Giustamente è stato affermato che il fascismo non è mai morto, perché può perpetuarsi mantenendo in vita certi suoi aspetti o può ripresentarsi in forme nuove rafforzando certi caratteri del suo nucleo originario.
Come ricorda Luciano Canfora nel suo ultimo libro (Il Fascismo non è mai morto, Dedalo 2024) l’Europa è ormai punteggiata da governi di estrema destra, che vanno dalla Finlandia, governata dai Veri Finlandesi, all’Italia nelle mani dei patriottici Fratelli d’Italia. In Ungheria regna Viktor Orbán, un bulldog arrabbiato, amico di Netanyahu, il quale abbandonando la destra moderata ha fondato il più radicale Fidesz che propugna una “democrazia illiberale”, è ostile all’immigrazione, non si è identificato del tutto con la politica europea; inoltre, tassa le imprese solo al 9%, mentre le persone fisiche al 15% in violazione del principio della progressività della tassazione. Si è opposto anche all’innalzamento minimo delle imposte per le multinazionali proposto dalla Ue. Anche nei Paesi Bassi, in Svezia, in Belgio, Croazia, Polonia, Repubblica ceca, Grecia domina la destra sostenuta da coalizioni, in cui i più moderati collaborano tranquillamente con i più radicali. In Austria si prevede l’affermazione di un cancelliere di estrema destra contro immigrati e filoputiniano, il quale prospetta quella che viene chiamata riemmigrazione, ossia il rimpatrio di tutti quei migranti, anche se naturalizzati, che non sarebbero integrati. Il filoputinismo e il desiderio di ripristinare normali relazioni commerciali con la Russia non accomunano tutti i leader di destra (come il polacco Duda), spesso affetti da russofobia. La Slovacchia costituisce un caso ibrido, il cui primo ministro Robert Fico, ha anche subìto un attentato.
Naturalmente, il fiorire di questi governi di destra e di estrema destra è accompagno dall’affermazione elettorale di partiti analoghi come in Germania e in Francia, in cui il Rassemblement populaire di Marine Le Pen fa da spalla all’antidemocratico Macron. Per non parlare, poi, dei neonazisti ucraini, manovrati dagli Usa e dalla Nato che temono come la peste una probabile vittoria russa, perché rimetterebbe in discussione le loro attuali regole del gioco.
La politica anti-immigrati, scandita in toni ferocemente razzisti, costituisce un’ottima giustificazione del fallimento delle promesse fatte a suo tempo dagli europeisti, sostenuti e sempre più subordinati agli Usa, e consente di scaricare la perdita del potere di acquisto effettivo dei lavoratori dal 1980 a oggi, fattosi sempre più grave a partire dalla pandemia e dalla guerra Nato/Russia, su chi arriva in Europa a causa delle politiche aggressive di quest’ultima, che ha sempre appoggiato il folle bellicismo statunitense. Bellicismo che oggi sembra ritorcersi contro essa stessa (v. le pretese sulla Groenlandia etc.).
Molti si interrogano sul risorgere di queste tendenze politiche e culturali, il cui il nocciolo sarebbe il suprematismo razzistico che, come scrive Canfora, ha radici profonde nella cultura euro-statunitense e un parallelo nell’aggressione giapponese contro la Cina. Proprio queste radici fanno sì che il fascismo non può mai scomparire dal nostro panorama, ma rinnovarsi e ripresentarsi, tenendo in conto le diverse circostanze storiche.
Possiamo affermare che il riemergere del fascismo ha costituito un lungo processo, avviato con la sconfitta del patto keynesiano del dopoguerra, che aveva dato vita allo Stato del benessere per attenuare il fascino esercitato sulle popolazioni europee e non dal modello sovietico. Il cosiddetto neoliberismo aveva bisogno di maggiore controllo e maggiori possibilità di repressione per scaricare i costi delle trasformazioni economico-tecnologiche (privatizzazioni, deindustrializzazioni, delocalizzazioni, precariato) sui lavoratori. Ciò spiega il revisionismo storico, cui è stata sottoposta persino la Rivoluzione francese, e lo “sdoganamento” dei partiti fascisti, la cui ricostituzione è proibita dalla nostra Costituzione mai applicata, e che furono ampiamente usati dalla Dc; sdoganamento avvenuto in Italia nel 1995 con la svolta di Fiuggi, che ha consentito ai fascisti di integrarsi nel nuovo universo politico e di diventare forza di governo.
D’altra parte, l’affermarsi iniziale del fascismo può essere anche spiegato – come sostiene sempre Canfora – dalla complicità dei settori liberal-conservatori che vedevano in esso un ottimo strumento da usare contro il mondo del lavoro, che in quel momento storico avanzava delle rivendicazioni sacrosante ma inaccettabili per i padroni, e contro il nascente potere sovietico assai preoccupante per le classi dirigenti euro-statunitensi, tanto da intervenire come sempre fanno nella guerra civile del 1918-1920. Per quanto riguarda l’Italia, secondo Canfora, il fascismo risorto si nutre anche della negazione della matrice fascista della strategia della tensione, orchestrata dai servizi segreti deviati e da apparati militari clandestini legati alla stessa Nato.
Naturalmente, concordiamo con questa lettura événementielle del risorgere del fascismo, ma vorremmo mettere in luce anche un aspetto strutturale determinante che sancisce il legame stretto tra fascismo e sistema capitalistico. Tale aspetto strutturale è individuabile nel formalismo giuridico inerente al liberalismo, che garantisce l’uguaglianza tra i cittadini solo su questo piano, lasciando che sugli altri livelli sociali operino le differenze sostanziali, che si articolano sulla base della struttura di classe propria di ogni società. Ovviamente, quest’ultima presenta notevoli complessità da decifrare empiricamente, tuttavia è possibile semplificare sottolineando che, in particolare, nella dimensione economica la tanto lodata uguaglianza svanisce del tutto, nel senso che coloro che lavorano non hanno alcuna voce in capitolo, il loro parere non conta nulla né sulle finalità dell’attività produttiva né sulle sue modalità. In questo senso, probabilmente è valida la metafora fabbrica (o altra attività lavorativa) uguale caserma, in cui i datori di lavoro hanno la funzione dell’alto comando militare, i sorveglianti sarebbero i sottufficiali, i lavoratori attivi i soldati, i disoccupati l’esercito industriale di riserva.
Nel momento in cui il sistema economico entra in crisi e non garantisce un auspicabile ritorno economico alle classi dominanti, diventa abbastanza facile trasferire il modello autoritario della fabbrica alle altre istanze sociali fino a un certo punto più permissive. Si presenta, allora, un altro problema cruciale: inevitabilmente questo trasferimento avviene secondo modalità diverse, che dipendono dal contesto storico e sociale e, pertanto, non possono essere uniformi e dipendono anche dai mezzi tecnologici disponibili. Nel primo dopoguerra, in cui gran parte delle masse aveva recepito il mito del patriottismo, era opportuno che chi svelava con le sue rivendicazioni e proteste le ragioni autentiche della guerra, fosse colpito e massacrato come un traditore. Era anche opportuno dissolvere la democrazia liberale, che prevedeva un limitato suffragio universale, costringere i lavoratori a tornare a lavorare in condizioni peggiori e con salari più miseri e reprimere con la violenza ogni forma di dissenso. In questa direzione va soprattutto la cosiddetta politica di “nazionalizzazione delle masse” che, secondo il modello della psicologia della folla, produce un’irrazionale identificazione dei singoli in una collettività immaginaria, creata ad hoc e messa in scena da una liturgia coinvolgente e allo stesso tempo delirante. Se osserviamo i comportamenti di certi gruppi di estrema destra, per es. i filonazisti ucraini o tedeschi, questi temi non sono scomparsi, e sono legati alla bassa collocazione di classe dei loro appartenenti. Un documento interessantissimo di questa tendenza è rappresentato dal celebre film di Ettore Scola Una giornata particolare.
Accanto a questa forma di fascismo persistente e certo pericolosa, a partire dal cosiddetto miracolo economico, ne è emersa un’altra più subdola e nascosta, che molti autori, tra i quali Pasolini, nostalgico del mondo contadino, hanno collegato alla “società dei consumi”, paradossalmente luogo della soddisfazione di ogni desiderio e della trasgressione. Chiamerei questa neofascismo, seguendo la proposta di Michel Clouscard (Néo-fascisme et idéologie du désir, 1972), consapevole che le due forme possono anche convergere come, per es., in personaggi che lasciano ai loro seguaci, alimentandolo, il mito della grande patria e l’odio razzistico, frequentano i salotti transnazionali, godono dei loro privilegi e adottano la costosa moda che maschilizza la donna, ormai diventata una specie di divisa di chi riveste una carica politica. D’altra parte, i gerarchi fascisti coltivavano il dannunzianesimo, che consentiva loro, in quanto esseri superiori, di violare la morale borghese, di darsi ai piaceri estetizzanti, di alimentare il culto narcisistico di loro stessi.
Cambiate le condizioni sociali e avviatosi un nuovo modello capitalistico nel secondo postguerra, trasformatasi di conseguenza anche la classe dominante, per mantenere il potere e subalterne le masse popolari, l’ideologia doveva essere trasformata con lo scopo, da un lato, di convincere che il fascismo era finito, dall’altro, di mantenere in vita il suo autoritarismo sotto mentite spoglie. D’altra parte, sappiamo che il vecchio fascismo non era scomparso: la vera epurazione non ci fu, gli Usa arruolarono scienziati, militari, intellettuali nazisti, cominciò la demonizzazione dell’Urss e la propaganda del “mondo libero”, ampiamente finanziata dalla Cia (come risulta da documenti inoppugnabili).
L’eccedenza delle merci e dei capitali statunitensi spinse alla loro esportazione nell’Europa occidentale, ormai subordinata anche militarmente e, anche grazie al famoso Piano Marshall, internazionalizzò sempre più il modello economico-sociale di quel Paese, lanciando la cosiddetta società dei consumi. Bisognava far credere che, nonostante la perdita di solo 400.000 uomini, gli alleati ci avevano liberati e che ci avevano apportato una nuova era di pace e di prosperità, nonostante guerre e povertà continuassero in varie regioni del mondo. I cambiamenti innescati, da cui scaturisce la nuova fase del cosiddetto capitalismo di Stato, danno slancio alla produttività, all’industrializzazione dell’agricoltura, che produce i grandi esodi dalle campagne, al sorgere del consistente settore dei servizi. In questo contesto, l’etica tradizionale borghese, fondata sul risparmio, sull’ascesi, su una rigorosa regolamentazione della sessualità deve essere abbandonata per lasciare spazio alla spasmodica ricerca della soddisfazione del desiderio parzialmente possibile nella nuova società dei consumi, che per riprodursi ha bisogno di creare esigenze fittizie e desideri effimeri. Ed è proprio dalla nuova ideologia del desiderio che nasce il neofascismo, il quale, utilizzando il piacere invece che la violenza e la coercizione, si appropria delle anime degli individui e le indirizza verso un edonismo irriflessivo, distogliendoli dai grandi progetti di emancipazione e di liberazione. L’attuale depoliticizzazione delle masse e soprattutto dei giovani costituisce il prodotto finale di questi processi.
Secondo Clouscard, la società dei consumi costituisce certo un mondo totalitario, ma più che alla George Orwell alla Aldous Huxley (v. Brave New World, 1932), secondo il quale in essa fin dalla nascita gli individui sono condizionati per essere dei buoni consumatori, allontanando da sé ogni idea negativa ed evitando ogni relazione umana profonda. In questo eccellente nuovo mondo sono cancellate la famiglia, la storia, la cultura, la religione, tutte istituzioni troppo impegnative e assorbenti e che potrebbero scalzare l’imperante superficialità delle relazioni umane.
È molto interessante, seguendo l’analisi di Clouscard, che questa nuova ideologia è stata presentata come rivoluzionaria ed è stata così recepita proprio dalla cosiddetta sinistra radicale, che continua a lottare per diritti parziali, non vedendo più le contraddizioni centrali, solo dalle quali può scaturire un reale cambiamento.
Questa nuova ideologia, ormai vecchia, sia pure oggi in fase agonizzante, è stata elaborata dai fautori della cosiddetta French Theory, termine forgiato dalla Cia per renderla appetibile al mercato culturale statunitense; autori che sono diventati celebri e che sono stati indebitamente legati ai moti del maggio del ’68, cui invece parteciparono lateralmente o non parteciparono affatto. Questi ultimi, tra gli altri, sono Herbert Marcuse, che si richiamò a Wilhelm Reich, Michel Foucault, il vero genio sebbene spesso contradditorio e incomprensibile, Félix Guattari, Gilles Deleuze, Pierre Bourdieu etc. Essi riscoprirono e reinterpretarono il pensiero di F. Nietzsche, mescolandolo con elementi freudiani e marxisti, che dettero alle loro analisi una patina di ribellismo radicale, subito adottato dalla nuova borghesia dei servizi che per essere compiutamente trasgressiva intendeva spazzare tutte le istituzioni tradizionali. Da questa operazione sorse il freudo-marxismo, che aveva una duplice missione ideologica: fornire il modello di consumo inerente dal neocapitalismo e preparare la transizione dal liberalismo radicale al neofascismo. Quest’ultimo è generato dal fatto che il desiderio è considerato un’entità primaria, in cui si manifesta l’identità individuale, e non è il prodotto della nuova forma di capitalismo che produce nuove brame per soddisfare lo sviluppo del mercato. In questa prospettiva il desiderio costituisce una dimensione primigenia, in realtà generata dalla logica mercificante, che ogni regolamentazione sociale e politica tenta di ingabbiare, distruggendo la sua potenza ed enfasi. In questo modo si abbandona il terreno dell’emancipazione economica e sociale per adottare quello della mera liberazione dai tabù, dalla morale tradizionale, subordinandosi sempre più al mercato, fonte di effimere soddisfazioni in forme sempre più patologiche di alienazione.
Neofascismo, dunque, vuol dire per Clouscard un nuovo regime in cui gli individui inseguono disperatamente i loro desideri per lo più irrealistici, rinunciano alla trasformazione economico-sociale, e si sottomettono a un regime sempre più autoritario che, non avendo più di fronte consapevoli agenti politici, accresce gli strumenti di controllo, verticalizza l’esecutivo, sollecita i suoi sudditi alla ricerca del piacere e della distrazione, occultando scientemente la gravità dell’attuale situazione internazionale. Le cui conseguenze prima o poi si rovesceranno su noi tutti inconsapevoli consumatori del nulla, ora spersonalizzati senza camicia nera o manganello, il cui impiego non è tuttavia da escludere.
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