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lunedì 9 giugno 2025

Sul carattere utopico di «Stato e rivoluzione» - Marco Riformetti

Da: https://www.antiper.org - Marco Riformetti (https://www.antiper.org/archive/interventi/riformetti-lenin-tesi.pdf

Da Marco Riformetti, Lenin e la filosofia politica di Stato e rivoluzione, Tesi di laurea in filosofia, Pisa, 2017 


Stato e rivoluzione è stato accusato di fare “l’elogio della dittatura” e al tempo stesso di essere un testo anarchico e utopistico. Per esempio, è stato accusato di aver mutuato le sue concezioni fondamentali dal socialismo utopistico pre-marxista (Fourier, Saint Simon) per tramite delle riflessioni engelsiane della maturità (L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato e l’Anti-Duhring)

“erano quattro gli elementi del pensiero politico di Fourier che lo avevano influenzato in modo permanente. Questi elementi erano: (1) il pieno sviluppo delle capacità umane; (2) la fine della divisione sociale del lavoro; (3) la fine dell’esistenza di classi sociali basate sulla proprietà privata; (4) la fine dello Stato” [1]

Levine pone il problema del (presunto) carattere positivistico del pensiero di Engels (e di quello di Lenin) che risiederebbe nella sua fiducia nel ruolo della scienza

“Saint-Simon era un positivista sociale, le cui radici risalgono a Cordorcet e proseguono verso Comte. Egli credeva in una società sotto il controllo di una aristocrazia scientifica. Era un “platonico” tecnologico e sentiva che solo una elite scientifica avrebbe potuto produrre abbondanza economica e di conseguenza abolire la povertà […] Le influenze fourieriste e saintsimoniane furono espresse nel modo più chiaro nell’Anti-Dühring di Engels, punto di passaggio nel loro viaggio verso Lenin e specialmente verso il suo Stato e rivoluzione .”[2]

In effetti, si può affermare che il marxismo ripone grande fiducia nello sviluppo scientifico e tecnologico e potremmo addirittura dire che il marxismo considera il comunismo possibile solo grazie all’apporto fondamentale del livello più avanzato di sviluppo scientifico e tecnologico, in una concezione diametralmente opposta a quella di un certo neo-primitivismo anarchico [3]). Ma avere fiducia nel ruolo della scienza e considerare la scienza fondamentale nella vita degli uomini non è affatto sintomo di “positivismo” perché nel marxismo questa fiducia è sempre strettamente condizionata al controllo umano sulla scienza. Positivistica sarebbe invece l’idea che il bene dell’umanità possa realizzarsi per effetto del “laissez-faire tecnocratico” in quanto lo sviluppo scientifico e tecnologico avrebbe “in sé” la capacità di produrre “progresso”.

Cosa afferma Lenin a questo proposito?

“Fino a quando vivremo in un paese di piccoli contadini, esisterà in Russia, per il capitalismo, una base economica più solida che per il comunismo. [Il nemico] si appoggia sulla piccola azienda, e per poterlo scalzare c’è un solo mezzo: dare all’economia del paese, agricoltura compresa, una nuova base tecnica, la base tecnica della grande produzione moderna. Solo l’elettricità fornisce tale base. Il comunismo è il potere sovietico più l’elettrificazione di tutto il paese. […] Solo quando il paese sarà elettrificato, quando avremo dato all’industria, all’agricoltura e ai trasporti la base tecnica della grande industria moderna, solo allora vinceremo definitivamente.” [4]

Interessante, a questo proposito la riflessione di Slavoj Žižek

“La lezione ultima del monopolio Microsoft appare in fondo molto simile a quella suggerita da Lenin: anziché combatterne la dimensione monopolistica attraverso gli apparati dello Stato (pensate alla sentenza che impone a Microsoft di dividersi), non sarebbe più logico limitarsi a socializzarla, a renderla più aperta e accessibile? Oggi la tentazione è di riformulare il famosissimo motto di Lenin “Socialismo = elettricità + il potere ai Soviet” in “Socialismo = libero accesso a Internet + il potere ai Soviet” – e il secondo elemento della relazione diventa cruciale, perché indica l’unica forma di organizzazione sociale al cui interno Internet può davvero sviluppare il proprio potenziale liberatorio, e senza la quale sarebbe inevitabile una regressione a una versione aggiornata del più crudo determinismo tecnologico” [5]

La fiducia marxista nella possibilità di un uso “umanistico” di certe macchine, ovvero di un loro uso a favore dell’uomo – e non del capitale – è stata talvolta guardata con sospetto da alcuni filosofi che hanno inteso mettere in guardia dagli effetti nefasti di ciò che viene presentato come “progresso scientifico” e che spesso “progressivo” [6] non è per nulla (un “sospetto” ben più che legittimo in un mondo che ha usato la razionalità tecnico-scientifica per produrre Auschwitz o Hiroshima [7] o per produrre quegli effetti nefasti sull’ecosistema che sono al centro degli studi sull’Antropocene [8]).

Note

[1] Levine [1985], trad. mia: “there were four elements of Fourier’s political thinking which permanently influenced him. These elements were: (1) the full development of human talents; (2) the end of the social division of labor; (3) the end of social classes based upon the ownership of private property; (4) the end of the state”.

[2] Levine, Ibidem, trad. mia:“Saint-Simon was a social positivist, whose roots return to Cordorcet and continue on to Comte. He believed in a society under the control of scientific aristocracy. He was a technological Platonist who felt that only a scientific elite could produce economic abundance and therefore abolish poverty […] The Fourierist and Saint-Simonian traditions were most clearly expressed in Engels’ Anti-Dühring as their transit point on their journey into Lenin, specifically his State and Revolution.”.

[3] Cfr. Zerzan [2004], Kaczynski [1997], Thoreau [1988].

[4] Cfr. Lenin [26].

[5] Žižek [2003], pag. 115.

[6] Cfr., a titolo di esempio, Adorno-Horkheimer [2010].

[7] Cfr. Anders [2007] e Anders [2016].

[8] Cfr. Moore [2017], Haraway [2016], Angus [2016].

venerdì 6 giugno 2025

Il Testamento di Lenin: Stalin, Trockij ed il socialismo in un solo paese. - LUCIANO CANFORA

Da: Tracce Di Classe - Luciano Canfora, filologo, storico, saggista, professore emerito dell’Università di Bari, membro del Consiglio scientifico dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana e direttore della rivista Quaderni di Storia, Dedalo Edizioni. (Luciano Canfora Podcast

Insime a Luciano Canfora, facciamo una conversazione che smonta la narrazione ufficiale sulla storia sovietica e restituisce complessità a un processo troppo spesso ridotto a caricatura. Dalla figura di Stalin al testamento di Lenin, passando per il XX Congresso del PCUS, la Grande Guerra Patriottica del 1941, le vere cause della dissoluzione dell’URSS e il concetto di sicurezza nazionale. Un viaggio nella memoria storica per leggere con occhi nuovi un secolo di storia manipolata. 

                                                                            


domenica 25 maggio 2025

Siamo nel nostro “momento Lenin”? - Emiliano Brancaccio

Da: https://www.rosalux.de - Emiliano Brancaccio è professore di Economia politica presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II e promotore, con Robert Skidelsky, dell’appello “Le condizioni economiche per la pace” pubblicato sul Financial Times , Le Monde e Econopoly de Il Sole 24 Ore . - Emiliano Brancaccio - www.emilianobrancaccio.it - 


Una statua di Lenin a Osh, Kirghizistan.CC BY-SA 4.0 , Foto: Wikimedia Commons / Adam Harangozó


L'istante, il "momento" decisivo: il concetto è diffuso tra gli scienziati di ogni tipo. In fisica, Galileo chiamava "momento" la diminuzione della gravità di un corpo che poggia su un piano inclinato. In economia, si parla di "momento di Minsky", dal nome del teorico Hyman Minsky, per descrivere il momento in cui una bolla speculativa sui mercati finanziari raggiunge la sua massima estensione prima di scoppiare. In tutti questi casi è implicito un cambiamento di scenario: il "momento" come punto di svolta nelle "leggi del moto" di un sistema.

Applicando questa idea all'indagine dei processi storici, sembra lecito azzardare che il tumulto globale che osserviamo oggi possa essere definito qualcosa di simile a un "momento Lenin". Il riferimento, tuttavia, non è a Vladimir Lenin, il rivoluzionario bolscevico in sé, quanto piuttosto a Vladimir Lenin, l'infaticabile studioso che, allo scoppio della Prima guerra mondiale, scrisse il suo famoso saggio su " Imperialismo: fase suprema del capitalismo" , un testo che continua a rivelarsi estremamente utile per comprendere le tendenze storiche ancora oggi.

L'Imperialismo di Lenin è un'opera più sottovalutata dagli economisti volgari che sopravvalutata dai comunisti ortodossi. Non può certo essere definita "scientifica" in senso moderno: la falsificazione popperiana – o qualsiasi altra modalità di verifica empirica – è resa impraticabile dal tenore narrativo dell'opera. La sua lettura, tuttavia, offre una cornucopia di intuizioni altamente originali, da cui molteplici generazioni di studiosi, marxisti e non, hanno tratto spunto per ricerche pionieristiche. [1]

L'intuizione leniniana che meglio ha resistito alla prova del tempo è il nesso tra l'intreccio dei rapporti internazionali di credito e debito, i correlati processi di centralizzazione del capitale in blocchi monopolistici contrapposti e la conseguente mutagenesi della lotta economica in un vero e proprio conflitto militare. Il "momento Lenin", potremmo dire, è proprio quel punto di svolta angoscioso degli eventi: l'ora del terrore collettivo in cui l'intreccio della competizione capitalista trabocca nello scontro armato. In questo senso, la guerra in Ucraina e le sue conseguenze, che saranno molto lunghe e tortuose, possono essere considerate il "momento Lenin" di questa nuova era di disordine mondiale. 

venerdì 7 marzo 2025

Unione Europea, impresa di morte - Luca Cangemi

Da: https://www.kulturjam.it - Luca Cangemi Docente di Filosofia e Storia, dottore di ricerca in Scienze Politiche, fa parte della segreteria nazionale del Partito Comunista Italiano. 

Leggi anche: Il governo della guerra attacca la scuola - Luca Cangemi 

Un blocco imperialista digitale? - Luca Cangemi 

Il mondo di Lenin. Passaggio a Oriente - Luca Cangemi 


“RearmEurope” – un nome agghiacciante, evocativo degli anni Trenta – è il piano criminale presentato da Ursula von der Leyen, che trasforma definitivamente l’Unione Europea in un’impresa di guerra e devastazione sociale. 


RearmEurope, impresa di morte

Il nuovo compito dell’UE, intrecciato a quello consueto di promuovere e imporre il mercato e le privatizzazioni, è ora l’orientamento verso la guerra, in particolare la costruzione di armamenti, destinandovi enormi risorse finanziarie, industriali e tecnologiche, che devono essere sottratte – lo si afferma esplicitamente – alla vita civile. Questa scelta comporta un ulteriore e accelerato ridimensionamento delle garanzie che furono proprie del cosiddetto modello sociale europeo.

Si tratta di una svolta dura e impressionante, soprattutto per l’entità delle risorse finanziarie annunciate dalla presidente della Commissione europea. Tuttavia, non possiamo considerarla una sorpresa assoluta. Storicamente, e nonostante le sciocchezze spesso riportate nei documenti del PD, lo stato sociale in Europa è stato costruito nell’ambito degli Stati e sotto la spinta delle lotte popolari.

Al contrario, le istituzioni europee – prima la CEE, poi, con maggiore capacità di condizionamento, l’UE e la BCE – hanno sempre agito come guardiani del mercato, imponendo politiche economiche neoliberiste e persino norme costituzionali, con esiti regressivi spesso tragici, come in Grecia, e sempre estremamente pesanti.

Sul piano militare, dopo il fallimento della Comunità Europea di Difesa negli anni ’50 (una vicenda storica su cui varrebbe la pena tornare), il protagonismo “europeista” è rimasto sottotraccia.

Tuttavia, non bisogna dimenticare che, negli ultimi trent’anni, NATO e Unione Europea hanno proceduto congiuntamente nell’espansione verso Est e, in particolare, negli ultimi tre anni, le istituzioni continentali – basti pensare ai deliri messi in scena al Parlamento Europeo – sono diventate le roccaforti della retorica bellicista e hanno iniziato a sperimentare soluzioni di finanza di guerra.

Ora, von der Leyen tenta una forzatura nel bel mezzo della crisi nei rapporti atlantici, esplosa con le iniziative di Trump, in particolare sulla questione ucraina. Attenzione: è fondamentale interpretare correttamente la situazione e non vedere nel riarmo europeo un possibile strumento di autonomia dell’Europa rispetto agli USA, come fanno tante anime belle.

Il riarmo promosso da von der Leyen, esplicitamente orientato in senso anti-russo, esprime in realtà la volontà di ricompattare l’Occidente, in continuità con l’ideologia diffusa a piene mani negli ultimi anni. Certo, nelle profondità di alcuni settori delle classi dirigenti europee – in particolare inglesi e francesi – permane un (stanco) riflesso imperiale, ma manca completamente una visione strategica di un nuovo sistema multipolare, in cui un’Europa capace di un ruolo autonomo possa essere protagonista.

Anzi, come non vedere che l’aumento della spesa militare europea corrisponde esattamente alla prima richiesta di Trump? Inevitabilmente, questo rappresenta un enorme finanziamento per l’industria militare americana, da cui verrà acquistata gran parte dei sistemi d’arma, rafforzando così la stabilità economica e sociale interna degli Stati Uniti, un aspetto di cui non si valuta mai abbastanza la centralità.

Il senso profondo di questo europeismo bellicista è dunque la ricostruzione e ricontrattazione dei legami atlantici. Sul piano interno, si configura come una risposta autoritaria e centralizzata alla crisi economico-sociale, particolarmente acuta in Germania. Non a caso, gli ultimi due dei cinque capitoli del “RearmEurope” sono dedicati alla mobilitazione del capitale privato attorno alle necessità belliche: con l’industria della morte, si cerca una via di ripresa per l’indebolita economia europea, con l’idea di plasmare l’intera società integrando nel sistema militare-industriale gli apparati produttivi, tecnologici e formativi, ma anche i meccanismi di costruzione del consenso.

È il modello israeliano. E non è un bel modello. 

sabato 1 febbraio 2025

La Cina, forza motrice principale del socialismo mondiale - Daniele Burgio, Massimo Leoni e Roberto Sidoli

Da: https://www.facebook.com/lacinarossa - Daniele BurgioMassimo LeoniRoberto Sidoli, autori dei libri: Ratzinger o fra Dolcino? L’effetto di sdoppiamento nella religione occidentale; Microsoft o Linux? Scienza, tecnologia ed effetto di sdoppiamento; Leggi economiche universali e comunismo; Filosofi di frontiera; Pitagora, Marx e i filosofi rossi.

Vedi anche: Marxismo in Cina e la via cinese al socialismo 

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Con l'epocale ed eroica vittoria sul nazifascismo genocida nei confronti di ebrei, rom e comunisti, si assistette a un successo imperituro di cui hanno sicuramente il merito essenziale, (ivi compresa la liberazione del campo di sterminio nazista di Auschwitz, avvenuta il 27 gennaio 1945) il popolo sovietico, l'Armata Rossa e il partito bolscevico allora diretto da Stalin, consolidando tra l'altro il loro ruolo, già acquisito in precedenza a partire dalla vittoriosa e ben armata pratica di massa dell'Ottobre Rosso del 1917, principale centro di gravità del movimento comunista e del socialismo su scala planetaria. 

Un passato glorioso, sicuramente, ma come esso si connette con la nostra epoca attuale?
Più nello specifico, la Cina contemporanea svolge una funzione analoga nel Ventunesimo secolo e all'inizio del terzo millennio, nello scontro titanico e ormai plurisecolare che dal 1917 vede opposti socialismo e imperialismo? 

A tal proposito esamineremo lo scenario contemporaneo internazionale e, in seguito, il rapporto organico di Pechino con il marxismo; poi passeremo al peso dominante della sezione collettivistica nell'economia cinese, allo stimolo positivo che a livello globale stanno già ora suscitando i successi produttivi, sociali e tecnologici della Cina prevalentemente socialista (triplicazione dei salari operai cinesi dal 2004 al 2016, computer quantistici, 5G e 6G per cellulari, stazione orbitante cinese, ecc.) e, infine, al ruolo decisivo svolto da Pechino contro l'unipolarismo egemonico di Washington su scala planetaria.