La teoria Marxista poggia la sua forza sulla scienza... che ne valida la verità, e la rende disponibile al confronto con qualunque altra teoria che ponga se stessa alla prova del rigoroso riscontro scientifico... il collettivo di formazione Marxista Stefano Garroni propone una serie di incontri teorici partendo da punti di vista alternativi e apparentemente lontani che mostrano, invece, punti fortissimi di convergenza...
giovedì 31 marzo 2016
Ragionando di geopolitica (e non solo).. - Giulietto Chiesa e Luciano Canfora
Leggi anche: http://www.ilcaffegeopolitico.org/37948/gli-usa-il-pivot-anticinese-e-i-pericoli-di-guerra
mercoledì 30 marzo 2016
Dialoghi di profughi VI.* - Bertolt Brecht
*Da: https://www.facebook.com/notes/maurizio-bosco/dialoghi-di-profughi-vi-bertolt-brecht/10151258109628348?pnref=story
Cos'è "Dialoghi di Profughi": http://www.controappuntoblog.org/2013/10/18/quando-si-parla-di-umorismo-io-penso-sempre-al-filosofo-hegel-fluchtlingsgesprache-dialoghi-di-profughi-brecht-bertolt/
Cos'è "Dialoghi di Profughi": http://www.controappuntoblog.org/2013/10/18/quando-si-parla-di-umorismo-io-penso-sempre-al-filosofo-hegel-fluchtlingsgesprache-dialoghi-di-profughi-brecht-bertolt/
Ziffel osservava malinconicamente i giardinetti polverosi
davanti al ministero degli Esteri, dove dovevano farsi rinnovare il permesso di
soggiorno. In una vetrina aveva visto esposto un giornale svedese con le
notizie dell’avanzata dei tedeschi in Francia.
ZIFFEL Tutte le grandi idee
falliscono per colpa degli uomini.
KALLE Mio cognato le darebbe
ragione. Perso un braccio, che era finito negli organi di trasmissione di una
macchina, gli era venuta l’idea di aprire un negozio di sigarette con annessa
vendita dell’occorrente per cucire, aghi, filo e cotone da rammendo, perché le
donne fumano, sì, volentieri, ma non entrano volentieri in una tabaccheria; ma
l’idea fallì, perché non gli diedero la licenza. Non che importasse molto,
tanto non sarebbe comunque riuscito a mettere insieme i soldi necessari.
ZIFFEL Non è questo che io chiamo
una grande idea. Una grande idea è la guerra totale. Ha letto che in Francia la
popolazione civile ha messo i bastoni fra le ruote alla guerra totale? Ha
mandato a monte tutti i piani degli stati maggiori, si dice. Ha ostacolato le
operazioni militari, perché le fiumane di profughi hanno ingorgato le strade e
impedito i movimenti delle truppe. I carri armati si sono impantanati nella
massa umana – dopo che finalmente si era riusciti a inventare delle macchine,
appunto i carri armati, che non si impantanano nemmeno nel fango altro fino al
ginocchio e possono abbattere boschi interi. La gente affamata ha divorato le
provviste delle truppe, cosicché la popolazione civile si è rivelata una vera
piaga delle cavallette. Un esperto militare scrive con preoccupazione sui
giornali che la popolazione civile è diventata un problema serio per i
militari.
KALLE Per i tedeschi?
lunedì 28 marzo 2016
UNA RILETTURA TEORICA E POLITICA DEL MANIFESTO DEL PARTITO COMUNISTA - Riccardo Bellofiore
«Si dissolvono tutti i rapporti stabili ed irrigiditi, con il loro
seguito di idee e di concetti antichi e venerandi, e tutte le idee e i concetti
nuovi invecchiano prima di potersi fissare. Si volatilizza tutto ciò che vi era
di corporativo e di stabile, è profanata ogni cosa sacra, e gli uomini sono
finalmente costretti a guardare con occhio disincantato la propria posizione e
i propri reciproci rapporti».
(Karl Marx e Friedrich Engels, Manifesto del
Partito comunista, p. 87)
LE CONDIZIONI DELLA
LIBERTÀ DINAMICA CAPITALISTICA E QUESTIONE DEL SOGGETTO NELL’EPOCA DELLA
“GLOBALIZZAZIONE”: UNA RILETTURA TEORICA E POLITICA DEL MANIFESTO DEL PARTITO
COMUNISTA.
Introduzione.
«Lo spettro del
comunismo ha cessato di inquietare l’Europa, ma il Manifesto non ha cessato di
inquietare i rivoluzionari».
Wal Suchting, What is Living and What is Dead
in the Communist Manifesto?, p. 163.
Riprendere in mano, a centocinquant’anni dalla sua comparsa,
il Manifesto del partito comunista può essere fatto con metodi e obiettivi
diversi (1). E’ possibile, evidentemente, collocare l’opuscolo nella temperie
politica e culturale degli anni in cui vide la luce; come è possibile
soggiacere alla tentazione di un confronto immediato tra il testo e la realtà
che abbiamo di fronte. Un approccio “storico”, il primo; un approccio
“attualizzante”, il secondo.
Esemplare, in un certo senso, del primo è la riedizione
della Einaudi, con la lunga e utile postfazione di Bruno Bongiovanni, mentre
esemplare del secondo, è l’introduzione che Eric Hobsbawm ha premesso alla
ristampa inglese della Verso, uscita anch’essa quest’anno. Entrambe, però,
mettono bene in rilievo i rischi di operazioni del genere. Da una parte, la
riduzione del Manifesto a “classico”, quando non a documento di un’altra epoca,
con una nascosta, ma non meno efficace, sterilizzazione dell’impatto presente
di quelle pagine. Dall’altra parte, all’opposto, la rivendicazione al Manifesto
di una dimensione profetica, sia pure dimezzata: dove la profezia sta
nell’avere anticipato - con la sola colpa di averlo fatto con troppo grande
anticipo - i caratteri del capitalismo mondializzato dei nostri giorni; e il
suo essere dimezzata sta nella spiacevole circostanza che, giusto quando le
previsioni “analitiche” di Marx si sarebbero concretizzate, esse avrebbero al
contempo distrutto il soggetto sociale che doveva farsi messaggero di una
società futura, meno disumana e portatrice di una libertà più autentica
nell’eguaglianza2 . Vi è qui, a me pare, un difetto dovuto a un eccesso di
“empirismo”. Si ragiona quasi come se i “fatti” fossero lì, neutri, a
consentire di saggiare la validità del costrutto teorico; dal che consegue un
ammirato stupore nel verificare quanto lo sviluppo delle forze produttive
tratteggiato da Marx nel Manifesto assomigli al nostro presente. E’ evidente,
peraltro, che, visto che i fatti neutri non lo sono mai, in questo modo ci si
ritrova pressoché sempre a spacciare come non problematica la ricostruzione
dominante della realtà attuale, e ci si limita a rivestire l’interpretazione di
senso comune di una retorica radicale - tanto più radicale, in effetti, quanto
più la descrizione prevalente di come stanno le cose nega qualsiasi possibilità
di intervento alle classi dominate.
domenica 27 marzo 2016
Complessità comuniste, intervista a Stefano Garroni
Per una migliore fruizione audio/video si consiglia di modificare le impostazioni del video (velocità 1,25)
LA FILOSOFIA NON E' VANILOQUIO: https://www.youtube.com/watch?v=E7B7JHIZuJE
sabato 26 marzo 2016
Migranti e keynesismo militare* - Guglielmo Carchedi
*Da: http://www.sinistrainrete.info/
I. Nella discussione attuale sugli immigrati si
fa una distinzione tra migranti economici e rifugiati politici. Solo i
rifugiati politici dovrebbero essere accolti per ragioni umanitarie. I migranti
economici dovrebbero essere messi in prigione (come proposto dal partito
razzista olandese) o accolti a fucilate (come proposto dal partito razzista
tedesco). La distinzione tra rifugiati politici ed economici è falsa, ipocrita
e cinica. Se le guerre creano povertà, i rifugiati politici sono anche migranti
economici. E se i migranti economici scappano dalla disoccupazione e dalla
povertà creata dalle guerre, i migranti economici sono anche rifugiati
politici. Tutti devono essere accolti per ragioni umanitarie.

Gli xenofobi e razzisti nostrani se ne fregano delle ragioni
umanitarie. Per loro i migranti economici dovrebbero essere respinti perché
essi ruberebbero il lavoro agli Italiani. Falso. L'Italia è un paese a forte
decrescita. La presenza degli immigrati è tale che se improvvisamente domani
partissero, il paese andrebbe a rotoli. Senza gli immigrati, interi settori
fallirebbero e molti italiani perderebbero il loro lavoro.
Ma, proseguono i beceri difensori del patrio suolo, se non
ci fossero stati gli immigrati, quei lavori sarebbero andati ai lavoratori
Italiani. Questo è il tipico esempio in cui si dà la colpa alla vittima. La
questione è: chi ruba il lavoro agli Italiani? Non certo gli immigrati. Sono
certi imprenditori che, approfittandosi della debolezza contrattuale degli
immigrati, possono assumerli illegalmente o comunque a salari inferiori a
quelli che dovrebbero pagare ai lavoratori Italiani. Gli immigrati sono
le vittime, non i colpevoli. I colpevoli della disoccupazione degli
Italiani sono quegli imprenditori Italiani che assumono immigrati invece di
Italiani. Sono gli imprenditori che rubano il lavoro agli Italiani per
darlo agli immigrati, non sono gli immigrati che rubano lavoro ai lavoratori
italiani. E sono gli imprenditori che rubano una parte del salario agli
immigrati pagandoli salari inferiori se non infimi.
II. Queste e altre menzogne sono facilmente
contestabili. Più difficile da confutare è un'altra menzogna, tanto subdola
quanto insidiosa. Essa riguarda il Keynesismo militare e cioè i supposti
effetti benefici, sia per il capitale che per il lavoro, delle spese militari
indotte dallo stato e del loro effetto a cascata in tutta l'economia. Questo
effetto a cascata è chiamato il moltiplicatore keynesiano. Quando applicato
alle spese militari esso serve a razionalizzare le guerre (sul suolo altrui,
ovviamente). È quindi necessario esaminare la logica della teoria del
Keynesismo militare e rivelarne sia gli errori concettuali che il contenuto di
classe.
È chiaro che è il capitale che ha generato l'attuale ondata
migratoria creando e fomentando le guerre che sono alla sua origine. Le guerre
fomentate dai paesi imperialisti richiedono armi che i suddetti paesi sono ben
lieti di produrre e esportare.
venerdì 25 marzo 2016
La nuova frontiera del precariato: i buoni lavoro* - Marta Fana
*Da: http://www.econopoly.ilsole24ore.com/
Leggi la scheda: http://www.eticaeconomia.it/la-nuova-frontiera-del-precariato-i-buoni-lavoro/
Leggi anche: http://www.wikilabour.it/voucher.ashx

Marta Fana descrive l'evoluzione normativa e le evidenze disponibili sul sistema dei buoni lavoro (i voucher). Fana sottolinea che le riforme del mercato del lavoro hanno costantemente liberalizzato il lavoro accessorio fino ad estenderlo a tutti i settori e ricorda che il Jobs Act ha aumentato i massimali di reddito percepibili. Esaminando i dati Fana documenta la crescita esplosiva dell’uso dei voucher: soltanto nel 2015 ne sono stati venduti più di 71 milioni e i lavoratori, soprattutto giovani, interessati da questa nuova forma di lavoro precario, sono oltre un milione.
Leggi la scheda: http://www.eticaeconomia.it/la-nuova-frontiera-del-precariato-i-buoni-lavoro/
Leggi anche: http://www.wikilabour.it/voucher.ashx

Marta Fana descrive l'evoluzione normativa e le evidenze disponibili sul sistema dei buoni lavoro (i voucher). Fana sottolinea che le riforme del mercato del lavoro hanno costantemente liberalizzato il lavoro accessorio fino ad estenderlo a tutti i settori e ricorda che il Jobs Act ha aumentato i massimali di reddito percepibili. Esaminando i dati Fana documenta la crescita esplosiva dell’uso dei voucher: soltanto nel 2015 ne sono stati venduti più di 71 milioni e i lavoratori, soprattutto giovani, interessati da questa nuova forma di lavoro precario, sono oltre un milione.
Il rapporto del
ministero del Lavoro e dell’Inps sull’uso dei voucher pubblicato oggi
approfondisce parzialmente alcuni temi e questioni sollevate nel corso dei mesi
sulla progressiva, e inarrestabile, diffusione di questo strumento di
regolazione delle prestazioni di lavoro occasionali.
Eravamo rimasti al numero di voucher venduti nel 2015:
114.921.574. Oggi sappiamo che i lavoratori che hanno ricevuto almeno un
voucher sono 1.392.906, erano 24.437 nel 2008, anno di introduzione dei voucher
per alcune attività legate al settore dell’agricoltura. Poco più della metà
sono donne, mentre nella distribuzione anagrafica continua l’ascesa degli under
25 interessati dal lavoro accessorio: rappresentavano poco più del 15% nel
2008, mentre a fine 2015 costituiscono il 31% dei percettori di voucher.
Inoltre, l’importo medio percepito nell’anno dai più giovani voucheristi è di
554 euro contro i 700 degli over 65, che rappresentano solo il 3,9 percento dei
percettori. Da questo primo dettaglio non è tuttavia possibile capire se il
minor reddito dei giovani dipenda da un minore ammontare di ore lavorate per
prestazioni occasionali oppure perché soggetti più frequentemente a lavoro
irregolare.
Un dettaglio necessario, che purtroppo manca e rende
difficile non soltanto la comprensione del fenomeno ma in un certo senso indebolisce
“l’intenzione e la volontà del Governo e del ministero di combattere ogni forma
di illegalità e di precarietà nel mercato del lavoro e di colpire tutti i
comportamenti che sfruttano il lavoro ed alterano una corretta concorrenza tra
le imprese”. Scorrendo gli ulteriori approfondimenti presenti nel breve
rapporto, è evidente che lo sforzo sin qui fatto da Lavoro e Inps è solo
parziale.
mercoledì 23 marzo 2016
martedì 22 marzo 2016
Dialoghi di profughi V* - Bertolt Brecht
LE MEMORIE DI ZIFFEL,
PARTE II. – VITA DIFFICILE DEI GRANDI UOMINI. – SE IL COMEDIAVOLOSICHIAMA
POSSEGGA UN PATRIMONIO.
Quando Ziffel e Kalle si incontrarono di nuovo, Ziffel
aveva pronto un altro capitolo delle sue memorie.
ZIFFEL (Legge) «Io sono fisico
di professione. Un ramo della fisica, la meccanica, ha grande importanza nella
vita moderna; eppure personalmente ho poco a che fare con i macchinari. Anche quelli
tra i miei colleghi che danno qualche suggerimento agli ingegneri per la
costruzione degli Stukas, e questi stessi ingegneri, lavorano circa tanto
pacificamente e lontano dal mondo quanto, per esempio, un alto funzionario
delle ferrovie.
«Circa dieci anni della mia vita li trascorsi in un istituto
sito in una zona tranquilla e ricca di giardini. Mangiavo in un ristorante lì
vicino. Una donna a ore mi teneva in ordine l’appartamento. Le mie amicizie
erano tra colleghi.
«Vivevo la vita tranquilla di un animale intellettuale. Come
ho già detto, avevo frequentato una scuola decente, e in più godevo di certi
privilegi, forse non grandi, ma pur sempre tali da fare una bella differenza.
Essendo di «buona famiglia», ricevetti, grazie ai notevoli sacrifici finanziari
dei miei genitori, un’educazione che mi procurò una vita ben diversa da quella
che conducevano intorno a me milioni di poveri diavoli. Ero incontestabilmente
un «signore», e come tale potevo fare pasti caldi varie volte al giorno,
fumare, andare a teatro la sera e fare bagni a volontà. Le mie scarpe erano leggere;
i miei pantaloni non erano sacchi di farina. Ero in grado di apprezzare un
quadro, e un brano di musica non mi metteva in imbarazzo. Se mi soffermavo a
parlare del tempo con la donna delle pulizie, questo era considerato prova di
spirito umanitario.
«I tempi erano relativamente tranquilli. Il governo della
Repubblica non era né buono, né cattivo, e quindi in complesso piuttosto buono,
dato che si occupava soltanto delle sue proprie faccende, come assegnazione di
posti ecc., e lasciava più o meno in pace la gente, che aveva a che fare con
esso solo indirettamente e che costituiva il popolo. In ogni modo, con le mie
naturali disposizioni, quali che fossero, riuscivo più o meno a cavarmela.
Naturalmente, per essere esatti, nella mia professione e nella situazione
generale non andava proprio tutto liscio. Ogni tanto qualche indispensabile
cattiveria, o verso una donna, o verso qualche collega; ogni tanto
qualche debolezza; ma in fondo nulla che io non potessi facilmente superare,
come ogni altro mio pari. Purtroppo, però, la Repubblica aveva i giorni
contati.
«Non ho né l’intenzione né la capacità di tracciare un
quadro dell’improvviso e pauroso aumento della disoccupazione e del generale
impoverimento, né tanto meno di indicare quali fossero le forze che erano qui
all’opera. Il lato più inquietante di questa minacciosa situazione era proprio
che non si riusciva a scoprire da nessuna parte le cause di tale repentino
peggioramento.
lunedì 21 marzo 2016
DIALOGO SOPRA UN MINIMO SISTEMA DELL’ECONOMIA, a proposito della concezione di Sraffa e degli “economisti in libris” suoi discepoli * - Gianfranco Pala e Aurelio Macchioro
Questo articolo, Dialogo sopra un minimo sistema
dell’economia – a proposito della concezione di Sraffa e degli “economisti in
libris” suoi discepoli, fu messo insieme, sistemato e redatto da
Gianfranco Pala, per la rivista Marxismo oggi, 3, Milano 1993. La parafrasi
del Dialogo galileiano qui scelta trae spunto da una serie di
circostanze. Innanzitutto, è da considerare in maniera un po’ sarcastica
l’esagerata importanza che, per seguir le mode, negli anni trascorsi fu data
all’opera di Sraffa che, conseguentemente è stata qui definita come “sistema
minimo” dell’economia; all’opposto, ma forse proprio per quell’esagerazione
pregressa, è altrettanto ingiustificata la dimenticanza in cui essa è stata poi
gettata, tanto più se la si compara con le “nuove” mode dell’economia
neoliberista dai “tratti demenziali”, come la connoterebbe Brecht. Tuttavia,
l’abbandono e la successiva sedimentazione del dibattito intorno a Sraffa può
oggi costituire un elemento vantaggioso per riparlarne post festum (e post
mortem).
In secondo luogo, per ciò che interessa maggiormente i
comunisti, vi è da soppesare il ruolo, che è stato attribuito alla teoria di
Sraffa e alla “sraffologia” in genere, da giocare contro il marxismo in
un supponente “superamento” o “approfondimento” o “rafforzamento” o
“miglioramento” di quest’ultimo; e quel ruolo, in quanto assegnato allo
sraffismo nei caldi anni 1960\70 in Italia, ha da essere guardato con legittimo
sospetto, in quanto l’ideologia dominante, mascherata a sinistra, cercava di
accreditare così la presunta “crisi del marxismo”, epperò presentandola dal di
dentro di quella che veniva suggerita come una delle possibili letture
del “marxismo-senza-Marx”. Ora, in una riflessione sul marxismo in Italia
nell’ultimo mezzo secolo e più, questo “dialogo” su Sraffa può contribuire a
diradare le nebbie di quella confusione, risarcendo anche il marxismo
italiano nella critica dell’economia politica.
Non è un caso che in quegli anni, anche nella cultura di
“sinistra”, il tentativo di distinguere nettamente Marx da Sraffa (e da
Ricardo, ma anche lo stesso Ricardo da Sraffa, nei termini della teoria del
valore e del plusvalore) fu minoritario ed emarginato – avendo “avuto ben
poca eco, sopraffatto dal miracolo sraffiano”, per dirla con Macchioro –
al punto da non ricevere mai adeguata risposta dalla “sraffolalia” prevalente,
adagiata nel solco del revisionismo [le “celebrazioni sraffiane”, allora pel
decennale della di lui morte, non contemplano di fatto alcun possibile
intervento critico marxesco sulla sua opera, venendo escluse a priori].
Quindi, la censura di quelle pochissime diverse opinioni e interpretazioni che
rammenta – alla lontana e in maniera farsesca, certo, fatte le
proporzioni storiche e scientifiche – toni da sant’inquisizione accademica,
suggeriscono istintivamente, in terzo luogo, la loro esposizione nella forma
del dialogo galileiano.
domenica 20 marzo 2016
FRANCESCO VALENTINI, SOLUZIONI HEGELIANE* - Carla Maria Fabiani
"L'assoluto
è fra noi", quest'espressione significa che le concezioni che fino a Hegel
si sono avute dell'assoluto come di un qualcosa di non interamente dominabile
dall'uomo, ormai sono comprese e, essendo comprese, liberano l'uomo dal timore
che ci possa essere un qualcosa, un assoluto che lo trascenda o addirittura in
qualche modo lo minacci. L'assoluto è fra noi, ma non per questo l'assoluto è
compiuto; è cioè compiuta una concezione errata dell'assoluto, ma il sapere è
un sapere sempre totalmente aperto. (F. Valentini)
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/01/la-legge-la-liberta-la-grazia-remo_29.html ù
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/12/hegel-e-la-dialettica-remo-bodei.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/01/la-civetta-e-la-talpa-il-concetto-di.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/09/hegel-la-dialettica-valerio-verra.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/03/hegel-e-la-sua-fenomenologia-fulvio-papi.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/08/hegel-la-comprensione-dellintero-carlo.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/05/hegel-il-sistema-antonio-gargano.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/04/soggetto-oggetto-commento-hegel-remo.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/05/del-ragionamento-dialettico-stefano.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/05/liberta-e-necessita-hegel-sartre.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/08/il-riconoscimento-in-hegel-carla-maria.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/06/hegel-la-ragione-come-mondo-costantino.html
https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/07/il-senso-della-politica-francesco.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/12/hegel-e-la-dialettica-remo-bodei.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/01/la-civetta-e-la-talpa-il-concetto-di.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/09/hegel-la-dialettica-valerio-verra.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/03/hegel-e-la-sua-fenomenologia-fulvio-papi.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/08/hegel-la-comprensione-dellintero-carlo.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/05/hegel-il-sistema-antonio-gargano.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/04/soggetto-oggetto-commento-hegel-remo.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/05/del-ragionamento-dialettico-stefano.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/05/liberta-e-necessita-hegel-sartre.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/08/il-riconoscimento-in-hegel-carla-maria.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/06/hegel-la-ragione-come-mondo-costantino.html
https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/07/il-senso-della-politica-francesco.html
"La fenomenologia dello spirito nel pensiero si Hegel" - Francesco Valentini (https://www.teche.rai.it/1990/06/la-fenomenologia-dello-spirito-nel-pensiero-hegel/)

Francesco Valentini, Soluzioni hegeliane, Milano, Guerini e Associati 2001
*Da: www.filosofia.it
L'oggettività è così quasi soltanto un involucro sotto il quale si trova nascosto il concetto. Nel finito non possiamo vedere o esperire che il fine viene veramente raggiunto. L'attuazione del fine infinito consiste così soltanto nel superare l'illusione che ancora non sia attuato. Il bene, ciò che è assolutamente bene, si compie eternamente nel mondo, e il risultato è che esso è già compiuto in sé e per sé, e non ha bisogno di aspettare noi. È questa l'illusione in cui viviamo e, al tempo stesso, è quest'illusione soltanto la forza operante su cui riposa l'interesse del mondo. [Soluzioni...p.233n]
Torneremo, nel corso di questa breve recensione, sull'idea
hegeliana del Bene e la sua genesi, seguendo il prezioso e limpido commento di
Francesco Valentini. Emergerà, in chi si appresta a leggere Soluzioni
hegeliane, l'esigenza di comprendere il pensiero di Hegel a partire da Hegel, e
al contempo l'esigenza sarà pienamente soddisfatta. Sarà, per es., soddisfatta
l'esigenza di chi voglia comprendere il realismo hegeliano, la soluzione
offerta da Hegel al problema kantiano del Bene e della sua realizzazione; il
lettore interessato, perciò, sospenda inizialmente il giudizio, se accogliere o
meno le soluzioni proposte da Hegel, e segua fino in fondo la traccia che F.
Valentini disegna così lucidamente attraverso tutta l'opera del filosofo.
MARX dopo MARX, da Engels a Labriola.* - Renato Caputo
*Da: Università
Gramsci
Sindacalismo rivoluzionario di Sorel- il marxismo
rivoluzionario di Lenin e il dibattito sull'eredità leninista: https://www.youtube.com/watch?v=MLe_0zBB5Lw
Il dibattito sull'eredità leninista - Stalin - Trockij - il marxismo
nel Terzo Mondo - Introduzione a Gramsci: https://www.youtube.com/watch?v=BS0rMehI-Wg
Antonio Gramsci: Quaderni del carcere. Introduzione a Jean
Paul Sartre: https://www.youtube.com/watch?v=jyP5a2Rycag
J. P. Sartre: La difficile sintesi fra marxismo ed
esistenzialismo; Utopia e speranza: il marxismo di Ernst Bloch: https://www.youtube.com/watch?v=VYMnbfnmxV8
Vedi lezioni precedenti: http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/02/il-giovane-marx-renato-caputo_28.html
giovedì 17 marzo 2016
Il significato della supremazia bianca oggi. Racconto della conferenza di Angela Davis* - Coll. Militant
*Da: http://www.militant-blog.org/
«Non
sono più iscritta al partito comunista, ma sono ancora comunista».
Questa una delle affermazioni di Angela Davis durante la lezione magistrale che ha tenuto lunedì scorso all’Università di Roma Tre. Parole decise, prive di ipocrisia e senza toni attenuati, pronunciate in risposta all’intervento polemico del germanista Marino Freschi, che – e la frecciatina anticomunista nelle sue affermazioni era palese – evidenziava i rapporti di Davis con Erich Honecker, segretario della Sed (il partito comunista della Repubblica democratica tedesca) e poi presidente della Ddr, e l’esistenza di una foto che la ritrae con sua moglie Margot. La foto in questione, che vede anche la presenza della cosmonauta sovietica Valentina Tereshkova, è del 4 agosto 1973, pochi giorni dopo la morte di Walter Ulbricht, fino ad allora presidente della Ddr con pochi poteri effettivi: Freschi non ha potuto fare a meno di fare un po’ di polemica, dicendo che Honecker aveva tenuto nascosta questa morte perché allora nella Ddr non si poteva dire la verità. La dichiarazione di Davis di essere ancora comunista e l’affermazione precedente sulla possibilità di un futuro socialista («Non solo perché non ci sono più paesi socialisti dobbiamo pensare che non ci sarà più un mondo socialista in futuro», ma andiamo a memoria) assumono, in questo contesto ufficiale, ancora più valore.
Queste parole, infatti, sono state pronunciate da Davis nell’aula magna della facoltà di Lettere dell’Università di Roma Tre, nel corso di un incontro ufficiale organizzato dall’istituzione universitaria. Le cinquecento poltrone dell’aula non sono bastate a contenere tutto il pubblico, composto in gran parte di compagne e compagne, e molti si sono seduti a terra o sono rimasti in piedi. Era la prima volta che quell’aula era così piena, come ha notato il rettore dell’Università Mario Panizza in una pantomima introduttiva in cui, probabilmente per fare bella figura con l’ospite straniera, invitava a continuare a leggere Marx.
A riempirla per la prima volta, a quanto pare, è dunque riuscita proprio Angela Davis: e ciò dimostra come la forza del suo esempio e di quello del Black Panther Party sia ancora forte tra i compagni. Militante del Partito comunista dal 1968 e, in seguito, del BPP (almeno fino a quando le pantere nere decisero che la militanza nell’organizzazione non era compatibile con quella in altri partiti e Davis scelse il partito comunista), a lungo imprigionata per “terrorismo” a causa soprattutto dei suoi rapporti con George Jackson, e poi liberata dopo una vastissima campagna internazionale, Angela Davis è oggi docente universitaria e attiva nel movimento Black Lives Matter (BLM): da molto tempo è impegnata nello studio delle interconnessioni tra classe, razza e genere e, negli ultimi anni, nella lotta per l’abolizione del carcere. Una figura di militante politica comunista importantissima, oggi come quarantacinque anni fa, a dispetto della scandalosa “breve biografia” pubblicata sul sito di Roma Tre, in cui la sua figura è stata quasi completamente depoliticizzata, la sua militanza ridotta a “coinvolgimento” (??) «nei movimenti per la giustizia sociale in tutto il mondo grazie al suo attivismo e al suo impegno decennale» e la sua persona presentata come una che «con il suo lavoro di educatrice – sia a livello universitario che nell’ambito pubblico più ampio – ha sempre sostenuto l’importanza di costruire comunità militanti per la giustizia economica, razziale e di genere» (con il suo lavoro di educatrice??). Una depoliticizzazione così ricercata che, nell’elenco delle sue pubblicazioni, è persino scomparsa la sua Autobiografia di una rivoluzionaria: forse il titolo sembrava troppo estremista. Una depoliticizzazione che fa il paio con l’intervista a Davis di Antonio Gnoli uscita su «Repubblica», che non ha saputo far meglio che chiedere alla militante afroamericana dei suoi incontri con Adorno e Marcuse, della musica, del suo giudizio sul post-moderno, della sua infanzia.

Questa una delle affermazioni di Angela Davis durante la lezione magistrale che ha tenuto lunedì scorso all’Università di Roma Tre. Parole decise, prive di ipocrisia e senza toni attenuati, pronunciate in risposta all’intervento polemico del germanista Marino Freschi, che – e la frecciatina anticomunista nelle sue affermazioni era palese – evidenziava i rapporti di Davis con Erich Honecker, segretario della Sed (il partito comunista della Repubblica democratica tedesca) e poi presidente della Ddr, e l’esistenza di una foto che la ritrae con sua moglie Margot. La foto in questione, che vede anche la presenza della cosmonauta sovietica Valentina Tereshkova, è del 4 agosto 1973, pochi giorni dopo la morte di Walter Ulbricht, fino ad allora presidente della Ddr con pochi poteri effettivi: Freschi non ha potuto fare a meno di fare un po’ di polemica, dicendo che Honecker aveva tenuto nascosta questa morte perché allora nella Ddr non si poteva dire la verità. La dichiarazione di Davis di essere ancora comunista e l’affermazione precedente sulla possibilità di un futuro socialista («Non solo perché non ci sono più paesi socialisti dobbiamo pensare che non ci sarà più un mondo socialista in futuro», ma andiamo a memoria) assumono, in questo contesto ufficiale, ancora più valore.
Queste parole, infatti, sono state pronunciate da Davis nell’aula magna della facoltà di Lettere dell’Università di Roma Tre, nel corso di un incontro ufficiale organizzato dall’istituzione universitaria. Le cinquecento poltrone dell’aula non sono bastate a contenere tutto il pubblico, composto in gran parte di compagne e compagne, e molti si sono seduti a terra o sono rimasti in piedi. Era la prima volta che quell’aula era così piena, come ha notato il rettore dell’Università Mario Panizza in una pantomima introduttiva in cui, probabilmente per fare bella figura con l’ospite straniera, invitava a continuare a leggere Marx.
A riempirla per la prima volta, a quanto pare, è dunque riuscita proprio Angela Davis: e ciò dimostra come la forza del suo esempio e di quello del Black Panther Party sia ancora forte tra i compagni. Militante del Partito comunista dal 1968 e, in seguito, del BPP (almeno fino a quando le pantere nere decisero che la militanza nell’organizzazione non era compatibile con quella in altri partiti e Davis scelse il partito comunista), a lungo imprigionata per “terrorismo” a causa soprattutto dei suoi rapporti con George Jackson, e poi liberata dopo una vastissima campagna internazionale, Angela Davis è oggi docente universitaria e attiva nel movimento Black Lives Matter (BLM): da molto tempo è impegnata nello studio delle interconnessioni tra classe, razza e genere e, negli ultimi anni, nella lotta per l’abolizione del carcere. Una figura di militante politica comunista importantissima, oggi come quarantacinque anni fa, a dispetto della scandalosa “breve biografia” pubblicata sul sito di Roma Tre, in cui la sua figura è stata quasi completamente depoliticizzata, la sua militanza ridotta a “coinvolgimento” (??) «nei movimenti per la giustizia sociale in tutto il mondo grazie al suo attivismo e al suo impegno decennale» e la sua persona presentata come una che «con il suo lavoro di educatrice – sia a livello universitario che nell’ambito pubblico più ampio – ha sempre sostenuto l’importanza di costruire comunità militanti per la giustizia economica, razziale e di genere» (con il suo lavoro di educatrice??). Una depoliticizzazione così ricercata che, nell’elenco delle sue pubblicazioni, è persino scomparsa la sua Autobiografia di una rivoluzionaria: forse il titolo sembrava troppo estremista. Una depoliticizzazione che fa il paio con l’intervista a Davis di Antonio Gnoli uscita su «Repubblica», che non ha saputo far meglio che chiedere alla militante afroamericana dei suoi incontri con Adorno e Marcuse, della musica, del suo giudizio sul post-moderno, della sua infanzia.
mercoledì 16 marzo 2016
Sull'uso capitalistico delle macchine nel neocapitalismo* - Raniero Panzieri
*Da: http://www.antiper.org/
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/panzieri-tronti-negri-le-diverse.html
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/panzieri-tronti-negri-le-diverse.html

Lo sviluppo capitalistico
della tecnologia comporta, attraverso le diverse fasi della razionalizzazione,
di forme sempre più raffinate di integrazione ecc., un aumento crescente del
controllo capitalistico. Il fattore fondamentale di questo processo è il
crescente numero del capitale costante rispetto al capitale variabile. Nel
capitalismo contemporaneo, come è noto, la pianificazione capitalistica si
ampia smisuratamente con il passaggio a forme monopolistiche e oligopolistiche,
che implicano il progressivo estendersi della pianificazione dalla fabbrica al
mercato, all'area sociale esterna.
Nessun "oggettivo" occulto fattore, insito negli
aspetti di sviluppo tecnologico o di programmazione nella società capitalistica
di oggi, esiste, tale da garantire lì"automatica" trasformazione o il
"necessario" rovesciamento dei rapporti esistenti. Le nuove
"basi tecniche"via via raggiunte nella produzione costituiscono per
il capitalismo nuove possibilità di consolidamento
del suo potere. Ciò non significa, naturalmente, che non si accrescano nel
contempo le possibilità di rovesciamento del sistema. Ma queste possibilità
coincidono con il valore totalmente eversivo che, di fronte all'"ossatura
oggettiva" sempre più indipendente del meccanismo capitalistico, tende ad
assumere "l'insubordinazione operaia".
martedì 15 marzo 2016
domenica 13 marzo 2016
La "Storia del marxismo" curata da Stefano Petrucciani* - Con una lettura di Roberto Finelli
*Da: http://materialismostorico.blogspot.it/
Stefano Petrucciani Manifesto 8.12.2015
Obiettivo dei tre
volumi della Storia del marxismo è tracciare una mappa delle molte avventure di
pensiero che, a partire dal 1883, anno della morte di Marx, si sono dipanate
prendendo le mosse dalla sua eredità. Ripercorrere quasi un secolo e mezzo di
storia intellettuale, come i tre volumi cercano di fare, può essere utile anche
per contestualizzare ciò che di nuovo si viene scoprendo, attorno alle
questioni marxiane, nella ripresa di studi su Marx alla quale assistiamo da
qualche anno.
I. Socialdemocrazia, revisionismo, rivoluzione (1848-1945)
II. Comunismi e teorie critiche nel secondo Novecento
III. Economia, politica, cultura: Marx oggi
III. Economia, politica, cultura: Marx oggi
L’impatto che Karl Marx ha avuto sulla storia del XIX e del
XX secolo è stato così forte da non poter essere paragonato a quello di nessun
altro pensatore. Solo i fondatori delle grandi religioni hanno lasciato alla
storia del mondo una eredità più grande, influente e persistente di quella che
si deve al pensatore di Treviri. Ma per capire che tipo di influenza ha avuto
la figura di Marx sulla storia del suo tempo e di quello successivo, bisogna
mettere a fuoco un aspetto che concorre con altri a determinarne la
singolarità: l’attività di Marx si è caratterizzata per il fatto che Marx è
stato al tempo stesso un pensatore e un organizzatore/leader politico, e di
statura straordinaria in entrambi i campi. Notevolissima è stata la ricaduta
che le sue teorie hanno avuto sul pensiero sociale, filosofico e storico, ma
ancor più grande, anche se non immediato, è stato l’impatto che la sua attività
di dirigente politico (dalla stesura del Manifesto del Partito Comunista alla
fondazione della Prima Internazionale) ha lasciato alla storia
successiva.
Certo, una duplice dimensione di questo tipo non appartiene
solo a Marx: la si può anche ritrovare in grandi leader che furono suoi
antagonisti, da Proudhon a Mazzini a Bakunin. Ma in Marx entrambe le
dimensioni, quella della costruzione teorica e quella della visione politica,
attingono una potenza che manca a questi suoi pur importanti antagonisti. Sul
piano della organizzazione politica dall’attività di Marx sono infatti
derivati, nel tempo e attraverso complesse mediazioni, i partiti
socialdemocratici e poi quelli comunisti che hanno inciso così largamente nella
storia del Novecento. Sul piano teorico, invece, Marx ha influenzato, e
continua a segnare ancora oggi, una parte non trascurabile della cultura che
dopo di lui si è sviluppata.
La forza degli inediti
Un aspetto di questa duplice eredità di Marx è stato proprio
quello che si suole definire «marxismo». Anche la realtà politico-culturale che
si designa con questo termine è stata qualcosa di assai singolare perché ha
avuto una duplice natura: da un lato è stata una corrente culturale presente in
modo più o meno intenso nei vari ambiti disciplinari, dall’altro è stata anche
il riferimento «statutario» di partiti e organizzazioni politiche (socialiste o
comuniste): cosicché le discussioni sul marxismo per un verso si sono dipanate
come un libero dibattito culturale, per altro verso sono state un elemento
della lotta politica tra frazioni e gruppi all’interno del movimento operaio e
dei suoi partiti.
Ma che rapporto c’è tra il pensiero Marx e il «marxismo»? Un
primo aspetto che deve essere messo a fuoco, se si vuole ragionare su questo
punto, è che la conoscenza e la diffusione dell’opera di Marx è stata, durante
la sua vita e nel tempo immediatamente successivo, decisamente molto limitata.
Anzi si potrebbe dire che, su questo tema, viene alla luce una sorta di
contraddizione. Colui che è divenuto la fonte ispiratrice di un «ismo», e cioè
di qualcosa che comporta inevitabilmente una certa dogmatizzazione, aveva con
la propria opera un rapporto decisamente molto critico e problematico.
sabato 12 marzo 2016
venerdì 11 marzo 2016
Dialoghi di profughi IV* - Bertolt Brecht
IL MONUMENTO AL GRANDE POETA KIVI. – I POVERACCI VENGONO
EDIFICATI ALLA VIRTU’. – PORNOGRAFIA.
In una bella giornata Ziffel e Kalle fecero un po’ di strada insieme, conversando. Attraversarono la piazza della stazione e si fermarono dinanzi a un gran monumento di pietra che rappresentava un uomo seduto.
ZIFFEL
Questo è Kivi, di cui tutti dicono che bisognerebbe leggere qualcosa.
KALLE
Deve essere stato un buon poeta, però è morto di fame. Il poetare non gli ha
fatto bene alla salute.
ZIFFEL Ho
sentito dire che qui fa parte dei costumi del paese che i migliori poeti muoiano
di fame. C’è tuttavia qualche eccezione, visto che alcuni si dice siano morti
alcolizzati.
KALLE
Vorrei sapere perché l’hanno messo lì a sedere davanti alla stazione.
ZIFFEL
Probabilmente come esempio ammonitore. Loro ottengono tutto con le minacce. Lo
scultore ha il senso dell’umorismo: gli ha dato infatti uno sguardo trasognato,
come se stesse sognando una crosta di pane a sua piena disposizione.
KALLE
Però ci sono anche artisti che hanno detto al pubblico quel che ne pensavano.
ZIFFEL Si,
ma per lo più in forma poetica, o comunque poco chiara. Questo mi fa ricordare
la storiella, che ho letto una volta da qualche parte, dell’uomo nell’altra
stanza. Una donna, dunque, aveva una relazione con un tizio che chiameremo Y e
che in fondo disprezzava, e un altro uomo – chiamiamolo X – era venuto a
saperlo. Ora, poiché ci teneva alla stima di costui, arrangiò le cose in
modo tale che, una volta che era a letto con Y, l’altro si trovasse nella
stanza accanto e potesse sentir bene tutto. Il suo piano era basato sul fatto
che X udiva, ma non vedeva. Y era ormai un po’ freddo con lei, sicché bisognava
che lei lo eccitasse. Per esempio quella si aggiusta il reggicalze, e Y vede
benissimo, e nello stesso tempo gli dice qualcosa di sprezzante, e X sente
benissimo. E così va avanti. Gli si butta addosso, e intanto geme «giù le
mani!»; gli mostra il didietro, e rantola «non mi lascio violentare», si mette
prona, puntellando il corpo con le ginocchia, e grida «porco!»: e Y vede, e X
sente, e la dignità della donna è salva. Un caso simile era quello di un poeta
che declamava in un cabaret, e prima andava sempre in cortile a insudiciarsi le
scarpe, perché il pubblico vedesse che per la sua bella faccia non si puliva
nemmeno le scarpe.
giovedì 10 marzo 2016
mercoledì 9 marzo 2016
Friedrich Engels, La situazione della classe operaia in Inghilterra* - Gabriella Giudici
a voi dedico un’opera
nella quale mi sono sforzato di presentare ai miei compatrioti tedeschi un
quadro fedele delle vostre condizioni, delle vostre sofferenze e lotte, delle
vostre speranze e prospettive.
Ho vissuto abbastanza
a lungo tra voi per avere una certa conoscenza delle vostre condizioni
d’esistenza, al cui studio ho dedicato la più seria attenzione, esaminando i
vari documenti ufficiali e non ufficiali, nella misura in cui sono riuscito a
procurarmeli. Ma non mi sono accontentato di questo: volevo qualcosa di più
della semplice conoscenza astratta del mio soggetto, volevo vedervi nelle
vostre stesse case, osservarvi nella vostra vita di tutti i giorni, discorrere
con voi sul vostro stato e sui vostri tormenti, essere testimone delle vostre
lotte contro il potere sociale e politico dei vostro oppressori.
Ho fatto così, ho
rinunciato alla compagnia e ai trattenimenti, al vino di Porto e allo champagne
delle classi medie, ho dedicato le mie ore libere quasi esclusivamente a
frequentare semplici operai; sono insieme contento e fiero di averlo fatto.
Contento, perché in tal modo sono stato indotto a trascorrere piu di un’ora
felice, imparando a conoscere la realtà della vita, ore che altrimenti
sarebbero state dissipate in conversazioni mondane e in tediosi cerimoniali;
fiero, perché ho avuto cosi la possibilità di rendere giustizia ad una classe
oppressa e calunniata di uomini che, con tutti i loro difetti e in mezzo a
tutti i disagi della loro situazione, si impongono tuttavia al rispetto di
chiunque non sia un affarista inglese.
[…] avendo ampia
occasione di osservare le classi medie, vostre avversarie, ben presto sono
giunto a concludere che voi avete ragione, perfettamente ragione, di non
aspettarvi alcun appoggio da esse. I loro interessi sono diametralmente opposti
ai vostri, sebbene esse cerchino sempre di sostenere il contrario e di farvi
credere che nutrono la più fervida simpatia per la vostra sorte. […] Hanno
fatto forse qualcosa di più che pagare le spese di una mezza dozzina di
commissioni d’inchiesta, i cui voluminosi rapporti sono condannati a dormire in
perpetuo tra cataste di cartacce negli scaffali del Home Office? Hanno almeno
tratto da questi libri azzurri che stanno ammuffendo un solo libro leggibile,
dal quale ognuno possa attingere con facilità qualche informazione sulle
condizioni della grande maggioranza dei « liberi britanni »? Non son stati essi
a farlo, naturalmente; queste sono cose delle quali non amano parlare.
Hanno lasciato a uno straniero il compito di
informare il mondo civile sulla situazione degradante nella quale siete
costretti a vivere. Uno straniero per loro, non per voi, spero: il il mio
inglese non sarà perfetto, ma spero che voi tuttavia, lo troverete chiaro.
Nessun operaio in Inghilterra mi ha mai trattato da straniero. Con grande gioia
ho osservato che voi siete immuni da quella terribile maledizione che sono i
pregiudizi e l’orgoglio nazionali che oltretutto non sono altro che egoismo
all’ingrosso. Ho osservato che voi simpatizzate seriamente con chiunque dedichi
le proprie forze al progresso umano – sia o no inglese – che ammirate ogni cosa
grande e buona, sia essa germogliata o no sul vostro suolo, ho trovato che
siete qualcosa in più che inglesi puri e semplici, siete uomini […] i quali
sanno che i propri interessi coincidono con quelli di tutto il genere umano.
E come tali, come
membri di questa famiglia dell’umanità «una e indivisibile», come esseri umani
nel senso più pieno della parola, io, e molti altri sul continente, plaudiamo
al vostro progresso in tutte le direzioni e vi auguriamo un rapido successo.
Andate avanti come avete fatto finora. Molte cose ancora ci saranno da
affrontare, siate decisi, siate impavidi, il vostro successo è certo e nessun
passo da voi compiuto nella vostra marcia in avanti sarà perduto per la nostra
causa comune, la causa dell’umanità!."
Barmen (Prussia renana), 15 marzo 1845
*Leggi tutto: http://gabriellagiudici.it/friedrich-engels-la-situazione-della-classe-operaia-in-inghilterra/
martedì 8 marzo 2016
La storia dell'8 marzo...* - Giovanna Vertova

Mi piacerebbe qui ricordare la storia della Giornata Internazionale delle Donne (GID), affinché si impari a distinguere questa dalle cosiddette “feste” (festa della mamma, festa del papà, san valentino, ect.) che sono state inventate per puro spirito di consumismo. La GID non è una “festa” ma una giornata di memoria. La storia della GID è legata a tutte quelle rivendicazioni per il lavoro, per il voto, per l’istruzione, per la possibilità di occupare posizioni pubbliche, per porre fine alle discriminazioni, portate avanti dalle donne agli inizi del 1900.
Ed è una storia lunga! Cercherò qui di riassumerla brevemente.
Nel 1908, 15.000 donne marciarono nella città di New York per chiedere
l’accorciamento della giornata lavorativa, paghe migliori e il diritto di voto.
Nel 1909, con la Dichiarazione del Partito Socialista d’America, la prima GID
venne celebrata negli Stati Uniti. La data era il 28 febbraio.
Nel 1910, a Copenhagen, durante la conferenza dell’Internazionale Socialista
Clara Zetkin (figura prominente del movimento internazionale dei lavoratori,
spartachista e tra i fondatori del Partito Comunista tedesco) propose che, ogni
anno, in ciascun paese, si celebrasse una GID. La Conferenza, composta da donne
di più di 17 paesi, che militavano attivamente in sindacati, in partiti
socialisti e comunisti, in gruppi di lavoratrici, accettarono all’unanimità la
proposta della Zetkin. Ma nessuna data venne proposta.
Il 19 marzo 1911, a seguito della decisione presa a Copenhagen, la prima GID venne celebrata in Austria, in Danimarca, in Germania e in Svizzera.
Il 19 marzo 1911, a seguito della decisione presa a Copenhagen, la prima GID venne celebrata in Austria, in Danimarca, in Germania e in Svizzera.
Meno di una settimana dopo avvenne il tragico fatto del “Triangle Fire”. Il 25
marzo 1911 scoppiò un incendio nella Triangle Shirtwaist Company di New York
(che era una fabbrica di abbigliamento). Questo incendio fu un evento
significativo perché portò alla ribalta le disumane condizioni di lavoro
dell’industrializzazione statunitense. La Triangle Waist Company era una tipica
fabbrica “del sudore” nel cuore di Manhattan dove regnavano bassi salari, ore
di lavoro lunghissime, condizioni di lavoro malsane e pericolose.
Verso l’ora di chiusura scoppiò un incendio accidentale. Poiché era un periodo di agitazioni operarie, i proprietari avevano chiuso a chiave le porte, per impedire che le operaie potessero uscire a scioperare. A seguito dell’incendio morirono 146 donne (delle 500 dipendenti), quasi tutte immigrate italiane ed ebree, in parte bruciate e soffocate e in parte per essersi buttate dalle finestre nel tentativo di scappare.
Verso l’ora di chiusura scoppiò un incendio accidentale. Poiché era un periodo di agitazioni operarie, i proprietari avevano chiuso a chiave le porte, per impedire che le operaie potessero uscire a scioperare. A seguito dell’incendio morirono 146 donne (delle 500 dipendenti), quasi tutte immigrate italiane ed ebree, in parte bruciate e soffocate e in parte per essersi buttate dalle finestre nel tentativo di scappare.
Le lavoratrici sopravvissute raccontarono dei loro inutili sforzi per aprire le
porte del nono piano per accedere alle scale e poter, così, sfuggire
all’incendio. Altre lavoratrici aspettarono vicino alle finestre che i pompieri
venissero a salvarle, solo per scoprire che le scale dei pompieri erano troppo
corte e non riuscivano a raggiungere i piani dove si trovavano loro. Subito
dopo l’incendio si alzarono voci di protesta, scioccate per la scarsa
preoccupazione delle condizioni delle lavoratrici e per l’avidità che aveva
permesso tutto ciò. Entro un mese dall’incendio, il governatore dello stato di
New York designò una commissione per indagare sull’evento. Per 5 anni questa
commissione condusse una serie di inchieste il cui risultato fu l’approvazione
di una legislazione sulla sicurezza nelle fabbriche.
Nonostante, quindi, non ci sia alcun rapporto tra questi fatti e l’8 marzo,
questo evento attirò l’attenzione sulle condizioni di lavoro delle donne negli
USA.
Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale delle donne russe, che manifestavano
per la pace, celebrarono la loro prima GID (era il 13 febbraio).
Nell’ultima domenica di febbraio del 1917, sempre delle donne russe iniziarono
uno sciopero per “il pane e la pace” come risposta ai 2 milioni di soldati
russi morti in guerra. La data di inizio dello sciopero era il 23 febbraio nel
calendario Giuliano, che corrisponde all’8 marzo in quello gregoriano.
Ecco fissata la data per la GID. La GID quindi non è una “festa”, ma la
celebrazione delle lotte delle donne, fatte di sudore e di sangue, per la
rivendicazione dei loro diritti.
Purtroppo, negli ultimi decenni, si è persa questa memoria storica.
Oggi si vive nell’illusione che le disuguaglianze tra donne e uomini siano
sparite. Certo, sempre più donne entrano nel mondo del lavoro, e, certo, la
legislazione per la parità ha fatto passi da gigante dai primi decenni del
1900.
Tuttavia, le disuguaglianze persistono ancora oggi. Nel mondo del lavoro, le
donne subiscono una segregazione verticale (glass ceiling), cioè la difficoltà
di raggiungere le posizioni apicali della carriera; una segregazione
orizzontale, cioè le donne occupate sono concentrate in alcuni settori e/o
professioni ritenute, socialmente e culturalmente, “femminili”; il gender pay
gap, cioè differenze retributive anche a parità di lavoro; maggior flessibilità,
cioè la maggior parte dei contratti atipici riguarda le donne.
Nella vita privata, ancora oggi le donne svolgono la maggior parte del lavoro
di cura non pagato, rendendo difficile, per loro e solo per loro, la
conciliazione tra lavoro pagato fuori casa e lavoro non pagato in casa.
Nella vita pubblica, ancora oggi le donne sono poco presenti.
Inoltre, rimane l’annoso problema della violenza sulle donne che nessuna istituzione pubblica italiana vuole cercare di risolvere.
Inoltre, rimane l’annoso problema della violenza sulle donne che nessuna istituzione pubblica italiana vuole cercare di risolvere.
La memoria storica dovrebbe servirci per ricordare la strada fatta dalle donne
ma, soprattutto, quella che c’è ancora da fare.
...................................
8 marzo giornata internazionale di lotta delle donne proletarie, dovrebbe essere.
Mi sono riletta quello che scrissi anni fa sulle donne
-Lecce, 9 marzo 2000 – 3 Marzo 2001 -
Che la situazione non solo delle donne ma di tutti gli
esseri umani sia peggiorata mi pare inconfutabile. Intanto rispetto a quello
che dicevo una cosa mi colpisce. che oggi non si è solo uomini o donne,
omosessuali e lesbiche ma si è anche LGBT.
A parte il fatto, orrendo per me. di mettere i cartellini
agli ESSERI UMANI, c’è il fatto che le gente (non le persone) sono orgogliose
di essere stampigliate e di ridurre il loro essere in una sigla.
(Tra)lasciando considerazioni di ordine etico che potrebbero
essere fatte in merito, resta il dato di fatto che si va verso ulteriori
frammentazioni, che ogni categoria pensa al problema suo, e ogni categoria
rivendica qualche diritto del cazzo allo Stato, diritto del cazzo, perchè nella
società capitalista, tutti siamo merce : il diritto è del più forte, cioè del
capitale che ha i mezzi di produzione e se ti concede un diritto te lo concede
perché gli è conveniente, perché remunerativo per lui capitale, altrimenti ,
nisba!
Redditiva oggi e la “festa” delle donne: il mercatino dello
strausato non solo delle frasi fatte e dei cioccolatari e dei fioristi, ma pure
degli sproloqui della retorica del cazzo di mezzi di informazione e di
politicanti di tutti i generi, almeno una volta avevamo intellettuali borghesi
che parlavano senza montarsi la testa! Stamani mi sono svegliata al suono di
“son la mondina son la sfruttata” bene, si sono appropriati anche di questa che
era una canzone delle donne SFRUTTATE IN LOTTA, se non c’è lotta, si può anche
cantare….
Rileggendo quelle notarelle e le varie esperienze di donne
riportate , una cosa è chiara che la situazione è ulteriormente peggiorata e
che ora i salari sono diminuiti e lo sfruttamento è peggiorato, per tutti, e
quindi le donne
per la condizione di doppio sfruttamento in famiglia e nella
società scontano un prezzo maggiorato di infelicità e sfruttamento : guardate i
dati di violenza e uccisioni di donne come sono aumentati in modo esponenziale.
Per me questo giorno resta sempre il giorno di LOTTA
INTERNAZIONALE DELLE DONNE PROLETARIE CONTRO LO SFRUTTAMENTO CAPITALISTA. ANCHE
CON L’AMAREZZA CHE ORMAI NON C’E DI FATTO UN PROLETARIATO, MA UN Lumpenproletariat
diffuso.
vittoria L’Avamposto degli Incompatibili
lunedì 7 marzo 2016
RELIGIONE, FONDAMENTALISMI, VIOLENZA* - Alessandra Ciattini
*Da: http://www.lacittafutura.it/
Cominciamo con chiederci: cos'è la religione? Tale
risposta ci fornirà indizi per comprendere come dalla problematica religiosa
germoglino talvolta violente manifestazioni di intolleranza, assai preoccupanti
perché la guerra odierna si fonda su un raffinato armamentario tecnologico
altamente distruttivo. Cercheremo di illustrare, poi, le diverse forme del
fondamentalismo, mostrando che non è un fenomeno esclusivamente islamico e che,
se da sola la religione non può scatenare le guerre, tuttavia, può giocare in
esse un ruolo importante e decisivo.
L'ascesa del cosiddetto Stato Islamico e lo spazio che esso
occupa nella cultura massmediatica contemporanea rendono urgente una
riflessione equilibrata e ponderata sulla relazione tra tre elementi, spesso
sbrigativamente interconnessi a fini demagogici: religione, fondamentalismi,
violenza.
Questa riflessione non può non prendere le mosse da una
questione di non poco conto, che la cultura massmediatica nemmeno si pone: cosa
è la religione? Come la definiamo? La risposta a questa domanda non è facile,
giacché in primo luogo nella nostra società e cultura la religione è tout
courtidentificata con il cristianesimo e considerata la massima espressione
dell'eticità e della spiritualità, come se tali aspetti non fossero anche
presenti ed operanti in altre forme di attività pratica e intellettuale, come
per esempio la riflessione scientifica.
Se si prendono in considerazione le varie opere, anche
monumentali, dedicate al tema della riflessione sulla religione, anche
scorrendo solo l'indice, ci si renderà conto che non c'è un'unanimità di punti
di vista tra gli studiosi dell'argomento, e che le risposte date alla domanda
sopra formulata sono assai diverse, in funzione anche degli aspetti specifici
che vengono posti in risalto da questi ultimi. Questa diversità di
impostazione, del resto riscontrabile nei diversi ambiti delle scienze umane,
non deve impedirci di prendere posizione, chiarendo ovviamente le ragioni che
stanno alla base della prospettiva teorica che si intende scegliere. Ovviamente
la natura di questo breve intervento mi impedisce di approfondire in maniera
soddisfacente il senso di tali ragioni e di illustrare i vantaggi
interpretativi ed esplicativi della prospettiva da me proposta. Aggiungo che la
mia definizione di religione non è assolutamente nuova e si limita a cercare di
integrare in maniera implicita prospettive diverse tra loro, ma non
contraddittorie.
sabato 5 marzo 2016
Rosa Luxemburg*- Edoarda Masi

I rivoluzionari, specie comunisti, vengono oggi comunemente
rappresentati come gente di ferro, senza anima, oppure come fanatici: comunque
spietati e disumani, combattenti per principi astratti e lontani dalla concreta
reale vita degli individui – i soli apparentemente privilegiati dalle ideologie
correnti. Qualora si tratti di donne, ovviamente le si rappresenta prive di
quanto genericamente (e spesso impropriamente) vien definito femminilità.
Leggo
sul numero dello scorso 14 ottobre della Far Eastern Economic Review una
recensione, di Jason Overdorf, del romanzo autobiografico War Trash di Ha Jin,
dove si dice «[Yu, il protagonista] più osserva le decisioni dei dirigenti del
partito nel campo – per esempio, lotte simboliche per sventolare la bandiera
cinese – più arriva a credere che la loro fede non lascia spazio all’umanità.
‘Ero ambivalente sul tentativo di recuperare la bandiera’. Yu riflette: ‘Da un
lato, ammiravo il coraggio mostrato dai nostri uomini, e per un verso ero
colpito da reverente timore per la loro passione e per l’audacia che – dovevo
ammetterlo – io non possedevo. Dall’altro lato, mi chiedevo se valesse la pena
di perdere la vita di un uomo per una bandiera che, per quanto simbolica, era
solo un pezzo di stoffa.’ Rendendo esplicito il sorprendente parallelo fra
fervente comunismo e fanatismo religioso, Yu conclude: ‘Avevo notato una sorta
di fanatismo religioso in alcuni di quegli uomini, capaci di rinunciare alla
loro vita per un’idea’».
La mozione che nella difesa dell’individuo anche al
livello minimo implica una rivendicazione di umanità contro la mistificazione
delle grandi idee, religiose o laiche, ha una valenza positiva e anzi
rivoluzionaria ogni qual volta quanti sono in possesso degli strumenti di
dominio, valendosi strumentalmente e falsamente delle grandi idee, mirano ad
assoggettare gli individui per altri fini. Un grande significato positivo ha
avuto una simile mozione al tempo della prima guerra mondiale, quando le
bandiere dei vari patriottismi venivano sventolate a coprire la carneficina
promossa da quelli che Lenin chiamò “i briganti coronati” e gli sporchi
interessi di cui erano rappresentanti. Ma allora contro il patriottismo –
valido in tempi precedenti e ormai esaurito, la cui bandiera era divenuta
effettivamente solo un pezzo di stoffa – la difesa degli individui si
accompagnava all’affermazione di valori altri e più alti, assunti da
moltitudini associate nella lotta; portatrici di nuove bandiere: di nuove idee,
corrispondenti alle esigenze reali del tempo, e tali da motivare, nuovamente,
anche il sacrificio dei singoli individui che in esse si riconoscevano: non una
menzogna al fine della propria dipendenza ma uno strumento per la propria
affermazione.
Reddito minimo: i problemi aperti* - Antonella Stirati
L’obiettivo di un reddito di cittadinanza è non solo poco realistico, ma anche poco interessante, mentre quello di un reddito minimo garantito, inteso come una riforma di ampliamento del welfare, è auspicabile, ma difficilmente sostenibile se non si associa a politiche di pieno impiego[1]. Non a caso, i bassi tassi di occupazione che esistono in Italia rappresentano un ostacolo molto serio alla realizzazione di un reddito minimo garantito di tipo universalistico.
Esiste una grande varietà e articolazione di proposte che
possiamo a grandi linee classificare a seconda del modo prevalente di concepire
il reddito minimo:
– Garanzia di un reddito a chi non ha un lavoro (più ampia)
– Strumento di lotta alla povertà attraverso una rete di
protezione minima che garantisca un reddito minimo ‘di sussistenza’ (più
restrittiva)
Consideriamo la prima concezione. Questo strumento non
dovrebbe sostituire cassa integrazione e sussidi di disoccupazione già
esistenti e basati sulla contribuzione obbligatoria.[2] Il
reddito garantito dovrebbe quindi rivolgersi a) a chi ha esaurito o non ha
accesso a quei due strumenti; b) alle persone in cerca prima occupazione.
Questo può essere fatto:
1) in modo universalistico: tutti coloro che non hanno una
occupazione con unica condizione la disponibilità ad accettare le proposte di
lavoro (con regolare contratto e coerenti con il proprio profilo professionale)
e che passano per appositi uffici di collocamento.
2) Non solo in base alle condizioni precedenti ma anche
sulla base di condizioni di bisogno economico.
In via di principio la prima sarebbe preferibile per varie
ragioni: l’universalità è garanzia contro distorsioni legate a clientelismo,
corruzione o evasione fiscale, i costi di gestione sono minori; ed anche in via
di principio la garanzia di un reddito dovrebbe riguardare tutti anche, ad
esempio, giovani provenienti da famiglie che non sono povere ma che ambiscono
ad una autonomia dalla famiglia di provenienza. Ma è sostenibile?
venerdì 4 marzo 2016
INTERPRETARE HEGEL (per) INTERPRETARE MARX - Stefano Garroni
Per una migliore fruizione audio/video si consiglia di modificare le impostazioni del video (velocità 1,25 - qualità auto 360)
giovedì 3 marzo 2016
Moneta unica (corso dei cambi)* - Gianfranco Pala
*Da:
http://www.gianfrancopala.tk/
(http://www.contraddizione.it/quiproquo.htm)
L’OMBRA DI MARX - estratti da “piccolo dizionario marxista” contro l’uso ideologico delle parole
L’OMBRA DI MARX - estratti da “piccolo dizionario marxista” contro l’uso ideologico delle parole
Sono ormai tanti gli anni di liturgiche litanìe passati
intorno all’altare di Maastricht – tra vicissitudini varie, crisi reali
e bolle speculative, entrate e uscite dal serpentesco sistema monetario
europeo, e tante altre amenità che certo non dipendono dai protocolli di
Maastricht, i quali ne sono semmai solo un effetto. I cosiddetti “parametri di
convergenza”, scritti in tedesco dai rappresentanti del grande capitale
monopolistico finanziario a base europea, costituiscono il simulacro dietro
il quale si celano i governi nazionali. La realtà è tutta un’altra cosa. Tra
l’altro perché essa procede per suo conto, anticipando scadenze e slittamenti
convenuti in via istituzionale. Una delle cerimonie più seguite è quella della Uem,
riguardante l’unione monetaria europea, che ha come rito simbolico il segno
della “moneta unica”. Appunto quella moneta segno, come anche Marx
intese chiamarla, che convenzionalmente caratterizza la denominazione del denaro
che circola su un mercato nazionale. Proprio di questo si tratta, e quel
mercato nazionale è ora il mercato unico della “nazione” europea.
E come tale la questione va considerata.
Il passaggio da un mercato locale a un mercato nazionale è
un processo storico che ha i suoi tempi definiti dall’allargamento della
produzione e dell’accumulazione in quell’area. La storia della nascita e
dell’ascesa del capitalismo inglese costituisce un utile insegnamento. E così
quella del passaggio dal mercato nazionale inglese al mercato mondiale
dell’ottocento, per il movimento delle merci, prima, e dei capitali
britannici, poi. In un’epoca in cui, pure, era più immediato il riferimento al
tallone aureo (gold standard), l’affermazione della sterlina come moneta
rappresentativa del denaro universale sul mercato mondiale si basava
unicamente sulla capacità di dominio e accentramento unificante del capitale
inglese sulla via dell’imperialismo.
Così stanno le cose per l’euro oggi. [Occorrerebbe
rammentare le determinazioni di “denaro”, in quanto merce, valore, distinte da
quelle di “moneta”, segno e simbolo di una misura di valore predeterminata,
insieme alle forme di passaggio da moneta locale a moneta nazionale, ossia da
moneta “nazionale” a moneta europea. Ma è un’analisi più lunga da svolgere in
altro momento]. Se si considera l’Europa come una “nazione” il cui
mercato è in formazione, conseguentemente occorre analizzarne le componenti e
le forme dominanti. Dunque, serve valutarne le tendenze e i tempi di effettiva
integrazione. Tali tendenze e tempi non tengono in alcun conto le vicissitudini
dei compromessi politici e delle rappresentazioni ideologiche. Seguono
piuttosto le fasi della crisi, in maniera che gli slittamenti e i
ritardi del processo di formazione del mercato unico corrispondano alle
difficoltà della ripresa del ciclo di accumulazione del capitale. Nel frattempo
i rapporti reali della produzione si consolidano e fanno prevalere chi ha più
forza.
mercoledì 2 marzo 2016
"Non è finita finché non inizia a cantare la cantante grassa". Di cosa dovremmo parlare quando parliamo dei paesi europei - Riccardo Bellofiore
Il teorema dell'orcio della vedova (le equazioni macroeconomiche del profitto): mentre le famiglie (o salariati) spendono ciò che guadagnano, le imprese (o capitalisti) guadagnano ciò che spendono.
martedì 1 marzo 2016
La responsabilità sociale del filosofo* - György Lukács
*Da: https://gyorgylukacs.wordpress.com/2016/02/21/la-responsabilita-sociale-del-filosofo/
[Die soziale Verantwortung des Philosophen, 1960 ca., inedito, trad. it. Vittoria
Franco, in G. L., La responsabilità
sociale del filosofo, Pacini Fazzi, Lucca 989]
Devo scusarmi subito in apertura se arriverò a rispondere
alla questione solo dopo lunghi giri. Primo, [perché] mi sembra che la
questione in sé non sia stata finora sufficientemente chiarita. Secondo, e più
importante, perché scorgo nella situazione attuale problemi del tutto
particolari, che rinviano oltre una specificazione normale della questione
generale e la cui analisi soltanto consente teoricamente una risposta concreta.
I nostri ragionamenti devono dunque culminare nelle due
questioni seguenti, fra di loro strettamente connesse: esiste una
responsabilità specifica del filosofo, che va oltre la responsabilità normale
di ogni uomo per la propria vita, per quella dei suoi simili, per la società in
cui vive e il suo futuro? E inoltre: tale responsabilità nella nostra epoca ha
acquistato una forma particolare? Per la teoria dell’etica, entrambe le
questioni implicano il problema se la responsabilità contenga un momento
storico-sociale costitutivo. È un interrogativo che va posto subito all’inizio,
giacché proprio l’etica moderna, specialmente quella che si è sviluppata sotto
l’influenza di Schopenhauer prima e di Kierkegaard poi, pone l’accento sul
fatto che il comportamento etico dell’individuo «gettato» nella vita mira
proprio a tenersi lontano da tutto ciò che è storico-sociale per pervenire
all’essere ontologico, in contrapposizione netta a tutto l’essente. È
ovviamente impossibile trattare qui, sia pure per grandi linee, tutto questo complesso
di problemi. Possiamo occuparci solo di quegli aspetti che riguardano
oggettivamente il nostro problema.
Iscriviti a:
Post (Atom)