* Da "Su Freud e la morale (L'uomo e la società)" Stefano Garroni, Bulsoni editore
"L'attività che subordina ciascuno dei nostri istanti a qualche risultato preciso cancella il carattere totale dell'essere. Chi agisce mette al posto di quella ragion d'essere che è lui stesso uno scopo particolare, e nei casi meno specifici la grandezza di uno stato, il trionfo di un partito. Ogni azione specializza, per il solo fatto che non vi è azione se non limitata."
"posso esistere totalmente soltanto superando in qualche maniera lo stadio dell'azione.
Altrimenti sarò soldato, rivoluzionario di professione, scienziato, non l'uomo totale.
Lo stato frammentario dell'uomo è in fondo come la scelta d'un obiettivo"
(G. Bataille, Nietzsche, il culmine e il possibile, Rizzoli 1970)
La teoria Marxista poggia la sua forza sulla scienza... che ne valida la verità, e la rende disponibile al confronto con qualunque altra teoria che ponga se stessa alla prova del rigoroso riscontro scientifico... il collettivo di formazione Marxista Stefano Garroni propone una serie di incontri teorici partendo da punti di vista alternativi e apparentemente lontani che mostrano, invece, punti fortissimi di convergenza...
lunedì 6 aprile 2015
domenica 5 aprile 2015
LA DEUTUNG FREUDIANA* - Stefano Garroni
* Da "Su Freud e la morale (L'uomo e la società)" Stefano Garroni, Bulsoni editore
"seguendo le associazioni che si congiungono ai singoli elementi onirici, staccati dal loro contesto (Zusammenhang), son pervenuto ad una serie di pensieri e ricordi, nei quali debbo riconoscere espressioni di grande valore della mia vita psichica.
Questo materiale rinvenuto durante l'analisi è in intima relazione col contenuto del sogno. Tuttavia, codesta relazione è tale, che mai avrei potuto ricavare da quel contenuto il materiale nuovo che è stato rintracciato... i pensieri... si saldano d'incanto in catene logicamente congiunte, nelle quali determinate rappresentazioni figurano ripetutamente come elementi centrali" (S. Freud, Der Traum)
"La trasformazione dei pensieri onirici latenti in contenuto manifesto merita tutta la nostra attenzione, trattandosi del primo esempio finora conosciuto di 'Umsetzung' (trasposizione) di un materiale psichico da una forma espressiva (Ausdruckweise) in un'altra, alla cui intelligenza possiamo giungere solo con perizia e fatica, per quanto anch'essa debba essere riconosciuta opera della nostra attività psichica" (S. Freud, op. cit.)

Questo materiale rinvenuto durante l'analisi è in intima relazione col contenuto del sogno. Tuttavia, codesta relazione è tale, che mai avrei potuto ricavare da quel contenuto il materiale nuovo che è stato rintracciato... i pensieri... si saldano d'incanto in catene logicamente congiunte, nelle quali determinate rappresentazioni figurano ripetutamente come elementi centrali" (S. Freud, Der Traum)
"La trasformazione dei pensieri onirici latenti in contenuto manifesto merita tutta la nostra attenzione, trattandosi del primo esempio finora conosciuto di 'Umsetzung' (trasposizione) di un materiale psichico da una forma espressiva (Ausdruckweise) in un'altra, alla cui intelligenza possiamo giungere solo con perizia e fatica, per quanto anch'essa debba essere riconosciuta opera della nostra attività psichica" (S. Freud, op. cit.)
sabato 4 aprile 2015
Il capitale finanziario (estratti dal capitolo XXII, 1910) - Rudolf Hilferding
Ostile allo statalismo, la borghesia fu - un tempo - in
lotta contro il mercantilismo economico e l’assolutismo politico. Il liberalismo
era allora realmente distruttivo, implicava di fatto il sovvertimento del
potere statale e la rottura di antichi vincoli. Tutto il sistema dei rapporti
gerarchici dello Stato - faticosamente costruito - ed i legami corporativi
cittadini con la loro complicata sovrastruttura di privilegi e monopoli,
vennero spazzati via. La vittoria del liberalismo provocò un immediato e
considerevole indebolimento dell’autorità dello Stato. La vita economica
avrebbe dovuto essere - almeno in teoria - definitivamente sottratta al
controllo dello Stato, che doveva limitarsi a garantire la sicurezza e
l’uguaglianza borghesi.
Il liberalismo diveniva così la negazione pura e semplice
dello Stato del primo periodo mercantilistico del capitalismo, il quale, in
principio, voleva regolare tutto, ed era anche in netto contrasto con tutti i
sistemi socialistici, i quali, non in senso distruttivo, ma costruttivo,
vogliono porre al posto dell'anarchia e della libertà della concorrenza un
sistema consapevolmente regolato, creando una società che organizzi la propria
vita economica e quindi anche se stessa. È perciò appena naturale che i
princìpi liberali si siano realizzati più precocemente in Inghilterra, dove
erano sostenuti da una borghesia tutta per il libero scambio, una borghesia che,
anche durante i periodi di più acuto contrasto con il proletariato, si lasciò
spingere ben raramente a chiedere l'intervento dello Stato e, comunque, lo fece
solo per brevi periodi. Anche in Inghilterra, però, la realizzazione del
liberalismo urtò non solo contro la resistenza della vecchia aristocrazia che
appoggiava una politica protezionistica ed era, quindi, recisamente contraria
ai princìpi liberali, ma anche, in parte, contro quella del capitale
commerciale, e del capitale bancario che aspiravano ad investimenti all'estero
e pretendevano soprattutto il mantenimento dell'egemonia sui mari, pretesa,
questa, che veniva avanzata e con estrema energia anche dagli ambienti
interessati alle colonie.
venerdì 3 aprile 2015
L'imbroglio europeo - Luciano Vasapollo
intervento al convegno "Il piano inclinato degli imperialismi" organizzato dalla Rete dei Comunisti
giovedì 2 aprile 2015
WITTGENSTEIN E FREUD* - Stefano Garroni
"si tratta di rivendicare una creatività, un'originalità dell'uomo, una sua imprevedibilità, che s'esprime massimamente nella vita emozionale, in quel mondo dell''intendere', del 'produrre senso', che nessuna scienza - la psicoanalisi di Freud o l'antropologia di Frazer, ad es. - può mai trattare, se non in modo riduttivo, cioè, trasponendolo in un ordine meccanico, casualistico." (S. Garroni)
"proprio quello che il mito riesce a concepire nelle stelle, ciò che vede in esse immediatamente, non è proprio per nulla lo stesso di ciò che esse mostrano alla percezione ed osservazione empirica o del modo come esse si presentano al pensiero teoretico, alla 'spiegazione' scientifica dei fenomeni naturali"
(E. Cassirer, Linguaggio e mito, Milano, il Saggiatore)
"L'errore di Freud consiste nell'aver voluto trovare l'essenza del sogno e quello di Frazer nell'aver voluto trovare, per esempio, l'essenza della magia, nell'aver cioè cercato la sua causa, la sua ragion d'essere, il suo scopo., ecc."
(L. Wittgenstein, Note sul 'Ramo d'oro' di Frazer, Adelphi 1975)
« Il materiale, tratto dai pensieri onirici, che viene accostato per formare la situazione del sogno, dev'essere naturalmente idoneo a quest'uso sin da principio. Si rende perciò necessario un elemento comune - o più di un elemento comune - in tutte le componenti. Il lavoro onirico procede quindi come Francis Galton nella preparazione delle sue fotografie di famiglia. Esso fa coincidere le varie componenti, sovrapponendole le une alle altre; allora nel quadro generale l'elemento comune risalta nitidamente, mentre i particolari contrastanti si cancellano a vicenda ». **
(S. Freud, Il sogno, Opere)
"Seduto in
metropolitana, ero incuriosito dalle diversità che erano mescolate: somali,
indiani, americani, cittadini dello Zimbabwe, scandinavi e cento altre
nazionalità in lizza per il loro posto nella metropoli. Mi sono chiesto: 'Che cos'è questo luogo, com'è un londinese?' Ho pensato che se si
potevano riunire e miscelare le caratteristiche di tutte queste persone che
vivevano insieme a Londra, sarebbe stato possibile avere un'idea degli abitanti
futuri, di come saranno i londinesi del futuro..." ***
(Mike Story, fotografo, studio alla Goldsmith University di
Londra)
* Da "Su Freud e la morale (L'uomo e la società)" Stefano Garroni, Bulsoni editore
martedì 31 marzo 2015
LA DEMOCRAZIA DELLA VITA QUOTIDIANA - Gyorgy Lukacs
Le rivoluzioni borghesi "passano tempestosamente di successo in successo; i loro effetti drammatici si sorpassano l'un l'altro; gli uomini e le cose sembrano illuminati da fuochi di bengala; l'estasi è lo stato d'animo d'ogni giorno. Ma hanno una vita effimera, presto raggiungono il punto culminante: e allora una lunga nausea si impadronisce della società, prima che essa possa rendersi freddamente ragione dei risultati del suo periodo di febbre e di tempesta.
Le rivoluzioni proletarie invece, quelle del secolo decimonono, criticano continuamente se stesse; interrompendo a ogni istante il loro proprio corso, ritornando su ciò che già sembrava cosa compiuta per ricominciare daccapo; si fanno beffe in modo spietato e senza riguardi delle mezze misure, delle debolezze e delle miserie dei loro primi tentativi", "si ritraggono continuamente, spaventate dall'infinita immensità dei loro propri scopi, sino a che si crea la situazione in cui è reso impossibile ogni ritorno indietro e le circostanze stesse gridano: hic rodhus, hic salta". (K. Marx, Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte)
Rodi oggi sta ancora nel lontano futuro. Ma tutto ci dice che soltanto la via tracciata da Marx vi può condurre. Se e fino a che punto i comunisti saranno in grado di percorrerla è cosa che dipende dalla loro perspicacia e dal loro coraggio.
domenica 29 marzo 2015
LA VOCAZIONE EMPIRISTA DI MARX. NOTE SUL TEMA* - Stefano Garroni
*Da "Tracciati dialettici (Note di politica e cultura)" Stefano Garroni, Edizioni Kappa
"Ho già mostrato come l'analisi della merce in quanto 'lavoro' fatta da tutti gli economisti finora sia equivoca ed incompleta. Non basta ridurre la merce a lavoro, ma si a lavoro nella 'doppia forma' in cui esso si presenta: una volta come 'lavoro concreto' nel 'valore d'uso'; un'altra volta, come lavoro 'socialmente necessario' nel 'valore di scambio'."
(K. Marx, Resultate des unmittelbaren Produktionsprozesses)
"i problemi si risolvono quando sono maturi storicamente, non bisogna avere impazienze, è puerile aver fiducia nel potere persuasivo della prediche umanitarie e delle invocazioni di giustizia. Affiora il senso della 'necessità', proprio di un pensiero che si pone all'interno del suo oggetto... La politica marxista è rivoluzionaria... ma non implica alcun rifiuto pregiudiziale del mondo prima di cambiarlo; al contrario, si inserisce positivamente nel mondo e ne accoglie i suggerimenti".
(Francesco Valentini, "Il pensiero politico contemporaneo", Bari Laterza 1979)
"Ho già mostrato come l'analisi della merce in quanto 'lavoro' fatta da tutti gli economisti finora sia equivoca ed incompleta. Non basta ridurre la merce a lavoro, ma si a lavoro nella 'doppia forma' in cui esso si presenta: una volta come 'lavoro concreto' nel 'valore d'uso'; un'altra volta, come lavoro 'socialmente necessario' nel 'valore di scambio'."
(K. Marx, Resultate des unmittelbaren Produktionsprozesses)
"i problemi si risolvono quando sono maturi storicamente, non bisogna avere impazienze, è puerile aver fiducia nel potere persuasivo della prediche umanitarie e delle invocazioni di giustizia. Affiora il senso della 'necessità', proprio di un pensiero che si pone all'interno del suo oggetto... La politica marxista è rivoluzionaria... ma non implica alcun rifiuto pregiudiziale del mondo prima di cambiarlo; al contrario, si inserisce positivamente nel mondo e ne accoglie i suggerimenti".
(Francesco Valentini, "Il pensiero politico contemporaneo", Bari Laterza 1979)
sabato 28 marzo 2015
La competizione globale, la divaricazione strategica tra Stati Uniti ed Unione Europea, le ambizioni del polo islamico. - Sergio Cararo
L'intervento al forum di Bologna su "Il piano inclinato degli imperialismi"
venerdì 27 marzo 2015
Orientarsi nel labirinto della lotta di classe* - Elena Maria Fabrizio
*A proposito del libro di Domenico Losurdo, La lotta di classe. Una storia politica e filosofica.

La lotta di classe allora è solo il genus, la categoria generale del conflitto sociale che proviene dai rapporti capitalistici di produzione e dalla conseguente divisione del lavoro; essa investe ogni società e tutta la società nel senso, esplicitato dal Manifesto, che tutte le lotte della storia sono lotte tra classi sociali. La pluralità invocata non rinvia però alla mera successione storica, nella quale si ripeterebbe lo stesso schema polarizzante e meccanico tra classi dominanti e classi oppresse con il conseguente auspicato rovesciamento, ma significa che le lotte assumono species, cioè forme diverse e spesso contraddittorie (lotte del proletariato nelle metropoli, lotte anticoloniali o di liberazione nazionale, lotte contro la schiavitù domestica), impegnando nello scontro i soggetti sociali che auspicano l’emancipazione e quelli che al contrario intendono bloccarla.

La lotta di classe allora è solo il genus, la categoria generale del conflitto sociale che proviene dai rapporti capitalistici di produzione e dalla conseguente divisione del lavoro; essa investe ogni società e tutta la società nel senso, esplicitato dal Manifesto, che tutte le lotte della storia sono lotte tra classi sociali. La pluralità invocata non rinvia però alla mera successione storica, nella quale si ripeterebbe lo stesso schema polarizzante e meccanico tra classi dominanti e classi oppresse con il conseguente auspicato rovesciamento, ma significa che le lotte assumono species, cioè forme diverse e spesso contraddittorie (lotte del proletariato nelle metropoli, lotte anticoloniali o di liberazione nazionale, lotte contro la schiavitù domestica), impegnando nello scontro i soggetti sociali che auspicano l’emancipazione e quelli che al contrario intendono bloccarla.
Ciò che le unisce nel genus è il tentativo di scardinare la
divisione del lavoro vigente tra le nazioni, nella nazione, nella famiglia e i
relativi rapporti di coercizione servili imposti dai borghesi ai proletari, da
un popolo a un altro popolo, dall’uomo alla donna.
La caduta tendenziale del saggio del profitto - Guglielmo Carchedi
Da: Contropiano
video - Guglielmo Carchedi, economista presso l’Università di Amsterdam.
Leggi anche: http://www.criticamente.com/marxismo/marxismo_lavori/Carchedi_Guglielmo_-_Il_problema_inesistente__la_trasformazione_dei_valori_in_prezzi_in_parole_semplici.htm
Intervento di Guglielmo Carchedi al convegno sul piano inclinato degli imperialismi
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/10/la-caduta-tandenziale-del-tasso-medio.html
Leggi anche: http://www.criticamente.com/marxismo/marxismo_lavori/Carchedi_Guglielmo_-_Il_problema_inesistente__la_trasformazione_dei_valori_in_prezzi_in_parole_semplici.htm
Intervento di Guglielmo Carchedi al convegno sul piano inclinato degli imperialismi
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/10/la-caduta-tandenziale-del-tasso-medio.html
giovedì 19 marzo 2015
Corso sul "Capitale" (8) - Riccardo Bellofiore
Video degli incontri del ciclo di letture del I libro del "Capitale" di Karl Marx organizzato da Noi Restiamo Torino e tenuto da Riccardo Bellofiore (Università di Bergamo).
Lezioni precedenti:
https://www.youtube.com/playlist?list=PL5P5MP2SvtGh94C81IekSb83uO7nLgHmL
lunedì 16 marzo 2015
Il fallimento delle politiche di austerity europee nel contesto della secular stagnation - Vladimiro Giacché
Video:
http://www.tubechop.com/watch/5506720
Se prolunghiamo il trend che abbiamo visto in opera in questi ultimi anni, lo scenario praticamente obbligato per la nostra economia è quello di una deindustrializzazione irrecuperabile, o la sua trasformazione in una “economia di filiali” (Filialökonomie), con conseguente scivolamento verso il basso nella divisione internazionale del lavoro. In Europa esiste un precedente piuttosto recente: quanto accadde ai territori della ex-Repubblica Democratica Tedesca a seguito dell’unificazione della Germania 25 . Circa la possibilità di un’estensione continentale di questo modello va però osservato che in quel caso la trasformazione morfologica del panorama industriale del paese (sostanziale deindustrializzazione, distruzione della grande industria, acquisizione delle parti maggiormente fungibili dei Kombinate dell’Est e loro utilizzo quali filiali/succursali di imprese dell’Ovest) ha comportato la necessità di ingenti trasferimenti dall’Ovest – tuttora in corso – per finanziare consumi e investimenti. E, anche al di là del fatto che a distanza di un quarto di secolo questi trasferimenti non sono stati in grado di colmare il gap di reddito pro capite e produttività del lavoro tra le due parti della Germania, poche cose sono chiare come l’indisponibilità del governo tedesco a replicare questa seconda parte del “modello-Rdt” nel caso dell’Europa.
http://www.tubechop.com/watch/5506720
Se prolunghiamo il trend che abbiamo visto in opera in questi ultimi anni, lo scenario praticamente obbligato per la nostra economia è quello di una deindustrializzazione irrecuperabile, o la sua trasformazione in una “economia di filiali” (Filialökonomie), con conseguente scivolamento verso il basso nella divisione internazionale del lavoro. In Europa esiste un precedente piuttosto recente: quanto accadde ai territori della ex-Repubblica Democratica Tedesca a seguito dell’unificazione della Germania 25 . Circa la possibilità di un’estensione continentale di questo modello va però osservato che in quel caso la trasformazione morfologica del panorama industriale del paese (sostanziale deindustrializzazione, distruzione della grande industria, acquisizione delle parti maggiormente fungibili dei Kombinate dell’Est e loro utilizzo quali filiali/succursali di imprese dell’Ovest) ha comportato la necessità di ingenti trasferimenti dall’Ovest – tuttora in corso – per finanziare consumi e investimenti. E, anche al di là del fatto che a distanza di un quarto di secolo questi trasferimenti non sono stati in grado di colmare il gap di reddito pro capite e produttività del lavoro tra le due parti della Germania, poche cose sono chiare come l’indisponibilità del governo tedesco a replicare questa seconda parte del “modello-Rdt” nel caso dell’Europa.
Esistono scenari alternativi a questo
sbocco? A questo riguardo le ipotesi possibili sono tre:
1) un recupero della nostra economia
trainato dal commercio estero extra-Ue. Sono in molti oggi a sperare che
l’effetto combinato del calo del prezzo dei prodotti petroliferi, della
svalutazione dell’euro rispetto al dollaro e delle politiche antideflazioniste
della Bce possano fare questo miracolo. È lecito dubitarne, e per diversi
motivi. Il primo è che quei tre elementi positivi del quadro attuale sono
contingenti. In particolare, è possibile una ripresa almeno a medio termine del
prezzo dei prodotti petroliferi, e una ripresa di valore dell’euro è
addirittura probabile: è difficile infatti che il resto del mondo tolleri una
svalutazione nel lungo periodo dell’euro, che – è bene non dimenticarlo - è la
moneta adottata da paesi che nel loro insieme vantano già un significativo
surplus commerciale nei confronti del resto del mondo. Il secondo è che anche
quegli elementi positivi hanno effetti collaterali non piacevoli: il calo del
prezzo dei prodotti petroliferi, ad es., porta con sé un calo dell’export nei
confronti dei paesi produttori di petrolio. Il terzo è che in particolare le
politiche della Bce sono senz’altro tardive, e comunque di efficacia limitata.
2) La fine del vincolo fiscale,
ossia delle politiche di austerity. Neanche questa soluzione sembra di per sé
sufficiente a risolvere i problemi. Al contrario, se essa avviene in assenza di
reflazione in Germania, l’effetto sarà un miglioramento di breve periodo della
domanda interna, ma al prezzo di tornare ad alimentare squilibri della bilancia
commerciale (perché il maggiore denaro disponibile sarà speso per comprare
prodotti più competitivi importati dall’estero). La stessa proposta di De
Grauwe di effettuare investimenti infrastrutturali in Germania (una sorta di
surrogato della reflazione salariale che la Germania in questi anni non ha
voluto fare) viene incontro solo apparentemente e nel breve periodo al nostro
problema: infatti, sebbene questi investimenti rilancerebbero la domanda
interna tedesca lasciando spazio per maggiori esportazioni verso quel paese,
d’altro lato nel lungo periodo essi determinerebbero un ampliamento del gap
competitivo di cui gode la Germania e per questa via una ripresa e
consolidamento degli squilibri della bilancia commerciale nell’eurozona.
3) Il terzo scenario possibile è
rappresentato dalla fine del vincolo monetario. Essa determinerebbe il
riacquisto immediato della flessibilità del cambio, e per questa via un rapido
riequilibrio delle bilance commerciali in Europa. La necessità di distruggere
capacità produttiva in eccesso in Europa, evidenziata dalla crisi, non verrebbe
meno: ma tale distruzione sarebbe meno concentrata geograficamente
leggi tutto:
http://www.marx21.it/documenti/giacche_AusteritySecularStagnation.pdf
domenica 15 marzo 2015
IL MOVIMENTO OPERAIO ITALIANO E LA MASSONERIA - Amadeo Bordiga
La tradizione rivoluzionaria della massoneria italiana
La
lotta tra socialismo e massoneria nel vecchio partito
Gli scandali di Napoli
L’epurazione del partito è stata feconda di insegnamenti
La questione della massoneria ha, nel movimento operaio
italiano, tutta una storia. La massoneria è stata estremamente influente in
Italia. Raggruppando tutte le diverse società segrete di tendenza liberale
borghese che avevano giocato un ruolo storico considerevole durante le lotte
per l’indipendenza e l’unità nazionali, essa seppe occupare un posto di
prim’ordine tra i politicanti e tra l’élite della classe dominante.2
La
massoneria aveva in Italia delle tradizioni d’azione rivoluzionaria cospirativa,
e persino di dedizione. Era la portabandiera dell’ideologia anticlericale, che
aveva caratterizzato la formazione dello stato borghese unitario contro la resistenza
del Vaticano e dell’ultracattolica Austria-Ungheria. Allorché incominciò a
delinearsi un movimento rivoluzionario della classe operaia, la borghesia di
sinistra seppe sfruttare contro tale movimento quelle tradizioni che potevano
conferirle una certa popolarità, e la massoneria divenne il perno di una
campagna volta a distogliere la classe operaia dai suoi obiettivi socialisti e
dalla lotta di classe. Dopo la fase della dura reazione del 1898 vi fu il periodo
della politica democratica dell’estrema sinistra parlamentare, che comprendeva
in un «blocco popolare» i radicali (democratici borghesi), i repubblicani e i
socialisti. La politica del blocco anticlericale, basata sulla demagogia e sui
luoghi comuni del libero pensiero, veniva portata avanti non soltanto in
parlamento ma anche nei comuni, ed era sostenuta da tutta una serie di associazioni
e circoli anticlericali che volevano controllare la propaganda e l’agitazione proletaria.
La massoneria dirigeva tutto questo lavoro dal suo centro occulto.
Quella fu anche l’epoca caratteristica del «giolittismo», cioè della politica
abilmente controrivoluzionaria della collaborazione di classe. Giolitti era
massone; e lo era anche il re democratico – che si è ora rivelato fascista. Fu
allora che il riformismo intensificò la propria azione e trascinò il movimento
operaio sulla strada più pericolosa. Esso sostenne i ministeri borghesi e
costituì dei blocchi elettorali, e Bissolati – socialista – si recò al
Quirinale.3
venerdì 13 marzo 2015
FUNZIONI DELLO STATO - DISTINZIONE FORMALE LOGICA ANALITICA - Stefano Garroni
"L'essenza dello Stato è l'universale in sé e per sé,
la razionalità del volere. Ma, come tale che è consapevole di sé e si attua,
essa è senz'altro soggettività; e, come realtà, è un individuo. La sua opera in
genere, - considerata in relazione con l'estremo dell'individualità come
moltitudine degli individui, - consiste in una doppia funzione. Da una parte,
deve mantenerli come persone, e, per conseguenza, fare del diritto una realtà
necessaria; e poi promuovere il loro bene, che dapprima ciascuno cura per sé,
ma che ha un lato universale: proteggere la famiglia e guidare la società
civile. Ma, d'altra parte, deve ricondurre entrambi, - e l'intera disposizione
d'animo e attività dell'individuo, come quello che aspira ad essere un centro
per sé, - nella vita della sostanza universale; e, in questo senso, come potere
libero, deve intervenire nelle sfere subordinate e conservarle in immanenza
sostanziale." (Hegel)
Nella “Critica alla filosofia del
diritto pubblico di Hegel. Introduzione.” Marx, per la prima volta, individua
nel proletariato l’unica classe capace di sovvertire l’intero ordinamento della
società e dello Stato (la
Germania , in quel caso).
Nel linguaggio fortemente dialettico delle sue opere giovanili, Marx
così mette a fuoco la condizione proletaria e le potenzialità che ne derivano:
“Dov’è dunque la possibilità effettiva
della emancipazione tedesca? Risposta: nella formazione di una classe
con catene radicali, una classe della società civile che non sia una classe
della società civile, un ceto che sia la dissoluzione di tutti i ceti.”
Contro questa classe “viene
esercitata non un ‘ingiustizia particolare bensì l’ingiustizia senz’altro”,
essa è “in contrasto universale contro tutte le premesse del sistema politico”
e non può “ emancipare se stessa
senza…emancipare tutte le
rimanenti sfere della società”. Il proletariato è “la perdita completa
dell’uomo, e può dunque guadagnare nuovamente se stessa attraverso il completo recupero dell’uomo”.
Nel momento in cui scrive questo articolo per gli “Annali franco- tedeschi” Marx non ha ancora intrapreso gli studi di economia cui si dedicherà anima e corpo negli anni successivi: non ha ancora messo a fuoco sul piano scientifico la struttura antinomica della società capitalistica né la centralità della contraddizione capitale – lavoro. In più, è da notare come egli, consapevole della condizione di arretratezza economica e sociale della Germania dei suoi tempi, parli di “formazione” di una classe: significa che questa classe ancora non è pienamente sviluppata e che solo il suo sviluppo porrà le condizioni perché essa possa svolgere il ruolo storico che Marx le riconosce.
Voglio dire che il problema
centrale, con cui Marx si confronta qui, non è ancora quello del superamento di
un determinato sistema socio-economico fondato sulla separazione del lavoro dai
mezzi di produzione: il tema dell’assoggettamento umano appare, dunque, non come
conseguenza di particolari
rapporti di produzione, bensì nella forma dell’opposizione fra l’uomo e lo
Stato, fra “società civile” e Stato, fra l’“essenza umana” e la sua negazione nello Stato – qualsiasi
Stato.
E’ nozione di tutti come su questi
temi ( il “giovane Marx”, i suoi
rapporti con l’hegelismo, il suo “umanesimo”, la successiva cosiddetta “rottura
epistemologica ecc.) siano state scritte moltissime pagine – è sufficiente
ricordare Althusser.
Ma è fuor di dubbio, a mio avviso, che in questo breve e difficile testo si possa scorgere un elemento in grado di illuminare un aspetto del pensiero – o meglio, del modo di pensare – di Marx, che non solo non verrà meno nell’opera successiva, ma che ne costituirà, sempre, lo sfondo e il presupposto: mi riferisco all’originaria vocazione etico- morale di Marx, la stessa che lo avvicina, ma anche lo differenzia, ad altri scrittori socialisti o “comunisti” del suo tempo.
Nel parlare di “vocazione etico- morale “, però, non intendo indicare qualcosa di assimilabile a un sentimento o a un “astratto furore” – per dirla col Vittorini di “Conversazione in Sicilia”: c’è sicuramente del sentimento in Marx, e senz’altro anche del furore e una genuina indignazione, che spesso si scaricano in ironia e sarcasmo, ma non sono questi i fondamenti della sua posizione etica.
Piuttosto Marx, a partire dai suoi
primi scritti, si presenta come il più
coerente prosecutore della linea che dall’Illuminismo porta alla
Rivoluzione Francese. Quella linea, cioè,
che riconosce nell’uomo (ma c’era già in Vico) l’unico costruttore della
propria storia e, dunque, anche dello Stato della
società in quanto prodotti storici. La novità di Marx (ma rintracciabile anche
in altri) sta però nel suo scorgere che lo stesso Stato che nasce dalla
Rivoluzione giacobina, lo Stato ispirato dal “Contratto sociale di Rousseau e
portato alle estreme conseguenze dal Robespierrismo di sinistra e dal
radicalismo piccolo- borghese di Saint- Just, una volta rovesciati i tiranni si
rovescia poi a sua volta al punto da diventare egli stesso un nuovo tiranno.
Non per un errore degli uomini: ma per sua intrinseca natura, per una “legge”
storica.
Marx, ovviamente, non nega il grande progresso costituito dalla Rivoluzione francese, al contrario: egli contrappone nettamente lo Stato della Convenzione, e in generale gli Stati a costituzione democratico- rappresentativa, allo Stato prussiano- tedesco“teologico”, autoritario, censore e semi-feudale.
Ma, per usare un’espressione del linguaggio comune, quel progresso “non gli basta”. Un altro passo va compiuto sulla strada della liberazione umana, e questo passo corrisponde al superamento dello Stato in quanto tale, condizione sine qua non perché l’uomo si ritrovi finalmente padrone assoluto di se stesso: non solo nei cieli della teoria ma nella concretezza della sua esistenza effettiva.
Si può parlare di Marx, almeno in
questa fase del suo pensiero, come di
un “anarchico razionale”? Forse a questa
domanda si può rispondere affermativamente a patto di porre l’enfasi sul
termine “razionale”, vale a dire sulla consapevolezza, che in Marx è senz’altro presente, che non si
tratta di distruggere fisicamente un
apparato più o meno oppressivo la cui semplice scomparsa restituirebbe
magicamente agli uomini la completa libertà. Tutt’altro: la libertà umana è
un presupposto, non una conseguenza, del
superamento dello Stato. Infatti, solo attraverso l’esercizio della libertà
questo processo potrà compiersi: ma non della libertà formale, nemmeno di
quella vigente nelle democrazie rappresentative, bensì di quella libertà che Marx vede come propria dell’essenza umana
e che fa degli uomini, in ogni circostanza, dei creatori di se stessi.
Marx, si può dire in anticipo su se stesso, individua nel proletariato l’iniziatore e il catalizzatore di questo processo. Lo fa ancora prima di diventare propriamente “comunista”, il che comunque avverrà da lì a poco. Lo fa perché crede che l’uomo sia qualcosa per cui valga la pena spendersi: in questo è un grande erede dell’Illuminismo e ancora in questo sta la sua originaria ispirazione etica.
Aristide Bellacicco (Collettivo di formazione
marxista Stefano Garroni)
L'audio dell'incontro: https://www.youtube.com/watch?v=-ZEUew5oY3c
giovedì 12 marzo 2015
IL CONCETTO DI “CASO” NELLE LEZIONI SULLA FILOSOFIA DELLA STORIA DI HEGEL* - Vladimiro Giacchè
Questo ottimo lavoro può spingere qualcuno a interessarsi a questioni difficili ma che
sono presenti in modo determinante anche nel pensiero di Marx, come ben
sappiamo.
Il progressivo affermarsi
(secondo Hegel) della libertà come motore della storia non può avverarsi senza
che l’uomo ne abbia coscienza (illuminismo). Ma è chiaro che questo concetto di
libertà va tenuto ben distinto da qualsiasi connotazione arbitraria: insomma
non si tratta tanto del fatto che “l’uomo fa ciò che vuole” bensì del fatto che
“l’uomo vuole ciò che fa”: e poiché, anche secondo Hegel, l’uomo è un essere
razionale, questo permette di rintracciare i moventi razionali della storia
stessa. Marx dirà, concordando con Hegel, che l’uomo è il creatore della
propria storia, ma aggiungerà che questa storia l’uomo la costruisce
all’interno di condizioni date (limiti naturali, sviluppo delle forze
produttive ecc.): sono questi ultimi elementi quelli che Hegel considererebbe
“accidentali” o “contingenti”? Inoltre, dove noi scriviamo “uomo” Hegel scrive
“Spirito del mondo” e questo va tenuto presente: perché è proprio
l’affermazione dell’essenza spirituale della storia che porta Hegel a dire
che “il reale è razionale ecc.” Ma sono questi i caratteri idealistici
del pensiero di Hegel?
Certamente la "costruzione" della Storia che fa
Hegel, come storia di emancipazione umana non può fermarsi al suo sistema come
Marx ha evidenziato. Ma è poi
vero che Hegel intendesse realmente ciò - contraddicendo se stesso e la sua "opera"-
?
- Il collettivo di formazione marxista Stefano Garroni -
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*Quaderni del Ponte, 1-2 , gennaio-giugno 1993
1. Cenni sul concetto hegeliano di
contingenza
Nella sua Scienza
della logica Hegel ci offre la seguente definizione di “contingente”:
“l’accidentale
[Zufälliges] è un reale [Wirkliches], che in pari tempo è determinato solo
come possibile, un reale di cui l’altro o l’opposto è anch’esso. Questa realtà
è quindi semplice essere o esistenza, posti però nella loro verità, di avere
cioè il valore di un esser posto o della possibilità” (HW 6.205 = tr. Moni-Cesa
614);
ad ideale
completamento di questo passo possiamo aggiungere un luogo delle lezioni
hegeliane sulla logica:
“noi
consideriamo il contingente come qualcosa che può essere o non essere, che può
essere così o essere altrimenti, e il cui essere o non essere, essere così o
essere altrimenti non è fondato in lui stesso, ma in altro” (E § 145 Z, HW
8.285= tr. Verra 357; cfr. Gdl § 15 e Handbemerkung);
è evidente in
questo luogo la ripresa della trattazione aristotelica dell’argomento: si pensi
soprattutto alla seconda delle tre accezioni di contingente distinte da
Aristotele nella Metafisica, secondo cui “l’accidente si produce ed esiste, ma
non in virtù di se stesso, bensì in virtù di un’altra cosa” (Metaph. D, 1025 a
27). Ma se il contesto del discorso aristotelico si riferiva a due catene
causali indipendenti che danno luogo ad un risultato non voluto, H. attribuisce
invece immediato valore ontologico al concetto di “contingenza”: in altre
parole, esistono realtà ed enti che possono dirsi, a differenza di altri,
“contingenti”, ossia imperfetti.
In pari
tempo, H. stabilisce anche riguardo al problema della contingenza una precisa
corrispondenza tra la gerarchia delle forme di natura e spirito e il procedere
del conoscere. Infatti, da un lato nel corso dell’esposizione del sistema
possiamo osservare una progressiva depurazione delle forme dalla casualità,
ossia da isolamento, esteriorità e dipendenza da altro, insomma dalla finitezza;
ciò risulta particolarmente evidente nel passare dalla natura inorganica alla
natura organica, e da questa allo spirito. D’altro lato, ciò vale anche per
quel che riguarda lo sviluppo dei momenti del conoscere: infatti anche il percorso
che, attraverso la sensazione e la percezione, conduce all’intelletto e da
ultimo alla ragione, vede un incremento progressivo della necessità, ossia una
graduale liberazione dello “spirito” dalla casualità.
martedì 10 marzo 2015
domenica 8 marzo 2015
sabato 7 marzo 2015
MARX - Gabriella Giudici
"...il punto centrale riguarda l’economia politica in quanto scienza, e dunque la sua capacità di comprendere la realtà. Il suo vizio di fondo, infatti, consiste nel presupporre ciò che deve spiegare, cioè nel partire dalla proprietà privata come se fosse un dato naturale, facendone valere le leggi come fossero leggi naturali. [...]
«l’opposizione tra non proprietà e proprietà» non assume il carattere di contraddizione se non viene concepita come «opposizione di lavoro e capitale», cioè se non si comprende che il capitale stesso è lavoro, lavoro espropriato dell’operaio. L’emancipazione operaia sarà dunque la riappropriazione di quanto si è perduto per effetto dell’alienazione ed essa significherà la generale emancipazione umana», perché «l’intera servitù umana è coinvolta nel rapporto dell’operaio alla produzione»".
Sta, forse, proprio in questa 'contraddizione', in questa 'negazione' potente che 'blocca', se non superata, il lungo e faticoso cammino dell'emancipazione umana, la chiave di lettura di tutto il pensiero e l'opera di Marx. In perfetta continuità con Hegel Marx pone il problema, la negazione, che ha da essere risolto, superato, pena l'arrestarsi di quel movimento al tempo stesso contraddittorio e risolutore che caratterizza il 'modus operandi' dello Spirito umano, nel suo lento e faticoso passaggio ad un gradino superiore di civiltà. Il grande processo evolutivo dell'umanità, del formarsi del genere umano, del
divenir uomo dell'uomo.
Con questa interpretazione accogliamo il bellissimo lavoro di Gabriella Giudici. Perché è cosi che riconosciamo il 'nostro' Marx...
- Il collettivo di formazione marxista Stefano Garroni -
- Il collettivo di formazione marxista Stefano Garroni -
giovedì 5 marzo 2015
lezioni di volo - Aristide Bellacicco
l gesto di battere le ali presuppone la flessione delle ginocchia: questa è la prima e unica regola che i maestri ci hanno trasmesso. Molti di noi hanno perso il sonno e la serenità nel tentativo estenuante di trovarne una motivazione razionale. Non ve n’è alcuna: i maestri avevano scoperto il come, non il perché. Vi ricordate le prime riunioni – ancora clandestine, a quei tempi – che si tennero subito dopo il ritrovamento del Libro dei Voli? C’era un enorme entusiasmo, tutti eravamo giovani e disposti a dare la vita perché quelle parole si avverassero. Quanti morti! Ventidue soltanto nella prima settimana di tentativi. Raccoglievamo i corpi senza vita sui marciapiedi e, nel buio, li trasportavamo in quello che ora è diventato un monumento nazionale, il Sacrario dei Caduti per Sbaglio (SCS). All’epoca era solo una vecchia rimessa abbandonata all’estrema periferia della città, che aveva il vantaggio di non essere distante dal luogo dove si tenevano le lezioni e si effettuavano i lanci: il tetto della Torre di Kan.
martedì 3 marzo 2015
PARTITO E TEORIA* - Stefano Garroni, Mauro Casadio
*Atti del seminario promosso dal Forum dei Comunisti
"Bisogna che l'eredità della filosofia classica tedesca sia non solo inventariata, ma fatta ridiventare vita operante." (Gramsci, 'Il materialismo storico e la filosofia di B. Croce')
"io non sono nulla e dovrei essere tutto"
(http://gabriellagiudici.it/karl-marx-introduzione-a-per-la-critica-della-filosofia-politica-di-hegel/)
lunedì 2 marzo 2015
Il capitale «apre» i confini: accumulazione e crisi del globale in Rosa Luxemburg - MICHELE CENTO e ROBERTA FERRARI
Un’estrazione che non cessa di affermarsi anche quando il capitalismo sembra ormai privo di un «fuori», di un «non-capitale» da piegare alla sua logica. Nel momento in cui il capitale esercita un dominio esclusivo sul globo, l’accumulazione deve dunque riuscire nella funambolica impresa di creare un «fuori» all’interno del sistema capitalistico.
Non si tratta più un dentro e un fuori geografico, o di un dentro e un fuori temporale, ma di spazi di accumulazione creati sulle possibilità ulteriori di sfruttamento. Una volta diventato globale, il capitale si ritrova infatti con lo stesso problema che segnala Luxemburg: il suo fuori oggi è necessariamente un dentro ma la dinamica di devastazione necessaria per la sua accumulazione rimane la stessa. Ciò di cui Luxemburg sembra consapevole è il fatto che il capitale crea il suo “fuori” innanzitutto impoverendo e immiserendo spazi ulteriori.
Non si tratta qui di una questione geografica, ma di rapporti sociali che il capitale è costretto a riprodurre al suo interno per accumulare. Possiamo dire che l’impoverimento è oggi il nome dell’accumulazione capitalistica, così come lo è la coazione al lavoro di fabbrica in ampie regioni del pianeta.
La violenza politica è qui il veicolo del processo economico: è nel continuo rimando tra queste due facce che si compie il ciclo storico del capitale.
Portare dentro il «fuori» non capitalistico non significa quindi per Luxemburg solamente valorizzarlo, ma piuttosto spremerlo, usarlo: è proprio la devastazione e l’impoverimento il modo di valorizzazione del capitale.
Questo meccanismo perfetto, oliato di sangue e fango, incontra un ostacolo proprio nelle condizioni che esso stesso ha determinato, proprio nel suo processo di valorizzazione distruttiva.
Un campo di battaglia, un luogo di conflitto, dove le resistenze all’introduzione dello sfruttamento capitalistico nei paesi non capitalistici possono saldarsi alle lotte contro gli oliati meccanismi dell’accumulazione nei paesi pienamente capitalistici.
Se la forza del capitalismo risiede nella sua mutevole fenomenologia, la sua debolezza sta nell’inflessibile ostinazione della sua logica. Ed è in questa crepa che nuovi spazi di soggettivazione potranno mettere in crisi la realizzazione dello sfruttamento.
E' anche in questo senso che la rivoluzione è sempre un problema dell’oggi o, se non altro, di quel presente assoluto che la narrazione neoliberale ha estorto alla storia.
(Michele Cento e Roberta Ferrari)
giovedì 26 febbraio 2015
IL "PROBLEMA" MACCHINA. CENNI STORICI* - Stefano Garroni
*Da "Tracciati dialettici (Note di politica e cultura)" Stefano Garroni, Edizioni Kappa

"Nella critica al sillogismo, quindi, è presente non solo il rifiuto di certe regole logiche come le uniche, si anche un'enfatizzazione nuova della 'cultura' (intuizione, percezione, evidenza), come elemento costitutivo della trama logica."
mercoledì 25 febbraio 2015
Corso sul "Capitale" (6/7) - Riccardo Bellofiore
Video degli incontri del ciclo di letture del I libro del "Capitale" di Karl Marx organizzato da Noi Restiamo Torino e tenuto da Riccardo Bellofiore (Università di Bergamo).
https://www.youtube.com/playlist?list=PL5P5MP2SvtGh94C81IekSb83uO7nLgHmL
LA LOTTA DI CLASSE DOPO LA LOTTA DI CLASSE - Luciano Gallino
D. Top manager e
leader politici, anche da sinistra, sono di recente tornati ripetutamente
sull’idea che parlare degli operai, ovvero dei lavoratori dipendenti in genere,
come se fossero una classe sociale sia un ritornello frusto e che la lotta di
classe sia un residuo arcaico della rivoluzione industriale. Occorre dunque
ragionare sulla società italiana e sulla società globale in termini del tutto
nuovi, prendendo atto del fatto che le classi sociali, con riferimento alle
quali sono state descritte e analizzate le società sin dalla metà
dell’Ottocento, non esistono più?
R. Bisogna cominciare con una distinzione.
Chi afferma che le classi sociali non esistono più muove in genere dalla
constatazione che non si vedono più manifestazioni di massa che siano
chiaramente attribuibili ad una data classe. Oppure intende dire che non vi
sono più partiti di un certo peso elettorale che per il loro statuto o
programma si rifanno chiaramente all’idea di classe sociale. In questi casi si
può convenire che negli ultimi decenni le classi sociali, e con esse la lotta
di classe, sono diventate assai meno visibili. Il che pare dar ragione a chi
arriva a concludere che, non essendo le classi visibili e la lotta di classe
chiaramente discernibile, non esistono più le classi.
Però una classe sociale,
come disse qualcuno tempo fa, distinguendo tra la classe in sé e la classe per
sé, non è delimitata o costituita soltanto dal fatto di dar forma ad azioni
collettive in quanto espressioni di un conflitto, o da una forte presenza
pubblica di partiti che fanno delle classi e magari della lotta di classe la
loro bandiera. Una classe sociale esiste indipendentemente dalle formazioni
politiche che ne riconoscono o meno l’esistenza, e perfino da ciò che i suoi
componenti pensano o credono di essa. Ricorrendo ad un’espressione che risale
anch’essa a parecchio tempo addietro, far parte di una classe sociale significa
appartenere, volenti o nolenti, ad una comunità di destino, e subire tutte le
conseguenze di tale appartenenza. Significa avere maggiori o minori possibilità
di passare, nella piramide sociale, da una classe più bassa ad una classe più
alta; avere maggiori o minori possibilità di fruire di una quantità di risorse,
di beni materiali e immateriali, sufficienti a rendere la vita più gradevole e
magari più lunga; disporre oppure no, in qualche modo, del potere di decidere
il proprio destino, di poterlo scegliere. Per definire una classe, insomma, è
necessario ma non basta dire che è una comunità di destino: rientra nella
definizione anche la possibilità per chi vi appartiene di poter influire sul
destino stesso, di poterlo in qualche misura cambiare.
Ci sono poi altri motivi
che inducono molti, da tempo, ad affermare che le classi sociali non esistono
più. Uno di essi è la relativa omogenizzazione dei consumi e dello stile di
vita della classe operaia, o classe lavoratrice, e delle classi medie. Le
famiglie degli operai e dei muratori, dei magazzinieri e dei conducenti di
autobus hanno in molti casi l’automobile, la tv a schermo piatto, il telefono
cellulare, la lavatrice, vivono in un alloggio di proprietà, mandano i figli a
scuola almeno sino alla fine delle superiori e fanno le vacanze al mare:
proprio come le famiglie dei dirigenti d’azienda, dei professionisti, dei
funzionari della pubblica amministrazione, dei commercianti, dei piccoli
imprenditori che formano la classe media ovvero la piccola e media borghesia,
come si chiamava una volta. Qui occorre naturalmente precisare: un conto è lo
stile di vita o il consumo di massa visivamente osservabile; altra cosa è la
qualità del lavoro che un individuo svolge, la possibilità di crescita
professionale, la probabilità di salire nella scala sociale, il fatto di avere
o non avere qualcuno sulla testa che dice ad ogni momento che cosa devi fare.
In questa prospettiva le differenze di classe rimangono cospicue, anche se a
causa della Grande Crisi esplosa nel 2007, e diventata una Grande Recessione
che durerà forse molti anni, una parte della classe media ha subito una sorta
di processo di proletarizzazione.
Un altro motivo per affermare che le classi
sociali non esistono, che risale ancor più lontano nel tempo, ma che anche oggi
si sente riproporre da politici di destra non meno che di centro-sinistra, è
grezzamente ideologico. Esso suona così: operai, dirigenti e proprietari hanno
tutti interesse a che un’impresa funzioni bene e faccia buoni utili. Sono, si
dice, nella stessa barca. Asserire che hanno interessi diversi e quindi
appartengono a classi obiettivamente contrapposte è un’idea priva di senso, si
sostiene, e anzi dannosa per tutte le parti in causa. Perciò operai e sindacati
devono essere “complici” dei manager e dei proprietari: è arrivato a dirlo
nientemeno che un ministro del Lavoro italiano, Maurizio Sacconi, rompendo una
tradizione che ha visto succedersi in tale carica politici dediti a trovare i
modi per regolare il conflitto strutturale tra le due parti, non a camuffarlo.
Quasi due secoli e mezzo fa, Adam Smith aveva spiegato perfettamente perché
l’idea che operai e padroni possano o debbano essere “complici” non sta in
piedi: gli operai, per la posizione che occupano, vorrebbero sempre ottenere
salari più alti; i padroni, per i mezzi di produzione che controllano,
vorrebbero pagare sempre salari più bassi.
Freud e l'analogia Psichico-Statuale* - Stefano Garroni
*Da "Su Freud e la morale (L'uomo e la società)" Stefano Garroni, Bulsoni editore
"Il corpo politico, considerato nella sua individualità, può essere considerato come un corpo organizzato, vivente e simile a quello dell'uomo... La vita dell'uno e dell'altro è l'io comune al tutto, la reciproca sensibilità, la corrispondenza interna di tutte le parti. Se questa comunicazione viene a cessare, se viene meno l'unità formale, se le parti contigue mantengono unicamente un rapporto di giustapposizione, l'uomo è morto e lo stato dissolto" (J:J:Rousseau, Scritti politici, 1, Laterza 1971, pp280-281)
"Il corpo politico, considerato nella sua individualità, può essere considerato come un corpo organizzato, vivente e simile a quello dell'uomo... La vita dell'uno e dell'altro è l'io comune al tutto, la reciproca sensibilità, la corrispondenza interna di tutte le parti. Se questa comunicazione viene a cessare, se viene meno l'unità formale, se le parti contigue mantengono unicamente un rapporto di giustapposizione, l'uomo è morto e lo stato dissolto" (J:J:Rousseau, Scritti politici, 1, Laterza 1971, pp280-281)
giovedì 19 febbraio 2015
HEGEL - IL SISTEMA - Antonio Gargano
Il mondo fino alla Rivoluzione francese si è retto su
meccanismi automatici, che sostanzialmente implicano la prevalenza del più
forte, la prevalenza di chi riesce a raccogliere più potere. Hegel vede il
carattere nuovo della nostra epoca nata con la Rivoluzione francese nel fatto
che l’uomo prende nelle proprie mani il processo di sviluppo dei rapporti
sociali e si mette a dirigerlo secondo una progettualità, cioè secondo la
ragione: «Dacché il sole è nel firmamento e i pianeti gli ruotano intorno, non
si era visto che l’uomo poggia sulla testa, cioè sul pensiero, e, in base ad
esso, edifica la realtà [...]. Ora solo l’uomo è arrivato a conoscere che il pensiero deve governare la
realtà spirituale. Fu una splendida aurora. Tutti gli esseri pensanti hanno festeggiato
quest’epoca». L’età contemporanea non si è ancora chiusa, noi viviamo ancora
nell’età aperta dalla Rivoluzione francese. Il processo che Hegel ha visto
iniziare con la Rivoluzione francese non si è ancora compiuto: il mondo umano
non è ancora plasmato, anzi purtroppo è ben lungi dall’essere plasmato dalle
forze della ragione, dalla progettualità razionale. In una filosofia così forte
l’uomo può conoscere tutta la realtà, l’uomo crea una seconda natura, questa
seconda natura può essere modellata pienamente dalla progettualità razionale: è
chiaro che si tratta di una filosofia ottimistica, possibile in un momento di
grande espansione degli orizzonti umani. Quando, nel 1830‑’48, tutto questo fulgore viene meno, si manifesta chiaramente che la
grande speranza dell’emancipazione complessiva dell’umanità non è stata
realizzata; nelle barricate del ’48 per la prima volta la borghesia si vede con
disappunto contrapposta un’altra classe sociale che le è ostile, il
proletariato, e perde la convinzione di poter essere la classe che ha
emancipato l’umanità e l’ha liberata definitivamente, inizia un ripiegamento
che dà luogo a forme di irrazionalismo, all’esistenzialismo, da cui non si è
ancora usciti. [...]
L’Illuminismo ha fallito perché pretendeva di calare ideali
dalla mente dei filosofi nella realtà, invece gli ideali li partorisce la
storia stessa: la storia è autocontraddittoria e genera da sé il nuovo. Questo
è l’aspetto che verrà sviluppato in particolare da Marx. «Ma la separazione
della realtà dall’idea è specialmente cara all’intelletto». La tendenza a
separare reale da razionale è una delle funzioni dell’intelletto, cioè della
facoltà non pienamente matura dell’uomo che tende a vedere le cose come
separate, razionale da una parte e reale dall’altra: la mentalità
illuministica. [...]
lo spirito è l’autoconsapevolezza di sé che la natura
acquisisce nell’uomo, lo spirito è l’uomo razionale. «Questo possesso di sé
dello spirito, questo suo venire a se stesso può dirsi il suo scopo supremo,
assoluto, questo soltanto è il suo ruolo e nient’altro. Tutto ciò che avviene
in cielo ed in terra, che eternamente avviene, la vita di Dio e tutto ciò che
si opera nel tempo, tende soltanto a far sì che lo spirito riconosca se stesso,
che si oggettivi a se stesso, che trovi se stesso, che divenga per sé, che si
ricongiunga con sé. Lo spirito è sdoppiamento, è estraniamento, ma soltanto per
poter ritrovare se stesso». [...]
l’assoluto si rivela nella storia della filosofia, la storia
della filosofia culmina nel pensiero hegeliano, Hegel quindi ha la pretesa di
essere il momento di autorivelazione dell’assoluto. Hegel in qualche modo
questa pretesa l’aveva: lo spirito assoluto culmina nella filosofia e con Hegel
l’assoluto arriva all’autocomprensione di sé, quindi il circolo in qualche modo
si chiude, il sistema hegeliano ha una sua chiusura. Però Hegel non era ignaro
del fatto che altri materiali empirici, altri elementi vitali sarebbero emersi
e avrebbero avuto bisogno di una sintesi ulteriore: si può dire 170 anni dopo
la sua morte che una sintesi ulteriore poi non c’è stata, quindi finora la
filosofia hegeliana rimane la filosofia suprema, cioè la filosofia che è
riuscita meglio a sintetizzare in una strutturazione logica coerente tutto il
pensiero precedente, tutta la comprensione che l’umanità ha avuto della realtà
e del corso storico stesso. Ma si deve rilevare che, se il sistema hegeliano si
può considerare una sintesi, è pur vero che il metodo dialettico implica che
ogni sintesi si riproduce sempre come tesi e dà luogo a un ulteriore sviluppo
storico: Hegel, che è il filosofo del divenire, non pretende di chiudere col
proprio pensiero il divenire, Hegel è un filosofo aperto invece sullo sviluppo
ulteriore della realtà.
mercoledì 18 febbraio 2015
Una risposta alle "Confessioni di un marxista eccentrico" - Aristide Bellacicco
Confesso – ammetto, è meglio dire – di non aver letto
integralmente, fino ad oggi, le “Confessioni” del ministro Varoufakis. Oggi ho
avuto tempo e l’ho fatto. In effetti, queste pagine in cui Varoufakis pone se
stesso al centro di una vicenda storico-esistenziale con risonanze epocali mi
hanno fatto sorgere più di una perplessità.
Le sintetizzo – parzialmente e per punti - qui di seguito.
- 1 Scrive Varoufakis: “Marx aveva fatto una ‘scoperta’ che
deve restare al centro di ogni analisi utile del capitalismo. Era, ovviamente,
la scoperta di un’…opposizione binaria profonda nel lavoro umano. Tra due
‘nature’ molto diverse del lavoro: (i) lavoro come attività di creazione di un
valore che non può mai essere specificato o quantificato in anticipo (e perciò
è impossibile da mercificare) e (ii) lavoro come una quantità (ad esempio il
numero di ore lavorate) che è in vendita e si ottiene a un certo prezzo. E’
questo che distingue il lavoro da altri fattori della produzione, come
l’elettricità: la sua natura doppia, contraddittoria.”
Ora, per quanto mi è noto, la doppia natura del lavoro in
Marx oppone il lavoro in quanto produttore di “ricchezza” (valori d’uso) al
lavoro in quanto produttore di “valore” (rintracciabile nel valore di scambio).
E’ chiaro che il “lavoro come attività di creazione di un valore” non può mai
essere quantificato in anticipo, perché è solo nella realizzazione del
plusvalore (e non nella sua produzione) che viene in chiaro quanto profitto il
capitale sia riuscito o meno a realizzare. D’altra parte, è proprio nella
riduzione del “lavoro” (ma sarebbe meglio dire della “forza- lavoro”) ad una
entità quantificabile che trova la sua ragion d’essere la produzione di valore
(e di plusvalore). E ciò, in Marx, è vero sia sotto il profilo logico che sotto
il profilo storico. Risparmio a tutti, e al buon Varoufakis soprattutto, le
citazioni arcinote in cui questa affermazione trova riscontro.
martedì 17 febbraio 2015
L'ILLUMINISMO DI FREUD* (2)** - Stefano Garroni
*Da "Su Freud e la morale (L'uomo e la società)" Stefano Garroni, Bulsoni editore
**Prima parte:
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/02/lilluminismo-di-freud-stefano-garroni.html
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