domenica 23 febbraio 2025

Non si fa che parlare di Trump, ma ha qualche suggeritore? - Alessandra Ciattini

Da: https://futurasocieta.com - Alessandra Ciattini (Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni - Membro del Coordinamento Nazionale del Movimento per la Rinascita Comunista) ha insegnato Antropologia culturale alla Sapienza di Roma. E' docente presso l'Università Popolare Antonio Gramsci (https://www.unigramsci.it). - 


Non si fa che parlare di Trump, nel bene e soprattutto nel male, ma veramente crediamo che sia lui a elaborare tutte le misure che vengono urlate e spesso contraddette insieme all’esposizione trionfante dei decreti con tanto di firma presidenziale?

Questa è una domanda veramente importante che implica il superamento della geopolitica che valuta la situazione internazionale basandosi sulla collocazione geografica di un Paese, sulle le sue risorse naturali ed economiche, sulle capacità dei diversi leader, sugli Stati intesi come entità naturali, dimenticandosi di spiegarci quali interessi di classe le misure prese difendono o implementano.

Nonostante l’accento sul protagonismo e sull’attivismo di Trump, gli ideatori dei suoi circa 300 decreti sono due centri strategici della destra, la Reaganite Heritage Foundation (1970) e dall’America First Policy Institute (Afpi, fondata nel 2020), che hanno cominciato a lavorare al nuovo programma presidenziale in previsione di un prossimo mandato dell’uomo d’affari dopo la sua dubbiosa sconfitta del 2020. Per procedere più speditamente il neopresidente ha dichiarato l’emergenza energetica e quella nazionale, cosa che gli consente di utilizzare procedure di urgenza, ma già due senatori democratici hanno presentato una proposta di legge per abrogare la prima.

Il nuovo programma (Progetto 2025) prevede come in passato la guerra commerciale contro la Cina, protezionismo, sanzioni, misure contro gli immigrati, contro i lavoratori, deregolamentazioni, negazione dei diritti democratici (persino i discendenti dei pellerossa saranno colpiti), tagli alle tasse consentiti dall’introduzione di tariffe ai Paesi importatori. Ma ciò non basta. Trump e i suoi vogliono anche epurare la burocrazia statale, sostituendola con persone a loro strettamente vicine come Elon Musk, colpendo lo stesso Pentagono, le varie agenzie di intelligence, come la Cia, l’Fbi, l’Usaid, che hanno il controllo di milioni di dati sulla classe dirigente statunitense e sui comuni mortali, e che non hanno agevolato il tentativo di colpo di Stato del gennaio 2021. Certamente non intendono abolire queste agenzie, come si vocifera, vogliono metterle sotto il loro dominio e usarle a loro vantaggio o, meglio, vogliono privatizzare anche questo settore mettendolo completamente nelle mani di cosiddette ong, emanazione delle grandi corporazioni, che sapranno trarre vantaggio dalla politica estera e che continueranno a garantire l’influenza degli Usa nei Paesi di interesse cruciale.

I grandi media non fanno altro che presentare la corruzione inerente agli apparati di Stato e al funzionamento del sistema come se fosse una grande novità per convincerci che tutto cambierà, mentre nella sostanza – come scrive Jimena Vergara – siamo di fronte a un rozzo e megalomane tentativo di risolvere la gravissima crisi della società statunitense instaurando un regime cesarista, che impiega le provocazioni, i colpi di scena, le minacce per mostrare una forza ormai in declino. E se qualcosa cambierà sarà soltanto in peggio per i subordinati, i lavoratori, gli immigrati, migliaia dei quali sono già stati deportati, persino a Guantánamo, come se fossero stati condannati per un qualche crimine. Come fece Napoleone III, per imporre un regime autoritario (una dittatura civile), vantaggioso oggi per una élite transnazionale, è opportuno impiegare il malcontento delle masse non coscienti e organizzate (nel caso di Trump i lavoratori bianchi senza titolo universitario che lo hanno eletto), per tentare di frenare il declino dell’egemonia mondiale, per conservare lo status di super ricchi e di decisori senza scrupoli del nostro destino proprio dei nuovi magnati al governo.

Quanto al cosiddetto Stato profondo, bisogna ridimensionare anche questo aspetto. Se leggiamo lo scritto di L. Althusser, Apparati di Stato, scopriamo che questi ultimi consistono in tutti quegli apparati (sistema giudiziario, amministrativo, intelligence, educazione, polizia, esercito) che continuano, ovviamente, a persistere immutati, anche quando la guida politica di un Paese cambia, passando da una forza politica a un’altra. Quindi, tutti gli Stati, compreso quello italiano, hanno il loro Stato profondo e, pertanto, la rivoluzione dovrebbe – se mai ci sarà – inevitabilmente procedere alla dissoluzione di quest’ultimo per creare un apparato trasparente e controllabile dalle masse. Se effettivamente di rivoluzione si tratta, altrimenti abbiamo a che fare semplicemente con lo spoil system, tanto invocato un tempo e ora dimenticato.

In particolare, l’America First Policy ha prodotto l’America First Agenda, che propone vari obiettivi, uno di questi, legato alla campagna contro lo Stato profondo, è quello di eliminare la protezione civile dei dipendenti pubblici. Ciò significa che circa 2 milioni e 300.000 impiegati, considerati nemici interni, rischiano di essere minacciati, puniti, licenziati per assumere atteggiamenti politici, che l’attuale governo non ritiene in sintonia con il suo programma. Si aggiunga che molti di essi sono affiliati ai sindacati, ulteriore aspetto non gradito, che ha incentivato le loro recenti mobilitazioni. Un altro settore impiegatizio importante, finanziato dal governo federale, è quello militare e anche in questo caso si vuole adottare la stessa politica, il cui cuore sta nel trasformare tutti i dipendenti in lavoratori a contratto come nel settore privato, che possono essere licenziati per qualsiasi o senza motivo. Pertanto, il vero problema non è la stranota corruzione, ma la privatizzazione degli apparati di Stato, affinché siano ancora più subordinati all’esecutivo. E questi licenziamenti sono già partiti, colpendo gli impiegati in prova del settore civile, anche grazie all’accesso illegale ai dati concesso dall’Office of Personnel Management (agenzia federale per le risorse umane), querelata dai lavoratori per aver violato il Privacy Act; accesso consentito al Department of Government Efficiency (Doge) diretto da Elon Musk.

Un altro punto del programma, tanto propagandato dal neopresidente, è l’incentivazione alla produzione di petrolio e di gas, confermando le vecchie concessioni e approvandone nuove. Purtroppo, il costo delle tante agognate trivellazioni è in aumento, il prezzo del greggio e del gas sono invece in calo. Si prevede di colpire anche il diritto all’aborto e tagliare i servizi sanitari prestati da istituzioni come Planned Parenthood.

L’America First Agenda prevedeva anche la messa in discussione delle misure prese da Biden per prevenire la violenza gratuita, che colpisce spesso bambini e adolescenti, scatenata da individui che si dotano con facilità di armi da guerra. Seguendo questa proposta e in nome del celebre secondo emendamento, Trump ha già chiuso l’Office of Gun Violence Prevention e ha ordinato di revisionare tutti i regolamenti operanti in questo ambito (le leggi Red Flag).

Il Programma 2025 dell’Heritage Foundation, di circa 900 pagine, scritto da cosiddetti esperti, da cui Trump si è discostato durante la campagna elettorale, presenta le stesse posizioni e bandisce esplicitamente la cosiddetta cultura woke. Nel passato aprile, Kevin Roberts, capo della già citata Heritage Foundation, aveva parlato di una “seconda rivoluzione americana”, supportata dalla recente sentenza della Corte suprema che rafforza l’immunità presidenziale, affermando che non sarà cruenta, se “la sinistra lo permetterà”. Questo progetto aspira a rompere l’equilibrio dei poteri previsti dalla Costituzione degli Stati Uniti e a dare maggior forza e autonomia all’esecutivo; processo che ha caratterizzato l’involuzione democratica di tutti i Paesi a capitalismo avanzato.

Nonostante l’esistenza di queste linee guida vi sono molte contraddizioni tra le varie componenti dell’inquietante squadra di governo. Lo stesso Partito repubblicano, maggioritario in tutti i rami del Congresso è diviso su molte questioni e sulle soluzioni proposte. Secondo l’«Economist», dietro Trump vi sarebbero tre gruppi politici distinti, che in alcuni casi si sovrappongono, da identificare con i conservatori mainstream, i first americans e i magnati della tecnologia. Nella sostanza concordano sulla deregolamentazione, su un governo più concentrato e deciso, su tasse più basse, sulla limitazione della immigrazione e su un atteggiamento più aggressivo verso i nemici e competitori esterni, tra i quali ora, abbiamo visto, ci sono pure i tradizionali alleati. Tuttavia, si è aperto uno scontro sul visto H-1B, concesso agli immigrati qualificati, che lavorano nelle grandi aziende tecnologiche, ben visto, ovviamente, da Musk ma non dai suoi soci politici. Inoltre, come i media hanno riportato, Steve Bannon, associato al Make America Great Again (Maga), si è scagliato contro Musk, definendolo “malvagio” ed esprimendo la sua forte preoccupazione per i tagli previsti al bilancio federale (si parla per ora di 1,5 trilioni di dollari in 10 anni), che certamente scontenteranno molti degli elettori di Trump.

Anche sui tagli fiscali (4,5 trilioni) e sull’aumento del debito federale (4 trilioni di dollari) vi sono divisioni. Il nuovo presidente dell’House Ways and Means, Jason Smith, conservatore, tradizionalista, sostenitore del libero accesso alle armi, dichiara di voler salvaguardare le famiglie, le piccole imprese, gli agricoltori contro i lobbisti, cercando di coniugare questa politica populistica con la difesa degli interessi del grande capitale, basata soprattutto sulla riduzione delle tasse fino ad arrivare all’abolizione dell’imposta sul reddito. A ciò dovrebbero pensare tutti quelli che si fanno incantare dalla furia distruttiva di Trump e dei suoi suggeritori, i quali non tengono conto delle conseguenze che queste politiche avranno e già stanno avendo sulle classi popolari, le quali saranno gravate, al pari di quelle alte, solo di imposte indirette che renderanno impossibile la loro sopravvivenza. L’imposta fissa sulle società è stata portata al 21%, nel mese di gennaio vi è avuto un aumento del costo della vita del 3%, con il costo delle confezioni di uova salito notevolmente, mentre si continua a sostenere che la riduzione delle tasse sarà un vantaggio per tutti. Qualcuno ha definito il futuro dei lavoratori statunitensi “un’austerità senza diritti”, ampiamente preparata dai governi precedenti.

Lo stesso giornale «Politico», probabilmente finanziato dall’Usaid insieme a «Le Monde diplomatique», valuta negativamente l’idea che la politica delle tariffe aprirebbe al nuovo mondo del bengodi, in cui i tassati (i Paesi importatori) farebbero migliorare automaticamente le condizioni di vita degli statunitensi. Infatti, le importazioni potrebbero diminuire drasticamente, riducendo le entrate necessarie per tagliare l’imposta sul reddito; nello stesso tempo, i prezzi al consumo aumenterebbero (come sta avvenendo), cosicché i consumatori vedrebbero togliersi da una parte quanto hanno ricevuto in più dall’altra. Non possiamo entrare nel dettaglio, ma l’esistenza delle cosiddette catene del valore rende assai complicata l’applicazione di queste misure. Basti pensare, per fare un esempio, che pezzi delle auto statunitensi sono prodotti in Messico e che in parte vengono assemblate in questo Paese per poi tornare alla fabbrica originaria, valicando addirittura più volte il confine.

Inoltre, difesi da un, per ora, oscillante protezionismo, gli Stati Uniti rischiano di restare isolati, mentre il resto del mondo (v. Russia, Cina, India, Iran) potrà tranquillamente stabilire accordi commerciali reciproci, riducendo il loro potere di controbilanciare la crescente influenza geopolitica degli emergenti nemici. Questo è il caso dei Brics, i quali, tuttavia, comprendono Paesi che si barcamenano tra le grandi potenze. Vedi l’Arabia saudita che ha recentemente congelato la sua adesione, pressata dagli Usa che le hanno proposto un accordo di mutua difesa e l’aiuto a sviluppare il nucleare civile.

Parlavamo di contraddizioni all’interno dei nuovi governanti e, in effetti, il Partito repubblicano ha al suo interno il gruppo Maga, che opera in maniera abbastanza indipendente, e i settori più di destra che si fanno sempre più aggressivi, mescolando messianismo religioso e politico. Sono riusciti ad avvicinare anche importanti esponenti dei sindacati, come Sean O’Brian (Trasportatori), un vero e proprio demagogo, e Shawn Frain (Uaw auto) che, dopo aver criticato Trump in varie occasioni per il suo trattamento dei lavoratori, si è dichiarato disposto a lavorare con lui. Tuttavia, nel sito dell’Uaw si può leggere che il sindacato sostiene la politica aggressiva delle tariffe, ma “per fermare le chiusure di stabilimenti e frenare il potere delle aziende che mettono i lavoratori statunitensi contro i lavoratori di altri Paesi. Finora, la politica antilavoratori di Trump in patria, tra cui lo scioglimento dei contratti collettivi e lo smantellamento del National Labor Relations Board, lascia i lavoratori americani di fronte a salari e condizioni di lavoro peggiori”.

Nel frattempo, negli Stati Uniti ci sono stati molti scioperi in vari settori, non sostenuti dai sindacati e nell’indifferenza-inerzia del Partito democratico. L’ipotizzato peggioramento delle condizioni di vita, dovuto anche all’irrealismo di molte misure, porterà all’esplosione delle contraddizioni su indicate, mettendo in seria difficoltà il nuovo governo, per ora quasi considerato trionfatore? Esiste una radicale differenza tra democratici e repubblicani, ormai affratellati in parte dal fondamentalismo religioso? Direi che, sul piano politico-sociale, assolutamente no, nella politica estera entrambi sono inveterati sostenitori di Israele, animano una politica di potenza e le profferte di pace di Trump alla Russia possono essere solo un espediente tattico o un inganno (come quello di Obama a Cuba), di cui si è dichiarato consapevole D. Peskov. La sola differenza, in realtà parziale, sta nei pilastri ideologici: il cosiddetto woke, da un lato, e l’aperto autoritarismo razzista, esplicito nel contraddittorio discorso di Vance, che mira a costituire una nuova destra globale ideologicamente regressiva. Una discrepanza sta nel differente settore delle masse su cui le due forze politiche si appoggiano: da un lato, la classe medio-bassa e piccolo borghese, permeata dal libertarismo e dal consumismo, dall’altro, la classe bassa, i lavoratori tradizionali, che vedono nella nuova grandezza promessa il loro agognato riscatto. Per questo si potrebbe definire Trump il capo carismatico dei poveracci, non solo di quelli che, non per colpa loro, non hanno risorse, ma anche di quelli che si sforzano di vedere miglioramenti rispetto a Biden, dove invece c’è solo l’abisso.

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