Non vi è certamente modo migliore di rendere omaggio a Ernest Mandel che applicarne il metodo, quello di un marxismo vivo, non dogmatico. D’altronde, la profondità della crisi attuale rende ancor più indispensabile la rivalutazione critica degli strumenti d’analisi che Mandel ci ha lasciato. Il presente contributo cercherà quindi di rispondere a questa questione: la teoria delle onde lunghe costituisce un quadro adeguato per l’analisi dell’attuale crisi, della sua genesi e della nuova fase che apre?
Una volta richiamata a grandi linee questa teoria, cercheremo di applicarla al complesso della fase neoliberista del capitalismo, alternando considerazioni teoriche e osservazioni pratiche. Condurremo questo esame secondo due linee direttrici. La prima è che il capitalismo neoliberista corrisponde a una fase recessiva il cui tratto specifico essenziale è la capacità del capitalismo di ristabilire il saggio di profitto, nonostante un saggio di accumulazione stagnante e mediocri aumenti di produttività. La seconda è che non ci sono le condizioni del passaggio a una nuova onda espansiva e la fase che si apre è quella di una “regolazione caotica”.
Onde lunghe
La teoria delle onde lunghe ha costituito inizialmente il tema affrontato nel Capitolo 4 de El capitalismo tardÍo [“Il tardo-capitalismo”, o “La terza età del capitalismo”] (Mandel, 1972 – v. Bibliografia finale]) ed è poi stata sviluppata in una serie di lavori, in particolare nel libro Las ondas largas del desarrollo capitalista [“Le onde lunghe dello sviluppo capitalistico”] (Mandel, 1986). Una delle impostazioni essenziali di questa teoria è che il capitalismo ha una storia, e che questa non obbedisce a un funzionamento ciclico. Essa porta a un susseguirsi di fasi storiche, contrassegnate da caratteristiche specifiche, in cui si alternano fasi espansive e fasi recessive. Non si tratta di un’alternanza meccanica, non basta attendere 25 o 30 anni. Se Mandel parla di onda anziché di ciclo è perché il suo approccio non rientra nello schema, generalmente attribuito – probabilmente a torto – a Kondratiev, dei movimenti regolari e alterni dei prezzi e della produzione.
Uno dei punti importanti di questa teoria è il fatto di rompere la simmetria delle inversioni: il passaggio dalla fase espansiva a quella recessiva è “endogeno”, nel senso che risulta dal gioco dei meccanismi interni del sistema. Il passaggio dalla fase recessiva a quella espansiva è, viceversa, “esogeno”, non automatico, e presuppone la riconfigurazione del contesto sociale e istituzionale. L’idea chiave, qui, è che il passaggio alla fase espansiva non è dato in partenza e che va ricostruito un nuovo “ordine produttivo” (Dockès, Rosier, 1983). Questo prende il tempo che occorre, e non si tratta quindi di un ciclo analogo a quello congiunturale, la cui durata può collegarsi alla durata di vita del capitale fisso. Ecco perché questo approccio non affida alcun primato alle innovazioni tecnologiche; nella definizione di questo nuovo ordine produttivo giocano un ruolo essenziale le trasformazioni sociali (rapporti di forza capitale-lavoro, grado di socializzazione, condizioni di lavoro, ecc.).