venerdì 28 febbraio 2025

Cavalcare l'onda della storia: lavorare insieme per rafforzare la solidarietà e la cooperazione tra i Paesi del Sud del mondo - Liu Jianchao

Da: lacinarossa - https://mondorosso.wordpress.com - (Originariamente pubblicato su Qiushi Journal, edizione cinese, n. 6, 2024)  - Liu Jianchao è a capo del Dipartimento Internazionale del Comitato Centrale del PCC.

Leggi anche: La Cina, forza motrice principale del socialismo mondiale - Daniele Burgio, Massimo Leoni e Roberto Sidoli 
Marxismo in Cina e la via cinese al socialismo 


La Cina risulta parte integrante del Sud del mondo anche per l'orribile secolo causato dall'azione tossica (in tutti i sensi...) dell'imperialismo occidentale tra il 1840 e il 1948, come emerge in modo lucido e brillante dall'articolo del compagno Liu Jiangchao apparso sulla rivista Qiushi e che pubblichiamo di seguito. 

Buona lettura da parte di Daniele Burgio, Massimo Leoni e Roberto Sidoli. 


Attribuendo grande importanza alla solidarietà e alla cooperazione con i paesi del Sud del mondo, il presidente Xi Jinping ha dichiarato che, in quanto paese in via di sviluppo e membro del Sud del mondo, la Cina respirerà sempre lo stesso respiro degli altri paesi in via di sviluppo e perseguirà un futuro condiviso con loro. La sua posizione ha raccolto una risposta positiva e un ampio sostegno da parte di altre nazioni in via di sviluppo. In linea con la tendenza contemporanea del Sud del mondo che cerca la forza attraverso l'unità, la Cina lavorerà per rafforzare la solidarietà e la cooperazione all'interno di questo gruppo nel tentativo di promuovere lo sviluppo e la prosperità condivisi. Ciò consentirà alla Cina di apportare contributi più positivi agli sforzi concertati globali per creare un futuro più luminoso. 

I. Nuove missioni per il Sud del mondo nella nuova era 

giovedì 27 febbraio 2025

Come salvare Kiev dopo la sconfitta - Barbara Spinelli

Da: https://barbara-spinelli.it (IL FATTO QUOTIDIANO Domenica 23 Febbraio 2025) - Barbara Spinelli è una giornalista, saggista e politica italiana. Europarlamentare (2014–2019). 

Vedi anche: Jeffrey Sachs scuote i parlamentari europei: La NATO e il Futuro dell’Europa (Febbraio 2025) 


Cruda verità - Smascherando le illusioni e la propaganda, Trump rivela la sola cosa che conta e che tanti non hanno voluto dire: la ineluttabile realtà dei rapporti di forza. Solo partendo da qui si potrà aiutare l’Ucraina


Prima di accusare Giuseppe Conte di tradimento dei valori occidentali, e di sottomissione a Trump e alle estreme destre, converrebbe analizzare l’andamento della guerra in Ucraina negli ultimi tre anni e chiedersi come mai l’illusione di una vittoria di Kiev sia durata così a lungo e apparentemente duri ancora. 

Come mai non ci sia alcun ripensamento, nella Commissione UE e nel Parlamento europeo, sulla strategia di Zelensky e sull’efficacia del sostegno militare a Kiev. La prossima consegna di armi, scrive il Financial Times, dovrebbe ammontare a 20 miliardi di dollari. 

Non è solo Conte a dire che Trump e i suoi ministri smascherano un’illusione costata centinaia di migliaia di morti ucraini oltre che russi: l’illusione che Kiev potesse vincere la guerra, e che per vincerla bastasse bloccare ogni negoziato con Putin e addirittura vietarlo, come decretato da Zelensky il 4 ottobre 2022, otto mesi dopo l’invasione russa e sette dopo un accordo russo-ucraino silurato da Londra e Washington. 

Smascherando illusioni e propaganda, Trump prende atto dell’unica cosa che conta: non la politica del più forte, come affermano tanti commentatori, ma la realtà ineluttabile dei rapporti di forza. Realtà dolorosa, ma meno dolorosa di una guerra che protraendosi metterebbe fine all’Ucraina. Trump agisce senza cultura diplomatica e alla stregua di un affarista senza scrupoli: come già a Gaza dove si è atteggiato a immobiliarista che spopola terre non sue immaginando di costruire alberghi sopra le ossa dei Palestinesi, oggi specula sulle rovine ucraine e reclama minerali preziosi in cambio degli aiuti sborsati dagli Usa. Ma al tempo stesso dice quel che nessuno osa neanche sussurrare: Mosca ha vinto questa guerra, e Kiev l’ha perduta. La resistenza ucraina non è vittoriosa perché l’Occidente pur spendendo miliardi non voleva che lo fosse.

mercoledì 26 febbraio 2025

Crisi dell’Unione Europea: siamo già al punto di non ritorno? - Fabrizio Casari

Da: Tracce Di Classe - Fabrizio Casari Scrittore e giornalista, Direttore responsabile presso altrenotizie.org


🔹 L’Unione Europea è davvero un progetto in declino? Analizziamo il suo stato attuale, la dipendenza crescente dagli Stati Uniti, le politiche fallimentari e la mancanza di una leadership autonoma. L’UE è ancora un’istituzione sovrana o un’ombra di se stessa destinata all’implosione? 
🔹 USAID: aiuti umanitari o strumenti di dominio? Dietro la facciata della cooperazione internazionale si nasconde un sofisticato meccanismo di influenza geopolitica. Da decenni, USAID è il braccio “umanitario” dell’impero americano, con l’obiettivo di condizionare governi, destabilizzare stati e rafforzare l’egemonia a stelle e strisce. 

Un’analisi approfondita sui giochi di potere dietro le istituzioni internazionali e sulle dinamiche che stanno ridefinendo l’equilibrio globale. 
                                                                         

martedì 25 febbraio 2025

Occidente? No, grazie - Paolo Crocchiolo

Da: https://www.marxismo-oggi.it - Paolo Crocchiolo già professore di Etica e diritti umani all'Università Americana di Roma, attualmente professore di Geopolitica all'Università Popolare Antonio Gramsci.

Leggi anche: Evoluzionismo dialettico e materialismo storico: collocare le società e le culture umane nel contesto più ampio della storia naturale Paolo Crocchiolo

(https://www.sciencepublishinggroup.com/article/10.11648/j.ijp.20251301.12)


È uscito recentemente in libreria un nuovo libro di Federico Rampini Grazie, Occidente. Tutto il bene che abbiamo fatto (Mondadori, 2024)[1]


Già a partire dal titolo, il concetto di “Occidente” sembra alludere a un’entità a sé stante, a prescindere cioè dal contesto storico che lo lega dialetticamente al “non-Occidente” e soprattutto al “Sud globale”.

Nella narrazione rampiniana l’idea di Occidente finisce per identificarsi con il modello di civiltà incarnato dal libero mercato e dal capitalismo tout court, trascurando completamente il travagliato percorso storico che ha caratterizzato nel loro evolversi la nostra come le altre società umane.

Dal punto di vista del materialismo storico le origini dell’Occidente si possono far risalire alla “rinascita dell’anno mille” e alle Crociate, vere e proprie guerre proto-coloniali in occasione delle quali le nascenti borghesie commerciali dei comuni e soprattutto delle repubbliche marinare si affacciavano per la prima volta come forze autonome rispetto al preponderante mondo feudale. È però solo più tardi, nel Rinascimento, che l’accumulo di risorse e di potere da parte della nuova classe emergente, anche in coincidenza con la conquista dei territori d’oltremare e lo sfruttamento intensivo delle loro popolazioni, comincia a tradursi in progressi culturali sia nel campo filosofico-umanistico che in quello della ricerca e, conseguentemente, delle scoperte tecnico-scientifiche (che prima erano state piuttosto monopolio di altre zone non-occidentali come il mondo islamico, o come la Cina, quest’ultima però più tesa ad isolarsi in sé stessa e a non espandersi militarmente in altri continenti). Già Marx rilevava come la produzione delle risorse materiali tendeva a trasformarsi in produzione di risorse intellettuali che a loro volta contribuivano in un rapporto dialettico a retroagire sull’acquisizione delle prime.

lunedì 24 febbraio 2025

Jeffrey Sachs scuote i parlamentari europei: La NATO e il Futuro dell’Europa (Febbraio 2025)

Da: frontezero - Jeffrey Sachs, professore universitario presso la Columbia University, è Direttore del Center for Sustainable Development presso la Columbia University e Presidente del Sustainable Development Solutions Network delle Nazioni Unite. Ha servito come consigliere di tre Segretari generali delle Nazioni Unite e attualmente ricopre il ruolo di avvocato SDG sotto il Segretario generale António Guterres


Jeffrey Sachs interviene al Parlamento Europeo il 19 febbraio 2025, lanciando un duro attacco alla politica degli Stati Uniti, della NATO e del ruolo dell’Europa nella guerra in Ucraina. Con un discorso diretto e coraggioso, Sachs denuncia l'influenza americana sulle decisioni europee e sprona i parlamentari UE a costruire una propria politica estera indipendente.

                                                                         

domenica 23 febbraio 2025

Non si fa che parlare di Trump, ma ha qualche suggeritore? - Alessandra Ciattini

Da: https://futurasocieta.com - Alessandra Ciattini (Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni - Membro del Coordinamento Nazionale del Movimento per la Rinascita Comunista) ha insegnato Antropologia culturale alla Sapienza di Roma. E' docente presso l'Università Popolare Antonio Gramsci (https://www.unigramsci.it). - 


Non si fa che parlare di Trump, nel bene e soprattutto nel male, ma veramente crediamo che sia lui a elaborare tutte le misure che vengono urlate e spesso contraddette insieme all’esposizione trionfante dei decreti con tanto di firma presidenziale?

Questa è una domanda veramente importante che implica il superamento della geopolitica che valuta la situazione internazionale basandosi sulla collocazione geografica di un Paese, sulle le sue risorse naturali ed economiche, sulle capacità dei diversi leader, sugli Stati intesi come entità naturali, dimenticandosi di spiegarci quali interessi di classe le misure prese difendono o implementano.

Nonostante l’accento sul protagonismo e sull’attivismo di Trump, gli ideatori dei suoi circa 300 decreti sono due centri strategici della destra, la Reaganite Heritage Foundation (1970) e dall’America First Policy Institute (Afpi, fondata nel 2020), che hanno cominciato a lavorare al nuovo programma presidenziale in previsione di un prossimo mandato dell’uomo d’affari dopo la sua dubbiosa sconfitta del 2020. Per procedere più speditamente il neopresidente ha dichiarato l’emergenza energetica e quella nazionale, cosa che gli consente di utilizzare procedure di urgenza, ma già due senatori democratici hanno presentato una proposta di legge per abrogare la prima.

sabato 22 febbraio 2025

Un Patto d’Abramo dal Golfo all’Ucraina - Alberto Negri

Da: https://ilmanifesto.it - https://www.facebook.com/alberto.negri.9469 - Alberto Negri è giornalista professionista dal 1982. Laureato in Scienze Politiche, dal 1981 al 1983 è stato ricercatore all'Ispi di Milano. Storico inviato di guerra per il Sole 24 Ore, ha seguito in prima linea, tra le altre, le guerre nei Balcani, Somalia, Afghanistan e Iraq. 


Zelensky, platealmente insultato da Trump, è agli sgoccioli e quasi non c’eravamo accorti che l’Arabia saudita è già entrata, non ufficialmente, nel Patto di Abramo, il formato degli stati arabi amici di Israele che si allarga sempre di più nei suoi obiettivi. Un segnale chiaro è l’ospitalità data dal principe Mohammed bin Salman al vertice tra Lavrov e Rubio. 

Come è noto Riad è il paese guida dell’Opec, non ha mai messo sanzioni a Mosca ma è anche e soprattutto il faro del mondo musulmano e sunnita perché controlla i pellegrinaggi della Mecca. 

Non ha particolarmente a cuore, come Trump del resto, il destino dell’Ucraina e neppure quello di Gaza. Se ora in Europa ci si straccia le vesti per Kiev, non lo si fa e non lo si farà per il futuro dei palestinesi. 

La nuova diplomazia americana prevede premi per coloro che seguono i consigli di Washington e punizioni solide per quelli che si oppongono. E sul Patto di Abramo Trump non ammette defezioni, perché lo ha promosso lui nella sua prima presidenza e perché contempla di fare di Israele l’unica superpotenza che controlla la regione, eliminando o riducendo al minimo l’influenza dell’Iran. 

Per Zelensky si è capito che ci sono solo punizioni se non accetta la pace con Putin, che nella visione di Trump deve servire come antemurale della Cina, e deve anche essere staccato dai suoi legami con Teheran che ha finora sostenuto lo sforzo bellico di Mosca. Questo aspetto per Trump forse è più importante del destino territoriale dell’Ucraina e si lega anche al suo piano per svuotare Gaza dai palestinesi. Kiev e la Striscia sono fastidiosi orpelli sulla carta geografica per la nuova amministrazione americana: assorbono energie da convogliare sul fronte cinese. Ecco perché Riad è il luogo ideale del vertice russo-americano: per l’Arabia saudita e le monarchie del Golfo la Repubblica islamica iraniana, ossessione del piano di sicurezza di Netanyahu, costituisce un nemico storico. Si regolano conti antichi ma anche recenti: nel 1980 quando Saddam Hussein attaccò l’Iran le monarchie del Golfo finanziarono l’Iraq con 50 miliardi di dollari – in termini attuali più di quanto sia arrivato in tre anni a Kiev – ma senza alcun risultato, anzi nel 1990 Baghdad invase il Kuwait. E nel 2003 la caduta del sunnita Saddam a opera degli Stati uniti venne percepita dai paesi del Golfo come una sconfitta che lasciava mano libera a Teheran e ai suoi alleati. In anni più vicini l’Iran appoggiando gli Houthi ha inferto una solenne sconfitta proprio ai sauditi sulle porte di casa. E Riad non dimentica gli attacchi filo-iraniani contro i suoi impianti petroliferi ai quali allora gli Usa risposero con un’alzata di spalle. 

Ma con Trump tutto è cambiato. Lo si è capito molto bene quando Marco Rubio, prima di arrivare in Arabia saudita, ha fatto tappa in Israele. Che cosa può spingere i sauditi e il mondo arabo ad accettare l’inverosimile piano di Trump per Gaza che a parole respingono? Rubio si è presentato dal premier Netanyahu portandosi come regalo l’argomento più sensibile per il governo ebraico: bombe. Le MK-84 recentemente autorizzate dall’amministrazione Trump. Sono ordigni a caduta libera, entrati in servizio nella loro prima versione nella guerra del Vietnam. Alla MK-84 viene dato il soprannome Hammer, in inglese martello: un modo per sottolineare la sua grande capacità distruttiva. 

A chi sono destinate? Certamente ad Hamas, che come hanno chiarito prima Trump e poi Rubio, in piena sintonia con Netanyahu, «deve essere eliminato», cosa che in fondo fa piacere a molti stati arabi. Ma soprattutto sono il preludio a una seconda fase nella guerra contro l’Iran: l’eliminazione o la neutralizzazione dell’apparato bellico della Repubblica islamica – nucleare compreso – sono il vero obiettivo strategico del complesso militare-industriale israelo-americano. E Riad e il Golfo, chiamati a pagare più o meno tutti i piani di Trump, possono dire di no? Un nuovo conflitto tra Iran e Israele è possibile, se non probabile: lo dicono gli americani, gli israeliani ma anche Teheran. Basta leggere le ultime dichiarazioni delle parti in causa. L’ammiraglio britannico Tony Radkin, in un discorso al Royal United Service Institute di Londra, ha affermato che Israele nei bombardamenti del 26 ottobre ha distrutto la quasi totalità delle difese aeree iraniane e la sua capacità di costruire missili balistici per almeno un anno. Gli F-35 israeliani hanno lanciato missili volando a una distanza di almeno 120 chilometri dai bersagli, fuori da ogni possibilità di intercettazione. Gli iraniani non li hanno visti neppure arrivare sui radar. «Il vantaggio militare e di intelligence israeliano – ha concluso Radkin – è fuori dalla portata di ogni avversario regionale». 

E se ne sono accorti anche russi e cinesi perché questa guerra in Medio Oriente diretta all’Iran e ai suoi alleati va molto oltre i confini dell’area. 

Il piano per Gaza e le eventuali concessioni territoriali a Putin sull’Ucraina hanno come corollario fondamentale, nelle intenzioni di Trump e Netanyahu, il riconoscimento americano dell’annessione della Cisgiordania. Perché fermarsi a Gaza? Il messaggio per i palestinesi è chiaro: non c’è possibilità di compromesso con Israele e il suo alleato americano, almeno nella sua forma attuale, perché sono determinati a eliminare il popolo palestinese. Con la complicità ipocrita e nascosta degli arabi e, naturalmente, anche della nostra. 

venerdì 21 febbraio 2025

"TRUMP ferma il piano NATO e la sua espansione NEOCON" - R. Antonucci intervista Jeffrey Sachs

Da: ilfattoquotidiano.it - Jeffrey Sachs, professore universitario presso la Columbia University, è Direttore del Center for Sustainable Development presso la Columbia University e Presidente del Sustainable Development Solutions Network delle Nazioni Unite. Ha servito come consigliere di tre Segretari generali delle Nazioni Unite e attualmente ricopre il ruolo di avvocato SDG sotto il Segretario generale António Guterres. - Riccardo Antoniucci, Filosofo. Dal 2013 al 2016 è stato responsabile comunicazione e ufficio stampa per la casa editrice DeriveApprodi. Attualmente continua a lavorare nello stesso ambito come freelance, collaborando, tra gli altri, con le case editrici manifestolibri e Stampa Alternativa. Traduce dal francese ed è animatore della rubrica Francesismi per il blog filosofico di Micromega Il rasoio di Occam 

Sachs: «Il grande errore degli Stati Uniti è credere che la Nato sconfiggerà la Russia» - Federico Fubini 


Il leader ucraino fuori gioco: consigliato male da Biden e dagli europei.

Ci sono buone ragioni per credere che il conflitto ucraino sia sulla buona strada per concludersi, ritiene Jeffrey Sachs. Il motivo è strategico: Donald Trump ha rotto la tradizione neoconservatrice a cui si è uniformata la politica estera degli Stati Uniti dagli anni 90, incentrata sull’espansione della Nato a est. Così, è la tesi di Sachs, si elimina la principale ragione di preoccupazione strategica della Russia. 

È meno certo, però, che lo stile trumpiano riesca a concludere l’oltre mezzo secolo di conflitto israelo-palestinese: “Mi sembra assai probabile che Trump proseguirà la politica disastrosa” di sostenere “la pulizia etnica e le colonie illegali di Israele”, dice l’economista e saggista della Columbia University. Con un caveat: quando si parla di politica estera di Trump, non va sottovaluto il suo “alto grado di improvvisazione”. 

L’amministrazione Trump è davvero in rottura con la politica estera Usa? 

Non su tutto. Per quanto riguarda l’Ucraina, Donald Trump sta dichiarando la fine del piano neo-conservatore di espansione della Nato all’Ucraina e alla Georgia, e questo è un segnale chiaro. Sul dossier Israele-Palestina, invece, la posizione di Washington rimane incerta. È vero che Trump, da un lato, ha spinto per il cessate il fuoco, ma dall’altro lato a Gaza continua a sostenere la pulizia etnica dei palestinesi, e in Cisgiordania appoggia la violenza estrema e le colonie illegali di Israele. 

La pace in Ucraina, se arriverà, e la tregua a Gaza saranno durature? 

Per quanto riguarda l’Ucraina, sì per le ragioni che ho spiegato. La guerra in Medio Oriente finirà soltanto quando verrà creato uno Stato di Palestina accanto a quello di Israele. Finora, Washington ha posto il veto su questo piano, e mi sembra assai probabile che Trump proseguirà con questa politica disastrosa. L’Europa dovrebbe far sentire la sua voce e pretendere che la Palestina venga accolta a pieno titolo come membro delle Nazioni Unite. È molto semplice. 

Nella politica estera trumpiana è emerso il protagonismo di Steve Witkoff. Un uomo d’affari, non un diplomatico, che sembra aver messo in ombra l’inviato Usa per il conflitto ucraino Keith Kellog. È così influente? 

Witkoff sembra essere il negoziatore preferito di Trump, e sì, sembra che Kellogg sia emarginato al momento. Ma non bisogna dimenticare un altro importante fattore. Ovvero che la politica estera di Trump è basata su una forte dose di improvvisazione, sia del presidente che del suo team. 

Il vertice di Riad è stato “solo” un bilaterale che ha sancito la riapertura di un dialogo tra Stati Uniti e Russia, oppure l’inizio di negoziati di pace in Ucraina veri e propri? 

Direi che è stato l’inizio di un ripristino di normali relazioni tra Stati Uniti e Russia, il che comprende anche l’apertura di una discussione sulla fine della guerra in Ucraina. 

L’Europa è fuori dai giochi? E come si sta riorganizzando il rapporto tra Ue e Usa? 

L’Europa si è tagliata fuori da sola, rifiutando la diplomazia. Fondamentalmente, si è schierata sulla linea neo-con: ha riecheggiato i loro discorsi e sposato i loro obiettivi. Così facendo ha gettato al vento la storia delle relazioni diplomatiche tra Russia ed Europa. Ora che gli Stati Uniti di Trump stanno rompendo con l’approccio neo-con, gli europei si ritrovano disorientati e senza strategia. L’Europa ha bisogno di rimettersi in sesto. Non le conviene supplicare gli Stati Uniti, ma deve impegnarsi direttamente con la Russia sulle questioni di sicurezza europea. E dovrebbe riallacciare i rapporti economici con Mosca. 

Zelensky è fuori dai giochi, invece? 

Assolutamente sì. Zelensky è disprezzato a Washington, impopolare in Ucraina ed è perdente sul campo di battaglia. Governa solo in virtù della legge marziale. Ha fatto pessime scelte, ma la cosa più tragica è che le ha fatte consigliato dagli Usa di Biden e dall’Europa. Ho cercato più volte di avvertire gli ucraini di quanto fosse disastrosa la politica dell’allargamento della Nato e ho sottolineato la necessità per Kiev di cercare garanzie di sicurezza in una strategia di neutralità. Ma nessuno ha voluto ascoltare la verità. 

giovedì 20 febbraio 2025

Luciano Canfora: “Paragonare Monaco 1938 e l’oggi? È solo propaganda” - Daniela Ranieri

Da: https://www.ilfattoquotidiano.it - Daniela Ranieri giornalista, dal 2013 scrive su Il Fatto Quotidiano di politica e di cultura. Dopo gli studi di Antropologia culturale all'Università La Sapienza di Roma, ha conseguito un Dottorato di Ricerca in Teoria e Ricerca Sociale. -  Luciano Canfora, filologo, storico, saggista, professore emerito dell’Università di Bari, membro del Consiglio scientifico dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana e direttore della rivista Quaderni di Storia, Dedalo Edizioni. (Luciano Canfora Podcast


Paragonare Monaco 1938 e l’oggi? È solo propaganda” 

Contro l’equazione “sommaria” di Mattarella e altri:L’élite britannica era favorevole al Führer, l’avversario era l’Urss e il Terzo Reich l’argine al comunismo” 

Visto che impazzano i paragoni, da parte della stampa dominante, tra gli eventi prodromici del nazismo e la situazione attuale, in particolare tra la Conferenza di Monaco che aprì la strada a Hitler e la telefonata tra Trump e Putin per porre fine alla guerra in Ucraina, abbiamo interpellato sul tema il professor Luciano Canfora, storico, grecista e filologo. 

Professore, cosa successe a Monaco il 29 settembre del 1938? 

Venne concluso l’accordo tra quattro potenze, Francia, Inghilterra, Reich tedesco e Italia. Queste potenze su iniziativa tedesca decisero e comunicarono al rappresentante del governo cecoslovacco, che non partecipava alla Conferenza, di cedere territori abitati da minoranze: 3 milioni di tedeschi, un numero consistente dentro la neonata Repubblica cecoslovacca se si pensa che il numero di slovacchi era di 1 milione e 900 mila e i cechi erano 6 milioni e 800 mila. Nell’area dei Sudeti confinante con la Germania meridionale c’erano anche 740 mila ungheresi, 460 mila ruteni e 100 mila polacchi. L’atto di forza della Conferenza fu di imporre alla Cecoslovacchia di obbedire a questa sollecitazione di autonomia per le minoranze etniche, ed è vero che i tedeschi occuparono i Sudeti e prepararono il terreno dando vita a movimenti nazionalistici filo-tedeschi, ma la Polonia, che era governata dalla destra e da ammiratori del Terzo Reich, si prese un pezzetto di Cecoslovacchia, e l’Ungheria un altro bel pezzo. Quando si dice che la Conferenza portò allo smembramento della Cecoslovacchia in favore della Germania si dice una cosa solo parzialmente esatta. 

Hanno senso i paragoni con la situazione geopolitica attuale? 

In comune non c’è assolutamente nulla, se non per la fantasia di qualcuno. 

C’è anche, da parte riformista e neoliberista, chi fa il paragone tra gli accordi tra Putin e Trump e il patto Molotov-Ribbentrop. È giusto? 

martedì 18 febbraio 2025

CISGIORDANIA. L’annessione a Israele comincia dai siti archeologici - Michele Giorgio

Da: https://pagineesteri.it - Questo articolo è stato pubblicato in origine dal quotidiano ilmanifesto.it. -  Michele Giorgio giornalista de Il Manifesto, direttore della rivista Pagine Esteri. Autore di tre libri sul Medio Oriente: Nel Baratro, Cinquant'anni dopo, Israele mito e realtà. -

Leggi anche: «10 miti su Israele» di Ilan Pappé - Michele Giorgio 

“Jenin come Jabaliya”. Gli abitanti temono di finire come i palestinesi di Gaza - Michele Giorgio 


Nella foto di Michele Giorgio, il sito di Sebastia in Cisgiordania. 


L’annessione della Cisgiordania a Israele è cominciata. E il punto di partenza sono i siti archeologici palestinesi. È stato evidente ieri al Dan Hotel di Gerusalemme dove, nell’ambito della conferenza «Archeology and Site Conservation of Judea e Samaria», archeologi, docenti universitari, studiosi israeliani e stranieri e funzionari dell’Autorità israeliana per le antichità, si sono affannati, e lo stesso faranno oggi, a spiegare e raccontare millenni di patrimonio storico e archeologico di questa terra. Con un tratto comune: gli interventi e le immagini mostrate sullo schermo nella sala della conferenza hanno dato per scontata la piena «sovranità» dello Stato ebraico su tutti i siti della Cisgiordania che i partecipanti hanno chiamato «Giudea e Samaria», i nomi biblici abitualmente usati dalla destra israeliana per indicare questa porzione di Territori palestinesi occupati.

domenica 16 febbraio 2025

"Tradurre Il capitale" - Roberto Fineschi

Da: Teoria Critica della Società - Università Bicocca - Roberto Fineschi ( https://it.wikipedia.org/wiki/Roberto_Fineschi) è docente alla Siena School for Liberal Arts. Ha studiato filosofia e teoria economica a Siena, Berlino e Palermo. Fra le sue pubblicazioni: Marx e Hegel (Roma 2006), Un nuovo Marx (Roma 2008) e il profilo introduttivo Marx (Brescia 2021). È membro del comitato scientifico dell’edizione italiana delle Opere complete di Marx ed Engels, dell’International Symposium on Marxian Theory e della Internationale Gesellschaft Marx-Hegel für dialektisches Denken. (http://marxdialecticalstudies.blogspot.com - https://www.facebook.com/roberto.fineschi - Marx. Dialectical Studies - laboratoriocritico.org!).- 



                                                                          

sabato 15 febbraio 2025

Trump è tornato: Nuovo ordine mondiale o vecchi trucchi imperiali? - con Davide Rossi

Da: Tracce Di Classe - Davide Rossi Davide Rossi docente, storico e giornalista, è dottorando in Storia Contemporanea presso l’Università Pedagogica Nazionale di Kinshasa – Repubblica Democratica del Congo. È direttore del Centro Studi “Anna Seghers” di Milano e dell’ISPEC, Istituto di Storia e Filosofia del Pensiero Contemporaneo di Locarno. [...] 

Con lo storico Davide Rossi per analizzare le dinamiche geopolitiche attuali, dalla rielezione di Trump agli equilibri globali in continua evoluzione. Si parlerà delle sfide per l'Europa, del ruolo di potenze emergenti come Cina e Russia, dell'influenza di Big Pharma sull'OMS e delle implicazioni della politica americana in America Latina. Un'analisi approfondita senza censure, per capire cosa ci riserva il futuro e come l'impero continua a colpire. (@traccediclasse)
                                                                       

giovedì 13 febbraio 2025

Antichità Romane (Lez.1) / Introduzione | RLeS - Filippo Coarelli

Da: Ricerche Letterarie e Storiche - Filippo Coarelli è un archeologo italiano, già docente di Storia romana e di Antichità greche e romane all'Università di Perugia.

ROMA E ANNIBALE - Una storia in movimento Luciano Canfora, Annalisa Lo Monaco, Claudio Strinati, Andrea Giardina. 


                                                                              

mercoledì 12 febbraio 2025

Margherita Hack e la denuncia delle atrocità compiute sui bambini palestinesi.

Da: https://www.infopal.it - Margherita Hack (Firenze, 12 giugno 1922 – Trieste, 29 giugno 2013) è stata un'astrofisica, divulgatrice scientifica e attivista italiana. 


Era la primavera del 2009 quando a Verona, durante un’iniziativa pubblica, ho incontrato Margherita Hack.
Come sempre era accompagnata dal marito Aldo, attento e premuroso. Alla fine dell’incontro ci siamo intrattenuti con lei e altri compagni; io ero rientrata da poco dalla Palestina con ancora negli occhi e nel cuore la sofferenza dei bambini feriti e della popolazione civile che stava cercando di risollevarsi dall’aggressione israeliana “operazione piombo fuso”. Graziano mi chiede di parlare con Margherita della mia esperienza e del progetto Gazzella, perché mi dice “Margherita è attenta a tutte le situazioni di sofferenza e alle violazioni dei diritti umani”. Così tra una parola e l’altra, in una discussione che poco aveva a che vedere con la questione palestinese, porto all’attenzione di Margherita la sofferenza dei bambini palestinesi feriti duranti gli attacchi israeliani. Le parlo della progettualità, dell’attività di Gazzella, volta non solo ad aiutare i bambini feriti, ma anche a sostenere e stare a fianco, con vari interventi sia in campo sanitario che sociale, alla popolazione della Striscia di Gaza che vive sotto assedio. In quel periodo la nostra Associazione stava pensando di realizzare la pubblicazione di un album di foto di bambini feriti, immagini raccolte durante la nostra attività. Chiesi a Margherita di dare un suo contributo. Ci lasciammo così, con l’impegno che le avrei inviato un testo da condividere, testo che è diventato la presentazione della pubblicazione “I Bambini di Gaza. (Giuditta Mauro)

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"Le ragioni di questa pubblicazione sono molteplici, ma principalmente si vuole dare un contributo nella denuncia delle atrocità commesse sui bambini e le bambine palestinesi, nel corso delle aggressioni militari israeliani in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, non ultima quella denominata “piombo fuso”. 
Per affrontare la questione palestinese non si può utilizzare l’espressione “conflitto israelo-palestinese”, così come abitualmente viene fatto dai commentatori occidentali e dai giornali, perché significa stravolgere e mistificare la natura vera di quello che sta accadendo nei territori occupati della Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Quell’espressione fa pensare a una simmetria, a due eserciti che si misurano in sostanziale parità, a una uguaglianza di ruoli e di responsabilità: la pace che non arriva perché gli estremisti di entrambe le parti non sono disponibili. 
Anche la storia così come viene rappresentata, è equivoca: nei fatti le guerre del ‘48 e del ‘67, altro non sono state che guerre di occupazione risoltesi con l’annientamento della struttura sociale e civile del popolo palestinese, con l’occupazione militare dei territori, con la distruzione di centinaia di comunità e dei loro villaggi, con l’espulsione dai loro territori di migliaia di palestinesi e la loro riduzione a profughi senza cittadinanza e diritti. 
Quello che non è stato compiuto allora viene completato oggi con l’annessione violenta di Gerusalemme, con l’estensione delle colonie abusive, con l’appropriazione dei territori più fertili, delle sorgenti d’acqua. 

Non esiste nell’epoca moderna una vicenda coloniale così violenta e di così lunga durata, nel sostanziale silenzio e con la complicità del mondo occidentale. 

Quando nell’estate del 2005 vennero ritirati dalla Striscia di Gaza i 18.000 militari a protezione di qualche migliaio di coloni che occupavano il 48% del territorio palestinese, si parlò di “liberazione” della Striscia di Gaza a scopo umanitario; le motivazioni reali, invece, erano i costi militari e politici per una occupazione che non dava reali vantaggi. 
Stupì allora l’appoggio incondizionato dell’ONU e dell’Europa e dei settori “meno accorti” del pacifismo; il ritiro israeliano dalla Striscia di Gaza, infatti, ha permesso allo stato di Israele di sottomettere totalmente la popolazione con le chiusure dei valichi di Erez e Rafah, con il controllo via mare e via cielo, negando i rifornimenti umanitari, alimentari, energetici e sanitari. 
Inoltre la punizione collettiva nei confronti del popolo palestinese si è progressivamente acuita dopo la vittoria di Hamas alle elezioni politiche del 2006 e si è trasformata in un spietato controllo e intervento militare in cui l’esercito israeliano sta sperimentando modalità di intervento “innovative ed efficaci” sulla popolazione civile. 

I bambini sono le prime vittime esposte alle vili aggressioni israeliane: vengono colpiti mentre giocano per strada, mentre vanno a scuola. Colpire con la volontà di uccidere, di deformarne i corpi, di causare amputazioni fisiche, di cancellare la loro vita. 

Con questa pubblicazione si vuole far conoscere l’ urgenza e il bisogno di interventi immediati sia per la cura delle ferite riportate, che per la prevenzione. 
Molti bambini vittime delle operazioni militari israeliane, hanno bisogno di assistenza sanitaria considerando che è anche possibile che debbano affrontare aggravamenti non necessariamente ben descritti dalla consueta pratica medica. 
Si vuole insomma responsabilizzare e sensibilizzare la società civile attraverso la documentazione delle vittime, delle armi utilizzate con un lavoro di analisi e ricerca al fine di far emergere le prove di un “probabile utilizzo” da parte di Israele di armi non convenzionali contro i palestinesi, che nell’operazione “Piombo Fuso” a Gaza ,27 dicembre 2008 – 18 gennaio 2009, ha causato la morte di 1.500 civili e il ferimento di altri 5.000. 

Questo album per non lasciare che moratorie, operazioni di silenzio e di complicità medianiche e politiche uccidano ancora i volta i bambini e le bambine Palestinesi, perché si indaghi sulle violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale”. 

Margherita Hack Astrofisica – Università di Trieste

martedì 11 febbraio 2025

L'OCCIDENTE NICHILISTA vuole UCCIDERE la RUSSIA - Angelo D'Orsi

Da: OttolinaTV - Angelo d'Orsi, Professore ordinario di Storia del pensiero politico all’Università di Torino. 

                                                                          

lunedì 10 febbraio 2025

Sulle foibe - Rossana Rossanda

Da: Massimo Zucchetti - Rossana Rossanda (Pola, 23 aprile 1924 – Roma, 20 settembre 2020) è stata una giornalista, scrittrice e traduttrice italiana, dirigente del PCI negli anni cinquanta e sessanta e cofondatrice de il manifesto

Vedi anche: La narrazione intorno alle foibe. Un'ambigua verità di stato - Angelo d'Orsi 

Leggi anche: “E allora, le foibe?!”  

L’occupazione italiana nei Balcani - Angelo Del Boca  

Italia: una “memoria condivisa” fatta di vittimismo e negazione del conflitto Una conversazione con Davide Conti  

https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2019/02/14/von-banditen-erschossen-su-mattarella-e-le-foibe 


[nella foto partigiani sloveni fucilati] Da Giancarlo Raimondo


[Il Giorno del Ricordo, istituito con una legge bipartisan che solo noi comunisti non votammo, è diventato da anni l'occasione per riscrivere la storia. A aprire la porta alla narrazione dei fascisti furono gli ex-comunisti del centrosinistra. Tra di loro va segnalato Luciano Violante che meritò all'inizio di questa operazione una dura critica di Rossanda] Massimo Zucchetti 

il manifesto, 27 agosto 1996 

Da quando è presidente della Camera, Luciano Violante si è investito della missione di riscrivere la storia, che secondo lui non è mai stata giusta. Rifacendola, si potrebbe “riconciliare la nazione” che, come si sa, nel 1943 si divise. 

Prima ci ha spiegato che occorre (o sarebbe addirittura occorso l’8 settembre?) capire i giovani che sceglievano Mussolini e Salò. Adesso rimprovera il suo ex partito - o ex suo partito o comunque si voglia chiamare il PCI - di aver nascosto che dal 1943 al 1945 i partigiani jugoslavi giustiziarono sommariamente e cacciarono nelle foibe non solo gli ustascia ma alcune migliaia di istriani che sospettavano d’accordo con loro, sicuramente molti innocenti. Il PCI ha occultato tutto, dice Violante riprendendo il segretario pidiessino di Trieste, per complicità totalitaria con Tito. 

Si dà il caso che io sia stata una del PCI, e istriana da diverse generazioni. Conosco quella storia. Ma la conoscono tutti fuorché, forse, la distratta generazione di Violante: dal 1948 in poi le foibe ci vennero rinfacciate a ogni momento, e non solo dai fascisti che rivolevano Trieste (i loro eredi ancora mettono in causa il trattato di Osimo). Se la federazione triestina del PCI, a lungo diretta da Vittorio Vidali, fu dilaniata nel giudizio politico, storicamente non c’era nulla da scoprire. 

Non è questione di archivi da portare alla luce, ci sono storie e documenti. Se Violante avesse velocemente consultato la abbastanza buona biblioteca della Camera, si sarebbe risparmiato delle enormità. La prima delle quali è tacere l’essenziale d’una vicenda che si pretende di ricostruire. 

Non ci sono due possibili interpretazioni delle responsabilità italiane in Jugoslavia: ce n’è una. Ed è che l’Italia seguì Hitler nell’invasione della Jugoslavia del 1941, pretese un dominio particolare sulla Croazia, appoggiando Ante Pavelic e sovrapponendogli a mo’ di sovrano Aimone di Savoia Aosta, duca di Spoleto. Per due anni i corpi d’armata italiani, soprattutto la Pusteria, e i generali Cavallero, Ambrosio e Roatta attuarono operazioni orrende contro la guerriglia partigiana, la più lunga e coraggiosa d’Europa, gli ebrei, i musulmani, i serbi ed altre minoranze; le fonti di Renzo De Felice calcolano in oltre duecentomila gli uccisi. 

Mentre una nobile gara si instaurava, teste indiscusso Luigi Pietromarchi, fra Roma e Berlino su come spartirsi le spoglie dei Balcani. In capo a due anni, con l’8 settembre, l’esercito italiano si disgrega e per l’onore del nostro disgraziato paese diversi soldati e ufficiali raggiungono le formazioni partigiane jugoslave. Ma non perciò esse hanno vinto: i tedeschi non mollano il fronte jugoslavo, se perdono dei territori tentano di riprenderli o li riprendono con ripetute offensive, che tengono impegnata la Wehrmacht come in nessun altro fronte occidentale. La Jugoslavia si può considerare liberata e la guerra quasi conclusa nel tardo 1944 con la presa di Belgrado. 

L’unificazione dei comitati partigiani è avvenuta un anno prima. E Tito sarà riconosciuto come interlocutore soltanto alle soglie del 1945, gli inglesi avendogli preferito il governo all’estero di Mihailovic (alleati cetnici inclusi finché non cambiarono bandiera). Quattro anni di guerra di guerriglia, che il variare del fronte e degli esiti rende subito guerra, quattro anni di scontro con un esercito potente e crudele, di massacri, rappresaglie e saccheggi, sono un tempo infinito. L’odio seminato, e meritato, da italiani e collaborazionisti fu grande, e non dimenticato. E le vendette certamente atroci, e non dimenticate. 

Ma le responsabilità non sono le stesse. 

Non tiriamo in ballo i morti, che sono davvero fuori dalla storia, per far intendere che le colpe sono uguali, e che lo scontro è stato tra due totalitarismi che si equivalevano.

Questa è mistificazione, prima ancora che revisionismo. L’ignoranza e la confusione sono già abbastanza grandi perché un presidente della Camera ex comunista venga ad aumentarle. 

domenica 9 febbraio 2025

Il Revisionismo e Auschwitz. Breve guida “per voi giovani” - Massimo Zucchetti

Da: https://zucchett.wordpress.com - Massimo Zucchetti – ANPI “Dante di Nanni”, Torino. Plasma Science and Fusion Center, MIT (US), zucchett@mit.edu. Candidato al premio Nobel nel 2015 per la fisica. 


Questo scritto è per voi, ragazze e ragazzi. Dato che sono un prof, non mi è riuscito di essere troppo conciso e di non farla forse troppo lunga. Date comunque un’occhiata. 


1. Che cos’è questo “Revisionismo”?

Il revisionismo storico è una pratica che cerca di rivedere, riscrivere o minimizzare eventi storici, spesso per motivi ideologici o politici. Nel contesto dell’Olocausto, il revisionismo assume una forma particolarmente pericolosa, poiché mira a minimizzare i crimini dei nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. In particolare, il revisionismo riguardante il lager di Auschwitz è una distorsione delle verità storiche che ha gravi conseguenze non solo per la memoria collettiva ma anche per la comprensione del male assoluto che è stato perpetrato durante l’Olocausto.

Auschwitz è uno dei luoghi più emblematici dell’orrore nazista, simbolo della sistematicità e della brutalità del genocidio messo in atto dal regime hitleriano. Questo Lager [1] che si trovava in Polonia occupata, ha visto la morte di oltre un milione di persone, per lo più ebrei, ma anche Rom, prigionieri di guerra sovietici, oppositori politici e altri gruppi considerati “indesiderabili” dal regime nazista [2,3]. La macchina della morte a Auschwitz non era quindi un centro di detenzione, ma un impianto dove l’industrializzazione della morte, con l’utilizzo delle camere a gas e dei forni crematori, era perfettamente organizzata. La negazione o minimizzazione di questa realtà storica non solo è storicamente infondata, ma è anche un atto di disumanizzazione delle vittime.

sabato 8 febbraio 2025

Fascismo o neofascismo - Alessandra Ciattini

Da: la Città Futura - Alessandra Ciattini (Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni - Membro del Coordinamento Nazionale del Movimento per la Rinascita Comunista) ha insegnato Antropologia culturale alla Sapienza di Roma. E' docente presso l'Università Popolare Antonio Gramsci (https://www.unigramsci.it). -  



Giustamente è stato affermato che il fascismo non è mai morto, perché può perpetuarsi mantenendo in vita certi suoi aspetti o può ripresentarsi in forme nuove rafforzando certi caratteri del suo nucleo originario. 

Come ricorda Luciano Canfora nel suo ultimo libro (Il Fascismo non è mai morto, Dedalo 2024) l’Europa è ormai punteggiata da governi di estrema destra, che vanno dalla Finlandia, governata dai Veri Finlandesi, all’Italia nelle mani dei patriottici Fratelli d’Italia. In Ungheria regna Viktor Orbán, un bulldog arrabbiato, amico di Netanyahu, il quale abbandonando la destra moderata ha fondato il più radicale Fidesz che propugna una “democrazia illiberale”, è ostile all’immigrazione, non si è identificato del tutto con la politica europea; inoltre, tassa le imprese solo al 9%, mentre le persone fisiche al 15% in violazione del principio della progressività della tassazione. Si è opposto anche all’innalzamento minimo delle imposte per le multinazionali proposto dalla Ue. Anche nei Paesi Bassi, in Svezia, in Belgio, Croazia, Polonia, Repubblica ceca, Grecia domina la destra sostenuta da coalizioni, in cui i più moderati collaborano tranquillamente con i più radicali. In Austria si prevede l’affermazione di un cancelliere di estrema destra contro immigrati e filoputiniano, il quale prospetta quella che viene chiamata riemmigrazione, ossia il rimpatrio di tutti quei migranti, anche se naturalizzati, che non sarebbero integrati. Il filoputinismo e il desiderio di ripristinare normali relazioni commerciali con la Russia non accomunano tutti i leader di destra (come il polacco Duda), spesso affetti da russofobia. La Slovacchia costituisce un caso ibrido, il cui primo ministro Robert Fico, ha anche subìto un attentato.

Naturalmente, il fiorire di questi governi di destra e di estrema destra è accompagno dall’affermazione elettorale di partiti analoghi come in Germania e in Francia, in cui il Rassemblement populaire di Marine Le Pen fa da spalla all’antidemocratico Macron. Per non parlare, poi, dei neonazisti ucraini, manovrati dagli Usa e dalla Nato che temono come la peste una probabile vittoria russa, perché rimetterebbe in discussione le loro attuali regole del gioco.

venerdì 7 febbraio 2025

Il Congo, insanguinato dallo scontro tra Usa, Ue e Cina - Marco Santopadre

Da: https://pagineesteri.it - Marco Santopadre, giornalista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e del Nord Africa. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. 
Leggi anche: L’ipocrisia della Commissione Europea sul Congo https://www.peacelink.it/editoriale/a/50551.html

(Mercenari romeni si arrendono alle truppe ruandesi) 

Pagine Esteri – Dopo l’occupazione di Goma, capoluogo della provincia congolese del Nord Kivu, le ben armate e addestrate milizie filo-ruandesi e quelle schierate contro il governo di Kinshasa stanno proseguendo l’avanzata nel Sud Kivu verso Bukavu. 

Dopo un iniziale sbandamento dell’esercito congolese, aggravato dalla decisione di circa 300 mercenari, per lo più romeni, di arrendersi ai ribelli e di consegnargli le loro armi, sembra che le truppe di Kinshasa stiano ora reagendo con maggiore determinazione.

A sostenere l’esercito regolare del Congo ci sono le milizie locali della “Coalizione Wazalengo” e le truppe del Burundi (rivale storico del Ruanda). Sul campo sono schierate anche le truppe dell’Uganda, che in teoria dovrebbero contribuire alla stabilità del Congo ma sembrano più interessate a impossessarsi di una parte del paese.

Al contrario, i caschi blu della Monusco e i militari inviati dalla Comunità di Sviluppo dell’Africa Australe, formata da Malawi, Sudafrica e Tanzania, non sono stati in grado di frenare l’avanzata delle milizie ribelli.

Negli ultimi giorni sia il dittatore ruandese Paul Kagame sia i leader ribelli hanno pronunciato parole di fuoco nei confronti della presenza militare sudafricana in Congo, dopo che nei giorni scorsi 14 soldati di Pretoria sono stati uccisi negli scontri.

Dopo che il presidente del Congo, Felix Tshisekedi, ha fatto appello alla mobilitazione generale per contrastare l’avanzata dei ribelli sostenuti dal Ruanda, uno dei leader dell’M23 ha chiarito che il suo movimento intende rovesciare il governo. «Vogliamo andare a Kinshasa, prendere il potere e guidare il paese» ha detto Corneille Nangaa.

Intanto nelle aree dove si combatte l’emergenza umanitaria è sempre più grave. Gli scontri e i saccheggi hanno causato finora un migliaio di morti e molte migliaia di feriti, che intasano gli ospedali incapaci di far fronte alla situazione. Il coordinatore umanitario dell’Onu in Congo, Bruno Lemarquis, ha affermato che nella regione di Goma mancano cibo, acqua e medicine, e molti abitanti della zona, insieme a 6 milioni di persone già sfollate da altri territori, sono allo sbando.

Le radici etniche e politiche del conflitto