*Da "tracciati dialettici (note di politica e cultura)" Stefano Garroni, Edizioni Kappa
"<Da premesse contraddittorie, qualunque conclusione è inferibile>
Interpreto questo enunciato come un divieto, come l'indicazione di una 'mossa' proibita: ed è proprio per questo, che lo indico con R - in quanto 'regola grammaticale' del calcolo logico.
Insomma, attribuisco ad R questo senso: enunciati costruiti secondo il modello indicato, non sono corretti perché renderebbero impossibile il calcolo logico; il divieto implicito in R va rispettato, se l'obbiettivo è giocare quel gioco determinato, detto 'calcolo logico'.
Ma rientra la dialettica dentro 'questo' gioco determinato?..."
La teoria Marxista poggia la sua forza sulla scienza... che ne valida la verità, e la rende disponibile al confronto con qualunque altra teoria che ponga se stessa alla prova del rigoroso riscontro scientifico... il collettivo di formazione Marxista Stefano Garroni propone una serie di incontri teorici partendo da punti di vista alternativi e apparentemente lontani che mostrano, invece, punti fortissimi di convergenza...
mercoledì 10 giugno 2015
martedì 9 giugno 2015
"RICOLONIZZAZIONE", dall’esperienza storica del presente - Edoarda Masi
L’espansione del capitale ha alterato equilibri precedenti,
e non è dimostrabile che costituisca un “progresso”, giacché dovunque arriva
produce sottosviluppo e povertà crescente, oltre che disintegrazione sociale e
distruzione di civiltà. Non solo, ma questi risultati sono necessari alla
sussistenza del meccanismo di accumulazione del capitale stesso. Tanto che al
periodo di rapina nelle regioni del mondo non capitalistiche succede al
presente una tendenziale riduzione al sottosviluppo di zone già capitalistiche,
all’interno delle società cosiddette avanzate o nel pianeta. Così vediamo
ridotti al rango di colonie grandi paesi già liberi e semicapitalistici, e
all’interno del cosiddetto Occidente si riproducono rapporti di lavoro che
credevamo appartenere al passato (sfruttamento dei minori) o addirittura al
lontano passato (riduzione in schiavitù). Non si tratta di fenomeni marginali,
ma della stessa essenza del sistema del capitale al livello più “sviluppato”. L’imperialismo
conduce oggi a una sorta di ricolonizzazione, che parte dalle sfere già
colonizzate ma tende ad allargarsi generalmente. La questione se questo
processo sia ulteriormente possibile è tutt’uno con la domanda se vi sia spazio
per una ulteriore sopravvivenza del sistema che lo postula.
lunedì 8 giugno 2015
Storiografia degli strati di tempo. Una rilettura dell’accumulazione - Massimiliano Tomba
Delle lotte operaie hanno così indirettamente messo in
essere una maggiore concentrazione operaia e
quindi anche una
maggiore potenza di
classe. Diversamente, lo
sviluppo tecnologico può permettere anche
una disintegrazione dei
grandi concentramenti operai,
dando luogo a una
centralizzazione finanziaria e
produttiva senza concentrazione di
operai. In questo
caso è il capitale a trovarsi in una posizione di forza,
complice l’ideologia del progresso e lo sviluppo tecnico.
«Questa è la
ragione – scrive ancora Marx
nella Prefazione (Das Kapital) – per
la quale in questo volume ho dato un posto così
esteso, fra l’altro, alla storia, al contenuto e ai risultati della
legislazione inglese sulle
fabbriche».
Se una massa
di proletari era così stata prodotta attraverso la dissoluzione del
sistema feudale, bisognava ora disciplinarla, farla muovere al tempo
cronometrico del mercato:
domenica 7 giugno 2015
L’INFERIORITÀ DELLA DONNA TRA NATURA E CULTURA - Alessandra Ciattini
Sottomissione alla specie
Questo intervento prende le mosse da un problema teorico
assai dibattuto e che costituisce un topos della riflessione classica sia
antropologica che filosofica. Mi riferisco in particolare alla vexata quaestio
della controversa relazione tra natura e cultura che, negli ultimi decenni, da
quando cioè si è affermato il cosiddetto pensiero postmoderno, è stata
apparentemente risolta mettendo esclusivamente l'accento sulla dimensione
culturale, a cui vengono ridotte tutte le forme di materialità, siano esse di
natura biologica che di natura economica.
Contro questa posizione che, per contrastare il riduzionismo
materialistico, ricade inevitabilmente in una visione di stampo idealistico
definita “culturalismo” (anch'essa riduzionistica seppure in senso diverso),
vorrei richiamarmi a quanto scrive Terry Eagleton nel suo efficace pamphlet (Le
illusioni del postmodernismo, 1998), dove rifiuta la tendenza a dissolvere la
natura nella cultura e viceversa, indicando una ipotesi alternativa, anche se
non certo nuova. Infatti, egli afferma: <<noi... siamo esseri culturali
in virtù della nostra natura, cioè in virtù del corpo che abbiamo e del tipo di
mondo cui esso appartiene>>. A queste parole egli aggiunge una
riflessione, che si ispira certamente all'antropologia di Sigmund Freud, e che
qui riportiamo: <<Poiché nasciamo tutti prematuramente, incapaci di
provvedere a noi stessi, la nostra natura contiene una voragine nella quale la
cultura deve immettersi all'istante, altrimenti periremmo ben presto. E questa
immissione della e nella cultura è insieme la nostra gloria e la nostra
catastrofe>> (1998: 87).
mercoledì 3 giugno 2015
Soren Kierkegaard - Antonio Gargano
...Specie tra i comunisti si trova spesso quello che dice:
"bisogna legare teoria e pratica e quindi: studia, però poi vai a dare i
volantini". Pensando, in questo modo, di legare teoria e pratica, perché
la si vede un po' cristianamente come una vicenda "mia personale", e
non si comprende che la mediazione avviene per es. nel partito,
nell'organizzazione, nel grande e non nella vicenda personale...
In Kierkegaard è
centrale questo motivo del "commitment" personale, dell'impegno
quotidiano. Ho usato il termine inglese commitment, l'impegno quotidiano,
perché questo del commitment è un problema che si fa sentire molto nel '600/'700,
in particolare attraverso autori inglesi come Locke, come Hume per es. E il
commitment è appunto il fatto che un certo pensiero, una certa teoria ha un
risvolto pratico-operativo, etico-politico. Una certa teoria intanto è
sostenuta in quanto ha quella ricaduta etico-politica, e dunque implica un
atteggiamento da un lato di critica, verso una separatezza della filosofia
rispetto alla dimensione etico-politica, e dall'altro lato ha dietro quella
diffidenza di tipo empiristico, contro la teoria che non sia rapportabile ad
esperienze. Ora aggiungiamo un terzo fattore molto importante che è questo:
alla fine del '700 si afferma nel mondo protestante, il "pietismo".
Il senso fondamentale del pietismo è quello della fede come militanza pratica,
quindi non tanto come momento riflessivo, teologico, quanto invece come impegno
personale, come vincolo a un rispetto costante, una messa in pratica costante
della morale cristiana.
E' molto interessante che sia in Kierkegaard, sia in
Nietzsche, noi troviamo con abbondanza pagine che criticano la società di
massa, quella che noi oggi vediamo tutti i giorni, e che queste menti grandi
hanno anticipato rispetto alla nostra quotidianità; e quindi sia Kierkegaard
sia Nietzsche si sono prestati molto bene a questo atteggiamento di denuncia e
di critica della quotidianità capitalistica. (S. Garroni)
martedì 2 giugno 2015
SAGGI SULLA TEORIA DEL VALORE DI MARX - Isaak Ilijc Rubin
...una volta ridotte le forme socio-economiche al loro
contenuto tecnico-materiale, gli economisti classici considerano esaurito il
proprio compito. Ma proprio dove finisce la loro analisi, Marx inizia la
propria. Poiché non era limitato dall'orizzonte economico borghese, ma lo
considerava uno dei possibili modi storici di organizzazione economica, Marx si
chiese: perché il contenuto tecnico-materiale del processo lavorativo a un dato
livello di sviluppo delle forze produttive si presenta in una particolare,
determinata forma sociale? La formulazione metodologica del problema in Marx
suona approssimativamente: perché il lavoro assume la forma di valore, i mezzi
di produzione quella di capitale, i mezzi di sussistenza dei lavoratori quella
di salario, la crescente produttività del lavoro la forma di un crescente
plusvalore?
"Come in generale
per ogni scienza storica e sociale, nell'ordinare le categorie economiche si
deve sempre tener fermo che, come nella realtà così nella mente, il soggetto -
qui la moderna società borghese - è già dato, e che le categorie perciò
esprimono modi d'essere, determinazioni d'esistenza, spesso soltanto singoli
lati di questa determinata società, di questo soggetto.[...]Anche nel metodo
teorico, perciò, la società deve essere sempre presente alla rappresentazione
come presupposto." (K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica)
Partendo dunque da un concreto presupposto sociologico,
dalla struttura sociale di una data economia, l'economia politica deve
anzitutto fornirci le caratteristiche di questa formazione socio-economica e i
rapporti di produzione ad essa specifici. Marx descrive tali caratteri nella
sua "teoria del feticismo della merce", che andrebbe perciò più
correttamente definita una teoria generale dei rapporti di produzione
dell'economia mercantile capitalistica.
Riassumendo, nella 'Sacra Famiglia' la contraddizione è
posta tra l'elemento "umano" dell'economia e le forme materiali
"alienate" ed è un'opposizione tra l'ideale e la realtà. Nella
'Miseria della filosofia' Marx giunge a cogliere la presenza dei rapporti
sociali di produzione sotto l'apparenza reificata delle cose. In 'Per la critica' viene colto
l'elemento specifico dell'economia mercantile nel carattere reificato degli
stessi rapporti di produzione. La descrizione specifica del fenomeno e la
spiegazione della sua oggettiva necessità in una economia mercantile la
troviamo nel I libro del 'Capitale' soprattutto in rapporto al valore di
scambio, al denaro, al capitale. Nel III libro, infine, Marx ci da un'ulteriore
anche se frammentaria trattazione della teoria, nel capitolo sulla 'Formula
trinitaria'. Qui Marx sviluppa il concetto in rapporto alle categorie centrali
dell'economia capitalistica, mettendo in particolare risalto la specifica "connessione"
dei rapporti sociali di produzione con il processo di produzione materiale.
copia/incolla per aprire il file (completo):
lunedì 1 giugno 2015
SULLA DEUTSCHE IDEOLOGIE* - Stefano Garroni
*Da "Dialettica e differenza", Stefano Garroni, La città del sole
Mi pare plausibile che la decisione di Marx ed Engels non solo di non pubblicare, ma neppure di finire 'Die deutsche ideologie' possa spiegarsi esattamente in questo modo: partiti da una sostanziale assimilazione delle tesi neo-hegeliane a quelle dello stesso Hegel, nel corso della loro 'resa dei conti critica', Marx ed Engels penetrano meglio il pensiero di quest'ultimo e, quindi, comprendono l'improponibilità del loro assunto iniziale e la necessità, invece, di un ulteriore approfondimento e sviluppo della lezione hegeliana - che poi, sappiamo, si rivelerà fondamentale per la stesura stessa di 'Das Capital'. A ribadire le ambiguità della Deutsche ideologie, si ricordi come A. Schaff sottolineasse la citazione althusseriana di certi luoghi appunto di questo testo, a sostegno della polemica contro la filosofia/ideologia/metafisica, - polemica che, secondo Schaff, mostra il legame profondo tra marxismo strutturalistico e neo-positivismo.
Mi pare plausibile che la decisione di Marx ed Engels non solo di non pubblicare, ma neppure di finire 'Die deutsche ideologie' possa spiegarsi esattamente in questo modo: partiti da una sostanziale assimilazione delle tesi neo-hegeliane a quelle dello stesso Hegel, nel corso della loro 'resa dei conti critica', Marx ed Engels penetrano meglio il pensiero di quest'ultimo e, quindi, comprendono l'improponibilità del loro assunto iniziale e la necessità, invece, di un ulteriore approfondimento e sviluppo della lezione hegeliana - che poi, sappiamo, si rivelerà fondamentale per la stesura stessa di 'Das Capital'. A ribadire le ambiguità della Deutsche ideologie, si ricordi come A. Schaff sottolineasse la citazione althusseriana di certi luoghi appunto di questo testo, a sostegno della polemica contro la filosofia/ideologia/metafisica, - polemica che, secondo Schaff, mostra il legame profondo tra marxismo strutturalistico e neo-positivismo.
domenica 31 maggio 2015
Hegel. Lo spirito e la storia - Francesco Valentini
Ricordiamo allora la genesi della lotta tra il signore e il servo. Qualcuno ha detto che questa lotta a morte è una lotta di puro prestigio. Veramente direi che il vero movente della lotta, hegelianamente, è più razionale: è cioè l'esigenza di una certezza che diventi verità. L'uomo si trova di fronte alle cose, ma si trova di fronte anche all'altro uomo. I due uomini lottano perché ciascuno di essi desidera che l'altro lo riconosca, gli sia sottoposto. Questa lotta è una lotta a morte, e a un certo punto uno dei due combattenti ha paura della morte e si sottomette e quindi riconosce il vincitore, riconosce l'altro. Abbiamo perciò da una parte il signore che si è emancipato dalle cose, si è emancipato dalla natura perché non ha avuto paura di morire, e dall'altra il servo, che invece è rimasto legato alla natura proprio perché ha temuto di morire. Abbiamo quindi una situazione ineguale: da una parte il signore, dall'altra parte il servo. A questo punto però Hegel sottolinea che il servo fa due esperienze essenziali che il signore non fa. La prima è l'esperienza della paura della morte: il servo trema - dice Hegel - "in tutte le sue fibre", cioè non ha una paura particolare, ma ha paura di morire, di non essere. Questa paura è liberatrice, nel senso che il servo sperimenta il suo poter non essere, e quindi sperimenta quella che per Hegel è una caratteristica dell'uomo, cioè la cosiddetta negatività: la possibilità di dire la propria negatività, e anche di imprimere la propria negatività e il proprio fare alle cose. L'altra esperienza che il servo fa e il signore no è quella del lavoro: il servo lavora per il signore e porta al signore i frutti del suo lavoro. Questa esperienza è anch'essa essenziale, perché il servo lavorando imprime se stesso all'oggetto: il suo lavoro traspone nell'oggetto la sua personalità. Così il lavoro - anche se servile, anzi, proprio perché servile -, ha una funzione liberatrice: l'uomo diventa uomo lavorando, formando l'oggetto e formando attraverso ciò se stesso.
Francesco Valentini
http://www.emsf.rai.it/dati/interviste/In_231.htm
http://www.emsf.rai.it/dati/interviste/In_232.htm#torna
Vedi anche: http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/03/francesco-valentini-soluzioni-hegeliane.html
Come ripensare oggi crisi e patologie sociali? - Rachel Jaeggi
Decisiva per questa comprensione dell’appropriazione e
dell’alienazione [estraniazione] è la loro fondazione in un concetto filosofico
di lavoro, che per Marx rappresenta la vera e propria relazione paradigmatica
dell’uomo con il mondo. Il lavoro è qui concepito come un’esteriorizzazione e
un’oggettivazione delle forze essenziali dell’uomo. Detto molto
schematicamente: le «forze essenziali umane» – la volontà, gli scopi, le
capacità dell’uomo – diventano oggettive, si materializzano, solo in quanto
sono «esteriorizzate» nel mondo attraverso il lavoro. La capacità di lavoro,
concepita come un processo materiale di scambio con la natura, trasforma
simultaneamente il mondo e l’essere umano. L’essere umano produce se stesso e
il suo mondo in uno stesso atto. Nel produrre il suo mondo, egli produce se
stesso, e viceversa. E nella misura in cui questo processo riesce, si appropria
allo stesso tempo del mondo oggettivo e di se stesso. Egli si «riconosce» (si
potrebbe tradurre: riconosce la sua volontà e la sua capacità) nelle sue attività
e nei suoi prodotti e trova se stesso attraverso il rapporto con questi ultimi;
egli si «realizza», quindi, in una relazione di appropriazione con il mondo
come prodotto delle sue attività. In questo senso il lavoro – quello non
alienato [non estraniato] – è per Marx una determinazione essenziale dell’uomo.
Ciò che costituisce l’essere umano come tale è il fatto che, a differenza
dell’animale, è capace di dare forma a se stesso e al suo mondo in modo
consapevole e attraverso la cooperazione sociale e che non solo egli «realizza»
se stesso in questo processo ma anche «produce se stesso», nel senso molto
concreto che le sue capacità, i suoi sensi e i suoi bisogni si sviluppano nella
misura in cui egli si rapporta al mondo, lavorando e dandogli forma.
Una vita non alienata, allora, non sarebbe una vita
riconciliata, né felice, forse neanche la buona vita. Non essere alienato
significherebbe, invece, un certo modo di condurre la propria vita e un certo
modo di mettersi in rapporto con se stessi e con le condizioni in cui si vive e
da cui si è determinati: significherebbe potersene appropriare.
sabato 30 maggio 2015
LA BEKANNTSCHAFT DI ENGELS* - Stefano Garroni
*Da "Dialettica e differenza", Stefano Garroni, La città del sole
"Le forme di pensiero, i punti di vista ed i principi fondamentali, che valgono nelle scienze e che sono l'ultimo punto d'arrivo di tutto il restante loro materiale, non sono tuttavia esclusivamente proprie delle scienze, ma piuttosto son comuni alla cultura di un'epoca e di un popolo. La cultura propriamente consiste negli scopi e nelle rappresentazioni generali, nell'insieme di certi poteri spirituali, che reggono la coscienza e la vita. La nostra coscienza possiede queste rappresentazioni, le lascia valere come sue ultime determinazioni, si svolge essa stessa entro le direttrici loro ma, tuttavia, non le sa, non fa di esse l'oggetto e l'interesse della sua ricerca". (G.W.F. Hegel, Werke. Vorlesungen uber die Geschichte der Philosophie, III, Frankfurt/Main 1971)
"Noi riteniamo... che le teorie scientifiche siano influenzate dal pensiero culturale e sociale circostante, e che a loro volta influiscano su di esso. Questo è quanto studi sociali di storia della scienza stanno dimostrando in misura sempre crescente. Non dobbiamo più pensare al contributo apportato dalla scienza al bagaglio delle idee sociali come ad un processo unidirezionale; ancor meno siamo tenuti ad accettare questo contributo in virtù di una qualche certezza peculiare insita nelle teorie scientifiche. Piuttosto, l'influenza è reciproca; e nella nostra concezione riveduta della scienza vi è posto per considerare la teoria scientifica come un modo in cui una cultura esibisce la propria concezione generale del mondo e delle persone, in altre parole, come uno fra i molti insiemi di schemi sociali." (M.A. Arbib - M.B. Hesse, La costruzione della realtà, Bologna 1992)
"(Reichenbach) era convinto che lo sviluppo della scienza, per quanto autonomo nel porsi i propri problemi, si muova sempre parallelamente alle tendenze generali, intellettuali e sociali, che caratterizzano un certo periodo. Minima è la coscienza di questo parallelismo in coloro che massimamente determinano lo sviluppo della scienza... Reichenbach conclude che il parallelismo fra i risultati della scienza di un'epoca poggia su una legge sociologica indipendente, la quale esiste senza che la volontà dei pensatori interessati ne abbia consapevolezza." (Maria Reichenbach, introduzione a H. Reichenbach, Relatività e conoscenza apriori, Bari 1984)
"Le forme di pensiero, i punti di vista ed i principi fondamentali, che valgono nelle scienze e che sono l'ultimo punto d'arrivo di tutto il restante loro materiale, non sono tuttavia esclusivamente proprie delle scienze, ma piuttosto son comuni alla cultura di un'epoca e di un popolo. La cultura propriamente consiste negli scopi e nelle rappresentazioni generali, nell'insieme di certi poteri spirituali, che reggono la coscienza e la vita. La nostra coscienza possiede queste rappresentazioni, le lascia valere come sue ultime determinazioni, si svolge essa stessa entro le direttrici loro ma, tuttavia, non le sa, non fa di esse l'oggetto e l'interesse della sua ricerca". (G.W.F. Hegel, Werke. Vorlesungen uber die Geschichte der Philosophie, III, Frankfurt/Main 1971)
"Noi riteniamo... che le teorie scientifiche siano influenzate dal pensiero culturale e sociale circostante, e che a loro volta influiscano su di esso. Questo è quanto studi sociali di storia della scienza stanno dimostrando in misura sempre crescente. Non dobbiamo più pensare al contributo apportato dalla scienza al bagaglio delle idee sociali come ad un processo unidirezionale; ancor meno siamo tenuti ad accettare questo contributo in virtù di una qualche certezza peculiare insita nelle teorie scientifiche. Piuttosto, l'influenza è reciproca; e nella nostra concezione riveduta della scienza vi è posto per considerare la teoria scientifica come un modo in cui una cultura esibisce la propria concezione generale del mondo e delle persone, in altre parole, come uno fra i molti insiemi di schemi sociali." (M.A. Arbib - M.B. Hesse, La costruzione della realtà, Bologna 1992)
"(Reichenbach) era convinto che lo sviluppo della scienza, per quanto autonomo nel porsi i propri problemi, si muova sempre parallelamente alle tendenze generali, intellettuali e sociali, che caratterizzano un certo periodo. Minima è la coscienza di questo parallelismo in coloro che massimamente determinano lo sviluppo della scienza... Reichenbach conclude che il parallelismo fra i risultati della scienza di un'epoca poggia su una legge sociologica indipendente, la quale esiste senza che la volontà dei pensatori interessati ne abbia consapevolezza." (Maria Reichenbach, introduzione a H. Reichenbach, Relatività e conoscenza apriori, Bari 1984)
venerdì 29 maggio 2015
A proposito di certe tendenze della letteratura psicoanalitica* - Stefano Garroni
*Da "tracciati dialettici (note di politica e cultura)" Stefano Garroni, Edizioni Kappa
...nel settecento, ... iniziava la polemica contro la modernità, non solo in nome della spiritualità dell'uomo, ma anche coll'attribuire alla scienza -"in quanto tale" - colpe, se così si può dire, che sono invece della nascente organizzazione capitalistica della vita e del lavoro.
In sostanza - e con tutte le modifiche del caso -, tra gli anni 60 e 70 del nostro secolo, questa critica spiritualistica della modernità si riproponeva, utilizzando - paradossalmente - Marx ed anche Freud per un rinnovato attacco alla scienza, condotto però sotto l'aspetto di una 'nuova' scientificità, che si diceva ricavabile, appunto, elaborando e generalizzando un nucleo contenuto nella psicoanalisi.
E' questo il mito, che - salutarmente - è caduto...
...nel settecento, ... iniziava la polemica contro la modernità, non solo in nome della spiritualità dell'uomo, ma anche coll'attribuire alla scienza -"in quanto tale" - colpe, se così si può dire, che sono invece della nascente organizzazione capitalistica della vita e del lavoro.
In sostanza - e con tutte le modifiche del caso -, tra gli anni 60 e 70 del nostro secolo, questa critica spiritualistica della modernità si riproponeva, utilizzando - paradossalmente - Marx ed anche Freud per un rinnovato attacco alla scienza, condotto però sotto l'aspetto di una 'nuova' scientificità, che si diceva ricavabile, appunto, elaborando e generalizzando un nucleo contenuto nella psicoanalisi.
E' questo il mito, che - salutarmente - è caduto...
giovedì 28 maggio 2015
Nietzsche - Antonio Gargano
F. Nietzsche, La gaia scienza, aforisma 125. L’uomo folle.
Avete sentito di quel folle uomo che accese
una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare
incessantemente: “Cerco Dio! Cerco Dio!”. E poiché proprio là si trovavano
raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. “È
forse perduto?” disse uno. “Si è perduto come un bambino?” fece un altro.
“0ppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? È emigrato?” –
gridavano e ridevano in una gran confusione. Il folle uomo balzò in mezzo a
loro e li trapassò con i suoi sguardi: “Dove se n’è andato Dio? – gridò – ve lo
voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi
assassini! Ma come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo
fino all’ultima goccia? Chi ci dètte la spugna per strusciar via l’intero
orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo
sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci moviamo noi? Via da tutti i soli?
Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da
tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come
attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è
fatto piú freddo? Non seguita a venire notte, sempre piú notte? Non dobbiamo
accendere lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre
seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della
divina putrefazione? Anche gli dèi si decompongono! Dio è morto! Dio resta
morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti
gli assassini? Quanto di piú sacro e di piú possente il mondo possedeva fino ad
oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo
sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatòri, quali
giochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza
di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dèi, per apparire almeno
degni di essa? Non ci fu mai un’azione piú grande: tutti coloro che verranno
dopo di noi apparterranno, in virtú di questa azione, ad una storia piú alta di
quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi!”. A questo punto il folle
uomo tacque, e rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi ascoltatori: anch’essi tacevano
e lo guardavano stupiti. Finalmente gettò a terra la sua lanterna che andò in
frantumi e si spense. “Vengo troppo presto – proseguí – non è ancora il mio
tempo. Questo enorme avvenimento è ancora per strada e sta facendo il suo
cammino: non è ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono
vogliono tempo, il lume delle costellazioni vuole tempo, le azioni vogliono
tempo, anche dopo essere state compiute, perché siano vedute e ascoltate.
Quest’azione è ancora sempre piú lontana da loro delle piú lontane
costellazioni: eppure son loro che l’hanno compiuta!”. Si racconta ancora che
l’uomo folle abbia fatto irruzione, quello stesso giorno, in diverse chiese e
quivi abbia intonato il suo Requiem aeternam Deo. Cacciatone fuori e
interrogato, si dice che si fosse limitato a rispondere invariabilmente in
questo modo: “Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri
di Dio?”.
incessantemente: “Cerco Dio! Cerco Dio!”. E poiché proprio là si trovavano
raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. “È
forse perduto?” disse uno. “Si è perduto come un bambino?” fece un altro.
“0ppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? È emigrato?” –
gridavano e ridevano in una gran confusione. Il folle uomo balzò in mezzo a
loro e li trapassò con i suoi sguardi: “Dove se n’è andato Dio? – gridò – ve lo
voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi
assassini! Ma come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo
fino all’ultima goccia? Chi ci dètte la spugna per strusciar via l’intero
orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo
sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci moviamo noi? Via da tutti i soli?
Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da
tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come
attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è
fatto piú freddo? Non seguita a venire notte, sempre piú notte? Non dobbiamo
accendere lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre
seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della
divina putrefazione? Anche gli dèi si decompongono! Dio è morto! Dio resta
morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti
gli assassini? Quanto di piú sacro e di piú possente il mondo possedeva fino ad
oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo
sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatòri, quali
giochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza
di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dèi, per apparire almeno
degni di essa? Non ci fu mai un’azione piú grande: tutti coloro che verranno
dopo di noi apparterranno, in virtú di questa azione, ad una storia piú alta di
quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi!”. A questo punto il folle
uomo tacque, e rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi ascoltatori: anch’essi tacevano
e lo guardavano stupiti. Finalmente gettò a terra la sua lanterna che andò in
frantumi e si spense. “Vengo troppo presto – proseguí – non è ancora il mio
tempo. Questo enorme avvenimento è ancora per strada e sta facendo il suo
cammino: non è ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono
vogliono tempo, il lume delle costellazioni vuole tempo, le azioni vogliono
tempo, anche dopo essere state compiute, perché siano vedute e ascoltate.
Quest’azione è ancora sempre piú lontana da loro delle piú lontane
costellazioni: eppure son loro che l’hanno compiuta!”. Si racconta ancora che
l’uomo folle abbia fatto irruzione, quello stesso giorno, in diverse chiese e
quivi abbia intonato il suo Requiem aeternam Deo. Cacciatone fuori e
interrogato, si dice che si fosse limitato a rispondere invariabilmente in
questo modo: “Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri
di Dio?”.
(Friedrich Nietzsche, La gaia scienza, 1882, Mondadori, 1971)
Seconda parte:
mercoledì 27 maggio 2015
TEMI TEORICI ATTUALI* - Stefano Garroni
*Da "Tracciati dialettici (Note di politica e cultura)" Stefano Garroni, Edizioni Kappa
Un luogo centrale dell'incontro fra nuovo Lumpenproletariat e residuali componenti comuniste (del centrismo comunista) è la costante oscillazione tra un 'punto di vista operaio' (ma, in realtà, non più che tradunionistico) e un punto di vista 'piccolo borghese' - radicale -: oscillazione che, com'è ovvio, si conclude - sempre - subordinando il primo al secondo, l'ottica 'operaia' a quella 'radicaldemocratica'.
Il tratto d'unione, ciò che consente questo su e giù continuo tra l'uno e l'altro punto di vista, è una bizzarra operazione ideologica (dunque non precisamente culturale), descrivibile in questi termini:
(a) La sostituzione effettiva della lotta di classe con l'opposizione fra democrazia e statalismo;
(b) l'identificazione della democrazia con la condizione, in cui l'individuo è libero di gestire la propria vita come vuole, a meno che non danneggi per qualche aspetto la vita altrui (in altre parole, la ripresa della classica distinzione inglese fra self-regarding action ed others-regarding action);
(c) mancando ormai tale concezione di forti ancoraggi obbiettivi nell'effettiva organizzazione e dinamica del modo di produzione e della formazione sociale, la rivendicazione democratica vien sostenuta da un'ideologia irrazionalistica, che fa perno su melmose categorie come 'vissuto', 'sentimento', 'diversità' ecc.
Il proprio di tale situazione ideologica è d'essere autenticamente 'delirante', nel senso di proporre un'immagine del mondo non 'rovesciata' ('a testa in giù', come capitava agli ideologi con cui Marx polemizzava), bensì 'sostitutiva': esattamente come un sogno sostituisce il reale.
Un luogo centrale dell'incontro fra nuovo Lumpenproletariat e residuali componenti comuniste (del centrismo comunista) è la costante oscillazione tra un 'punto di vista operaio' (ma, in realtà, non più che tradunionistico) e un punto di vista 'piccolo borghese' - radicale -: oscillazione che, com'è ovvio, si conclude - sempre - subordinando il primo al secondo, l'ottica 'operaia' a quella 'radicaldemocratica'.
Il tratto d'unione, ciò che consente questo su e giù continuo tra l'uno e l'altro punto di vista, è una bizzarra operazione ideologica (dunque non precisamente culturale), descrivibile in questi termini:
(a) La sostituzione effettiva della lotta di classe con l'opposizione fra democrazia e statalismo;
(b) l'identificazione della democrazia con la condizione, in cui l'individuo è libero di gestire la propria vita come vuole, a meno che non danneggi per qualche aspetto la vita altrui (in altre parole, la ripresa della classica distinzione inglese fra self-regarding action ed others-regarding action);
(c) mancando ormai tale concezione di forti ancoraggi obbiettivi nell'effettiva organizzazione e dinamica del modo di produzione e della formazione sociale, la rivendicazione democratica vien sostenuta da un'ideologia irrazionalistica, che fa perno su melmose categorie come 'vissuto', 'sentimento', 'diversità' ecc.
Il proprio di tale situazione ideologica è d'essere autenticamente 'delirante', nel senso di proporre un'immagine del mondo non 'rovesciata' ('a testa in giù', come capitava agli ideologi con cui Marx polemizzava), bensì 'sostitutiva': esattamente come un sogno sostituisce il reale.
martedì 26 maggio 2015
Marx: Glosse marginali al Manuale di economia politica di Adolph Wagner - Enrico Galavotti

"Il capitalista - scrive Marx - appena ha pagato
all'operaio l'effettivo valore della sua forza-lavoro [qui Marx vuol dire
"quello stabilito per contratto"], si appropria del plusvalore con
pieno diritto... Nel valore, non 'costituito' dal lavoro del capitalista, c'è
una parte di cui egli può appropriarsi 'legalmente', cioè senza violare il
diritto corrispondente allo scambio delle merci".
Questo significa che il capitalismo è basato sullo sdoppiamento tra realtà di fatto (la non proprietà dei mezzi produttivi da parte del lavoratore) e un'astrazione formale (la libertà giuridica universalmente riconosciuta, indipendentemente dalla propria origine sociale).
http://www.homolaicus.com/teorici/marx/wagner.htm
SCIENZA DELLA RELIGIONE E FAMILY RESEMBLANCE* - Stefano Garroni
*Da "Tracciati
dialettici (Note di politica e cultura)" Stefano Garroni, Edizioni
Kappa
Wittgenstein sa che, di fatto, procediamo definendo e
classificando non in accordo con le regole essenzialistiche, ma sì percorrendo
tracciati più intricati, più mossi, che egli indica appunto con Family Resemblance - e si noti che l'espressione 'affinità famigliare' ed altre
analoghe si trovano in testi ben precedenti quello di Wittgenstein.
In questo senso
Wittgenstein non ha bisogno di connotare con precisione l'universo
d'applicazione di FR: quell'universo è già dato, fa già parte della comune
pratica definitoria e classificatoria.
Il compito vero è un
altro: portare alla coscienza la varietà delle pratiche classificatorie e
definitorie, mettendone in luce gli andamenti diversi.
lunedì 25 maggio 2015
LEBEN ERZEUGENDES LEBEN* - Stefano Garroni
*Da "Dialettica e differenza", Stefano Garroni, La città del sole

"In quanto 'determinato', in quanto reale, tu hai una 'determinazione', un compito, ne sia o no cosciente. Questo compito deriva dal tuo bisogno e dalla tua connessione con il mondo presente." (Marx - Engels, Werke III, Berlin 1969)
La critica marxiana all'economia politica è il prodotto, ad un tempo, di istanze propriamente scientifiche e metodologiche, ma anche dell'atteggiamento (ecco un motivo che, certo, è hegeliano, ma anche kantiano) di chi vedeva nel capitalismo la pratica negazione di basilari principi morali. Di chi vedeva nel "sistema della proprietà privata" (è il giovane Marx che cito) l'immorale primato del (capitale) morto sul (lavoro) vivo.
domenica 24 maggio 2015
L'AVVENIRE DI UN'ILLUSIONE, IL DISAGIO DELLA CIVILTA' - Sigmund Freud

...in tutti gli uomini sono presenti tendenze distruttive, e
perciò antisociali e ostili alla civiltà, e che in un gran numero di persone
esse sono abbastanza forti da determinarne il comportamento nella società umana.
...Ai fini di una terminologia uniforme, chiameremo “frustrazione” il fatto che una pulsione
non possa essere soddisfatta, “divieto”
la disposizione che istituisce questa frustrazione, e “privazione” lo stato che è prodotto dal divieto. Poi, il passo
successivo sarà distinguere tra le privazioni che riguardano tutti e quelle che
non riguardano tutti, ma solo gruppi, classi, o addirittura individui. Le prime
sono le più antiche: coi divieti che le istituiscono, la civiltà ha avviato,
chissà quante migliaia di anni fa, il distacco dalla condizione animale
primitiva. Con nostra sorpresa, abbiamo scoperto che essi si fanno ancora
sentire e costituiscono il nucleo dell’ostilità alla civiltà. I desideri
pulsionali, che soffrono a causa loro, rinascono con ogni nuovo bimbo; c’è una
categoria di uomini, i nevrotici, che reagiscono già a questa frustrazione con
l’asocialità. Questi desideri pulsionali sono quelli dell’incesto, del
cannibalismo e della brama di uccidere. Suona strano mettere insieme questi
desideri, che tutti gli uomini sembrano concordi nel rigettare, con quegli
altri, per ammettere o respingere i quali nella nostra civiltà si contende così
vivacemente; ma dal punto di vista psicologico ciò è legittimo.
...se una civiltà non ha superato lo stadio in cui il
soddisfacimento di un certo numero dei suoi membri ha per presupposto
l’oppressione di altri e forse della maggioranza, e ciò è quanto si verifica in
tutte le civiltà attuali, è comprensibile che questi oppressi sviluppino
un’intensa ostilità alla civiltà che essi rendono possibile col loro lavoro, ma
ai cui beni partecipano in maniera troppo scarsa. Allora non ci si può
aspettare un’interiorizzazione dei divieti della civiltà da parte degli
oppressi, anzi costoro non saranno disposti a riconoscere questi divieti, tesi
come sono a distruggere la civiltà stessa e ad eliminarne eventualmente gli
stessi presupposti.
sabato 23 maggio 2015
Corso sul "Capitale" (9) - Riccardo Bellofiore
Video degli incontri del ciclo di letture del I libro del "Capitale" di Karl Marx organizzato da Noi Restiamo Torino e tenuto da Riccardo Bellofiore (Università di Bergamo).
Lezioni precedenti:
https://www.youtube.com/playlist?list=PL5P5MP2SvtGh94C81IekSb83uO7nLgHmL
venerdì 22 maggio 2015
Il cammino del pensiero - Non possiamo non dirci hegeliani... - Francesco Valentini
"Francesco Valentini, marxista da sempre, legato al Partito comunista, docente di filosofia si è sempre rifiutato di fare un corso su Marx, sostenendo - a mio modo di vedere giustamente - che non c'è una filosofia di Marx, la filosofia di Marx è quella di Hegel, quindi lui ha fatto i corsi su Hegel e non ha mai voluto fare un corso su Marx" (S. Garroni)
http://ilcomunista23.blogspot.it/2014/07/aspetti-della-societa-civile-hegeliana.html
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