domenica 19 aprile 2015

Il capitale monopolistico di Baran e Sweezy e la teoria marxiana del valore - CLAUDIO NAPOLEONI - (Testo a cura di Riccardo Bellofiore)

1.Introduzione 

Lo scritto che viene pubblicato di seguito[vedi qui] (Napoleoni, 2015) è la trascrizione di una lezione del 12 marzo 1973 tenuta da Claudio Napoleoni nel corso di Politica economica e finanziaria1. Oggetto della lezione è il commento del libro di Paul Baran e Paul Sweezy, Il capitale monopolistico, da poco pubblicato negli Stati Uniti (1966) e subito tradotto in italiano da Einaudi (1968)2.
L’interpretazione fornita da Napoleoni ha più di un motivo di originalità e potrà risultare per molti versi sorprendente. L’economista italiano era impegnato allora in un’originale ripresa critica di Marx che faceva asse proprio sui suoi aspetti più controversi, la teoria del valore-lavoro e la teoria della crisi, temi su cui il contributo di Sweezy era stato fondamentale. Ciò non di meno egli si distacca dalla usuale critica marxista al libro di Baran e Sweezy, secondo cui i due autori si sarebbero collocati fuori e contro la teoria del valore-lavoro3.
Sorprendente era peraltro la stessa struttura del corso di Politica economica e finanziaria in cui quella lezione fu pronunciata. I corsi del 1971-1972 e del 1972-1973 avevano come titolo “La realizzazione del plusvalore e la politica economica nelle economie capitalistiche moderne”. In quel che segue faremo soprattutto riferimento alla lezione del 12 maggio 1973 che si può leggere alle pagine 41-51 di questo fascicolo. Un corso dove l’esposizione della macroeconomia neoclassica e keynesiana (lungo linee non molto distanti da una avvertita sintesi neoclassica, come la si leggeva nella prima edizione del bel manuale di Gardner Ackley (1971) adottato da Napoleoni, e come peraltro si poteva già ricavare dalle voci del Dizionario di economia politica che aveva curato4, come da qualsiasi altro scritto dell’economista abruzzese sul tema) veniva proseguita dalla discussione approfondita del dibattito sulla teoria della crisi nel marxismo (da Marx a Lenin, da Tugan Baranowskij a Rosa Luxemburg). Si adottavano inoltre come letture chiave testi così distanti nel marxismo come il Capitale monopolistico di Baran e Sweezy e il Marx e Keynes di Paul Mattick (1972).
Non si trattava, come dirò, di un esercizio puramente teorico. Si può dimostrare che il dialogo con Baran e Sweezy entrò direttamente (ed esplicitamente) a definire l’interpretazione del capitalismo monopolistico data da Napoleoni, così come il confronto con Mattick – che qui non verrà però considerato, per limiti di spazio – contribuiva anch’esso alla spiegazione dell’ascesa e della crisi dello sviluppo post-bellico (la fase che oggi va sotto l’etichetta, non molto appropriata, di les trentes glorieuses) da parte dell’economista abruzzese.
Per consentire una comprensione adeguata della lezione di Napoleoni, in queste pagine introduttive procederò a ricostruire per sommi capi alcuni momenti salienti del dialogo di Napoleoni con Sweezy, per poi mostrare come elementi della sua lettura del Capitale monopolistico, allora del tutto spiazzanti, siano stati confermati dalla recentissima pubblicazione di pagine inedite dei due marxisti statunitensi. Farò riferimento alla sezione sul capitale monopolistico contenuta nella voce “Capitale” dell’Enciclopedia Europea della Garzanti nel 1976, mai più ripubblicata5. Chiuderò con alcune considerazioni personali sulla ‘inattuale’ rilevanza della riflessione di Napoleoni e Sweezy su questi temi.

sabato 18 aprile 2015

Il nuovo accordo di libero scambio transatlantico. Le conseguenze sociali e ambientali del TAFTA o TTIP - Gabriella Giudici

"Vi racconto un aneddoto. Un paese dell’America Latina mi ha consultato prima di firmare un accordo di libero scambio con gli Stati Uniti. Gli ho detto che ci sono un paio di problemi. Si può firmare un accordo di libero scambio con gli Stati Uniti, ma un onesto accordo di libero scambio consisterebbe in tre pagine:
-noi eliminiamo le nostre tariffe doganali e voi le vostre,
-noi eliminiamo le nostre barriere non tariffarie e voi le vostre,
-noi eliminiamo i nostri sussidi (sussidi all’agricoltura e cose simili, ndt) e voi i vostri.

Gli Stati Uniti non sono interessati a un accordo di libero scambio, voglio che sia ben chiaro, gli Stati Uniti vogliono un patto di gestione del commercio, gestione per gli interessi particolari degli Stati Uniti, e nemmeno nell’interesse dei cittadini americani, questo voglio che sia ben chiaro." (Joseph Stiglitz



mercoledì 15 aprile 2015

CRISI E CENTRALIZZAZIONE DEL CAPITALE FINANZIARIO - Emiliano Brancaccio, Orsola Costantini, Stefano Lucarelli

 Secondo la concezione mainstream della politica monetaria, il banchiere centrale tenderebbe a seguire una “regola ottima” che lo induce a calibrare i tassi di interesse in funzione dell’obiettivo di garantire la stabilità dell’inflazione e del reddito intorno al cosiddetto equilibrio “naturale” (Taylor, 1993). Sulla base di una impostazione alternativa è possibile invece mostrare che la banca centrale segue una regola che le attribuisce un compito diverso: intervenire sui tassi d’interesse in base alle condizioni di solvibilità dei molteplici attori del sistema economico. Più precisamente, il banchiere centrale può trovarsi ad assumere il ruolo di ‘regolatore’ di un conflitto tra quei capitali che sono in grado di accumulare attivi e sono quindi ampiamente solvibili, e quei capitali che invece tendono al passivo e quindi all’insolvenza. Specialmente in una fase di crisi economica, più alti saranno i tassi di interesse imposti dalla politica monetaria, maggiori saranno le difficoltà dei capitali a rischio di insolvenza, più probabile sarà la tendenza ai fallimenti dei capitali più deboli e alle acquisizioni ad opera dei capitali più forti: vale a dire, alla centralizzazione del capitale nel senso di Marx (Brancaccio e Fontana, 2013; 2014). Alla luce di questa diversa interpretazione della politica monetaria, possiamo affermare che le pressioni contrastanti cui è di volta in volta sottoposto il banchiere centrale determinano i livelli della circolazione monetaria e dei tassi d’interesse in base a una “regola di solvibilità” atta a favorire la centralizzazione capitalistica sotto il vincolo di un grado di solvibilità del sistema che possa ritenersi ‘sostenibile’ sul piano politico. Se il ritmo della centralizzazione oltrepassa il limite della sua sostenibilità politica, sussiste il rischio che la coalizione dei capitali in passivo prenda il sopravvento e imponga una modifica del quadro istituzionale, con cambiamenti nell’azione della banca centrale, nell’indirizzo generale di politica economica e persino nelle relazioni economiche internazionali, tali da imporre una frenata e al limite un arretramento dei processi di centralizzazione. È questa una possibilità concreta che trova riscontri anche recenti, come sembra indicare l’inviluppo dell’attuale crisi europea (Brancaccio et al., 2014).

giovedì 9 aprile 2015

DISCORSO SULLA SERVITU’ VOLONTARIA - Étienne De La Boétie





"Siate dunque decisi a non servire mai più e sarete liberi. […] la prima ragione per cui gli uomini servono di buon animo è perché nascono servi e sono allevati come tali"


DISCORSO SULLA SERVITU’ VOLONTARIA 

«No, non è un bene il comando di molti; uno sia il capo, uno il re» (1)
così Ulisse, secondo il racconto di Omero, si rivolse all’assemblea dei Greci. Se si fosse fermato alla frase
«non è un bene il comando di molti» non avrebbe potuto dire cosa migliore. Ma mentre, a voler essere
ancora più ragionevoli, bisognava aggiungere che il dominio di molti non può essere conveniente dato che
il potere di uno solo, appena questi assuma il titolo di signore, è terribile e contro ragione, al contrario il
nostro eroe conclude dicendo: «uno sia il capo, uno il re».
E tuttavia dobbiamo perdonare a Ulisse di aver tenuto un simile discorso che in quel momento gli servì per
calmare la ribellione dell’esercito adattando, penso, il suo discorso più alla circostanza che alla verità. Ma
in tutta coscienza va considerata una tremenda sventura essere soggetti ad un signore di cui non si può mai
dire con certezza se sarà buono poiché è sempre in suo potere essere malvagio secondo il proprio arbitrio; 
e quanto più padroni si hanno tanto più sventurati ci si trova. Ma non voglio ora addentrarmi nella questione
così spesso dibattuta se gli altri modi di governare la cosa pubblica siano migliori della monarchia. Se
dovessi entrare in merito a tale questione, prima di discutere a quale livello si debba collocare la monarchia
tra i diversi tipi di governo, porrei il problema se essa si possa dir tale, dato che mi sembra difficile credere
che ci sia qualcosa di pubblico in un governo dove tutto è di uno solo. Ma riserviamo ad un altro
momento la discussione di questo problema che richiederebbe di essere trattato a parte e si trascinerebbe
dietro ogni sorta di disputa politica.
Per ora vorrei solo riuscire a comprendere come mai tanti uomini, tanti villaggi e città, tante nazioni a
volte sopportano un tiranno che non ha alcuna forza se non quella che gli viene data, non ha potere di
nuocere se non in quanto viene tollerato e non potrebbe far male ad alcuno, se non nel caso che si preferisca sopportarlo anziché contraddirlo.

martedì 7 aprile 2015

IL CAPITALE - Compendio per la formazione politica - F. Di Schiena


...le condizioni della vita materiale incidono sugli altri aspetti della vita sociale. Il capitalismo viene analizzato per comprenderne origine e sviluppi. Questa analisi dimostra come il capitalismo sia per definizione un sistema basato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo (la classe della borghesia capitalista sfrutta il lavoro dei proletari) ed esso genera inevitabilmente delle crisi.

 Il modo di produzione capitalistico non è astorico, in altre parole naturale ed eterno, ma è solo una tappa dello sviluppo storico dell’umanità; si tratta quindi di un modo di produzione transitorio, caratterizzato dalla separazione della proprietà dei mezzi di produzione dai lavoratori e dalla massima diffusione della produzione mercantile.

 Il modo di produzione capitalistico si è affermato con le rivoluzioni borghesi che hanno portato ad un’uguaglianza formale degli uomini davanti alla legge. In realtà i proletari sono costretti a lavorare per i proprietari dei mezzi di produzione a causa di una dipendenza economica. Nonostante il proletario goda di una formale libertà, è costretto ad accettare le condizioni di lavoro imposte dalla borghesia a meno di morire di fame o di freddo.

 Marx spiega come sia possibile che si determini questo sfruttamento dei lavoratori, in una società (borghese) in cui le merci (compresa la forza-lavoro) sono scambiate secondo il loro valore.

Per un giovane che intende avvicinarsi per la prima volta allo studio delle idee di Marx, la lettura integrale dell’opera (lunga circa 1500 pagine in totale) può risultare un’impresa difficile ed onerosa. Per questo motivo è stata realizzata la presente dispensa in cui sono brevemente riassunti, nella maniera il più possibile chiara ed elementare, i principali temi trattati da Marx ne “Il Capitale”, presentando i diversi concetti economici e dedicando un capitolo in appendice all’origine del capitalismo.

lunedì 6 aprile 2015

ETICA E SCIENZA: L'uso freudiano di Weltanschauung* - Stefano Garroni

*  Da "Su Freud e la morale (L'uomo e la società)" Stefano Garroni, Bulsoni editore 






"L'attività che subordina ciascuno dei nostri istanti a qualche risultato preciso cancella il carattere totale dell'essere. Chi agisce mette al posto di quella ragion d'essere che è lui stesso uno scopo particolare, e nei casi meno specifici la grandezza di uno stato, il trionfo di un partito. Ogni azione specializza, per il solo fatto che non vi è azione se non limitata."

"posso esistere totalmente soltanto superando in qualche maniera lo stadio dell'azione. 
Altrimenti sarò soldato, rivoluzionario di professione, scienziato, non l'uomo totale.
Lo stato frammentario dell'uomo è in fondo come la scelta d'un obiettivo"
(G. Bataille, Nietzsche, il culmine e il possibile, Rizzoli 1970)

domenica 5 aprile 2015

LA DEUTUNG FREUDIANA* - Stefano Garroni

*  Da "Su Freud e la morale (L'uomo e la società)" Stefano Garroni, Bulsoni editore 


"seguendo le associazioni che si congiungono ai singoli elementi onirici, staccati dal loro contesto (Zusammenhang), son pervenuto ad una serie di pensieri e ricordi, nei quali debbo riconoscere espressioni di grande valore della mia vita psichica.
Questo materiale rinvenuto durante l'analisi è in intima relazione col contenuto del sogno. Tuttavia, codesta relazione è tale, che mai avrei potuto ricavare da quel contenuto il materiale nuovo che è stato rintracciato... i pensieri... si saldano d'incanto in catene logicamente congiunte, nelle quali determinate rappresentazioni figurano ripetutamente come elementi centrali" (S. Freud, Der Traum)

"La trasformazione dei pensieri onirici latenti in contenuto manifesto merita tutta la nostra attenzione, trattandosi del primo esempio finora conosciuto di 'Umsetzung' (trasposizione) di un materiale psichico da una forma espressiva (Ausdruckweise) in un'altra, alla cui intelligenza possiamo giungere solo con perizia e fatica, per quanto anch'essa debba essere riconosciuta opera della nostra attività psichica" (S. Freud, op. cit.)

sabato 4 aprile 2015

Il capitale finanziario (estratti dal capitolo XXII, 1910) - Rudolf Hilferding

Ostile allo statalismo, la borghesia fu - un tempo - in lotta contro il mercantilismo economico e l’assolutismo politico. Il liberalismo era allora realmente distruttivo, implicava di fatto il sovvertimento del potere statale e la rottura di antichi vincoli. Tutto il sistema dei rapporti gerarchici dello Stato - faticosamente costruito - ed i legami corporativi cittadini con la loro complicata sovrastruttura di privilegi e monopoli, vennero spazzati via. La vittoria del liberalismo provocò un immediato e considerevole indebolimento dell’autorità dello Stato. La vita economica avrebbe dovuto essere - almeno in teoria - definitivamente sottratta al controllo dello Stato, che doveva limitarsi a garantire la sicurezza e l’uguaglianza borghesi.
Il liberalismo diveniva così la negazione pura e semplice dello Stato del primo periodo mercantilistico del capitalismo, il quale, in principio, voleva regolare tutto, ed era anche in netto contrasto con tutti i sistemi socialistici, i quali, non in senso distruttivo, ma costruttivo, vogliono porre al posto dell'anarchia e della libertà della concorrenza un sistema consapevolmente regolato, creando una società che organizzi la propria vita economica e quindi anche se stessa. È perciò appena naturale che i princìpi liberali si siano realizzati più precocemente in Inghilterra, dove erano sostenuti da una borghesia tutta per il libero scambio, una borghesia che, anche durante i periodi di più acuto contrasto con il proletariato, si lasciò spingere ben raramente a chiedere l'intervento dello Stato e, comunque, lo fece solo per brevi periodi. Anche in Inghilterra, però, la realizzazione del liberalismo urtò non solo contro la resistenza della vecchia aristocrazia che appoggiava una politica protezionistica ed era, quindi, recisamente contraria ai princìpi liberali, ma anche, in parte, contro quella del capitale commerciale, e del capitale bancario che aspiravano ad investimenti all'estero e pretendevano soprattutto il mantenimento dell'egemonia sui mari, pretesa, questa, che veniva avanzata e con estrema energia anche dagli ambienti interessati alle colonie.

venerdì 3 aprile 2015

L'imbroglio europeo - Luciano Vasapollo




intervento al convegno "Il piano inclinato degli imperialismi" organizzato dalla Rete dei Comunisti

giovedì 2 aprile 2015

WITTGENSTEIN E FREUD* - Stefano Garroni



"si tratta di rivendicare una creatività, un'originalità dell'uomo, una sua imprevedibilità, che s'esprime massimamente nella vita emozionale, in quel mondo dell''intendere', del 'produrre senso', che nessuna scienza - la psicoanalisi di Freud o l'antropologia di Frazer, ad es. - può mai trattare, se non in modo riduttivo, cioè, trasponendolo in un ordine meccanico, casualistico." (S. Garroni)

"proprio quello che il mito riesce a concepire nelle stelle, ciò che vede in esse immediatamente, non è proprio per nulla lo stesso di ciò che esse mostrano alla percezione ed osservazione empirica o del modo come esse si presentano al pensiero teoretico, alla 'spiegazione' scientifica dei fenomeni naturali" 
(E. Cassirer, Linguaggio e mito, Milano, il Saggiatore) 

"L'errore di Freud consiste nell'aver voluto trovare l'essenza del sogno e quello di Frazer nell'aver voluto trovare, per esempio, l'essenza della magia, nell'aver cioè cercato la sua causa, la sua ragion d'essere, il suo scopo., ecc. 
(L. Wittgenstein, Note sul 'Ramo d'oro' di Frazer, Adelphi 1975) 

« Il materiale, tratto dai pensieri onirici, che viene accostato per formare la situazione del sogno, dev'essere naturalmente idoneo a quest'uso sin da principio. Si rende perciò necessario un elemento comune - o più di un elemento comune - in tutte le componenti. Il lavoro onirico procede quindi come Francis Galton nella preparazione delle sue fotografie di famiglia. Esso fa coincidere le varie componenti, sovrapponendole le une alle altre; allora nel quadro generale l'elemento comune risalta nitidamente, mentre i particolari contrastanti si cancellano a vicenda ». ** 
(S. Freud, Il sogno, Opere) 

"Seduto in metropolitana, ero incuriosito dalle diversità che erano mescolate: somali, indiani, americani, cittadini dello Zimbabwe, scandinavi e cento altre nazionalità in lizza per il loro posto nella metropoli. Mi sono chiesto: 'Che cos'è questo luogo, com'è un londinese?' Ho pensato che se si potevano riunire e miscelare le caratteristiche di tutte queste persone che vivevano insieme a Londra, sarebbe stato possibile avere un'idea degli abitanti futuri, di come saranno i londinesi del futuro..."  ***
(Mike Story, fotografo, studio alla Goldsmith University di Londra) 

*  Da "Su Freud e la morale (L'uomo e la società)" Stefano Garroni, Bulsoni editore  

martedì 31 marzo 2015

LA DEMOCRAZIA DELLA VITA QUOTIDIANA - Gyorgy Lukacs

 Le rivoluzioni borghesi "passano tempestosamente di successo in successo; i loro effetti drammatici si sorpassano l'un l'altro; gli uomini e le cose sembrano illuminati da fuochi di bengala; l'estasi è lo stato d'animo d'ogni giorno. Ma hanno una vita effimera, presto raggiungono il punto culminante: e allora una lunga nausea si impadronisce della società, prima che essa possa rendersi freddamente ragione dei risultati del suo periodo di febbre e di tempesta.
 Le rivoluzioni proletarie invece, quelle del secolo decimonono, criticano continuamente se stesse; interrompendo a ogni istante il loro proprio corso, ritornando su ciò che già sembrava cosa compiuta per ricominciare daccapo; si fanno beffe in modo spietato e senza riguardi delle mezze misure, delle debolezze e delle miserie dei loro primi tentativi""si ritraggono continuamente, spaventate dall'infinita immensità dei loro propri scopi, sino a che si crea la situazione in cui è reso impossibile ogni ritorno indietro e le circostanze stesse gridano: hic rodhus, hic salta". (K. Marx, Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte)


Rodi oggi sta ancora nel lontano futuro. Ma tutto ci dice che soltanto la via tracciata da Marx vi può condurre. Se e fino a che punto i comunisti saranno in grado di percorrerla è cosa che dipende dalla loro perspicacia e dal loro coraggio.

domenica 29 marzo 2015

LA VOCAZIONE EMPIRISTA DI MARX. NOTE SUL TEMA* - Stefano Garroni

*Da "Tracciati dialettici (Note di politica e cultura)" Stefano Garroni, Edizioni Kappa



"Ho già mostrato come l'analisi della merce in quanto 'lavoro' fatta da tutti gli economisti finora sia equivoca ed incompleta. Non basta ridurre la merce a lavoro, ma si a lavoro nella 'doppia forma' in cui esso si presenta: una volta come 'lavoro concreto' nel 'valore d'uso'; un'altra volta, come lavoro 'socialmente necessario' nel 'valore di scambio'." 
(K. Marx, Resultate des  unmittelbaren Produktionsprozesses)



"i problemi si risolvono quando sono maturi storicamente, non bisogna avere impazienze, è puerile aver fiducia nel potere persuasivo della prediche umanitarie e delle invocazioni di giustizia. Affiora il senso della 'necessità', proprio di un pensiero che si pone all'interno del suo oggetto... La politica marxista è rivoluzionaria... ma non implica alcun rifiuto pregiudiziale del mondo prima di cambiarlo; al contrario, si inserisce positivamente nel mondo e ne accoglie i suggerimenti".
 (Francesco Valentini, "Il pensiero politico contemporaneo", Bari Laterza 1979)

venerdì 27 marzo 2015

Orientarsi nel labirinto della lotta di classe* - Elena Maria Fabrizio

*A proposito del libro di Domenico Losurdo, La lotta di classe. Una storia politica e filosofica.




La lotta di classe allora è solo il genus, la categoria generale del conflitto sociale che proviene dai rapporti capitalistici di produzione e dalla conseguente divisione del lavoro; essa investe ogni società e tutta la società nel senso, esplicitato dal Manifesto, che tutte le lotte della storia sono lotte tra classi sociali. La pluralità invocata non rinvia però alla mera successione storica, nella quale si ripeterebbe lo stesso schema polarizzante e meccanico tra classi dominanti e classi oppresse con il conseguente auspicato rovesciamento, ma significa che le lotte assumono species, cioè forme diverse e spesso contraddittorie (lotte del proletariato nelle metropoli, lotte anticoloniali o di liberazione nazionale, lotte contro la schiavitù domestica), impegnando nello scontro i soggetti sociali che auspicano l’emancipazione e quelli che al contrario intendono bloccarla.

Ciò che le unisce nel genus è il tentativo di scardinare la divisione del lavoro vigente tra le nazioni, nella nazione, nella famiglia e i relativi rapporti di coercizione servili imposti dai borghesi ai proletari, da un popolo a un altro popolo, dall’uomo alla donna.

La caduta tendenziale del saggio del profitto - Guglielmo Carchedi

Da: Contropiano video - Guglielmo Carchedi, economista presso l’Università di Amsterdam.
Leggi anche: http://www.criticamente.com/marxismo/marxismo_lavori/Carchedi_Guglielmo_-_Il_problema_inesistente__la_trasformazione_dei_valori_in_prezzi_in_parole_semplici.htm




Intervento di Guglielmo Carchedi al convegno sul piano inclinato degli imperialismi 

http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/10/la-caduta-tandenziale-del-tasso-medio.html 

giovedì 19 marzo 2015

Corso sul "Capitale" (8) - Riccardo Bellofiore



Video degli incontri del ciclo di letture del I libro del "Capitale" di Karl Marx organizzato da Noi Restiamo Torino e tenuto da Riccardo Bellofiore (Università di Bergamo).

Lezioni precedenti:
https://www.youtube.com/playlist?list=PL5P5MP2SvtGh94C81IekSb83uO7nLgHmL




lunedì 16 marzo 2015

Il fallimento delle politiche di austerity europee nel contesto della secular stagnation - Vladimiro Giacché

Video:
http://www.tubechop.com/watch/5506720       


     Se prolunghiamo il trend che abbiamo visto in opera in questi ultimi anni, lo scenario praticamente obbligato per la nostra economia è quello di una deindustrializzazione irrecuperabile, o la sua trasformazione in una “economia di filiali” (Filialökonomie), con conseguente scivolamento verso il basso nella divisione internazionale del lavoro. In Europa esiste un precedente piuttosto recente: quanto accadde ai territori della ex-Repubblica Democratica Tedesca a seguito dell’unificazione della Germania 25 . Circa la possibilità di un’estensione continentale di questo modello va però osservato che in quel caso la trasformazione morfologica del panorama industriale del paese (sostanziale deindustrializzazione, distruzione della grande industria, acquisizione delle parti maggiormente fungibili dei Kombinate dell’Est e loro utilizzo quali filiali/succursali di imprese dell’Ovest) ha comportato la necessità di ingenti trasferimenti dall’Ovest – tuttora in corso – per finanziare consumi e investimenti. E, anche al di là del fatto che a distanza di un quarto di secolo questi trasferimenti non sono stati in grado di colmare il gap di reddito pro capite e produttività del lavoro tra le due parti della Germania, poche cose sono chiare come l’indisponibilità del governo tedesco a replicare questa seconda parte del “modello-Rdt” nel caso dell’Europa. 
Esistono scenari alternativi a questo sbocco? A questo riguardo le ipotesi possibili sono tre:

 1) un recupero della nostra economia trainato dal commercio estero extra-Ue. Sono in molti oggi a sperare che l’effetto combinato del calo del prezzo dei prodotti petroliferi, della svalutazione dell’euro rispetto al dollaro e delle politiche antideflazioniste della Bce possano fare questo miracolo. È lecito dubitarne, e per diversi motivi. Il primo è che quei tre elementi positivi del quadro attuale sono contingenti. In particolare, è possibile una ripresa almeno a medio termine del prezzo dei prodotti petroliferi, e una ripresa di valore dell’euro è addirittura probabile: è difficile infatti che il resto del mondo tolleri una svalutazione nel lungo periodo dell’euro, che – è bene non dimenticarlo - è la moneta adottata da paesi che nel loro insieme vantano già un significativo surplus commerciale nei confronti del resto del mondo. Il secondo è che anche quegli elementi positivi hanno effetti collaterali non piacevoli: il calo del prezzo dei prodotti petroliferi, ad es., porta con sé un calo dell’export nei confronti dei paesi produttori di petrolio. Il terzo è che in particolare le politiche della Bce sono senz’altro tardive, e comunque di efficacia limitata.

 2) La fine del vincolo fiscale, ossia delle politiche di austerity. Neanche questa soluzione sembra di per sé sufficiente a risolvere i problemi. Al contrario, se essa avviene in assenza di reflazione in Germania, l’effetto sarà un miglioramento di breve periodo della domanda interna, ma al prezzo di tornare ad alimentare squilibri della bilancia commerciale (perché il maggiore denaro disponibile sarà speso per comprare prodotti più competitivi importati dall’estero). La stessa proposta di De Grauwe di effettuare investimenti infrastrutturali in Germania (una sorta di surrogato della reflazione salariale che la Germania in questi anni non ha voluto fare) viene incontro solo apparentemente e nel breve periodo al nostro problema: infatti, sebbene questi investimenti rilancerebbero la domanda interna tedesca lasciando spazio per maggiori esportazioni verso quel paese, d’altro lato nel lungo periodo essi determinerebbero un ampliamento del gap competitivo di cui gode la Germania e per questa via una ripresa e consolidamento degli squilibri della bilancia commerciale nell’eurozona.

 3) Il terzo scenario possibile è rappresentato dalla fine del vincolo monetario. Essa determinerebbe il riacquisto immediato della flessibilità del cambio, e per questa via un rapido riequilibrio delle bilance commerciali in Europa. La necessità di distruggere capacità produttiva in eccesso in Europa, evidenziata dalla crisi, non verrebbe meno: ma tale distruzione sarebbe meno concentrata geograficamente 

leggi tutto:
http://www.marx21.it/documenti/giacche_AusteritySecularStagnation.pdf

domenica 15 marzo 2015

IL MOVIMENTO OPERAIO ITALIANO E LA MASSONERIA - Amadeo Bordiga




La tradizione rivoluzionaria della massoneria italiana 
La lotta tra socialismo e massoneria nel vecchio partito 
Gli scandali di Napoli 
L’epurazione del partito è stata feconda di insegnamenti 

La questione della massoneria ha, nel movimento operaio italiano, tutta una storia. La massoneria è stata estremamente influente in Italia. Raggruppando tutte le diverse società segrete di tendenza liberale borghese che avevano giocato un ruolo storico considerevole durante le lotte per l’indipendenza e l’unità nazionali, essa seppe occupare un posto di prim’ordine tra i politicanti e tra l’élite della classe dominante.2 
La massoneria aveva in Italia delle tradizioni d’azione rivoluzionaria cospirativa, e persino di dedizione. Era la portabandiera dell’ideologia anticlericale, che aveva caratterizzato la formazione dello stato borghese unitario contro la resistenza del Vaticano e dell’ultracattolica Austria-Ungheria. Allorché incominciò a delinearsi un movimento rivoluzionario della classe operaia, la borghesia di sinistra seppe sfruttare contro tale movimento quelle tradizioni che potevano conferirle una certa popolarità, e la massoneria divenne il perno di una campagna volta a distogliere la classe operaia dai suoi obiettivi socialisti e dalla lotta di classe. Dopo la fase della dura reazione del 1898 vi fu il periodo della politica democratica dell’estrema sinistra parlamentare, che comprendeva in un «blocco popolare» i radicali (democratici borghesi), i repubblicani e i socialisti. La politica del blocco anticlericale, basata sulla demagogia e sui luoghi comuni del libero pensiero, veniva portata avanti non soltanto in parlamento ma anche nei comuni, ed era sostenuta da tutta una serie di associazioni e circoli anticlericali che volevano controllare la propaganda e l’agitazione proletaria. 
La massoneria dirigeva tutto questo lavoro dal suo centro occulto. Quella fu anche l’epoca caratteristica del «giolittismo», cioè della politica abilmente controrivoluzionaria della collaborazione di classe. Giolitti era massone; e lo era anche il re democratico – che si è ora rivelato fascista. Fu allora che il riformismo intensificò la propria azione e trascinò il movimento operaio sulla strada più pericolosa. Esso sostenne i ministeri borghesi e costituì dei blocchi elettorali, e Bissolati – socialista – si recò al Quirinale.3       

venerdì 13 marzo 2015

FUNZIONI DELLO STATO - DISTINZIONE FORMALE LOGICA ANALITICA - Stefano Garroni


"L'essenza dello Stato è l'universale in sé e per sé, la razionalità del volere. Ma, come tale che è consapevole di sé e si attua, essa è senz'altro soggettività; e, come realtà, è un individuo. La sua opera in genere, - considerata in relazione con l'estremo dell'individualità come moltitudine degli individui, - consiste in una doppia funzione. Da una parte, deve mantenerli come persone, e, per conseguenza, fare del diritto una realtà necessaria; e poi promuovere il loro bene, che dapprima ciascuno cura per sé, ma che ha un lato universale: proteggere la famiglia e guidare la società civile. Ma, d'altra parte, deve ricondurre entrambi, - e l'intera disposizione d'animo e attività dell'individuo, come quello che aspira ad essere un centro per sé, - nella vita della sostanza universale; e, in questo senso, come potere libero, deve intervenire nelle sfere subordinate e conservarle in immanenza sostanziale." (Hegel)


Nella “Critica alla filosofia del diritto pubblico di Hegel. Introduzione.” Marx, per la prima volta, individua nel proletariato l’unica classe capace di sovvertire l’intero ordinamento della società e dello Stato (la Germania, in quel caso).  Nel linguaggio fortemente dialettico delle sue opere giovanili, Marx così mette a fuoco la condizione proletaria e le potenzialità che ne derivano: “Dov’è dunque la possibilità effettiva   della emancipazione tedesca? Risposta: nella formazione di una classe con catene radicali, una classe della società civile che non sia una classe della società civile, un ceto che sia la dissoluzione di tutti i ceti.”
Contro questa classe “viene esercitata non un ‘ingiustizia particolare bensì l’ingiustizia senz’altro”, essa è “in contrasto universale contro tutte le premesse del sistema politico” e non può “ emancipare se stessa  senza…emancipare  tutte le rimanenti sfere della società”. Il proletariato è “la perdita completa dell’uomo,  e può dunque  guadagnare nuovamente se stessa  attraverso il completo recupero dell’uomo”.

Nel momento in cui scrive questo articolo per gli “Annali  franco- tedeschi” Marx non ha  ancora intrapreso gli studi di economia cui si dedicherà anima e corpo negli anni successivi: non ha ancora messo a fuoco sul piano scientifico la struttura antinomica della società capitalistica né la centralità della contraddizione capitale – lavoro. In più, è da notare come egli, consapevole della condizione di arretratezza economica e sociale della Germania dei suoi tempi,  parli di “formazione” di una classe: significa che questa classe ancora non è pienamente sviluppata e che solo il suo sviluppo porrà le condizioni perché essa possa svolgere il ruolo storico che Marx le riconosce.
Voglio dire che il problema centrale, con cui Marx si confronta qui, non è ancora quello del superamento di un determinato sistema socio-economico fondato sulla separazione del lavoro dai mezzi di produzione: il tema dell’assoggettamento umano  appare, dunque,  non come  conseguenza   di particolari rapporti di produzione, bensì nella forma dell’opposizione fra l’uomo e lo Stato, fra “società civile” e Stato, fra l’“essenza umana”  e la sua negazione nello Stato – qualsiasi Stato.
E’ nozione di tutti come su questi temi  ( il “giovane Marx”, i suoi rapporti con l’hegelismo, il suo “umanesimo”, la successiva cosiddetta “rottura epistemologica ecc.) siano state scritte moltissime pagine – è sufficiente ricordare Althusser.

Ma è fuor di dubbio, a mio avviso, che in questo breve e difficile testo si possa scorgere un elemento in grado di illuminare un aspetto del pensiero – o meglio, del modo  di pensare – di Marx, che non solo non verrà meno nell’opera successiva, ma che ne costituirà, sempre, lo sfondo e il presupposto: mi riferisco all’originaria vocazione etico- morale di Marx, la stessa che lo avvicina, ma anche lo differenzia,  ad altri scrittori  socialisti o “comunisti” del suo tempo.

Nel parlare di  “vocazione etico- morale “, però, non intendo indicare qualcosa di assimilabile a un sentimento o a un “astratto furore” – per dirla col Vittorini di “Conversazione in Sicilia”: c’è sicuramente del sentimento in Marx, e senz’altro anche del furore e una genuina indignazione, che spesso si scaricano in ironia e sarcasmo, ma non sono questi i fondamenti della sua posizione etica.
Piuttosto Marx, a partire dai suoi primi scritti,  si presenta come il più coerente prosecutore della linea che dall’Illuminismo porta alla Rivoluzione  Francese. Quella linea, cioè, che riconosce nell’uomo (ma c’era già in Vico) l’unico costruttore della propria storia e, dunque, anche dello Stato della società in quanto prodotti storici. La novità di Marx (ma rintracciabile anche in altri) sta però nel suo scorgere che lo stesso Stato che nasce dalla Rivoluzione giacobina, lo Stato ispirato dal “Contratto sociale di Rousseau e portato alle estreme conseguenze dal Robespierrismo di sinistra e dal radicalismo piccolo- borghese di Saint- Just, una volta rovesciati i tiranni si rovescia poi a sua volta al punto da diventare egli stesso un nuovo tiranno. Non per un errore degli uomini: ma per sua intrinseca natura, per una “legge” storica.

Marx, ovviamente, non nega il grande progresso costituito dalla Rivoluzione francese, al contrario:   egli contrappone nettamente lo Stato della Convenzione, e in generale gli Stati a costituzione democratico- rappresentativa, allo Stato  prussiano- tedesco“teologico”, autoritario, censore  e semi-feudale.

Ma, per usare un’espressione del linguaggio comune, quel progresso “non gli basta”. Un altro passo va compiuto sulla strada della liberazione umana, e questo passo corrisponde al superamento dello Stato in quanto tale, condizione sine qua non  perché l’uomo si ritrovi finalmente padrone assoluto di se stesso: non solo nei cieli della teoria ma nella concretezza della sua esistenza effettiva.
Si può parlare di Marx, almeno in questa  fase del suo pensiero, come di un  “anarchico razionale”? Forse a questa domanda si può rispondere affermativamente a patto di porre l’enfasi sul termine “razionale”, vale a dire sulla consapevolezza,  che in Marx è senz’altro presente, che non si tratta di distruggere fisicamente  un apparato più o meno oppressivo la cui semplice scomparsa restituirebbe magicamente agli uomini la completa libertà. Tutt’altro: la libertà umana è un  presupposto, non una conseguenza, del superamento dello Stato. Infatti, solo attraverso l’esercizio della libertà questo processo potrà compiersi: ma non della libertà formale, nemmeno di quella vigente nelle democrazie rappresentative, bensì di quella libertà  che Marx vede come propria dell’essenza umana e che fa degli uomini, in ogni circostanza, dei creatori di se stessi.

Marx, si può dire in anticipo su se stesso, individua  nel proletariato l’iniziatore e il catalizzatore di questo processo. Lo fa ancora prima di diventare propriamente “comunista”, il che comunque avverrà da lì a poco. Lo fa perché crede che l’uomo sia qualcosa per cui valga la pena spendersi: in questo  è un grande erede dell’Illuminismo e ancora in questo sta la sua originaria ispirazione etica.
 Aristide Bellacicco (Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni)

L'audio dell'incontro:         https://www.youtube.com/watch?v=-ZEUew5oY3c

giovedì 12 marzo 2015

IL CONCETTO DI “CASO” NELLE LEZIONI SULLA FILOSOFIA DELLA STORIA DI HEGEL* - Vladimiro Giacchè


 Questo ottimo lavoro può spingere qualcuno a interessarsi a questioni difficili ma che sono presenti in modo determinante anche nel pensiero di Marx, come ben sappiamo.
Il progressivo affermarsi (secondo Hegel) della libertà come motore della storia non può avverarsi senza che l’uomo ne abbia coscienza (illuminismo). Ma è chiaro che questo concetto di libertà va tenuto ben distinto da qualsiasi connotazione arbitraria: insomma  non si tratta tanto del fatto che “l’uomo fa ciò che vuole” bensì del fatto che “l’uomo vuole ciò che fa”: e poiché, anche secondo Hegel, l’uomo è un essere razionale, questo permette di rintracciare i moventi razionali della storia stessa. Marx dirà, concordando con Hegel, che l’uomo è il creatore della propria storia, ma aggiungerà che  questa storia l’uomo la costruisce all’interno di condizioni date (limiti naturali, sviluppo delle forze produttive ecc.): sono questi ultimi elementi quelli che Hegel considererebbe “accidentali” o “contingenti”? Inoltre, dove noi scriviamo “uomo” Hegel scrive “Spirito del mondo” e questo va tenuto presente: perché  è proprio l’affermazione dell’essenza spirituale della storia che porta Hegel a dire che  “il reale è razionale ecc.” Ma sono questi i caratteri idealistici del pensiero di Hegel?
Certamente  la "costruzione" della Storia che fa Hegel, come storia di emancipazione umana non può fermarsi al suo sistema come Marx ha evidenziato. Ma è poi vero che Hegel intendesse realmente ciò - contraddicendo se stesso e la sua "opera"- ?
- Il collettivo di formazione marxista Stefano Garroni -     

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*Quaderni del Ponte, 1-2 , gennaio-giugno 1993

1. Cenni sul concetto hegeliano di contingenza

Nella sua Scienza della logica Hegel ci offre la seguente definizione di “contingente”:
“l’accidentale [Zufälliges] è un reale [Wirkliches], che in pari tempo è deter­minato solo come possibile, un reale di cui l’altro o l’opposto è anch’esso. Questa realtà è quindi semplice essere o esistenza, posti però nella loro verità, di avere cioè il valore di un esser posto o della possibilità” (HW 6.205 = tr. Moni-Cesa 614);
ad ideale completamento di questo passo possiamo aggiungere un luogo delle le­zioni hegeliane sulla logica:
“noi consideriamo il contingente come qualcosa che può essere o non essere, che può essere così o essere altrimenti, e il cui essere o non essere, essere così o essere altrimenti non è fondato in lui stesso, ma in altro” (E § 145 Z, HW 8.285= tr. Verra 357; cfr. Gdl § 15 e Handbemerkung);
è evidente in questo luogo la ripresa della trattazione aristotelica dell’argomento: si pensi soprattutto alla seconda delle tre accezioni di contingente distinte da Aristotele nella Metafisica, secondo cui “l’accidente si produce ed esiste, ma non in virtù di se stesso, bensì in virtù di un’altra cosa” (Metaph. D, 1025 a 27). Ma se il contesto del discorso aristotelico si riferiva a due catene causali indipendenti che danno luogo ad un risultato non voluto, H. attribuisce invece immediato va­lore ontologico al concetto di “contingenza”: in altre parole, esistono realtà ed enti che possono dirsi, a differenza di altri, “contingenti”, ossia imperfetti.
In pari tempo, H. stabilisce anche riguardo al problema della contingenza una precisa corrispondenza tra la gerarchia delle forme di natura e spirito e il procedere del conoscere. Infatti, da un lato nel corso del­l’e­sposizione del si­stema possiamo osservare una progressiva depurazione delle forme dalla casua­lità, ossia da isolamento, esteriorità e dipendenza da altro, insomma dalla fini­tezza; ciò risulta particolarmente evidente nel passare dalla natura inorganica alla natura organica, e da questa allo spirito. D’altro lato, ciò vale anche per quel che riguarda lo sviluppo dei momenti del conoscere: infatti anche il percorso che, attraverso la sensazione e la percezione, conduce all’intelletto e da ultimo alla ragione, vede un incremento progressivo della necessità, ossia una graduale liberazione dello “spirito” dalla casualità.

sabato 7 marzo 2015

MARX - Gabriella Giudici


"...il punto centrale riguarda l’economia politica in quanto scienza, e dunque la sua capacità di comprendere la realtà. Il suo vizio di fondo, infatti, consiste nel presupporre ciò che deve spiegare, cioè nel partire dalla proprietà privata come se fosse un dato naturale, facendone valere le leggi come fossero leggi naturali. [...]
«l’opposizione tra non proprietà e proprietà» non assume il carattere di contraddizione se non viene concepita come «opposizione di lavoro e capitale», cioè se non si comprende che il capitale stesso è lavoro, lavoro espropriato dell’operaio. L’emancipazione operaia sarà dunque la riappropriazione di quanto si è perduto per effetto dell’alienazione ed essa significherà la generale emancipazione umana», perché «l’intera servitù umana è coinvolta nel rapporto dell’operaio alla produzione»".
Sta, forse, proprio in questa 'contraddizione', in questa 'negazione' potente che 'blocca', se non superata, il lungo e faticoso cammino dell'emancipazione umana, la chiave di lettura di tutto il pensiero e l'opera di Marx.  In perfetta continuità con Hegel Marx pone il problema, la negazione, che ha da essere risolto, superato, pena l'arrestarsi di quel movimento al tempo stesso contraddittorio e risolutore che caratterizza il 'modus operandi' dello Spirito umano, nel suo lento e faticoso passaggio ad un gradino superiore di civiltà. Il grande processo evolutivo dell'umanità, del formarsi del genere umano, del divenir uomo dell'uomo.
Con questa interpretazione accogliamo il bellissimo lavoro di Gabriella Giudici. Perché è cosi che riconosciamo il 'nostro' Marx... 

- Il collettivo di formazione marxista Stefano Garroni - 

giovedì 5 marzo 2015

lezioni di volo - Aristide Bellacicco



l gesto di battere le ali presuppone la flessione delle ginocchia: questa è la prima e unica regola che i maestri ci hanno trasmesso. Molti di noi hanno perso il sonno e la serenità  nel tentativo estenuante  di  trovarne una motivazione razionale. Non ve n’è alcuna: i maestri avevano scoperto  il come, non il perché. Vi ricordate le prime riunioni – ancora clandestine, a quei tempi –  che si tennero subito dopo il ritrovamento del Libro dei Voli? C’era un enorme entusiasmo, tutti  eravamo giovani e disposti a dare la vita perché quelle parole si avverassero. Quanti morti! Ventidue soltanto nella prima settimana di tentativi. Raccoglievamo i corpi senza vita sui marciapiedi e, nel buio, li trasportavamo in quello che ora è diventato un monumento nazionale, il Sacrario  dei Caduti per Sbaglio (SCS). All’epoca era solo una vecchia rimessa abbandonata all’estrema periferia della città, che aveva il vantaggio di non essere distante dal luogo dove si tenevano le lezioni e si effettuavano i  lanci: il tetto della Torre di Kan.

martedì 3 marzo 2015

PARTITO E TEORIA* - Stefano Garroni, Mauro Casadio



*Atti del seminario promosso dal Forum dei Comunisti


"Bisogna che l'eredità della filosofia classica tedesca sia non solo inventariata, ma fatta ridiventare vita operante."                                                    (Gramsci, 'Il materialismo storico e la filosofia di B. Croce')

 "io non sono nulla e dovrei essere tutto"
(http://gabriellagiudici.it/karl-marx-introduzione-a-per-la-critica-della-filosofia-politica-di-hegel/)

lunedì 2 marzo 2015

Il capitale «apre» i confini: accumulazione e crisi del globale in Rosa Luxemburg - MICHELE CENTO e ROBERTA FERRARI


Un’estrazione che non cessa di affermarsi anche quando il capitalismo sembra ormai privo di un «fuori», di un «non-capitale» da piegare alla sua logica. Nel momento in cui il capitale esercita un dominio esclusivo sul globo, l’accumulazione deve dunque riuscire nella funambolica impresa di creare un «fuori» all’interno del sistema capitalistico.

Non si tratta più un dentro e un fuori geografico, o di un dentro e un fuori temporale, ma di spazi di accumulazione creati sulle possibilità ulteriori di sfruttamento. Una volta diventato globale, il capitale si ritrova infatti con lo stesso problema che segnala Luxemburg: il suo fuori oggi è necessariamente un dentro ma la dinamica di devastazione necessaria per la sua accumulazione rimane la stessa. Ciò di cui Luxemburg sembra consapevole è il fatto che il capitale crea il suo “fuori” innanzitutto impoverendo e immiserendo spazi ulteriori.

Non si tratta qui di una questione geografica, ma di rapporti sociali che il capitale è costretto a riprodurre al suo interno per accumulare. Possiamo dire che l’impoverimento è oggi il nome dell’accumulazione capitalistica, così come lo è la coazione al lavoro di fabbrica in ampie regioni del pianeta.

La violenza politica è qui il veicolo del processo economico: è nel continuo rimando tra queste due facce che si compie il ciclo storico del capitale.

Portare dentro il «fuori» non capitalistico non significa quindi per Luxemburg solamente valorizzarlo, ma piuttosto spremerlo, usarlo: è proprio la devastazione e l’impoverimento il modo di valorizzazione del capitale.

Questo meccanismo perfetto, oliato di sangue e fango, incontra un ostacolo proprio nelle condizioni che esso stesso ha determinato, proprio nel suo processo di valorizzazione distruttiva.

Un campo di battaglia, un luogo di conflitto, dove le resistenze all’introduzione dello sfruttamento capitalistico nei paesi non capitalistici possono saldarsi alle lotte contro gli oliati meccanismi dell’accumulazione nei paesi pienamente capitalistici.

Se la forza del capitalismo risiede nella sua mutevole fenomenologia, la sua debolezza sta nell’inflessibile ostinazione della sua logica. Ed è in questa crepa che nuovi spazi di soggettivazione potranno mettere in crisi la realizzazione dello sfruttamento.

E' anche in questo senso che la rivoluzione è sempre un problema dell’oggi o, se non altro, di quel presente assoluto che la narrazione neoliberale ha estorto alla storia.
(Michele Cento e Roberta Ferrari)