Link all’intervista in inglese Notes & Commentaries
Quella che segue è la trascrizione di un’intervista al
celebre storico britannico E. H. Carr come pubblicata dalla New Left
Review nel 1978, col titolo “La sinistra oggi”. Carr, uno dei primi
seri specialisti della storia russa e sovietica (forse un po’ datato ma ancora
utile e leggibile), all’epoca aveva ottantasei anni. Pur non
essendo mai stato comunista, egli si identificava chiaramente con la
sinistra politica, dedicando gran parte dei suoi sforzi accademici a combattere
la storiografia conservatrice e liberale (Whig). Ciò nonostante, per una significativa parte della
sua carriera non fu un accademico, lavorando presso il Foreign Office, ed in
seguito come vicedirettore del Times, due organi non certo noti per la loro
vicinanza alla sinistra. Questo gli consentì di avere una prospettiva ampia e
non settaria sugli eventi.
Il discorso di Carr tocca questioni ancor’oggi rilevanti per
il comunismo, a dispetto del fatto che l’articolo qui riprodotto abbia ormai
più di trent’anni. Per molti versi, esso è rappresentativo della disillusione
della sinistra post-stalinista. Disillusione allora talmente profonda in alcuni
comunisti, e frutto dello scontro tra la realtà e le loro aspettative, da
spingerli a trarre conclusioni opposte e divenire rabbiosi esponenti della
destra. Carr, d’altra parte, non seguì tale percorso, conservando una
prospettiva più distante e dunque maggiormente obiettiva, nonché meno isterica.
Ancor più importante, egli non solo fu in grado di separare il grano dal loglio
nell’esperienza comunista, e ciò nonostante l’enorme pressione accademica e
politica esercitata contro di lui (persino Orwell lo considerava pericoloso),
ma ebbe anche la capacità in età avanzata di analizzare correttamente gli
sviluppi politici ricorrendo al metodo di Marx. Meglio di tanti comunisti, in
particolare i cosiddetti “eurocomunisti”, esaminò gli sviluppi nelle
relazioni economiche che avevano avuto luogo dopo la morte di Marx e, in particolare,
dopo la Seconda guerra mondiale, indicando, inoltre, la sempre più
aristocratica e compromessa condizione della classe operaia nelle nazioni più
sviluppate, se comparata con quella dei paesi caratterizzati da
un’industria, e dunque, un proletariato sottosviluppati. Senza timore di trarre
le conclusioni necessarie, diede un forte impulso ad una migliore comprensione
storica di tale fenomeno, il quale a posteriori diverrà generalmente accettato
come una delle decisive rotture storiche del XX secolo.
La fama di Carr non è legata esclusivamente alla sua
eccellente analisi della storia economica sovietica, campo nel quale è stato un
pioniere insieme a R. W. Davies, bensì è dovuta in egual misura al suo lavoro
storiografico Sei lezioni sulla storia. Un libro generalmente
considerato come l’espressione maggiore della scrittura
storiografica moderna, una presa di distanza dalla vecchia storia
Whig, così come da un certo positivismo sterile e conservatore (à la Namier). In esso viene inaugurata un’epoca in cui il
mestiere dello storico, in maniera crescente, è stato visto come un
particolare modo di selezionare e disporre gli elementi storici, che si
vogliano o meno definire questi ultimi “fatti storici”; e nel fare ciò, ha
aperto la strada, sostenendole, a quelle modalità di scrittura
storiografica che hanno enfatizzato inediti trattamenti di materiali
esistenti e ignorati, allo scopo di condurre alla ribalta segmenti sino ad
allora oscuri della storia, quali la storia sociale, quella delle donne, del
quotidiano e così via. Il clima generale instaurato dall’ascesa della New Left
e dall’influenza del gruppo degli storici vicini al PCGB, particolarmente in
Gran Bretagna, ha senz’altro avuto un ruolo. Altro aspetto importante del
contributo fornito da Carr alla storiografia, nel libro in questione come in
altri, è la sua rivendicazione dell’idea di progresso nella storia, come
prerequisito necessario al fine di rendere la disciplina storica un’impresa, in
primo luogo, comprensibile ed utile. Il tutto senza invocare il deus ex
machina del Geist o concezioni analoghe, cosa di per
sé degna di nota, per quanto anche un prodotto della peculiare avversione
britannica nei confronti della filosofia della storia. Gran parte di questa
intervista e da vedersi sotto questa luce, compresi i riferimenti al
lavoro succitato. Poiché è essenziale difendere l’idea di progresso nella
storia senza cadere nella trappola del progressismo o idealismo whig, Edward
Hallett Carr è stato un grande storico anche solo per quest’unico motivo.