuare ad espandersi indefinitamente, o presto o tardi crollerà in forza delle contraddizioni economiche che gli sono congenite? I revisionisti sostenevano la tesi dell’espandibilità indefinita e ne traevano la conclusione che non c’era fratta per il socialismo e non c’era bisogno di prepararsi alla situazione d’emergenza: tutto si poteva aggiustare tranquillamente e gradualmente. Gli “ortodossi” erano unanimi nel respingere questa teoria, ma tutt’altro che unanimi sulla teoria che ritenevano giusta. Fu proprio questo problema che Rosa Luxemburg si propose di risolvere con L’accumulazione del capitale. Il titolo stesso rivela dove essa riteneva di aver individuato il nucleo del problema e riassume, come può farlo un breve titolo, l’argomento dell’intera opera.

domenica 4 dicembre 2016

L'EGEMONIA DIGITALE - Renato Curcio



"Io sono l'automa", così si è presentato a una visita medica obbligatoria, un lavoratore deella ACEA di Roma. "In che senso scusi?" gli ha chiesto la dottoressa. E lui, con un tono angosciato: "Nel senso che ormai non sono più una persona, il tablet personale mi comanda come un robot, nel senso che mi sento un automa, gli presto le mani è vero, ma per il resto quasi non decido più nulla; nel senso che questi ci pilotano: 'vai qua e vai là', 'inserisci il tuo numero matricola e poi segui i comandi'; nel senso che il tablet attivato mi geo-localizza e mi programma la giornata; nel senso che ogni spostamento è controllato e se mi fermo a prendere un caffè o a urinare in un luogo non previsto il tablet lo registra; nel senso che è il tablet che mi porta in giro e ho paura! Ho paura che il tablet registri anche quello che le sto dicendo adesso che siamo in visita. Ecco in che senso".


Questo libro restituisce il percorso di un cantiere socianalitico che, partendo dalle narrazioni d’esperienza dei suoi partecipanti, si è interessato ai modi in cui l’impero virtuale cerca di costruire la sua capacità egemonica sul mondo del lavoro. Ripercorrendo la micro-fisica dei processi innescati dai dispositivi digitali che mediano l’attività lavorativa – smartphone, piattaforme, sistemi gestionali, registri elettronici – in queste pagine si esplorano alcune metamorfosi radicali che, mentre rovesciano il rapporto millenario tra gli umani e i loro strumenti, sconvolgono ciò che fino a ieri abbiamo familiarmente chiamato “lavoro”. Alcuni territori chiave – la digitalizzazione della scuola, della professione medica, dei servizi, dei trasporti condivisi, dei grandi studi legali e delle banche – assunti come analizzatori, ci raccontano l’impatto trasformativo delle nuove tecnologie e il disorientamento dei lavoratori. Ma, nello stesso tempo, fanno emergere le linee liberticide su cui questo processo procede: la cattura degli atti, la dittatura dei dati, il trionfo della quantità e le narrazioni sostitutive con cui esso si racconta. Proprio riflettendo su queste tendenze che velocemente ci attraversano fino al punto di chiamarci in causa singolarmente il libro, infine, indica quattro pericolose tendenze generali – l’autismo digitale, l’obesità tecnologica, l’ethos della quantità, lo smarrimento dei limiti – e si chiede se non sia forse giunto il momento, dopo le ambigue interpretazioni del Novecento, di cominciare a distinguere il progresso sociale dal progresso tecnologico.

sabato 3 dicembre 2016

CONTROSTORIA DEL SECOLO BREVE, il primo dopoguerra - Renato Caputo


8 LEZIONE.    IL PRIMO DOPOGUERRA IN ITALIA - Problemi economico e sociali dell’Italia post-bellica; la crisi dello Stato liberale; il biennio rosso e l’occupazione delle fabbriche:


7. LEZIONE.    DOPOGUERRA e REPUBBLICA DI WEIMAR. La Repubblica di Weimar e la sua crisi;
i fondamenti ideologici del nazionalsocialismo:    https://www.youtube.com/watch?v=DIAEu36UWBY&feature=share

                                      (3/4)   https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/11/controstoria-del-secolo-breve-dalla.html 
                                         (5/6)   https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/11/controstoria-del-secolo-breve-movimenti.html

venerdì 2 dicembre 2016

giovedì 1 dicembre 2016

mercoledì 30 novembre 2016

Genere e famiglia in Marx: una rassegna*- Heather Brown**

**Eather Brown è assistente di scienze politiche alla Westfield State University. Questo articolo è un adattamento della conclusione del suo volume Marx on Gender and the Family: A Critical Study (Haymarket, 2013), dove compare in una forma leggermente diversa.

Molte studiose femministe hanno avuto, nel migliore dei casi, un rapporto ambiguo con Marx e il marxismo. Una delle questioni oggetto di maggiore contesa riguarda il rapporto Marx/Engels.

Gli studi di György Lukács, Terrel Carver e altri, hanno mostrato significative differenze tra Marx ed Engels circa la dialettica, così come su molte altre problematiche (1). Basandomi su tali lavori, ho esplorato le loro differenze riguardo alle questioni di genere nonché della famiglia. Ciò è di particolare rilevanza in rapporto ai dibattiti attuali, considerato che un certo numero di studiose femministe hanno criticato Marx ed Engels per quello che considerano il determinismo economico di questi ultimi. Tuttavia, Lukács e Carver indicano proprio nel grado di determinismo economico una notevole differenza tra i due. Entrambi considerano Engels più monistico e scientista di Marx. Raya Dunayevskaya è tra le poche a separare Marx ed Engels riguardo al genere, indicando nel contempo la natura maggiormente monistica e deterministica della posizione di Engels, in contrasto con una comprensione dialetticamente più sfumata delle relazioni di genere da parte di Marx (2).

In anni recenti, vi è stata scarsa discussione intorno agli scritti di Marx su genere e famiglia, ma negli anni Settanta e Ottanta, essi erano oggetto di numerosi dibattiti. In alcuni casi, elementi della più complessiva teoria marxiana andavano a fondersi con la teoria femminista, psicoanalitica o di altra forma, nel lavoro di studiose femministe come Nancy Hartsock e Heidi Hartmann (3). Queste hanno visto la teoria di Marx come primariamente chiusa rispetto alle questioni di genere, insistendo sulla necessità di integrazioni teoriche al fine di comprendere meglio le relazioni di genere. Ciò nonostante, hanno continuato a ritenere il materialismo storico di Marx come un punto di partenza per comprendere la produzione. Inoltre, un certo numero di femministe marxiste hanno fornito il loro contributo, dai tardi anni Sessanta fino agli Ottanta, in particolare nell’ambito dell’economia politica. Per esempio, Margaret Benston, Mariarosa Dalla Costa, Silvia Federici e Wally Seccombe, hanno tentato una rivalutazione del lavoro domestico (4). In aggiunta, Lise Vogel ha cercato di andare oltre il sistema duale, verso una comprensione unitaria dell’economia politica e della riproduzione sociale (5). Ancora, Nancy Holmstrom ha mostrato come Marx possa essere utilizzato al fine di comprendere lo sviluppo storico della natura femminile (6).

lunedì 28 novembre 2016

L'Occidente arretrato e l'Oriente avanzato*- Emiliano Alessandroni

Intervento al Forum "La Via Cinese e il contesto internazionale", Roma, 15 ottobre 2016  


Nelle Lezioni sulla filosofia della storia Hegel ci insegna che «quando si parla di libertà, si deve sempre far caso se, in realtà, non si stia parlando d'interessi privati» [1]. Già a suo tempo, dunque, il filosofo tedesco ci metteva in guardia contro gli usi ideologici di determinati termini e vocaboli. 

Qualche decennio più tardi, in effetti, allorché si sviluppa il dibattito sulla schiavitù nel sud degli Stati Uniti, i proprietari di schiavi denunciavano quelle spinte che premevano verso la soppressione dell'istituto della schiavitù, come degli attacchi alla libertà, ovvero a quelli che definivano sacrosanti diritti di proprietà [2]. La libertà che si vedevano minacciata era la libertà di possedere schiavi e i diritti che rivendicavano erano essenzialmente il diritto di commerciare carne umana. Evidentemente i due termini, libertà e diritto, venivano impiegati in una accezione                                                                                                              tutta ideologica, al fine di difendere interessi particolari.

Qualcosa di analogo si verifica anche ai giorni nostri: gli attuali mezzi di comunicazione sono soliti presentare l'Occidente come un insieme di stati avanzati e democratici e l'Oriente come un agglomerato caotico di stati dispotici e arretrati. Ma, dobbiamo domandarci, stanno davvero così le cose? L'Occidente promuove realmente un avanzamento ed un progresso storico nel mondo? O ci troviamo anche in questo caso di fronte ad un uso ideologico dei termini volto alla difesa di interessi particolari?

Per rispondere a queste domande soffermiamoci su alcuni dei più significativi scenari internazionali, e osserviamo se l'Occidente abbia assunto verso di essi un atteggiamento costruttivo e progressivo o distruttivo e regressivo.

domenica 27 novembre 2016

Referendum costituzionale, le ragioni del No*- Luigi Ferrajoli


Le costituzioni sono patti di convivenza, sorrette da un consenso generale. La Costituzione di Renzi, invece, è una costituzione che divide, non essendo neppure di maggioranza, ma di minoranza

Le ragioni del No al referendum sull’aggressione in atto alla nostra Costituzione investono sia il metodo con cui la riforma è stata approvata, sia i suoi contenuti.

Anzitutto le ragioni di metodo. Questa riforma, cambiando 47 articoli su 139, non è una “revisione” dell’attuale costituzione, ma un’altra costituzione, diversa da quella del 1948. Ma la nostra Costituzione non consente l’approvazione di una nuova costituzione, neppure ad opera di un’ipotetica as­semblea costituente che pur decidesse a larghissi­ma maggioranza. Il solo potere ammesso dall’articolo 138 della Costitu­zione è un potere di revi­sio­ne, che non è un pote­re costituen­te ma un potere co­stitui­to. Di qui il primo profilo di illegittimità: l’indebita trasformazione del potere di revisione costituzionale previsto dall’articolo 138 in un potere costituente non previsto dalla nostra Costituzione e perciò anticostituzionale ed eversivo.

In secondo luogo questa nuova costituzione, per il modo in cui è stata promossa e approvata, è un oltraggio non tanto e non solo alla Costituzione del 1948, ma al costituzionalismo in quanto tale, cioè all’idea stessa di Costituzione. Le costituzioni sono patti di convivenza. Stabiliscono le pre-condizioni del vivere civile, idonee a garantire tutti, maggioranze e minoranze, e perciò tendenzialmente sorrette da un consenso generale quale fu quello con cui fu approvata la Costituzione del ’48. Servono a unire, e non a dividere, dato che equivalgono a sistemi di limiti e vincoli imposti a qualunque maggioranza, di destra o di sinistra o di centro, a garanzia di tutti.

sabato 26 novembre 2016

Omaggio a Fidel* - Lia

 *Da:    http://www.ilcircolo.net/ 

Io non ho amato Cuba, nei tre anni trascorsi a studiare lì. Tanto è vero che mi spostavo in Messico ogni volta che potevo, e alla fine a Cuba ci avrò trascorso un anno e mezzo in totale. Non l’ho amata perché amo poco le isole, in generale, e perché i cubani mi davano sui nervi, parecchio.  E la pativo: l’embargo è uno stillicidio di cose che non funzionano, che non si trovano, che sono difficilissime da fare. L’embargo crea paesi logoranti dove la sopravvivenza è legata all’organizzazione che ti dai, e dove tu, straniero, sei sempre in torto: perché hai più soldi – credono loro – e vieni dalla parte di mondo che la vorrebbe vedere cadere, Cuba, e l’isola risponde togliendoti ogni tratto umano e trasformandoti in un portafogli che cammina, caricaturizzandoti nel cliché dello straniero a Cuba che, nove volte su dieci, non è una bella persona. Io, quindi, ogni volta che potevo prendevo il mio Cubana de Aviación e in 50 minuti ero in Messico, dove la gente era normale e non si aspettava di essere pagata anche solo per rispondere a un “buongiorno”. E dove, perdonatemi, mangiavo: un’insalata che non fosse di cavolo, una minestra che non fosse sempre e solo di riso con fagioli, un frutto che non fosse l’unico che si trova a Cuba di trimestre in trimestre. Un’introvabile patata. Un gelato che non fosse stato scongelato e ricongelato quaranta volte. A Cuba, a meno che tu non voglia spendere molti soldi – e anche lì, uhm – apprendi cos’è la deprivazione sensoriale, dopo mesi passati a provare un sapore solo. Io a Cuba una volta sono quasi svenuta in un supermercato, dopo due giorni trascorsi all’infruttuosa ricerca di un pomodoro. Il corpo ti chiede certe vitamine, certi sali minerali, e tu non riesci a darglieli. Atterravo in Messico e, i primi due giorni, mi strafogavo.

Eppure, Cuba funzionava. A modo suo. Davanti a ogni facoltà, all’università, c’era una targa che ringraziava la tale Comunità Autonoma spagnola che aveva finanziato il sistema elettrico. All’interno della facoltà sembrava di essere negli anni 50 dopo un bombardamento: banchi, cattedre, lavagne, tavoli sbilenchi, lampadine a intermittenza, computer e telefoni arcaici, sedie metalliche incongruenti, tutto in rovina, tutto cadente, e in mezzo a tutto questo professori trasandati, sciupati, malvestiti, che però ti facevano lezioni durante cui il tempo volava, che sapevano quello che facevano, che erano bravi. A volte proprio bravi. L’assoluta incongruenza tra lo squallore del luogo e la qualità delle parole. E la serietà, la severità, l’inflessibilità dietro la trasandatezza. La gente che ho visto bocciare all’esame di dottorato. L’incongruenza che tu, straniera, avvertivi tra come si presentava il tutto e la loro altissima considerazione di sé. Perché i cubani hanno un’immensa stima di sé. I cubani si sentono speciali, bravissimi, una specie di razza eletta. E questo non te lo aspetti, da un paese che cade a pezzi. E siccome te la fanno pesare, la loro presunzione, la loro certezza di essere degli immensi fighi, un po’ li strozzeresti e un po’ ti ritrovi ad ammettere che tutti i torti non ce li hanno. Li strozzeresti per i modi, ma poi devi ammettere che la loro forza è tutta lì. Nel sentirsi i migliori di tutti e quelli che non hanno paura di nessuno.

Hasta la victoria siempre, Comandante!


Querido pueblo de Cuba:
Con profundo dolor comparezco para informar a nuestro pueblo, a los amigos de Nuestra América y del mundo que hoy 25 de noviembre de 2016 a las 10:29 horas de la noche, falleció el Comandante en Jefe de la Revolución cubana Fidel Castro Ruz.
En cumplimento de la voluntad expresa del compañero Fidel, sus restos serán cremados.
En las primeras horas de mañana sábado 26 la comisión organizadora de los funerales brindará a nuestro pueblo una información detallada sobre la organización del homenaje póstumo que se le tributará al fundador de la Revolución cubana. 
Hasta la victoria siempre! 
(Raul)

giovedì 24 novembre 2016

I mass media, Gramsci e la costruzione dell’uomo eterodiretto*- Paolo Ercolani


 
Con l’evoluzione della «società dello spettacolo» sta maturando il passaggio da una forma di dominio sui corpi a una sulle menti. L’individuo, sotto attacco nella sua sfera intellettiva, rischia di perdere la capacità di agire consapevolmente e di essere soggetto della storia.

«Nella realtà sociale, nonostante tutti i cambiamenti, il dominio dell’uomo sull’uomo è rimasto il continuum storico che collega la Ragione pre-tecnologica a quella tecnologica»
H. Marcuse 1


Se uno degli ambiti di studio e azione più importanti della filosofia marxista è consistito nell’analisi delle forme di dominio del più forte sul più debole, la grande intuizione di Antonio Gramsci, e quindi uno dei suoi lasciti più fecondi, risiede nell’aver compreso come, con il Novecento, il terreno su cui si svolgevano – e si sarebbero svolte – le nuove forme di dominio non era più dato dal solo contesto strutturale, ma avrebbe interessato la sovrastruttura ideologica 2. In forme e con modalità certamente non osservabili (e quindi prevedibili) in tutta la loro potenzialità ai tempi del pensatore sardo, ma che sono sotto gli occhi di tutti nei giorni nostri in piena epoca di trionfo della società dello spettacolo, con i suoi meccanismi tecnologici annessi 3. Con l’elaborazione del nesso fra teoria e pratica,tra pensiero e azione, in buona sostanza tra filosofia e politica, Gramsci non soltanto superava quel marxismo meccanicistico che concentrava la propria attenzione sul solo momento strutturale (di contro al problema opposto rappresentato dall’Idealismo), ma poneva le basi per un recupero della centralità dell’uomo (e della sua dignità) come soggetto pensante e agente (inscindibili i due momenti) e, in quanto tale, soggetto consapevole e «creatore della sua storia» 4. All’interno di questo discorso si comprende l’intento gramsciano perché al nesso fra teoria e azione (o tra filosofia e politica) corrispondesse quello tra «intellettuali» e «semplici»: innanzitutto affinché i primi sapessero elaborare dei principi coerenti con i problemi che le masse si trovano a porre con la propria attività pratica, al fine di costituire un «movimento filosofico» che non svolgesse «una cultura specializzata per ristretti gruppi di intellettuali», ma che fosse in grado di trovare nel contatto costante coi semplici «la sorgente dei problemi da studiare e risolvere». Soltanto in questo modo una filosofia si «depura» dagli «elementi intellettualistici» e si fa «vita» 5.

martedì 22 novembre 2016

Erich Honecker*: Discorso-Autodifesa pronunciato davanti al Tribunale di Berlino**

*Erich Honecker (Neunkirchen, 25 agosto 1912 - Santiago del Cile, 29 maggio 1994) è stato un politico tedesco. È stato Presidente della Repubblica Democratica Tedesca dal 1976 al 1989.
**Da:   www.resistenze.org        http://www.linearossage.it/ddr/erich_honecker.htm 


Difendendomi dall’accusa manifestamente infondata di omicidio non intendo certo attribuire a questo Tribunale e a questo procedimento penale l’apparenza della legalita’. La difesa del resto non servirebbe a niente, anche perche’ non vivro’ abbastanza per ascoltare la vostra sentenza. La condanna che evidentemente mi volete infliggere non mi potra’ piu’ raggiungere. Ora tutti lo sanno. Basterebbe questo a dimostrare che il processo e’ una farsa. E’ una messa in scena politica.

Nessuno nelle regioni occidentali della Germania, compresa la citta’ di prima linea di Berlino Ovest, ha il diritto di portare sul banco degli accusati o addirittura condannare i miei compagni coimputati, me o qualsiasi altro cittadino della RDT, per azioni compiute nell’adempimento dei doveri emananti dallo Stato RDT.

Se parlo in questa sede, lo faccio solo per rendere testimonianza alle idee del socialismo e per un giudizio moralmente e politicamente corretto di quella Repubblica Democratica Tedesca che piu’ di cento stati avevano riconosciuto in termini di diritto internazionale. Questa Repubblica, che ora la RFT chiama Stato illegale e ingiusto, è stata membro del Consiglio di Sicurezza dell’ O.N.U., che per qualche tempo ha anche presieduto, e ha presieduto per un periodo la stessa l’Assemblea generale. Non mi aspetto certo da questo processo e da questo Tribunale un giudizio politicamente e moralmente corretto della RDT, ma colgo l’occasione di questa messa in scena politica per far conoscere ai miei concittadini la mia posizione.

domenica 20 novembre 2016

CONTROSTORIA DEL SECOLO BREVE, movimenti di emancipazione dei popoli coloniali fra le due guerre.- Renato Caputo

 6 LEZIONE.   MOVIMENTI DI EMANCIPAZIONE DEI POPOLI COLONIALI FRA LE DUE GUERRE: In particolare Cina e India:


5 LEZIONE.    STORIA DELL’URSS FINO ALLE SOGLIE DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE: la costruzione del socialismo in un solo paese; l’industrializzazione e la collettivizzazione delle campagne; l’età di Stalin:   https://www.youtube.com/watch?v=tuUtouZoypw 

                                     (3/4)   https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/11/controstoria-del-secolo-breve-dalla.html 

venerdì 18 novembre 2016

Grand Hotel «Abisso»*- György Lukács

*[Grand Hotel „Abgrund”Világosság, no.8/9, 1977, p.572-79; trad. it. in La responsabilità sociale del filosofo, a c. di V. Franco, Pacini Fazzi, Lucca 1989]        Da:    https://gyorgylukacs.wordpress.com/  
Si ringrazia Toni Infranca per aver messo a disposizione questo testo. 

Infine, nei periodi in cui la lotta di classe si avvicina al momento decisivo, il processo di dissolvimento in seno alla classe dominante, in seno a tutta la vecchia società, assume un carattere così violento, così aspro, che una piccola parte della classe dominante si stacca da essa per unirsi alla classe rivoluzionaria, a quella classe che ha l’avvenire nelle sue mani. Perciò, come già un tempo una parte della nobiltà passò alla borghesia, così ora una parte della borghesia passa al proletariato, e segnatamente una parte degli ideologi borghesi che sono giunti a comprendere teoricamente il movimento storico nel suo insieme. 
K. Marx, F. Engels, Manifesto del partito Comunista

Hell wogt der saal vom spiel der seidnen suppen.
Doch eine berg ihr fieber unterm mehlle
Und sah umwirbelt von den tollen gruppen
Dass nicht mehr viel am aschermittwoch fehle.
Sie schleicht hinaus zum öden park, zum flachen
Gestade. winkt noch kurz dem mummenschanze
Und beugt sich frostelns übers eis. ein krachen
Dann stumme kälte, fern der ruf zum tanze.
Keins von der artigen rittern oder damen
Ward sie gewahr bedeckt mit tang und kieseln.
Doch als im frühling sie zum garten kamen
Erhob sich oft vom teich ein dumpfes rieseln.
Die leichte schar aus scherzendem jahrundert
Vernahm wohl dass es drunten seltsam raune.
Nur hat sie sich nicht sehr darob gewundert
Sie hielt es einfach für der wellen laune.
S. George, Die Maske1 

L’accostamento di queste due citazioni sorprenderà sicuramente la maggior parte dei lettori. In effetti, esse possono andare insieme solo in quanto sono entrambe espressione chiara e pregnante dei due poli del movimento di dissoluzione ideologica di una classe dominante in un periodo di crisi rivoluzionaria. L’intellighenzia, cioè quello strato della società che a causa della divisione sociale del lavoro fa della produzione e della propaganda ideologica un’occupazione di vita, il fondamento materiale e spirituale della propria esistenza, reagisce con straordinaria prontezza e sensibilità a tutte le svolte che si compiono nella realtà materiale della società. Ma proprio perché fa della produzione della ideologia la sua massima occupazione, all’interno della società di classe essa reagisce sempre con una falsa coscienza; e tanto più è falsa quanto più è sviluppata la divisione sociale del lavoro, quanto più è avanzata la dissoluzione materiale della classe dominante. La divisione sociale del lavoro comporta necessariamente che gli ideologi si ricolleghino sempre alle ideologie immediatamente precedenti o contemporanee, che la loro critica del presente si compia nella forma di una critica delle ideologie presenti e passate. E nella maggior parte dei casi non è una faccenda semplicemente formale. Il produttore borghese di ideologie, proprio in ragione delle necessità materiali della sua situazione sociale, è vissuto nell’illusione che le trasformazioni sociali siano nella loro essenza trasformazioni ideologiche e che, in ultima analisi, vengano da queste provocate. Da questa illusione deriva anche la sua credenza del ruolo guida, a livello sociale, dello strato a cui appartiene. Dalla contraddizione tra questa illusione e la situazione materiale del suo sorgere e della sua esistenza deriva una delle cause più importanti delle oscillazioni di questa intellighenzia. Reagendo ai rapidi alti e bassi dello sviluppo economico, della lotta tra le classi decisive della società – la borghesia e il proletariato – con straordinaria rapidità e violenza, e tuttavia con più o meno falsa coscienza, essa da un lato rispecchia l’oscillazione della piccola borghesia tra rivoluzione e controrivoluzione e le dà una forma ideologica, dall’altro però, nella sua produzione ideologica esprime – almeno in parte – la propria situazione specifica nella lotta di classe. La sua reazione immediata ai nuovi mutamenti, alle nuove tendenze, che la fa sempre andare avanti rispetto alla media della sua classe, le dà l’illusione di aver prodotto essa stessa tali tendenze. E come se si considerasse il termometro causa del freddo e del caldo o il barometro causa del buono e del cattivo tempo.

giovedì 17 novembre 2016

Economia politica e filosofia della storia. Variazioni su un tema smithiano: la missione "civilizzatrice" del capitale.*- Riccardo Bellofiore**

*Da:   https://www.facebook.com/Economisti-di-classe-Riccardo-Bellofiore-Giovanna-Vertova-148198901904582/?fref=ts  (pubblicato in due parti come: (a) Economia politica e filosofia della storia. Variazioni su un tema smithiano: la missione ‘civilizzatrice’ del capitale,  in “Teoria politica”, n. 2, 1991, pp. 69-96; (b) Cambiare la natura umana. Ancora su economia politica e filosofia della storia, “Teoria politica”, n. 3, 1991, pp. 63-98) 
**Dipartimento di Scienze Economiche, Università di Bergamo 

"Pour que la réalité se dévoile, il faut qu'un homme lutte contre elle."
Jean Paul Sartre, "Matérialisme et révolution", in Situations, I, Paris 1957, p. 213 


1. Introduzione

L'economia politica ha costituito da sempre terreno fertile per la riflessione filosofica. Gli ultimi anni, da questo punto di vista, non fanno eccezione: basta pensare al proliferare di studi di epistemologia economica, o ancora alla questione della relazione tra etica ed economia. Il problema che vorrei affrontare nelle pagine che seguono è invece di quelli un po' desueti: la ricerca bibliografica difficilmente registrerebbe titoli recenti; l'inglese non sarebbe forse la lingua egemone; la letteratura definibile in senso lato come empirista e liberale sarebbe una componente importante ma non esclusiva. 

Si tratta, per dirla in breve ed un po' enfaticamente, di ripercorrere le tappe principali di quella linea di pensiero che si è interrogata sulla missione "civilizzatrice" e sul ruolo storico del capitale. Di riandare, dunque, a quegli autori che hanno visto nel primato dell'economico un problema, sino in alcuni casi ad auspicare, o a temere, un suo possibile superamento. E che, proprio perché questo era il loro tema, si sono trovati a fare affermazioni impegnative sulla "natura umana", e sul "significato della storia". Terreno che altri giudicherà scivoloso, e che senz'altro lo è: ma che comincia ad apparirmi culturalmente, e politicamente, ineludibile, per ragioni che spero saranno più chiare alla fine di questo scritto. Certamente in questa luce l'economia politica si confonde con la filosofia della storia e con la filosofia morale; l'indagine sulle leggi di funzionamento del sistema sfocia nella questione del "senso" del corso storico, si confonde con la discussione sulla "giustificazione" del capitalismo - come vedremo, le due cose sono anzi per molti degli autori che considererò due facce della stessa medaglia. 

Il metodo che adotterò sarà quasi sempre quello di far parlare direttamente i testi. Metodo soggettivo ed arbitrario quant'altri mai, al di là dalle apparenze: benché poco di ciò che dirò pretenda di essere originale, la selezione e il percorso che proporrò presuppongono un filtro interpretativo molto forte, che rimarrà però in buona misura implicito. Il gioco, o le buone regole, della conversazione intellettuale richiedono che io mostri di credere fino in fondo alle ipotesi che avanzo: ciò non toglie che - trattandosi di un tema che costringe ad abbandonare i sicuri recinti degli specialismi - la critica sia la benvenuta.

domenica 13 novembre 2016

Europa. Competizione globale e lavoratori poveri*- Lucia Pradella**

La disoccupazione ha raggiunto livelli senza precedenti in Europa occidentale. I salari sono in discesa e si intensificano gli attacchi all’organizzazione dei lavoratori. Nel 2013 quasi un quarto della popolazione europea, circa 92 milioni di persone, era a rischio povertà o di esclusione sociale. Si tratta di quasi 8,5 milioni di persone in più rispetto al periodo precedente la crisi.

La povertà, la deprivazione materiale e il super-sfruttamento tradizionalmente associati al Sud del mondo stanno ritornando anche nei paesi ricchi d’Europa.

La crisi sta minando il “modello sociale europeo”, e con esso l’assunto che l’impiego protegge dalla povertà. Il numero di lavoratori poveri – lavoratori occupati in famiglie con un reddito annuo al di sotto della soglia di povertà – è oggi in aumento, e l’austerità peggiorerà di molto la situazione in futuro.

Alcuni critici sostengono che l’austerità è assurda e contro-producente, ma i leader europei non sono d’accordo. Durante l’ultima tornata di negoziati con la Grecia l’estate scorsa, Angela Merkel ha dichiarato: “Il punto non sono alcuni miliardi di euro – la questione di fondo è come l’Europa può restare competitiva nel mondo.” C’è del vero in tutto questo. Quello che la Merkel non dice è che i lavoratori in Europa, nel Sud dell’Europa in particolare, competono sempre di più con i lavoratori del Sud del mondo. L’impoverimento e l’austerità in Europa sono le due facce della stessa medaglia, e riflettono una tendenza strutturale all’impoverimento e profondi cambiamenti dell’economia globale.

Lenin lettore di Hegel*- Stathis Kouvélakis

*Da:     https://traduzionimarxiste.wordpress.com/        Link all’articolo in francese Période

 
Come spiegare il fatto che al cospetto del disastro della Prima guerra mondiale Lenin si sia ritirato per dedicarsi allo studio della Logica di Hegel? Si tratta di un interrogativo che non ha cessato di turbare il marxismo del primo dopoguerra. Secondo Stathis Kouvelakis, svelare l’enigma dei Quaderni filosofici di Lenin, manoscritti frammentari ed eterogenei, equivale a pensare questo testo come una rettifica del pensiero del movimento operaio europeo. Vero e proprio presupposto alla sua riflessione strategica, la quale condurrà all’Ottobre 1917, il lavoro di Lenin segna un rigetto del positivismo, del meccanicismo e del materialismo volgare della Seconda internazionale. Tale ritorno a Hegel implica una rinnovata istanza rispetto alla dimensione pratica della conoscenza, alla dialettica di salti e inversioni, o ancora, all’attività in quanto processo sociale. Di fronte al crollo della socialdemocrazia, alla necessità di una ripresa, una deviazione nel campo della teoria si rende talvolta indispensabile al fine di poter ricominciare.


Il disastro

Irruzione del massacro di massa nel cuore dei paesi imperialisti dopo un secolo di relativa «pace» interna, il momento della prima guerra mondiale è anche quello del crollo del suo oppositore storico, il movimento operaio europeo, essenzialmente organizzato nella Seconda internazionale. In questo senso, appare adeguata la definizione di «disastro», termine utilizzato da Badiou per significare l’esaurimento della verità di una forma della politica emancipatrice testimoniata da un altro crollo, più recente, ossia quello dei regimi «comunisti» dell’Europa dell’est (1). Considerando che questo secondo disastro va a colpire quella stessa verità politica nata come risposta al primo, e nota come «Ottobre 1917», nonché: «Lenin», è stato allora il ciclo del «secolo breve» ad essersi chiuso su questa disastrosa ripetizione. Paradossalmente, quindi, non si tratta del momento sbagliato da scegliere, per ritornare là dove tutto ciò ha avuto inizio, nell’istante in cui, nel fango e nel sangue che sommergevano l’Europa in quell’estate del 1914, il secolo è sorto.

Catturate dal vortice del conflitto, le società europee e extra-europee (2) sperimentano per la prima volta la «guerra totale». L’insieme della società, combattenti e non combattenti, economia e politica, stato e «società civile» (sindacati, chiesa, media) partecipano integralmente a questa mobilitazione generale assolutamente straordinaria nell’intera storia mondiale. La dimensione traumatica dell’avvenimento non è comparabile con alcun confronto armato precedente. È la sensazione generalizzata della fine di un’intera «civilizzazione» ad emergere dalla carneficina delle trincee, vera e propria industria del massacro, altamente tecnologizzata, dispiegata nei campi di battaglia e ben al di là di questi ultimi (bombardamenti di civili, spostamenti di popolazione, distruzione mirata di aree situate al di fuori del fronte). L’industria della morte di massa stessa si aggroviglia strettamente ai dispositivi di controllo della vita sociale e delle popolazioni, direttamente o indirettamente esposte ai combattimenti. Una tale atmosfera apocalittica, la cui eco risuonerà con forza in tutta la cultura dell’immediato dopoguerra (la quale nasce nel conflitto stesso: Dada, poi il surrealismo e le altre avanguardie degli anni Venti e Tenta), permea tutti i contemporanei. È possibile, ancora oggi, farsene un’idea attraverso la lettura della Juniusbroschure di Rosa Luxemburg (3), uno dei testi più straordinari della letteratura socialista, ogni pagina del quale porta testimonianza del carattere inedito della barbarie in corso.

giovedì 10 novembre 2016

le 7 proposte di Donald Trump che i media hanno censurato e spiegano la sua vittoria*- Ignacio Ramonet



Il candidato repubblicano è stato in grado di interpretare quella che potremmo chiamare la ‘ribellione della base’. Meglio di chiunque altro ha percepito la frattura sempre più profonda tra le élite politiche, economiche, intellettuali, e mediatiche da una parte, e la base dell’elettorato conservatore dall’altra


Il successo di Donald Trump (come la Brexit nel Regno Unito, o la vittoria del ‘no’ in Colombia) significa innanzitutto una nuova clamorosa sconfitta dei grandi  mezzi di comunicazione e degli istituti di sondaggio. Ma significa anche che tutta l’architettura mondiale, stabilita alla fine della Seconda Guerra Mondiale, viene adesso travolta e si sfalda. Le carte della geopolitica sono completamente da rifare. Comincia un’altra partita. entriamo in un’era sconosciuta. Adesso tutto può accadere.

Come è riuscito Trump ha invertire una tendenza che lo vedeva sconfitto e riuscire a imporsi nel finale di campagna? Questo personaggio atipico, con le sue idee grottesche e sensazionalistiche, aveva già sovvertito tutti i pronostici. Contro pesi massimi come Jeb Bush, Marco Rubio o Ted Cruz, che potevano anche contare sul sostegno dell’establishment repubblicano, pochissimi lo vedevano imporsi alle primarie del Partito Repubblicano, tuttavia ha carbonizzato i suoi avversari, riducendoli in cenere. 

Bisogna capire che dalla crisi finanziaria del 2008 (dalla quale non siamo ancora usciti) nulla è uguale a prima. I cittadini sono profondamente delusi. La democrazia stessa, come modello, ha perso credibilità. I sistemi politici sono stati scossi fin dalle fondamenta. In Europa, per esempio, si sono moltiplicati i terremoti elettorali (tra cui la Brexit). I grandi partiti tradizionali sono in crisi. Ovunque rileviamo una crescita delle formazioni di estrema destra (in Francia, in Austria e nei paesi nordici) o di partiti antisistema e anticorruzione (Italia e Spagna). Il panorama politico è radicalmente trasformato. 

La visione e lo sguardo...- Silvano Tagliagambe

sabato 5 novembre 2016

CONTROSTORIA DEL SECOLO BREVE, dalla rivoluzione d'ottobre alla NEP - Renato Caputo

4 LEZIONE. La Rivoluzione d’Ottobre; la Pace di Brest-Litovsk; la
guerra civile e la Terza Internazionale; il comunismo di guerra e la NEP: 


3 LEZIONE. CAUSE DELLA RIVOLUZIONE D’OTTOBRE: Le cause della
rivoluzione russa; la Rivoluzione di Febbraio; le Tesi d’Aprile di Lenin:     https://www.youtube.com/watch?v=8FrXzV6-gFw 


venerdì 4 novembre 2016

Theodor W. Adorno: Dialettica negativa - Vincenzo Rosito

Da: Grandi opere filosofiche - Vincenzo Rosito, Docente Ordinario di “Storia e cultura delle istituzioni familiari” presso il Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II. Insegna Filosofia teoretica alla Pontificia Facoltà Teologica San Bonaventura (Roma).
Leggi anche: DIALETTICA DELL'ILLUMINISMO di Adorno e Horkheimer - Carla Maria Fabiani
Vedi anche:   La scuola di Francoforte - Antonio Gargano 
                       "La teoria critica e Herbert Marcuse" - Antonio Gargano



                        

giovedì 3 novembre 2016

Le basi statunitensi in America Latina*- Alessandra Ciattini



Il fondamento militare del potere statunitense in America Latina

Alcuni analisti politici hanno sostenuto che i vari i governi progressisti – diversi tra loro - che si sono impiantati in alcuni paesi dell’America Latina, lo hanno potuto fare perché gli Stati Uniti erano impegnati fortemente in altre regioni dello scenario internazionale, che si va facendo sempre più complicato e conflittuale. A ciò bisogna aggiungere che negli anni ’90 del Novecento sono sorti movimenti sociali e forze politiche che hanno messo in discussione in forme diverse le feroci politiche neoliberali, imposte dalle dittature militari brutali (come quelle del Cile e dell’Argentina) o da governi formalmente democratici. Basti citare, per esempio, il movimento indigeno dell’ Inti Raymi sviluppatosi in Ecuador e la forte resistenza delle masse popolari, che nel primo decennio del 2000 ha sconfitto la coalizione neoliberale in Bolivia.

Da sinistra questi governi sono accusati di non aver promosso riforme profonde che abbiano alterato la struttura del potere economico, giacché la proprietà delle risorse materiali continua ad essere concentrata, come il controllo del commercio estero e delle istituzioni finanziarie, ancora non si è raggiunta nemmeno la sovranità alimentare. Da destra, invece, si è posto l’accento sui caratteri autoritari e clientelari del sistema politico. Quanto al primo quesito, dovremmo chiederci: esistevano le condizioni oggettive per rendere operative tali trasformazioni radicali o non si è voluto procedere in questa direzione?

Per rispondere, sia pure parzialmente, a questa domanda penso sia utile fare riferimento a un evento importante realizzatosi a Lima in Perù alla fine del passato mese di agosto. Intendo riferirmi alla Riunione dei Partiti comunisti e rivoluzionari dell’America Latina e del Caribe, del tutto trascurata dai mass media nostrani, nel contesto della quale il sociologo argentino Atilio Borón, noto anche in Italia, ha fatto presente che gli Stati Uniti hanno nel subcontinente almeno 80 basi militari, stanziate in maggior numero in Perù e in Colombia. Fatto che rende alquanto complicato, se non addirittura arduo, il processo di trasformazione radicale auspicato da molti [1].

martedì 1 novembre 2016

Carovana solidale (per la fine del mondo)*- Panagiotis Grigoriou



La Grecia è ormai un paese dimenticato nel resto di Europa. I reporter da Atene non riescono a vendere i propri pezzi ai media occidentali. L’unica forma di attenzione rimasta è quella di singoli o associazioni che, ad esempio in Francia, raccolgono medicinali e aiuti per la popolazione e li portano fin lì (come si faceva con le zone più povere del terzo mondo). Chi resta, se ha un mestiere, prova a sopravvivere chiudendo i negozi e le attività per passare alle prestazioni a domicilio, ovviamente in nero. Chi non evade, del resto, paga fino al 75% di tasse sul fatturato, e deve pure versarle con un anno di anticipo. L’odio è grande, ma i politici non sembrano accorgersene, e pensano a reimpasti di governo, dove peraltro l’ultima parola spetta alla Troika, mentre il 40% della popolazione – tra cui molti bambini – è povera e oltre 4 milioni di greci vivono in case inagibili o in famiglie che non hanno alcun reddito, scontando gli effetti di un progetto (la UE) che non è affatto “degenerato” rispetto a quanto previsto, ma è sempre stato totalitario fin dall’inizio.

Attenzioni ed apprensioni. 

Sulle montagne della Grecia la prima neve è attesa per la fine della settimana, secondo i meteorologi, e allora lungo tutto il paese ci si prepara, si compra all’ingrosso la legna, come accade ogni anno da quando è iniziata la “crisi”. Ad Atene, davanti alle edicole, i Greci scrutano, o piuttosto commentano molto acidamente ciò che la stampa crede di potergli raccontare. “Tutti bugiardi”. Buona, questa!

La così detta “crisi” in realtà è una forma di guerra (economica, culturale, e simbolica che mina la società e distrugge la sovranità popolare e nazionale così come la … rara democrazia ancora in essere), dati i cambiamenti, ormai … largamente fatti propri tra i Greci.

Costituzione e sistema elettorale: dalla Costituente proporzionalista al maggioritario.*- Aldo Giannuli


 Sul finire dei suoi lavori l’Assemblea Costituente affrontò il tema della legge elettorale proporzionale che, in seno alla seconda commissione,  il grande giurista Costantino Mortati (Dc) propose di costituzionalizzare. La proposta di inserire la legge nella carta non venne accolta, ma l’orientamento pressoché unanime fu quello di adottare la proporzionale per l’elezione della Camera nel 1948. In aula, la proposta venne ripresa dal comunista Antonio Giolitti, sotto forma di emendamento all’articolo 53, ma venne obiettato che questo era stato escluso in commissione, per cui l’emendamento venne trasformato in ordine del giorno, poi approvato. Probabilmente i Costituenti avrebbero fatto meglio ad inserire la norma nel testo della Costituzione, ma tanto non sembrò necessario perché l’orientamento era generalmente favorevole al sistema proporzionale e, d’altro canto, l’intera architettura costituzionale aveva come presupposto quel sistema elettorale.

E, per convincersene, bastino poche osservazioni. Ad esempio, nessun sistema a sistema maggioritario affida al Parlamento la funzione di revisione costituzionale o, per lo meno, non solo ad esso, prevedendosi o referendum popolari preventivi, o un ruolo determinante del Capo dello Stato oppure delle regioni o stati federati o anche di un Senato altrimenti eletto.

Di fatto, tanto la Costituzione formale quanto quella materiale hanno avuto il sistema proporzionale come pietra angolare su cui basarsi. La costituzione materiale perché in questo sistema elettorale valorizzava il ruolo dei partiti come organizzatori della democrazia, la Costituzione formale perché esso garantiva tanto la rigidità  del testo, quanto l’accentuato pluralismo del sistema, che induceva a forme di governo di coalizione e ad intese più ampie della maggioranza di governo per decisioni delicate come l’elezione del Presidente, dei membri della Corte Costituzionale e del Csm. Tutto questo realizzava un equilibrio fra poteri di maggioranza e diritti delle opposizioni che, anche se mai perfetto, tuttavia garantiva un ruolo dinamico del Parlamento.

Dagli anni settanta, tuttavia, si manifestò una crescente degenerazione della vita interna dei partiti che produsse la sclerotizzazione del sistema istituzionale nel suo complesso. Di ciò venne data indebitamente la colpa al sistema proporzionale e, invece di procedere ad una regolamentazione per legge dei partiti, in modo da consentire l’intervento del giudice ordinario nei molti casi delle vere e proprie frodi (a cominciare dai tesseramenti truccati) e contrastare la degenerazione partitocratica, si preferì la strada del tutto controproducente del passaggio al sistema maggioritario, lasciando pericolosamente non mutate le norme più delicate (art.138, elezione del Presidente ecc.). Con una discutibile sentenza, la Corte Costituzionale decise di ammettere il referendum, probabilmente anche per effetto della pressione dell’opinione pubblica, debitamente pilotata dai mass media attraverso una accorta gestione dell’inchiesta “Mani Pulite” che fu l’ariete di sfondamento della manovra.

Superato l’ostacolo del referendum, la manovra proseguì introducendo una forma surrettizia di presidenzialismo, con l’indicazione del candidato Presidente del Consiglio, la cui scelta, secondo il dettato costituzionale, sarebbe spettata esclusivamente al Presidente della Repubblica. Per la verità, questa norma implicita trovò applicazione imperfetta e discontinua, perché, pur se in modo difettoso, la nostra continuava ad essere una Costituzione parlamentare, per cui, di fronte alla alle turbolenze di maggioranza, il Presidente nominò  Capi del governo privi di investitura popolare (Dini nel 1995, D’Alema nel 1998, D’Amato nel 2000). Questa prassi, sul lungo periodo ha prodotto paradossalmente un iper protagonismo del Presidente della Repubblica, la cui figura ha finito per essere sempre più simile a quella del Presidente “regnante” della Costituzione gaullista francese. Non solo il Presidente ha ripetutamente nominato Capi del Governo di suo gradimento e con maggioranze ribaltate (Monti nel 2011, Letta nel 2013, Renzi nel 2014) ma si è posto come supervisore e garante, sino a presiedere riunioni dei capigruppo di maggioranza o, peggio ancora, promuovere processi di revisione costituzionale scavalcando procedure dell’art 138.

Siamo alla decostituzionalizzazione dell’ordinamento giuridico. Una sorta di colpo di stato strisciante, apertosi con il referendum voluto da Occhetto, Segni e Pannella e che oggi passa attraverso la riforma renziana che non sarà neppure l’ultima, quando l’effetto combinato dell’assurdo premio di maggioranza dell’Italicum e la sostanziale abrogazione del bicameralismo, spianerà la strada ad una più complessiva revisione costituzionale, che forse farà strame della prima parte, quella dei diritti dei cittadini e dei principi sociali, conformemente a quanto richiesto, due anni fa, dalla grande banca americana Jp Morgan.