martedì 26 luglio 2016

Michel Foucault: Sorvegliare e punire. Nascita della prigione*- by fernirosso

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Michel Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione (1975), tr. it. di A. Tarchetti, Einaudi, Torino 1993. 


 Ritornando alla riflessione sull’architettura, se la tana di Kafka è esemplificativa di un’architettura di difesa dall’altro, il testo seguente riguarda invece un’architettura del controllo dell’altro, ossia uno spazio che diviene disciplinare, sezionato e parcellizzato per controllare l’altro: lo spazio diventa disciplina.

 Nel capitolo tratto dal testo sopraccitato e intitolato Panoptismo, Foucault inizia dalla storia. Foucault infatti racconta storie in cui importanti ricerche storiografiche vanno ad intrecciarsi a mirabili riflessioni teoriche.

 Durante il XVII secolo, quando la peste si manifestava in una città, venivano immediatamente prese delle misure di sicurezza. Per cominciare, veniva fatta una rigorosa divisione spaziale in settori della città; di seguito, città e terreno agricolo circostante venivano chiusi con l’interdizione di uscirne, pena la vita; infine venivano uccisi tutti gli animali randagi. Ogni strada era posta sotto l’autorità di un sindaco che aveva il compito di sorvegliarla; se per qualsiasi motivo l’avesse lasciata, sarebbe stato punito, senza deroghe, con la morte. Un determinato giorno, designato precedentemente, si ordinava che ciascuno si rinchiudesse entro la propria casa; dopo di che, il sindaco andava personalmente a chiudere a chiave le case e quindi rimetteva la chiave nelle mani dell’intendente di quartiere che la conservava fino alla fine della quarantena. Ogni famiglia aveva delle sue provviste e per fare transitare il vino e il pane venivano preparate delle piccole condutture in legno tra strada e case; per il resto delle cibarie venivano usate delle carrucole e delle ceste. In città non circolavano che gli intendenti, i sindaci, i soldati della guardia e i “corvi”, miserabili che trasportavano i cadaveri e li seppellivano.

 A questo punto, è chiaro che l’architettura rappresenta il fil rouge della nostra riflessione. Quale è il tipo di architettura che riscontriamo in questo preciso momento storico? Troviamo un’architettura in cui lo spazio è recintato, chiuso, delimitato; un’architettura in cui ciascuno è stivato al suo posto e se si muove ne va della sua vita, causa la possibilità di contagio o di punizione.

Ma torniamo propriamente al testo, Foucault ci dice che l’ispezione era continua, il controllo senza posa, ovunque erano presenti corpi di milizia e posti di sorveglianza, mentre le sentinelle venivano appostate ad ogni angolo della strada. Ogni giorno il sindaco visitava la strada di cui era responsabile; ad ogni casa faceva mettere gli abitanti alle finestre per contarli e assicurarsi che non vi fossero dei morti; il cittadino aveva l’obbligo giuridico di presentarsi, pena la morte; si trattava di un passare in rivista ogni singolo individuo, con un sistema che ci richiama necessariamente a quello carcerario, quando il secondino passa di cella in cella, batte sulla porta e il carcerato deve presentarsi.

Questo tipo di sorveglianza si basava su un apparato di registrazione permanente: ogni figura istituzionale doveva fare rapporto a qualcun’altra, i verbali si accumulavano l’uno sull’altro, tutti i nomi degli abitanti venivano minuziosamente registrati con continui appelli, si compilavano documenti ufficiali e ogni elemento (morte, malattie, reclami, irregolarità) veniva annotato. Anche le stesse cure mediche dovevano essere decise previa autorizzazione scritta del magistrato, in modo da evitare che si curassero, all’insaputa del medico, malati contagiosi.

A cinque o sei giorni dall’inizio della quarantena si procedeva a una attenta decontaminazione delle case; fatti uscire gi abitanti, in ogni stanza si spostavano mobili e merci, quindi, dopo aver chiuso tutti i pertugi della casa, si spargevano e si facevano bruciare delle essenze; finita l’operazione di disinfezione, si procedeva alla perquisizione dei profumatori per assicurarsi che non avessero arraffato oggetti di valore e quant’altro dalla casa; finalmente, quattro ore dopo circa, gli abitanti potevano rientrare.

Ritornando alla riflessione sullo spazio e facendo un punto sulla situazione, potremmo affermare che quello a cui costringe la peste è uno spazio:

– chiuso, recintato, sezionato con esattezza,

– sorvegliato in ogni suo punto,

– in cui gli individui sono inseriti in un posto fisso,

– in cui ogni pur minimo movimento è controllato,

– in cui tutti gli avvenimenti sono registrati,

– in cui un interrotto lavoro di scrittura e scritturazione collega il centro alla periferia,

– in cui il potere si esercita senza interruzioni e secondo una gerarchia ascendente,

– in cui ogni individuo è costantemente reperito ed esaminato in modo da essere assegnato a tre diverse categorie: i vivi, gli ammalati, i morti .

Tutto ciò costituisce un sistema compatto di dispositivo disciplinare, termine fondamentale per comprendere il discorso portato avanti da Foucault.

Al caos pestilenziale, l’uomo rispondeva con l’ordine, la cui funzione era risolvere quelle confusioni inevitabili, laddove la malattia e il contagio si diffondevano rapidamente e i corpi si mescolavano in promiscuità disordinate. Quest’ordine prescriveva a ciascuno il suo posto, a ciascuno il suo corpo, la sua malattia e la sua morte; a ciascuno il suo bene, per effetto di un potere che si reputava onnisciente. Tale potere arrivava a determinare completamente la scelta dell’individuo, fosse pure la morte. Se la peste era mescolanza, la disciplina era ordine e fredda analisi.

Le misure contro la peste danno il via all’era dell’utopia disciplinare in cui le misure correttive per un’epidemia mettono in campo un’idea di realizzazione del potere disciplinato: un potere totale che arriva a regolare fin nel profondo il corpo del cittadino.

Foucault afferma che dietro l’ossessione della peste, c’è l’ossessione per ciò che è radicalmente altro, ovvero ciò che rappresenta una diversità vischiosa e scabrosa: la paura delle rivolte, dei crimini, del vagabondaggio, delle diserzioni, dello sciacallaggio, di persone che appaiono e scompaiono, vivono e muoiono in un disordine incomprensibile.

Dunque, proprio la peste, elemento estraneo, (questa l’osservazione teorica interessante nel capitolo in questione) ha suscitato il desiderio dell’ordine e fatto nascere gli schemi disciplinari. Schema disciplinare significa un’architettura del controllo dell’altro. Tale progetto richiama separazioni multiple, distribuzioni individualizzanti, una profonda e capillare organizzazione di sorveglianza e di controllo, una intensificazione e una ramificazione del potere. Foucault aveva parlato, in altri testi, anche di lebbra; il lebbroso era colui che veniva allontanato dalla città, era quell’alterità pericolosa che veniva esclusa ed emarginata. Con le misure cautelative per la peste si trova però di fronte ad un fenomeno differente e più complicato: quello dell’organizzazione di un potere analitico che controllava e suddivideva. Un’alterità, quella del lebbroso, è marchiata e isolata, l’altra, quella dell’appestato, è controllata entro una società disciplinata. A due tipi d’alterità, corrispondono due maniere di esercitare il potere sull’altro, la prima è una forma escludente, la seconda avvolgente e disciplinante.

Il tipo di città che si delinea a partire dalla diffusione della peste, simboleggia la chimera della città perfetta che suddivide gli spazi, affida ad ognuno il suo compito ed ha utopicamente come fine quello di analizzare e trovare uno spazio, stabilito e disciplinato, per la persona. Questo tipo di città, ci dice Foucault, è la città della modernità.

Abbiamo detto che l’autore presenta due modelli di architettura del rapporto con l’altro, quello dell’esclusione e quello della parcellizzazione.

Tuttavia i due schemi non sono incompatibili, anzi, Foucault ci dice che lentamente li vediamo avvicinarsi. Infatti è peculiarità del XIX secolo, quella di aver applicato allo spazio proprio dell’esclusione, di cui il lebbroso era l’abitante simbolico (e i mendicanti, i vagabondi, i pazzi e i violenti formavano la popolazione reale), la tecnica del potere propria dell’incasellamento disciplinare. L’escluso rimane tale nelle pratiche di individualizzazione così come l’alterità è esclusa nel momento in cui è incasellata e controllata. A questo servono determinate istituzioni statali come l’asilo psichiatrico, il penitenziario, la casa di correzione, lo stabilimento di educazione sorvegliata. Queste istituzioni funzionano in base a un doppio schema: quello della divisione binaria (pazzo-non pazzo, pericoloso-inoffensivo, normale-anormale) e quello dell’assegnazione coercitiva o della ripartizione differenziale (chi è o come deve essere, come caratterizzare, come riconoscere questa alterità e come esercitare su di essa una sorveglianza costante).

L’alterità e la differenza sono inserite entro un meccanismo di controllo disciplinare e sono alterità proprio in funzione di questo meccanismo correttivo.

La conclusione teorica di Foucault è che fino ai giorni nostri il rapporto all’alterità si è basato su questo doppio legame di esclusione-controllo inserito entro istituzioni disciplinari.

Un esempio di questa istituzione disciplinare è il Panopticon, da cui il panoptismo. Il Panopticon ritrae la figura architettonica di questa composizione.

Costituzione del Panopticon:

-alla periferia la costruzione è ad anello

-al centro vi è una torre tagliata da larghe finestre che si aprono verso la faccia interna dell’anello

-la costruzione periferica è divisa in celle, le quali occupano ciascuna l’intero spessore della costruzione.       Ogni cella ha due finestre, una, verso l’interno, corrispondente alla finestra della torre, l’altra, verso l’esterno, permette alla luce di attraversare la cella da parte a parte. Pertanto è sufficiente servirsi di un solo sorvegliante, appostato sulla torre centrale, per tenere sotto controllo il pazzo, il condannato, il malato o l’operaio rinchiusi all’interno delle celle. Dalla torre si possiede quindi uno sguardo a 360 gradi e questo permette un controllo assoluto sulla vita del recluso. Tante gabbie, tanti piccoli teatri in cui ogni attore è solo a recitare il suo canovaccio, perfettamente individualizzato e costantemente visibile. Il dispositivo panoptico predispone unità spaziali che permettono di vedere senza interruzione e di riconoscere immediatamente. Dei tre principi che dominavano la segreta – rinchiudere, privare della luce, nascondere – si predilige solamente il primo, preferendo la piena luce e la completa visibilità. Ognuno è visto in faccia dal sorvegliante, mentre i muri laterali gli impediscono di entrare in contatto con i compagni: egli è visto, ma non vede. Foucault ci dice una cosa importante: la persona dentro il panopticon è oggetto d’informazione, ma mai soggetto di comunicazione. Dice anche che, all’interno di questo dispositivo di controllo istituzionale, la folla, la massa compatta, da sempre luogo di molteplici scambi e d’individualità che si fondono per effetto collettivo, è stata invece abolita, per trasformarsi in un’amorfa sorta d’automi, d’individualità separate . La folla è sostituita da una molteplicità numerabile e controllabile grazie all’imposizione di una solitudine sequestrata e scrutata.

Jeremy Bentham, il filosofo utilitarista, progettò questa macchina infernale alla fine del ‘700. Nell’elaborare questa prospettica prigione della modernità (egli infatti non riuscì a realizzarla), ispirò successivamente gran parte degli edifici scolastici, di cura, di detenzione e perfino, a voler vedere, la maggior parte degli edifici abitativi. In questo modo elaborò anche una nuova idea del potere: un potere tanto visibile quanto inverificabile.

L’effetto principale del panopticon è indurre nel detenuto uno stato cosciente di visibilità, capace d’assicurare quella che è la funzione automatica del potere: far si che la sensazione del controllo sia permanente anche laddove la sua attuazione è discontinua; obbligare il detenuto alla sensazione di essere controllato ed osservato costantemente, pure se questa percezione non gli è possibile da verificare. Quindi fondamentale non è la presenza ininterrotta del sorvegliante, bensì che il detenuto ne abbia solamente la sensazione. Siamo così giunti all’idea di un’alterità fisicamente determinata. È l’idea che Foucault chiamerà bio-politica, ovvero la presenza del potere fin nelle più piccole particelle del corpo della persona. Una presenza non necessariamente fisica, ma che è sufficiente sentire-percepire.

Grazie a questa inestinguibile sensazione, il detenuto avrà sempre davanti l’alta torre centrale, ma non saprà mai se il sorvegliante è presente al suo interno. La torre infatti possiede delle persiane che coprono le finestre e non ne permettono la visione interna; delle chicanes,al posto delle porte, per evitare ad ogni minimo riverbero di lasciar trasparire la presenza del guardiano.

Ecco perché il panopticon è una macchina per dissociare la coppia vedere-essere visti. Infatti, mentre nell’anello periferico si è totalmente visti, senza mai vedere, viceversa nella torre centrale si vede sempre, senza mai essere visti.

Oltre a quanto riportato, il panopticon si basa altresì su una relazione fittizia: non è necessario far ricorso alla forza per costringere il condannato alla buona condotta, il pazzo alla calma, lo scolaro alla buona educazione. Le istituzioni sulla base del panopticon non hanno inferriate o catene perché basta che le separazioni siano nette e le aperture ben disposte. Questa del panopticon è una geometria della certezza e non della fortezza, la forza costrittiva e il controllo della diversità passa attraverso una chiara superficie di applicazione.

Bentham non lo dice, Foucault però lo ricorda: il panopticon si è principalmente ispirato al serraglio del re che l’architetto Le Vaux aveva costruito a Versailles (poi andato distrutto, ma di cui rimangono tuttora progetti e disegni). Esso fu importante perché rappresentò il primo serraglio in cui gli animali non erano disseminati in un parco. Differentemente, vi era un padiglione ottagonale che al primo piano comprendeva l’unica stanza del re e i cui lati si aprivano con ampie finestre su sette gabbie; l’ottavo lato era l’ingresso, dove erano rinchiuse varie specie di animali. All’epoca di Bentham questo serraglio era scomparso, ma nel programma del panopticon si trova un’analoga preoccupazione per l’osservazione individualizzante, per la caratterizzazione e la classificazione, per l’organizzazione analitica dello spazio. Il panopticon è un serraglio del re. L’animale è sostituito dall’uomo e questo dovrebbe farci riflettere circa il modo di rapportarsi all’alterità: rispetto all’altro si ha un atteggiamento naturalista e scientista e osservare l’altro, senza avvicinarlo per paura del contagio, analizzarlo e catalogarlo, entro parametri determinati, è la modalità di rapportarsi alla diversità perseguita dalla modernità.

Il panopticon è luogo di sperimentazione, di analisi e di controllo.

Facciamo un’ulteriore ed ultima riflessione, che qui ci interessa per quel che concerne l’alterità e il rapporto ad essa. Nel testo di Bentham, ad un certo punto il signore del panopticon, colui che dalla torre controlla il dispositivo di controllo, ovvero quella figura che oggi potremmo individuare nel direttore del carcere, del manicomio o dell’istituto di correzione scolastica, dice una frase che può farci riflettere e che forse lo stesso Foucault sottolinea appena. La scrive e la lascia abbozzata quasi a costituire una piega di questo meccanismo: “Il mio destino – dice il signore del panopticon – è legato a loro [a quello dei detenuti] da tutti i legami che io sono stato capace d’inventare”. In soldoni, questo significa che il medico incompetente che avrà lasciato diffondere il contagio o il direttore del carcere che sarà stato incapace e avrà lasciato divampare la rivolta, saranno le prime vittime l’uno dell’epidemia, l’altro della rivolta; più in generale che il controllo si ritorce, alla fin fine, sul controllore e sull’ideatore del sistema di controllo. Risulta quindi evidente, alla luce della mia analisi, che la pragmatica di dominio sull’altro è un’arma a doppio taglio per questa sua identità che si presume incolume. Dobbiamo pertanto tener sempre presente che ogni forma di identità non è mai pura e che il prodotto delle proprie recinzioni e delle proprie tecniche anti-contagio si ritorce inevitabilmente contro l’ideatore stesso del progetto di difesa.




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