mercoledì 15 aprile 2015

CRISI E CENTRALIZZAZIONE DEL CAPITALE FINANZIARIO - Emiliano Brancaccio, Orsola Costantini, Stefano Lucarelli

 Secondo la concezione mainstream della politica monetaria, il banchiere centrale tenderebbe a seguire una “regola ottima” che lo induce a calibrare i tassi di interesse in funzione dell’obiettivo di garantire la stabilità dell’inflazione e del reddito intorno al cosiddetto equilibrio “naturale” (Taylor, 1993). Sulla base di una impostazione alternativa è possibile invece mostrare che la banca centrale segue una regola che le attribuisce un compito diverso: intervenire sui tassi d’interesse in base alle condizioni di solvibilità dei molteplici attori del sistema economico. Più precisamente, il banchiere centrale può trovarsi ad assumere il ruolo di ‘regolatore’ di un conflitto tra quei capitali che sono in grado di accumulare attivi e sono quindi ampiamente solvibili, e quei capitali che invece tendono al passivo e quindi all’insolvenza. Specialmente in una fase di crisi economica, più alti saranno i tassi di interesse imposti dalla politica monetaria, maggiori saranno le difficoltà dei capitali a rischio di insolvenza, più probabile sarà la tendenza ai fallimenti dei capitali più deboli e alle acquisizioni ad opera dei capitali più forti: vale a dire, alla centralizzazione del capitale nel senso di Marx (Brancaccio e Fontana, 2013; 2014). Alla luce di questa diversa interpretazione della politica monetaria, possiamo affermare che le pressioni contrastanti cui è di volta in volta sottoposto il banchiere centrale determinano i livelli della circolazione monetaria e dei tassi d’interesse in base a una “regola di solvibilità” atta a favorire la centralizzazione capitalistica sotto il vincolo di un grado di solvibilità del sistema che possa ritenersi ‘sostenibile’ sul piano politico. Se il ritmo della centralizzazione oltrepassa il limite della sua sostenibilità politica, sussiste il rischio che la coalizione dei capitali in passivo prenda il sopravvento e imponga una modifica del quadro istituzionale, con cambiamenti nell’azione della banca centrale, nell’indirizzo generale di politica economica e persino nelle relazioni economiche internazionali, tali da imporre una frenata e al limite un arretramento dei processi di centralizzazione. È questa una possibilità concreta che trova riscontri anche recenti, come sembra indicare l’inviluppo dell’attuale crisi europea (Brancaccio et al., 2014).

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