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Vogliamo
veramente cambiare le cose o vogliamo che il PD,
magari “rigenerato” si affermi alle prossime elezioni europee?
- Ormai l’interesse suscitato dall’appello di Massimo Cacciari, pubblicato dalla Repubblica il 2 agosto scorso sembra evaporato, perché nel mondo contemporaneo dei media le notizie sono effimere e si consumano rapidamente. Eppure, benché in ritardo, credo che esso meriti alcune riflessioni, in particolare sul ruolo di quegli intellettuali sempre ospiti dei salotti televisivi, che hanno sempre dato appoggio a quel settore uscito dallo sfascio del PCI e dalla confluenza dei cascami dei partiti centristi. Settore che ha sempre sostenuto, con false promesse di benessere e di prosperità, la trasformazione-declino del nostro paese a partire dalle tanto osannate privatizzazioni. Nel suo appello, firmato anche da altri intellettuali [1] e diretto sostanzialmente al PD, Cacciari ha inserito temi cruciali concernenti la situazione assai critica dell’Unione Europea, il drammatico problema dei migranti, affrontato con spietatezza dal rozzo Salvini, la separazione tra “la casta” e la gente comune, l’illusione della funzione democratica della Rete, ed infine l’affermarsi di un pensiero unico alimentato dall’odio.
- Come è noto, non è certo questo il primo appello di intellettuali nella nostra storia; basti ricordare, per esempio per risalire un po’ indietro nel tempo, i due manifesti del 1925, quello degli intellettuali fascisti e quello degli antifascisti. (v. E. R. Papa, Storia di due manifesti. Il fascismo e la cultura italiana, 1958)
- Sembra che ogni tanto un gruppo di intellettuali si svegli e, dopo un periodo di rimproveri e di tirate di orecchie ai politici, si senta sollecitato a far presente a gran voce la gravità dell’attuale condizione.
- E talvolta avviene che si scagli contro le conseguenze estreme di politiche, il cui esito drammatico era già stato prefigurato da qualcuno che era meno embedded (inserito) di loro e dotato di capacità comprensive più ampie.











