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domenica 30 marzo 2025

Carl Schmitt, Teologia Politica - Carlo Galli

Da: Mauro Marcenaro - Carl Schmitt (Plettenberg, 11 luglio 1888 – Plettenberg, 7 aprile 1985) è stato un giurista e politologo tedesco. - 
Carlo Galli (Università di Bologna) è un politico, accademico e filosofo politico italiano. 

Marx e la dialettica - Roberto Fineschi, Carlo Galli 
Homo sacer - Giorgio Agamben  
                                                                           

Carl Schmitt - Teologia Politica - Parte 1 - Carlo Galli 
''Tutti i governi post rivoluzione francese, sono da considerarsi illegittimi, perché fondati sul nulla giuridico su cui si fondano''.  
Il pensiero controrivoluzionario cattolico nasce come reazione alla Rivoluzione Francese e si oppone ai principi di libertà, uguaglianza e democrazia liberale, ritenuti distruttivi dell’ordine naturale e cristiano. 
Tra i principali esponenti ci sono: 
• Joseph de Maistre (1753-1821) → sostenitore della monarchia assoluta e del potere del Papa. 
• Louis de Bonald (1754-1840) → critico della sovranità popolare e difensore dell’ordine tradizionale. 
• Juan Donoso Cortés (1809-1853) → teorico della dittatura come risposta al disordine liberale. 

Schmitt, pur vivendo in un’epoca diversa, condivide con questi autori alcuni elementi chiave, come la critica al liberalismo, l’esaltazione dell’autorità e la visione politica come un conflitto tra ordini opposti. 

Carl Schmitt e Karl Marx sono due pensatori molto diversi, ma entrambi hanno avuto un grande impatto sulla teoria politica. Schmitt, con la sua opera Teologia Politica (1922), sviluppò una visione del potere che contrastava fortemente con il pensiero marxista. 

 Carl Schmitt - Teologia Politica - [Carlo Galli] Parte 2 https://www.youtube.com/watch?v=B3jDcHH5Ekk
1. Carl Schmitt – Teologia Politica (1922) 
• Schmitt afferma la celebre frase: “Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione”. 
• Per lui, la politica è fondata su una distinzione amico/nemico e sulla necessità di un’autorità forte che possa sospendere il diritto in momenti di crisi. 
• Ritiene che lo Stato non possa essere neutrale: il diritto è sempre legato alla decisione politica di chi ha il potere. 
• Sostiene che la modernità ha secolarizzato concetti teologici, trasformando Dio in Stato e il miracolo nel “potere sovrano di sospendere la legge”. 
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2. Karl Marx e la Teoria Politica 
• Per Marx, il potere politico è sempre espressione di un conflitto di classe: lo Stato è lo strumento con cui la classe dominante impone il proprio dominio. 
• Rifiuta ogni concezione del potere come decisione sovrana: la politica è il riflesso di strutture economiche e sociali. 
• Lo Stato, secondo Marx, è un organo di repressione borghese destinato a scomparire con il comunismo. 
• La vera questione politica non è chi comanda, ma come eliminare il dominio di classe attraverso la rivoluzione proletaria. 

C’è un Punto di Contatto? 
• Critica al liberalismo: Entrambi criticano il liberalismo parlamentare, anche se per ragioni opposte. 
• Schmitt lo vede come debole e incapace di prendere decisioni forti. 
• Marx lo vede come un inganno che nasconde il dominio borghese. 
• Il conflitto come motore della politica: 
• Per Schmitt, è la distinzione amico/nemico. 
• Per Marx, è la lotta di classe.

domenica 31 dicembre 2023

Perchè i "liberali" odiano la Democrazia? - Carlo Galli

Da: OttolinaTV - Carlo_Galli (Università di Bologna) è un politico, accademico e filosofo politico italiano.
Vedi anche: Vedi anche: Marx e la storia del pensiero politico - Carlo Galli
Marx e la dialettica - Roberto Fineschi, Carlo Galli

Il video ha inizio al m. 2,05 
                                                                           

lunedì 25 luglio 2022

Ideologia. La lotta per l’oggettività - Carlo Galli -

Da: AccademiaIISF - Carlo_Galli (Università di Bologna) è un politico, accademico e filosofo politico italiano.

Marx e la dialettica - Roberto Fineschi, Carlo Galli



Primo incontro: L’ ideologia prima dell’ ideologia. Dalla caverna al velo di Maja.


Secondo incontro: L’età delle ideologie. Le visioni razionali del mondo e i loro conflitti irrazionali.


Terzo incontro: L’ ideologia dopo le ideologie. Le nuove oggettività soggettive. Il neoliberismo e il politicamente corretto.

 

venerdì 13 marzo 2020

Pensare con Hegel - Vladimiro Giacché

Da: https://www.lettera43.it - Vladimiro Giacché, presidente del Centro Europa Ricerche (CER), è un filosofo ed economista italiano.
Leggi anche: NOTE SUI SIGNIFICATI DI “LIBERTÀ” nei Lineamenti di filosofia del diritto di Hegel*- Vladimiro Giacché 
                       "Totalitarismo", triste storia di un non-concetto* - Vladimiro Giacché 
                        DIALETTICA E TEMPORALITÀ, l’immagine di Hegel nella Dialettica della natura di Engels* - Vladimiro Giacché
                        Il concetto di «capitalismo di Stato» in Lenin - Vladimiro Giacché 
                        Note sulla polisemia di «dialettica»: dal quotidiano alla riflessione formale Stefano Garroni 
                        Marx e Hegel. Contributi a una rilettura - Roberto Fineschi
Vedi anche:   La logica di Hegel "una grottesca melodia rupestre"- Paolo Vinci 
                       La dialettica tra Stato e società civile. A partire da Hegel e Marx - Paolo Vinci 
                       Marx e la dialettica - Roberto Fineschi, Carlo Galli



Nel libro Hegel. La dialettica (Diarkos 2020, 2018 pagine, 18 euro) il pensiero del filosofo tedesco è spiegato in termini chiari e accessibili, ripercorrendone lo sviluppo attraverso i contenuti delle opere principali, per poi offrire un rapido quadro d’insieme della fortuna delle teorie hegeliane presso i filosofi successivi. 


Il capitolo conclusivo (Pensare con Hegel) propone una lettura originale delle principali caratteristiche della filosofia hegeliana, con particolare riferimento ai concetti di “dialettica” e “contraddizione”, ed esamina alcuni importanti utilizzi successivi delle categorie hegeliane. Il testo è accompagnato da un’ampia antologia di pagine di Hegel e dei suoi critici, che consentono un confronto diretto con la filosofia del pensatore tedesco. Di seguito l’estratto. 


UNA FINE E UN INIZIO

«La fine di qualcosa»: così il grande pianista canadese Glenn Gould, rivolgendosi al pubblico prima dell’inizio di uno dei suoi più straordinari concerti, definì la musica di Bach. Il pensiero di Hegel rappresenta l’ultimo grande tentativo sistematico della storia della filosofia, un’ambizione che già la generazione di filosofi successiva abbandonò. Da questo punto di vista la filosofia hegeliana è davvero anch’essa «la fine di qualcosa». Ma d’altra parte è innegabile che il pensiero di Hegel abbia esercitato un’enorme influenza sui filosofi successivi. Alcuni aspetti della sua filosofia hanno esercitato un potente influsso sulla storia – non soltanto del pensiero – sino ai giorni nostri. La filosofia di Hegel è quindi sia una fine che un inizio.

HEGEL E NOI

martedì 5 febbraio 2019

Homo sacer - Giorgio Agamben

 Da: AccademiaIISF - Istituto Italiano per gli Studi Filosofici
 Giorgio_Agamben è un filosofo italiano.

In occasione della pubblicazione dell’edizione integrale di "Homo sacer" Quodlibet, Giorgio Agamben dialoga con Carlo Galli e Geminello Preterossi, introduce Massimiliano Marotta, coordina Paolo Vinci:
                                                 

domenica 10 marzo 2019

Una storia complessa. La teoria dell’accumulazione in Marx - Roberto Fineschi

Da: http://www.consecutio.org/ - Roberto_Fineschi è un filosofo ed economista italiano.- Siena School for Liberal Arts - r.fineschi@sienaschool.com 
1. Introduzione 

L’accumulazione nella struttura teorica del capitale costituisce uno snodo fondamentale, senza il quale l’intero sistema non starebbe in piedi. Non a caso è una delle parti che è stata soggetta ai rimaneggiamenti più consistenti man mano che l’intelaiatura andava definendosi, seconda in questo forse solo alla forma di valore. Rispetto a questa, tuttavia, sempre collocata all’inizio dell’opera, l’accumulazione ha via via cambiato posizione, si è articolata in più passaggi e sezioni nei tre libri, fino a diventare la vera cifra dello sviluppo della teoria di Marx e dei suoi cambiamenti tra le varie redazioni.
La ragione per cui questa parte della teoria è così importante è legata alla metodologia marxiana, in questo eminentemente dialettica. In tale prospettiva, nella propria articolazione interna essa deve produrre come propri risultati quelli che inizialmente erano dei presupposti da essa stessa non posti. Realizzare ciò significa produrre dei “presupposti-posti”: solo grazie a questo il capitale può effettivamente essere un processo, ovvero muovere da se stesso per porre se stesso. Questo modo di procedere per cui la teoria, come dire, ritorna su se stessa autofondandosi è, nell’ottica di Marx, connesso a un’altra tematica che potrebbe sembrare muovere in direzione opposta; vale a dire esso solleva il tema dei “limiti della dialettica” e, più in generale, della concezione materialistica della storia. Infatti, Marx intende mostrare come il modo di produzione capitalistico abbia un punto di partenza non posto da esso stesso, per sostenere come non sia possibile un corso storico universale a priori; le leggi della dialettica teorizzano i rapporti di produzione via via correnti in virtù della loro logica intrinseca che è storicamente determinata e non è generalizzabile in astratto: non la si può estendere come tale ad altri modi di produzione, i quali vanno invece ricostruiti sulla base della logica loro propria. Se questo pone in termini radicali la discontinuità, d’altra parte presenta il rischio teorico di avere una teoria sempre deficitaria in quanto dipendente da elementi esogeni per cui in ogni istante la sua coerenza potrebbe venir meno venendo a mancare tale elemento esogeno.
Il presupposto-posto di cui sopra ovvia a questo problema: grazie a esso la teoria può muoversi sulle proprie gambe. La posta in gioco, dunque, oltre che strutturale nel contesto della teoria del modo di produzione capitalistico, investe un valore metodologico non indifferente. Non a caso è quella che ha subito più rimaneggiamenti e sviluppi in questa doppia ottica. 

mercoledì 3 agosto 2016

Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte* - Karl Marx (1852)


Hegel [1] nota in un passo delle sue opere che tutti i grandi fatti e i grandi personaggi della storia universale si presentano per, così dire, due volte. Ha dimenticato di aggiungere la prima volta come tragedia, la seconda volta come farsa. Caussidière [2] invece di Danton [3], Louis Blanc [4] invece di Robespierre [5], la Montagna del 1848-1851 invece della Montagna del 1793-1795, il nipote invece dello zio. È la stessa caricatura nelle circostanze che accompagnano la seconda edizione del 18 brumaio [6]

Gli uomini fanno la propria storia, ma non la fanno in modo arbitrario, in circostanze scelte da loro stessi, bensì nelle circostanze che essi trovano immediatamente davanti a sé, determinate dai fatti e dalla tradizione. La tradizione di tutte le generazioni scomparse pesa come un incubo sul cervello dei viventi e proprio quando sembra ch’essi lavorino a trasformare se stessi e le cose, a creare ciò che non è mai esistito, proprio in tali epoche di crisi rivoluzionaria essi evocano con angoscia gli spiriti del passato per prenderli al loro servizio; ne prendono a prestito i nomi, le parole d’ordine per la battaglia, i costumi, per rappresentare sotto questo vecchio e venerabile travestimento e con queste frasi prese a prestito la nuova scena della storia. Così Lutero si travestì da apostolo Paolo [7]; la rivoluzione del 1789-1814 indossò successivamente i panni della Repubblica romana e dell’Impero romano [8]; e la rivoluzione del 1848 non seppe fare di meglio che la parodia, ora del 1789, ora della tradizione. rivoluzionaria del 1793-1795. Così il principiante che ha imparato una lingua nuova la ritraduce continuamente nella sua lingua materna ma non riesce a possederne lo spirito e ad esprimersi liberamente se non quando si muove in essa senza reminiscenze, e dimenticando in essa la propria lingua d’origine.

Al solo considerare queste evocazioni storiche di morti, si palesa tosto una spiccata differenza. Camille Desmoulins [9], Danton, Robespierre, Saint-Just [10], Napoleone, tanto gli eroi quanto i partiti e la massa della vecchia Rivoluzione francese adempirono, in costume romano e con frasi romane, il compito dei tempi loro, quello di liberare dalle catene e di instaurare la moderna società borghese. Gli uni spezzarono le terre feudali, e falciarono le teste feudali cresciute sopra di esse. L’altro creò nell’interno della Francia le condizioni per cui poté cominciare a svilupparsi la libera concorrenza, poté essere sfruttata la proprietà fondiaria suddivisa, e poté essere impiegata la forza produttiva industriale, della nazione liberata dalle sue catene; e al di là dei confini della Francia spazzò dappertutto le istituzioni feudali, nella misura in cui ciò era necessario per creare alla società borghese in Francia un ambiente corrispondente sul continente europeo [11]. Una volta instaurata la nuova formazione sociale disparvero i mostri antidiluviani; e con essi disparve la romanità risuscitata: i Bruti, i Gracchi, i Publicola, i tribuni, i senatori e lo stesso Cesare [12].

venerdì 16 giugno 2023

Dov’è il fascismo oggi? Processi di concentrazione neoliberale del potere, stato d’eccezione e ricolonizzazione del mondo - Stefano G. Azzarà

 Da: http://www.dialetticaefilosofia.it, settembre 2022 - Questo testo è stato pensato e scritto su richiesta di una rivista tedesca. Ciò spiega la presenza di alcune spiegazioni che possono essere ovvie e scontate per un lettore italiano. L’analisi sviluppata prescinde inoltre da quelli che saranno i risultati effettivi delle elezioni italiane del 25 settembre, visto che i riferimenti all’attualità più contingente sono solo un punto d’appiglio per un ragionamento più ampio. Alcuni passaggi, tuttavia, potranno essere aggiornati dopo quella data. - 

Stefano G. Azzarà insegna Storia della filosofia politica all’Università di Urbino. È segretario alla presidenza dell’Internationale Gesellschaft Hegel-Marx. Dirige la rivista “Materialismo Storico”(materialismostorico - http://materialismostorico.blogspot.com). È impegnato in un confronto tra le grandi tradizioni filosofico-politiche della contemporaneità: liberalismo, conservatorismo, marxismo.

Leggi anche: Domenico Losurdo e la comune umanità tra categorie del pensiero e conflitto sociale. - Salvatore Favenza 

IL VIRUS DELL'OCCIDENTE: la falsa alternativa tra democrazia liberale e sovranismo populistico, ovvero socialsciovinismo. - Stefano G. Azzarà 


1. Antifascismo degradato a propaganda

Non c’è dubbio che in Fratelli d’Italia – il partito di Giorgia Meloni che tutti i sondaggi indicano come vincitore delle prossime elezioni con il 24% circa dei consensi – ci siano forti nostalgie fasciste o fascisteggianti. Diversi suoi esponenti nazionali e locali rappresentano già per la loro biografia la continuità con il MSI, la formazione che dopo la nascita della Repubblica italiana, aveva raccolto gli eredi del fascismo sconfitto e che è stato a lungo guidato da Giorgio Almirante (un funzionario della Repubblica di Salò che nel contesto della Guerra Fredda seppe subito riposizionarsi in chiave filoamericana e anti-PCI). E la stessa Meloni è stata dirigente del Fronte della Gioventù, organizzazione giovanile del MSI incline a un impegno “sociale” e “movimentista” e attiva nelle scuole e nelle Università; un’organizzazione il cui nome venne cambiato in Azione Giovani dopo che quel partito era stato a sua volta ridenominato come Alleanza Nazionale da Gianfranco Fini, allo scopo di essere ammesso al governo, e della quale la Meloni divenne a quel punto leader. Tra l’altro, se Alleanza Nazionale si presentava nel 1994 come un’operazione di fuoriuscita della destra italiana dall’orizzonte della nostalgia e di apertura a un’impostazione dichiaratamente liberalconservatrice, Fratelli d’Italia – che nasce nel 2012 proprio dal fallimento di quell’operazione – ha certamente rappresentato ai suoi esordi un ritorno verso un orizzonte più chiuso. Dobbiamo poi notare un’inquietante ricorrenza storica: il partito che sin dal simbolo si richiama all’eredità del fascismo (la fiamma tricolore che si innalza dalla bara stilizzata del Duce) potrebbe andare al potere esattamente 100 anni dopo la Marcia su Roma di Mussolini. Possiamo già immaginare la soddisfazione e il sentimento di vendetta di quel ceto politico e dei militanti più accesi di quel partito. E possiamo prevedere anche l’operazione di revisionismo storico e di ulteriore normalizzazione o riabilitazione del fascismo alla quale questa infausta coincidenza darà avvio nel dibattito pubblico.

lunedì 24 ottobre 2022

DOV'È IL PERICOLO DEL FASCISMO OGGI? - Stefano G. Azzarà

Da: http://www.dialetticaefilosofia.it - https://www.marxismo-oggi.it - Stefano G. Azzarà insegna Storia della filosofia politica all’Università di Urbino. È segretario alla presidenza dell’Internationale Gesellschaft Hegel-Marx. Dirige la rivista “Materialismo Storico”(materialismostorico - http://materialismostorico.blogspot.com). È impegnato in un confronto tra le grandi tradizioni filosofico-politiche della contemporaneità: liberalismo, conservatorismo, marxismo.

Vedi anche: Stefano G. Azzarà: "IL VIRUS DELL'OCCIDENTE" - a cura di Elena Fabrizio 
Esistono ancora destra e sinistra? - Stefano G. Azzarà

Leggi anche: IL VIRUS DELL'OCCIDENTE: la falsa alternativa tra democrazia liberale e sovranismo populistico, ovvero socialsciovinismo. - Stefano G. Azzarà 

Il 25 aprile, la Resistenza italiana e la guerra in Ucraina. Antifascismo reale e antifascistismo liberale - Stefano G. Azzarà 


Dov’è il fascismo oggi? Processi di concentrazione neoliberale del potere, stato d’eccezione e ricolonizzazione del mondo. (Stefano G. Azzarà, settembre 2022)

  1. Antifascismo degradato a propaganda 

Non c’è dubbio che in Fratelli d’Italia – il partito di Giorgia Meloni che tutti i sondaggi indicano come vincitore delle prossime elezioni con il 24% circa dei consensi – ci siano forti nostalgie fasciste o fascisteggianti. Diversi suoi esponenti nazionali e locali rappresentano già per la loro biografia la continuità con il MSI, la formazione che dopo la nascita della Repubblica italiana aveva raccolto gli eredi del fascismo sconfitto e che è stato a lungo guidato da Giorgio Almirante (un funzionario della Repubblica di Salò che nel contesto della Guerra Fredda seppe subito riposizionarsi in chiave filoamericana e anti-PCI).

E la stessa Meloni è stata dirigente del Fronte della Gioventù, organizzazione giovanile del MSI incline a un impegno “sociale” e “movimentista” e attiva nelle scuole e nelle Università; un’organizzazione il cui nome venne cambiato in Azione Giovani dopo che quel partito era stato a sua volta ridenominato come Alleanza Nazionale da Gianfranco Fini, allo scopo di essere ammesso al governo, e della quale la Meloni divenne a quel punto leader. Tra l’altro, se Alleanza Nazionale si presentava nel 1994 come un’operazione di fuoriuscita della destra italiana dall’orizzonte della nostalgia e di apertura a un’impostazione dichiaratamente liberalconservatrice, Fratelli d’Italia – che nasce nel 2012 proprio dal fallimento di quell’operazione – ha certamente rappresentato ai suoi esordi un ritorno verso un orizzonte più chiuso. Dobbiamo poi notare un’inquietante ricorrenza storica: il partito che sin dal simbolo si richiama all’eredità del fascismo (la fiamma tricolore che si innalza dalla bara stilizzata del Duce) potrebbe andare al potere esattamente 100 anni dopo la Marcia su Roma di Mussolini. Possiamo già immaginare la soddisfazione e il sentimento di vendetta di quel ceto politico e dei militanti più accesi di quel partito. E possiamo prevedere anche l’operazione di revisionismo storico e di ulteriore normalizzazione o riabilitazione del fascismo alla quale questa infausta coincidenza darà avvio nel dibattito pubblico.

martedì 16 febbraio 2016

Le classi nel mondo moderno* - Alessandro Mazzone

*Da:   http://www.proteo.rdbcub.it/
Seconda parte:   http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/04/le-classi-nel-mondo-moderno-la.html 
Terza parte:    http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/04/le-classi-nel-mondo-moderno-iii-nuove.html

Chi edificò Tebe dalle sette porte?
Nei libri stanno nomi di re.
Furono i re a trascinare i blocchi di pietra?
E Babilonia, distrutta più volte,
Chi la rifabbricò, altrettante volte?
Dove abitavano i costruttori in Lima splendente d’oro?
E la sera, in cui fu terminata la muraglia cinese, dove andarono
I muratori? La grande Roma
È piena di archi di trionfo. Chi li eresse? Su chi
Trionfavano i Cesari? E Bisanzio tanto celebrata
Aveva soltanto palazzi per i suoi abitatori? Perfino nella leggendaria Atlantide
Nella notte in cui il mare la inghiottì, urlavano ancora
Annegando, per chiamare i loro schiavi.
Il giovane Alessandro conquistò l’India.
Da solo?
Cesare vinse i Galli.
Non aveva con se almeno un cuoco?
Filippo di Spagna pianse, sentendo che la sua flotta
Era andata a picco. Non pianse pure qualcun altro?
La guerra dei Sette Anni fu vinta da Federico secondo. Chi    
Vinse, oltre a lui?
A ogni pagina, una vittoria.
Chi preparò il banchetto?
Ogni dieci anni, un grand’uomo.
Chi ne pagò le spese?
Tante notizie.
Altrettante domande.

Bertolt BRECHT: Domande di un operaio che legge.

Rappresentazione e concetto

1. In un certo senso la nozione delle classi, in cui le società umane si dividono, è antichissima. Nella legislazione e nella poesia mesopotamica, essa è documentata almeno dal 2° millennio a.c.. Nei bassorilievi e nei papiri dell’antico Egitto, inservienti e schiave sono raffigurati come assai più piccoli dei potenti cui stanno a fianco. Gli schiavi compaiono come normale elemento della vita associata nella Bibbia, in Omero, in Esiodo. Per non parlare della Grecia classica e di Roma antica [1].
In tutti questi testi e documenti storici, come in quelli del Medioevo e poi dei secoli più vicini a noi, è presente e onnipervasiva la gerarchia sociale, il rapporto di comando e di servizio, il carattere strumentale dei ceti inferiori, l’ossequio tributato a potenti e padroni, l’ “ordine” sociale che in tutto questo si manifesta e vige, la sporadica rivolta e la sua repressione [2]. Chi volesse espungere la presenza dell’”alto” e “basso”, del “padrone” e del “servo” nella storia, poesia, arte dei millenni che conosciamo (perché appunto tramandarono di sé memoria storica, documentale, non soltanto archeologica) dovrebbe cancellare tutti i documenti di 5 o 6 millenni, o mutilarli fino a renderli incomprensibili.