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martedì 8 luglio 2025

Ottusità - Alessandro Volpi

Da: https://www.facebook.com/alessandro.volpi.5 - Alessandro Volpi docente di Storia contemporanea, di Storia del movimento operaio e sindacale e di Storia sociale presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa.

Leggi anche: Forza militare per coprire debolezza economica. Al b-movie di Trump pare credere solo l’Europa - Alessandro Volpi 


La guerra commerciale degli Stati Uniti verso l'Europa è in corso, con dazi al 10%, come tariffa generale, al 25% sull'automotive e al 50% su acciaio e alluminio. 

Per dare un solo dato, esemplificativo, di questo quadro, è sufficiente ricordare che le esportazioni di acciaio italiane negli Stati Uniti sono passate da 900 mila tonnellate a meno di 250 mila. 

Ora, Trump, in attesa della scadenza della moratoria il cui termine finale è fissato al 9 luglio, minaccia di aggravare la situazione e fa sapere che stanno per partire lettere in cui sono contenuti aumenti unilaterali dei dazi fino al 70%. 

In particolare, per i prodotti agricoli europei, i dazi minacciati sono previsti ad oltre il 17%: è evidente che si tratta di una misura molto pesante per l'Italia che esporta in Usa prodotti agricoli per quasi 8. miliardi di euro l'anno. 

In estrema sintesi le guerre commerciali, e in particolare, quelle contro l'Europa sono destinate a infuocarsi, con danni rilevanti sulle nostre filiere produttive. 

C'è una ragione di questo inasprimento: gli Stati Uniti hanno bisogno di soldi. Il costo del collocamento del debito federale è diventato insostenibile e l'appena approvato Big Beautiful Bill prevede una ulteriore riduzione delle tasse agli americani, soprattutto, di quelli che hanno patrimoni finanziari, che deve essere coperta - secondo il dettato della stessa legge - con maggiori entrate dai dazi. 

Dunque, per gli Stati Uniti porre dazi pesanti e costringere i paesi che esportano in terra americana a pagarli è diventata una condizione di sopravvivenza. Senza le entrate dei dazi, il presidente Trump rischia di essere il primo presidente a dichiarare fallimento. 

E' evidente allora che la questione dei dazi presenta, appunto, i tratti della guerra e, alla luce di ciò, tutte le genuflessioni europee sono davvero tragiche e ridicole al tempo stesso. 

Se l'Europa, e il fantastico governo italiano in primis, non capisce che Trump sui dazi non può fare sconti, il disastro economico sarà molto rapido perché alle gigantesche commesse alle industrie delle armi Usa, al trasferimento, attraverso i grandi fondi, del risparmio europeo verso i titoli americani, si aggiungono dazi che strangolano un sistema produttivo come quello europeo che è stato, purtroppo, per anni "drogato" dalla possibilità di vendere Oltreoceano, supplendo alla domanda interna impoverita da folli austerità. 

Il capitalismo americano è in profonda crisi e per sopravvivere sta strangolando l'Europa che pare ben felice di farsi strangolare per evitare proprio il crollo del capitalismo stesso. 

Naturalmente, come ha scritto qualcuno, le guerre commerciali sono guerre di classe e a farne le spese saranno in primis le fasce di popolazione con redditi bassi, destinate a subire licenziamenti, riduzioni delle retribuzioni, per abbassare i prezzi dei beni sottoposti a dazi Usa, e gli inevitabili effetti inflazionistici. 

Ma dobbiamo accettare tutto questo perché il 4 luglio è diventata la vera festa nazionale italiana. 

sabato 25 ottobre 2025

La BOLLA sta per esplodere. Meloni impone agli italiani di metterci tutti i loro risparmi - Alessandro Volpi

Da: OttolinaTV - Alessandro Volpi docente di Storia contemporanea, di Storia del movimento operaio e sindacale e di Storia sociale presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. - Alessandro Volpi

"Come si "militarizza" il risparmio. Haneft è una società specializzata nella produzione di Etf, strumenti finanziari che replicano indici o titoli sottostanti. Di recente, in seguito al riarmo europeo, alla maggior spesa per la Nato, al moltiplicarsi di tensioni belliche, ha concepito due Etf relativi al settore della "difesa", il primo dei quali replica i titoli delle società che beneficeranno degli acquisti di armi dalla Nato mentre il secondo è relativo ad un indice che contiene società di produzione di armi. Il dato singolare è che questi due Etf hanno ricevuto l'etichetta Esg e sono stati così ambientalmente e socialmente "sostenibili". Ciò significa che possono rientrare tra gli impieghi dei fondi pensione degli italiani e delle italiane. Ad oggi hanno già raccolto quasi 5 miliardi di euro. In sintesi, la finanza si militarizza e vende i suoi prodotti a chi si vuole fare una pensione perché lo Stato non gliela garantisce più." (21/10/2025)

"Dove vanno i soldi dei fondi pensione italiani. Secondo i dati dell'autorità di vigilanza (Covip) a fine 2024 i risparmi gestiti dai fondi pensione italiani erano pari a 243 miliardi di euro e per oltre il 50% si indirizzano verso azioni e obbligazioni estere. I titoli azionari maggiormente presenti nei portafogli dei fondi pensione italiani sono in ordine di valore: Microsoft, Apple, Alphabet (Google), Amazon e Nvidia. In pratica i fondi pensione italiani dipendono dall'andamento delle grandi società americane. Forse così è più chiara l'enorme subalternità italiana dagli Stati Uniti." (24/10/2025)

                                                                             

venerdì 8 agosto 2025

Chi paga? - Alessandro Volpi

Da: Alessandro Volpi -  Alessandro Volpi docente di Storia contemporanea, di Storia del movimento operaio e sindacale e di Storia sociale presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. 

Chi paga 
MI scuso in anticipo per i toni molto polemici. Non sono ancora chiari gli effetti dell'atto di sottomissione europea agli Stati Uniti consumatosi nel golf club scozzese di proprietà di Donald Trump ma, intanto, partono le stime delle possibili conseguenze sull'economia italiana e le, immancabili, richieste di sostegno da parte delle imprese. La stima, molto artificiale, è vicina ai 23 miliardi di euro e si parla di migliaia di posti di lavoro in pericolo, per cui Confindustria e altre associazioni di categoria hanno subito indirizzato al governo un forte grido di dolore. 
Il presidente di Confindustria, Orsini, ha persino sostenuto la necessità di una sorta di patto con i sindacati, che in realtà sembrano aver accolto l'ipotesi con un certo favore, per trovare risorse pubbliche a difesa delle "imprese e dei lavoratori italiani". 

Dunque, siamo di fronte all'ennesima domanda di sussidi che, naturalmente, verranno pagati dalla fiscalità generale: o meglio da quelli che pagano le tasse, cioè poco meno del 40% del totale dei contribuenti. Ora, questa richiesta merita una considerazione, polemica appunto. 
Ma i sussidi, pagati dalla collettività che paga (non è un refuso), devono servire perché le imprese italiane che vendono negli Stati Uniti possano continuare a vendere lì? 

In altre parole, di fronte ai dazi di Trump, le imprese che perderebbero "competitività" e licenzierebbero, magari grazie alle normative "semplificatorie" partorite negli ultimi anni, otterrebbero dallo Stato, e quindi dalla collettività che paga le imposte, le risorse per pagare i dazi Usa senza dover ridurre i profitti, perché altrimenti procederebbero a licenziare? 

Per essere ancora più chiari: Trump mette i dazi e le imprese che per anni hanno fatto la loro "strategia" industriale creandosi una dipendenza dal mercato estero, con il pieno supporto dei governi succedutisi in carica, senza grandi distinzioni, ora chiedono allo Stato le risorse per continuare questa pratica, dimostratasi fallimentare? 

Lo Stato, quindi la collettività, paga per le imprese i dazi di Trump e continua a rinunciare, come ha fatto per anni, a immaginare politiche industriali che non rendano il sistema produttivo italiano ricattabile dagli Stati Uniti in primis e che non si affidino solo al contenimento del costo del lavoro? 

E' questo il modello delle associazioni di categoria e avallato dai sindacati? 

Mi auguro proprio di no, anche perché, intanto, le "imprese" fanno grandi affari. Exor degli Elkann ha venduto, in un colpo solo, tutta Iveco, compresa la divisione Iveco Defense, spacchettando l'operazione in due con la parte "civile" ceduta a Tata, attraverso Opa, per 3,8 miliardi di euro, e la parte militare a Leonardo per 1,7 miliardi. In pratica 5,5 miliardi di euro che vanno direttamente in tasca ai grandi azionisti di Iveco: Exor, appunto, che ha il 27%, Norges Bank e il fondo americano Arcadia, dove sono presenti le immancabili Big Three. 

Dunque, di fronte ai dazi, per cui Confindustria e c. chiedono un grande patto con soldi pubblici, Elkann e amici guadagnano 5,5 miliardi liberandosi di una società che ha quasi 10 mila dipendenti solo in Italia. Ma c'è di più: Iveco Defense, che ha commesse dallo Stato italiano per una ventina di miliardi, passa nelle mani di Leonardo - dove sono ben presenti i grandi fondi Usa - e accentua la sua vocazione militare anche per effetto della joint venture fra Leonardo e Baykar, la società turca, di proprietà del re dei droni Selcuk Bayraktar. 

Di nuovo, in sintesi, "l'imprenditoria" italiana vende per fare tanti soldi, che reinvestirà in ambito finanziario, e cede un pezzo della sua proprietà a imprese che vivono di armi. Anche in questo caso con il consenso dei sindacati perché le tre sigle congiunte dell'industria meccanica hanno salutato con grande favore la formazione del cartello Leonardo/Baycar, Iveco Defense. 

Colonnello non voglio il pane, dammi il piombo per il mio moschetto, recitava nel 1942 la Sagra di Giarabub. 

giovedì 26 giugno 2025

Forza militare per coprire debolezza economica. Al b-movie di Trump pare credere solo l’Europa - Alessandro Volpi

Da: https://altreconomia.it - Alessandro Volpi docente di Storia contemporanea, di Storia del movimento operaio e sindacale e di Storia sociale presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. 


Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il segretario generale della Nato, Mark Rutte, all'avvio del vertice dell'Alleanza atlantica a L'Aia il 24 giugno 2025 © Shutterstock Editorial / IPA 


Di fronte allo sgretolamento dei beni rifugio simbolo degli Stati Uniti, ovvero il dollaro e il debito, il presidente, mettendosi un cappellino rosso in testa e creando una war room da film di quart’ordine, ha pensato di persuadere il mondo del “Primato” statunitense, schierando la potenza militare, ormai l’unico vero elemento di forza degli Usa. Che però sanno, a queste condizioni, di potersi permettere ancora per poco. L’analisi di Alessandro Volpi 


Uno dei motivi principali dell’attacco degli Stati Uniti all’Iran è stato probabilmente la volontà di Donald Trump di dimostrare la propria forza militare nel tentativo di riconquistare la “fiducia” del mondo, o di una parte di esso, nei confronti dei simboli dell’economia statunitense, costituiti dal dollaro e dai titoli del debito pubblico.  

In realtà non si tratta solo di simboli perché il dollaro sta perdendo sempre più rapidamente la condizione di valuta di riserva e di scambio internazionale; una condizione che permetteva alla Federal reserve (Fed) di stampare dollari a suo piacimento per finanziare la spesa federale americana, dunque per coprire gli investimenti militari, per fare giganteschi salvataggi come nel caso delle banche dopo la crisi economica del 2007-2008, per stimolare i consumi interni con continui incentivi e per evitare di aumentare le imposte.  

Oggi questa prerogativa, di fatto, non esiste più: solo nei confronti dell’euro il dollaro è ormai ben sotto la parità, con un cambio sceso da 0,95 a 0,86 in pochissimo tempo e non si tratta solo di una manovra di voluta svalutazione ma di vera perdita di credibilità, ancora più marcata verso altre monete mondiali. In queste condizioni se gli Stati Uniti emettessero carta moneta per affrontare la crisi -cosa che non fanno peraltro dal 2020- è molto probabile che il dollaro vedrebbe ulteriormente ridotto il proprio valore. 

sabato 23 agosto 2025

Il più grande nemico dell’umanità: l’imperialismo straccione europeo - Paolo Ferrero, Alessandro Volpi

Da: dignità TV - Paolo Ferrero è un politico italiano, Ministro della solidarietà sociale del Governo Prodi II dal 17 maggio 2006 all'8 maggio 2008. È stato segretario di Rifondazione Comunista dal 27 luglio 2008 al 2 aprile 2017 - Alessandro Volpi docente di Storia contemporanea, di Storia del movimento operaio e sindacale e di Storia sociale presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. 

                                                                           

giovedì 12 agosto 2021

Il filosofo democratico - José Luis Villacañas

Pubblicato su “Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane", n° 2/2020, a cura di Stefano G. Azzarà, licenza Creative Commons BY-NC-ND 4.0 (http://ojs.uniurb.it/index.php/materialismostorico) - Questo testo è stato pubblicato in spagnolo sul quotidiano “Levante” il 23 marzo 2020. La traduzione italiana è di Alessandro Volpi. - José Luis Villacañas (Universidad Complutense de Madrid) è un professore, filosofo politico, storico della filosofia e storico delle idee politiche, concetti e mentalità spagnola.
Epidemie, storia, capitalismo. Passi indietro e passi avanti. - Roberto Fineschi
I fondamenti filosofici della società virale: Nietzsche e Hayek dal neoliberalismo al Covid-19 - Paolo Ercolani 
Lo Stato, il Pubblico, il Comune: tre concetti alla prova della crisi sanitaria - Etienne Balibar


Nella rete si rincorrono le critiche: dove sono i filosofi? I giornali titolano: “una crisi priva di bussola”, come se fossimo senza una rotta perché i filosofi non riescono a tracciarla. Questi ammonimenti devono aver infastidito qualcuno,  che  quindi  si è  lanciato in  diagnosi  e  pronostici.  Complessivamente, tanto gli uni come gli altri sono autoaffermativi. I filosofi sono troppo raffinati per assumere un atteggiamento paternalistico e proclamare “ve lo avevo detto”. Ma, anche se in una maniera più raffinata, ognuno ci vuole far pensare che la realtà gli dà ragione. È una forma speciale di godimento. Per molti anni, in solitudine, hanno assemblatole proprie costruzioni mentali. Ora si tratta di una cosa diversa. La realtà, finalmente, si piega davanti all’onnipotenza del loro pensiero. 

E qui prende avvio un moto circolare. Così come ciò che uno ha pensato lungo  quaranta  anni  deve  inevitabilmente  essere  eterodosso,  e  presumibilmente strampalato, ancor di più lo sarà questo momento glorioso, in cui qualcuno  crede che la realtà gli stia dando ragione. Così che i loro  interventi di fronte alla  crisi,  dettati  da  questa  attitudine,  non  possono  coincidere  con l’esperienza generale, né con il senso comune. Le loro dichiarazioni sono quindi necessariamente accolte dalla maggioranza dei lettori con un intenso scetticismo. E dato che, inoltre, saranno propensi ad approfittare della situazione per rinnovare antiche polemiche con altri colleghi, subito si invischieranno in dibattiti che saranno comprensibili solo ai più prossimi. 

Di solito, quando la situazione è normale, le loro trovate ci fanno evadere dalla noia e i loro complessi ragionamenti soddisfano la necessità del nostro permanente attivismo neuronale. Ma quando la realtà si impone, e reclama la nostra attenzione, cioè quando non ci stiamo annoiando, l’invito ad introdurci nell’intricato mondo dei loro giochi ingegnosi viene di solito ricevuto con un giustificato disprezzo che può arrivare fino alla noia e all’avversione.