giovedì 11 luglio 2024

Enzo Traverso, "Gaza davanti alla storia" - Marco Revelli

Da: https://www.doppiozero.com - Marco Revelli è un politologo, attivista politico, giornalista e saggista italiano. - Enzo Traverso è uno storico e intellettuale tra i più autorevoli, con un profilo internazionale di alto rilievo. Ha insegnato in Francia, dove si è trasferito dal 1985, a Paris VIII, all’Ecole des hautes études en Sciences sociales, come full professor all’Université de Picardie e infine negli Stati Uniti, alla prestigiosa Cornell University. 


Enzo Traverso è uno storico e intellettuale tra i più autorevoli, con un profilo internazionale di alto rilievo. Ha insegnato in Francia, dove si è trasferito dal 1985, a Paris VIII, all’Ecole des hautes études en Sciences sociales, come full professor all’Université de Picardie e infine negli Stati Uniti, alla prestigiosa Cornell University. Nella sua ampia bibliografia (una quindicina di testi, in gran parte pubblicati in francese e in inglese, oltre che in italiano) figurano i grandi temi della violenza nel XX secolo (in particolare il fondamentale testo su La violenza nazista. Una genealogia, del 2002); della cultura ebraica nella diaspora e del suo ruolo nell’autocoscienza della modernità; del senso e del significato di Auschwitz e della Shoah nella vicenda intellettuale postbellica. È uno dei quattro curatori, insieme a Marina Cattaruzza, Marcello Flores e Simon Levis Sullam, della monumentale Storia della Shoah pubblicata dalla UTET nel 2019. Ha dunque le carte perfettamente in regola per affrontare l’impervio tema cui è dedicato questo suo ultimo lacerante testo.

Gaza davanti alla storia non è un libro di storia, per il banale fatto che – l’autore lo dichiara fin dall’incipit – si occupa di un’attualità tuttora in corso. È piuttosto un libro sul presente visto alla luce della storia. Un’operazione in esplicita controtendenza, e quindi in sé coraggiosa, in tempi in cui il vezzo prevalente, e non privo di malizia, è la de-storicizzazione sistematica di ciò che accade, con una visione puntiforme degli eventi – siano essi il 24 febbraio per l’Ucraina, il 7 ottobre per Israele, o prima ancora l’11 settembre per gli Stati Uniti –, quasi che l’orrore scaturisca dall’istante, da una qualche “perversione morale”, senza nulla alle radici, né sul piano evenemenziale né su quello culturale. E come se i dispositivi argomentativi a vantaggio dei “nostri” e viceversa a condanna degli “altri” fossero innocenti nel loro carattere inedito e non invece riproposizioni di consolidati e già condannati stereotipi valoriali. Qui invece, al contrario, ogni fatto – e si tratta soprattutto di fatti violenti, della violenza estrema con cui la guerra identitaria contemporanea si esprime –, e soprattutto ogni “discorso”, è visto sullo sfondo di ciò che si è compiuto e pensato “prima”, nel processo temporale lungo il quale i protagonisti in conflitto si sono formati e hanno elaborato (e insieme trasfigurato e/o snaturato) le proprie rispettive identità e pratiche. 

martedì 9 luglio 2024

In ricordo di Gianfranco Pala

Da: https://anticapitalista.org - Gianfranco Pala (1940 - 2023), Economista italiano. Docente di Economia alla Sapienza di Roma. Direttore della rivista LA CONTRADDIZIONE (https://rivistacontraddizione.wordpress.com). Studioso marxista tra i più rigorosi.

Leggi anche: E’ morto il compagno Gianfranco Pala, un marxista rigoroso. - Francesco Schettino

DIALOGO SOPRA UN MINIMO SISTEMA DELL’ECONOMIA, a proposito della concezione di Sraffa e degli “economisti in libris” suoi discepoli * - Gianfranco Pala e Aurelio Macchioro

Il “lupo marxicano” - Giorgio Gattei 

Dal prestito alle “tavolette” dei Sumeri (con le equazioni di Dgiangoz). Cronache marXZiane n. 13 - Giorgio Gattei

Vedi anche: Keynes e le ambiguità della liberazione dal lavoro - Riccardo Bellofiore 

Sraffa tra Ricardo e Marx - Riccardo Bellofiore 

Abbiamo appreso la notizia della scomparsa del compagno Gianfranco Pala. La sua critica dell’economia politica ha rappresentato un pilastro determinante nella formazione di tantissime e tantissimi compagne e compagni. Ci lascia un vuoto teorico e politico impressionante. Ma ci resta anche moltissimo. Ci resta l’enorme patrimonio dei suoi scritti, articoli, libri, opuscoli; ci restano i preziosissimi numeri della sua rivista Contraddizione. Ci mancheranno, però, i suoi convegni, le sue polemiche, le sue invettive e le sue straordinarie e inimitabili lezioni; soprattutto, ci mancheranno le nostre letture collettive del Capitale e quella sua testarda ossessione di leggere e rileggere, direttamente e continuamente, Marx ed Engels, senza mai cedere alle mistificazioni dell’accademia dominante. Ci stringiamo alla sua compagna, Carla Filosa, e alla sua famiglia con un abbraccio militante, comunista e rivoluzionario. Crediamo che il modo migliore per ricordarlo sia quello di riproporre la nostra presentazione alla ripubblicazione del suo capolavoro di critica dell’economia politica, anche grazie allo sforzo e al contributo di Sinistra Anticapitalista e della Biblioteca Livio Maitan. Grazie Gianfranco di tutto e per tutto. (https://anticapitalista.org14 novembre 2023)


Marx: lupus in fabula!

di Olmo Dalcò

Grazie alla volontà di un coraggioso editore, nonché alla pressione militante di Sinistra Anticapitalista, è stato ripubblicato il libro di Gianfranco Pala, Pierino e il lupo, dopo trentaquattro anni dalla sua prima uscita. Pierino e il lupo narra, ripercorrendo Prokofiev, in forma di favola economica, del rapporto tra Sraffa e Marx, che tanto affascinò le cattedre universitarie negli anni settanta, e tanto influenzò il dibattito nell’ambito della sinistra politica e sindacale. Tuttavia, così tanto è mutato il clima culturale e politico, negli ambienti accademici e non, che il dibattito attorno alle tesi di Sraffa ha fatto decisamente il suo tempo, essendo stato dimenticato persino il nome dell’illustre economista italiano. Perché allora la necessità di una nuova pubblicazione?

La prima risposta banale sarebbe quella di rendere omaggio a un vero e proprio capolavoro di critica dell’economia politica, ovviamente coscientemente trascurato dall’accademia dominante, sempre più meschinamente ideologica e oscurantista. La seconda risposta militante è che la crisi economica a cui stiamo assistendo è anche una crisi dell’economia borghese e della sua capacità mistificatoria. Infatti, l’opera, pur narrando di come Pierino, ovvero Piero Sraffa, riuscì a mettere in gabbia Marx, ovvero il lupo, si conclude, tuttavia, con un lupo vivo e agitato all’interno di una gabbia neanche troppo resistente.

domenica 7 luglio 2024

Xenofobia e liberismo, il “nuovo” volto dell’estrema destra francese - Marco Santopadre

Da: https://pagineesteri.it - Marco Santopadre, giornalista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e del Nord Africa. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. 


La possibile formazione di un governo di “quasi unità nazionale” tra diverse formazioni, al solo scopo di escludere l’estrema destra vincitrice del primo turno delle elezioni legislative francesi, ha concesso nuovi argomenti al Rassemblement National, tornato a dipingersi come forza anti-sistema discriminata dall’establishment.

Negli ultimi giorni la campagna elettorale ha quindi visto tornare in auge i toni populisti classicamente utilizzati in passato dall’estrema destra francese, precedentemente attenuati al fine di presentare il partito come forza di governo responsabile e pragmatica.

La “nuova destra” di Jordan Bardella 

La linea Bardella si è discostata in parte dal messaggio politico e identitario diffuso negli scorsi anni da Marine Le Pen, che per l’occasione ha fatto un passo di lato puntando su un personaggio giovane e non accostabile ai trascorsi fascisti del Front National. La formazione ha tentato di accreditarsi come un partito di stampo conservatore e nazionalista, escludendo una parte della “vecchia guardia” e aggiustando il tiro nella propaganda.

Ma negli ultimi giorni, animati forse dall’euforia della vittoria o da un sentimento di rivalsa a lungo represso, molti militanti dell’estrema destra – non tutti necessariamente riconducibili al partito di Le Pen – si sono dedicati ad aggressioni e minacce nei confronti di esponenti dei partiti centristi o di sinistra, di attivisti, giornalisti, avvocati, semplici rifugiati e cittadini di origine araba o africana, legittimati dall’ondata nera del 30 giugno.

Chi ha riabilitato il fascismo? - LUCIANO CANFORA

Da: Tracce Di Classe -  Luciano Canfora, filologo, storico, saggista, professore emerito dell’Università di Bari, membro del Consiglio scientifico dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana e direttore della rivista Quaderni di Storia, Dedalo Edizioni. (Luciano Canfora Podcast


                                                                           

venerdì 5 luglio 2024

L’ipotesi della instabilità finanziaria e il ‘nuovo’ capitalismo - Riccardo Bellofiore* (Maggio 2009)

Da: https://www.sinistrainrete.info - Riccardo Bellofiore, è stato Docente di Economia politica all’Università degli Studi di Bergamo, i suoi interessi sono la teoria marxiana, l’approccio macromonetario in termini circuitisti e minskyani, la filosofia economica, e lo sviluppo e la crisi del capitalismo. (Economisti di classe: Riccardo Bellofiore & Giovanna Vertova - https://www.riccardobellofiore.info

Leggi anche:  IL PROFETA DELLA CRISI. TRIBUTO A HYMAN MINSKY - intervento di Riccardo Bellofiore 

Vedi anche: Le principali teorie economiche - Riccardo Bellofiore 

Questa introduzione ha un triplice obiettivo. Chiarire organicamente, passo passo, in modo il più possibile elementare, un pensiero non sempre facile, come quello esposto nel libro che qui si presenta. Integrare le tesi di questo volume con gli sviluppi contenuti nei due libri successivi di Minsky, così come nella sua ultima riflessione sul money manager capitalism e sulla ‘cartolarizzazione’, fornendo così al lettore un quadro aggiornato e d’insieme. Mostrare infine la sorprendente attualità dell’approccio dell’economista americano, quale rivelata dalle dinamiche del ‘nuovo’ capitalismo e dal ritorno della crisi finanziaria (e reale). 

Qui il testo in oggetto in lingua originale:  http://digamo.free.fr/minsky75.pdf 

Una interpretazione ‘finanziaria’ della teoria di Keynes

Il pensiero di Hyman P. Minsky ha ruotato attorno a tre questioni. Innanzitutto, una rilettura di Keynes come economista monetario eterodosso che sottolinea il ruolo essenziale dei mercati finanziari e l’intrinseca non neutralità della moneta. In un mondo caratterizzato dall’incertezza, le oscillazioni degli investimenti privati determinano il ciclo, mentre gli investimenti sono a loro volta influenzati dai rapporti finanziari. Di questo versante della riflessione di Minsky fanno parte integrante il c.d. Modello ‘a due prezzi’ e la ripresa delle equazioni di Kalecki per la determinazione dei profitti.

In secondo luogo, l’ipotesi dell’instabilità finanziaria. Dopo un periodo di crescita tranquilla caratterizzata da una finanza robusta, le strutture del passivo di imprese e banche spontaneamente si spostano verso la fragilità. Il sistema diviene più facilmente soggetto a crisi finanziarie, che si producono periodicamente come effetto del normale funzionamento del meccanismo economico. Ogni stato raggiunto dall’economia è una posizione transitoria, in cui sono impliciti gli sviluppi finanziari che daranno a loro volta luogo alla transizione allo stato successivo. L’evoluzione ciclica del capitalismo – il passaggio dall’espansione al boom, il collasso finanziario e la tendenza alla deflazione da debiti, sino al rischio (o alla realtà) di una ‘grande depressione’ – è proprio il portato necessario della natura monetaria del processo capitalistico sottolineata da Keynes. Ciò che manca alla Teoria generale è l’individuazione delle ragioni per cui la stabilità è destabilizzante: l’evoluzione capitalistica è endogena, ed è dominata dall’andamento delle variabili finanziarie.

Infine, la tesi che l’intervento discrezionale delle autorità di politica economica è in grado di attenuare le forme che assume l’instabilità, fissando dei limiti inferiori e superiori al ciclo. Grazie ai disavanzi nel bilancio dello Stato e al ruolo della Banca Centrale, sia come prestatore di ultima istanza che come regolatore del sistema finanziario, è possibile e ragionevole controllare l’evoluzione delle strutture delle passività dell’economia, e impedire una spirale discendente dei profitti monetari, cioè della variabile chiave che deve convalidare tanto i debiti quanto i prezzi delle attività. Oltre a limitare gli aspetti più destabilizzanti della fragilità sistemica, la politica economica può anche porsi l’obiettivo di ‘fare meglio’, mantenendo la dinamicità dell’attività produttiva e la piena occupazione in un contesto di decisioni decentralizzate. La ricetta di Minsky per curare i difetti del capitalismo che ha dato luogo alla Grande Crisi degli anni Trenta e quelli del capitalismo che ha originato la stagflazione degli anni Settanta coniuga la ‘socializzazione degli investimenti’ e la riqualificazione della spesa pubblica a una profonda riforma del sistema bancario e finanziario.

mercoledì 3 luglio 2024

“In Italia si fa disinformazione su Gaza. Rai e La7 non mi vogliono perché accuso Israele di genocidio” - Francesca Albanese a Enrico Mingori (TPI)

Da: https://www.tpi.it - Enrico Mingori. Parmigiano, classe 1985, laureato in Giurisprudenza. Giornalista dal 2005, pubblicista dal 2009, professionista dal 2014.

Leggi anche: 7 ottobre, come è andata veramente - Rock Reynolds 

Il collasso del sionismo - Ilan Pappé 

Vedi anche: La politica israeliana tra occupazione e massacro - Gideon Levy 

Francesca Albanese, Relatrice speciale delle Nazioni Unite per i territori palestinesi occupati. Credit: AGF

“L’Olocausto non ci ha insegnato niente: abbiamo sconfitto Hitler ma non le su idee razziste. In Occidente c’è una forte lobby pro-Israele, un sistema di suprematismo bianco che intimidisce e punisce chiunque osi criticare lo Stato ebraico. E in Italia questo sistema è particolarmente forte: nei miei confronti c’è una conventio ad excludendum. Vi spiego perché quello di Israele è un genocidio e quello di Hamas no”. Intervista alla Relatrice speciale dell’Onu per i territori palestinesi occupati

Francesca Albanese, 44 anni, originaria della provincia di Avellino, dal 2022 è Relatrice speciale delle Nazioni Unite per i territori palestinesi occupati. Laureata in Giurisprudenza a Pisa, si è specializzata fra Londra e Amsterdam in diritti umani e in diritto internazionale dei rifugiati. TPI l’ha intervistata per parlare dell’offensiva israeliana sulla Striscia di Gaza e del modo in cui il conflitto viene raccontato in Occidente.

Albanese, in cosa consiste il suo lavoro di Relatrice speciale Onu per i territori palestinesi occupati? 

«Il mio lavoro è sostanzialmente cambiato dallo scorso 7 ottobre. Prima c’era, sì, una violazione costante dei diritti umani nella Palestina occupata, ma non era tanto esasperata quanto adesso. La situazione è stata sempre grave, certo, ma ora è in atto un vero e proprio assalto costante nei confronti della popolazione sotto occupazione. Il mio lavoro consiste nella documentazione delle violazioni che hanno luogo a Gaza, ma sto raccogliendo informazioni anche su quello che succede in Cisgiordania e a Gerusalemme. Israele, infatti, sta approfittando del fatto che in questo momento l’attenzione è tutta rivolta su Gaza per accelerare con l’annessione di terre palestinesi in Cisgiordania, dove intere comunità pastorali sono state scacciate: fino a una decina d’anni fa incontrare tali comunità, incluso beduini nell’Area C della Cisgiordania (60% della terra che Israele controlla interamente) era un fatto comune, mentre oggi sta diventando sempre più difficile. Addirittura è documentata la vendita di proprietà e di terre palestinesi a compratori occidentali, con maggioranza di statunitensi o canadesi. È tutto abbastanza surreale».

Quali sono le fonti da cui raccoglie informazioni? 

lunedì 1 luglio 2024

La lotta tra i peggiori - Alessandra Ciattini

Da: https://futurasocieta.com - Alessandra Ciattini (Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni - Membro del Coordinamento Nazionale del Movimento per la Rinascita Comunista) ha insegnato Antropologia culturale alla Sapienza di Roma. E' docente presso l'Università Popolare Antonio Gramsci (https://www.unigramsci.it). 


A parere dei più, il dibattito tra i due candidati alla presidenza Usa è stato vinto dall’arrogante Trump, dai cui attacchi il debole e frastornato Biden non è riuscito a difendersi. In realtà, tra gli statunitensi che lo hanno seguito sono in parecchi a non avere fiducia in nessuno dei due o ad essere profondamente indecisi. Ma ha veramente senso dare importanza a uno “spettacolo”, nel senso di Guy Debord, che mette in scena un finto confronto democratico?


Ieri abbiamo assistito al tanto propagandato dibattito tra i due candidati alla Casa Bianca: Donald Trump e Joe Biden, il primo quasi ottuagenario, il secondo che ha invece compiuto già 81 anni e se rieletto finirebbe il suo mandato all’età di 86. Il dibattito si è tenuto ad Atlanta negli studi della Cnn, favorevole ai democratici. Abbiamo potuto constatare che la maggioranza dei mezzi di comunicazione di massa, di maggior peso nello scenario internazionale, ritengono che il primo abbia sconfitto il secondo. In particolare, tutti questi giornali e canali televisivi, anche vicini ai cosiddetti democratici, hanno sottolineato la scarsa elasticità mentale dell’attuale presidente, che in varie occasioni in passato ha mostrato limitate capacità cognitive, si è confuso ed è apparso disorientato, ossia non in grado di comprendere in quale situazione si trovasse. Durante il dibattito più volte ha perso il filo del discorso, mostrandosi spaesato. Abbiamo definito “peggiori” i due candidati, anche perché essi stessi si sono lanciati la reciproca accusa di essere stati i peggiori presidenti degli Usa.

Noi siamo di un’altra opinione,

domenica 30 giugno 2024

La politica israeliana tra occupazione e massacro - Gideon Levy

Da: Invictapalestina - Evento organizzato a Lucca da Pax Christi il 29 novembre 2014 - Auditorium San Romano: Giornata ONU per i diritti del popolo palestinese. - Gideon Levy è un giornalista israeliano. Dal 1982 scrive per il quotidiano israeliano Haaretz e dal 2010 anche per il settimanale italiano Internazionale. Considerato un esponente della sinistra israeliana, nella sua attività giornalistica è sempre stato molto critico sulla politica israeliana di occupazione dei territori dello Stato di Palestina



“Con il mio lavoro voglio documentare tutto perchè un giorno, quando tutto sarà finito, gli israeliani non possano dire 'non sapevamo'. Sono nato e vissuto a Tel Aviv sentendomi una vittima e non certo un occupante e ho pensato questo fino agli anni '80, quando ho cominciato a lavorare per Haarez, che mi ha inviato nei Territori Occupati. Solo lì ho cominciato a vedere e a capire. Come chiamereste un regime in cui uno dei due popoli gode di tutti i diritti mentre l'altro non ha nulla? Io lo chiamo apartheid”.

                                                                           

venerdì 28 giugno 2024

7 ottobre, come è andata veramente - Rock Reynolds

 Da: https://www.globalist.it - 

Vedi anche: https://www.youtube.com/watch?v=TELMruxh1Ic


La notizia dell’operazione di Hamas a ridosso della Striscia di Gaza il 7 ottobre è stata data da quasi tutte le fonti di informazione allo stesso modo: «Un feroce attacco terrorista ha seminato morte e distruzione in un rave party e in alcuni kibbutz, scatenando una nuova guerra».

Nessuno che abbia utilizzato espressioni e termini diversi. Nessuno che si sia preso la briga di collocare quell’azione raccapricciante nel contesto di un conflitto annoso e di definire gli uomini che vi hanno preso parte attivamente non come biechi terroristi assetati di sangue bensì come miliziani di un’organizzazione paramilitare in guerra da molto tempo con lo stato d’Israele.

Insomma, la narrazione degli eventi è stata fatta in modo estremamente sbilanciato, facendo quasi un copia e incolla acritico dei dispacci rilasciati dall’ufficio relazione esterne dell’IDF, l’esercito con la stella di Davide.

Mai come in una situazione come quella ci sarebbe stato bisogno di una stampa meno asservita alle direttive americane, israeliane e occidentali. Un seppur tardivo rimedio lo si può sempre trovare. E, nella fattispecie, ha la forma di un libro eccellente, intitolato Il 7 ottobre tra verità e propaganda (Fazi Editore, pagg 154, euro 12), di Roberto Iannuzzi, analista di politica internazionale e ricercatore. Snello, accurato e chiaro su quanto accaduto il 7 ottobre e su quanto successo immediatamente dopo, il libro di Iannuzzi andrebbe letto (forse studiato) nelle scuole. I dubbi sul fatto che si trattasse dell’ennesimo “instant book” creato per approfittare della stretta attualità a scopi commerciali è durato lo spazio di poche righe.

Il 7 ottobre tra verità e propaganda scava con semplicità nella realtà delle cose, sfrondandole delle zone d’ombra costruite ad arte per nascondere l’orrore di una condizione di apartheid che, alla lunga, ha portato alla peggior disfatta militare di Israele e, soprattutto, a una delle reazioni più sproporzionate nella storia bellica internazionale.

mercoledì 26 giugno 2024

Il collasso del sionismo - Ilan Pappé

Da: contropiano.org - originale da New Left Review, 21 giugno 2024 - Ilan Pappé è docente presso l’Università di Exeter ed è stato senior lecturer di scienze politiche presso l’Università di Haifa. È l’autore de “La Pulizia etnica della Palestina” e “Dieci Miti su Israele”. Pappé è definito come uno dei “nuovi storici” che, dopo la pubblicazione di documenti britannici e israeliani a partire dai primi anni ‘80, hanno riscritto la storia della fondazione di Israele nel 1948.

Leggi anche: LE QUATTRO LEZIONI DELL'UCRAINA. I DOPPI STANDARD OCCIDENTALI - Ilan Pappé 


L’assalto di Hamas del 7 ottobre può essere paragonato a un terremoto che colpisce un vecchio edificio. Le crepe cominciavano già a manifestarsi, ma ora sono visibili nelle sue stesse fondamenta.

A più di 120 anni dal suo inizio, il progetto sionista in Palestina – l’idea di imporre uno Stato ebraico in un Paese arabo, musulmano e mediorientale – potrebbe trovarsi di fronte alla prospettiva di un crollo?

Storicamente una pletora di fattori può causare il crollo di uno Stato. Può derivare da attacchi costanti da parte dei Paesi vicini o da una guerra civile cronica. Può seguire il crollo delle istituzioni pubbliche, che diventano incapaci di fornire servizi ai cittadini.

Spesso inizia come un lento processo di disintegrazione che prende slancio e poi, in breve tempo, fa crollare strutture che un tempo sembravano stabili e consolidate.

La difficoltà sta nell’individuare i primi indicatori. In questa sede sosterrò che questi sono più chiari che mai nel caso di Israele. Stiamo assistendo a un processo storico – o, più precisamente, al suo inizio – che probabilmente culminerà nella caduta del sionismo.

E, se la mia diagnosi è corretta, stiamo anche entrando in una congiuntura particolarmente pericolosa. Infatti, quando Israele si renderà conto della portata della crisi, scatenerà una forza feroce e disinibita per cercare di contenerla, come fece il regime sudafricano dell’apartheid durante i suoi ultimi giorni.

1. Un primo indicatore è la frattura della società ebraica israeliana. Attualmente è composta da due campi rivali che non riescono a trovare un terreno comune.

sabato 22 giugno 2024

La parte del deserto: Deleuze e la questione palestinese - Christian Frigerio

 Da: https://www.indiscreto.org - CHRISTIAN FRIGERIO È DOTTORANDO IN FILOSOFIA PRESSO LA STATALE DI MILANO. I SUOI INTERESSI DI RICERCA VERTONO INTORNO ALLA FILOSOFIA SPECULATIVA CONTEMPORANEA E AI RAPPORTI TRA FILOSOFIA ED ECOLOGIA 


La riflessione di Deleuze sulla questione palestinese, basata su una serie di scritti incisivi, evidenzia come il filosofo francese abbia anticipato molti dei dilemmi contemporanei, esplorando le tensioni tra stati e popoli senza terra.


“Il debito infinito che l’Europa aveva nei confronti degli ebrei non ha nemmeno iniziato a pagarlo, in compenso l’ha fatto pagare a un popolo innocente, i palestinesi”. Così Gilles Deleuze si esprimeva nel 1984 sulla questione palestinese, il tema d’attualità cui si dedicò con maggior ardore. L’impegno del filosofo francese è rappresentato principalmente da quattro brevi interventi, tutti raccolti in Due regimi di folli (Einaudi 2010; quando non specificato, le note faranno riferimento a questo volume): I seccatori (1978), l’intervista Gli indiani di Palestina (1982), Grandezza di Yasser Arafat (1983), Le pietre (1984). Deleuze morì il 4 novembre 1995 (curiosamente, lo stesso giorno dell’assassinio di Yitzhak Rabin da parte di fanatici sionisti), appena dopo gli accordi di Oslo, prima della seconda Intifada, prima dello sgretolarsi dell’Olp, dell’involuzione terroristica di Hamas, dei fatti del 2007 e, ovviamente, di quella che viene presentata come la reazione israeliana al 7 ottobre ma che in realtà non è che la logica conclusione del colonialismo sionista. La sua posizione offre però tutt’oggi l’esempio di un pensiero equilibrato ma netto su quello che, da oltre settantacinque anni a questa parte, costituisce il maggior esempio della cattiva coscienza occidentale nei confronti del resto del mondo.

giovedì 20 giugno 2024

"Dalla storia alla teoria? Vivere nel latifondo tra tardoantico e alto medioevo" - Paolo Tedesco

Da: Laboratorio Criticohttps://www.laboratoriocritico.org - Paolo Tedesco, University of Tübingen, Department of Medieval History, Faculty Member Austrian Academy of Sciences, Institute for Medieval Research, Post-Doc Eberhard Karls Universität Tübingen, Seminar für Alte Geschichte, Excellent Junior Researcher ...

A proposito di: Living at the margins: African peasants in an age of extreme, 300-900 CE, Stuttgart: Hiersemann, 2025 
Living at the margins ricostruisce le vicende dei contadini africani dal quarto al nono secolo della nostra era incrociando due differenti ma complementari metodi di indagine: l’analisi microstorica e quella macroeconomica di lungo periodo. 
Lo studio dimostra come le comunità rurali dell’epoca non solo si adattarono ai grandi cambiamenti di sistema che si verificarono nel passaggio dal tardo antico all’alto medioevo, ma furono esse stesse agenti delle trasformazioni grazie allo loro straordinaria abilità di sopravvivere e superare le difficoltà quotidiane. 
Al centro del racconto è una piccola comunità rurale del pre-deserto subsahariano. Le vicissitudini di questa comunità sono tramandate tra il quinto e il sesto secolo dalle tavolette di Djebel Mrata, una raccolta di atti giuridici privati identificati a partire dalla località del loro ritrovamento, al confine tra l’Algeria e la Tunisia meridionale. 
Questa fonte mostra in concreto come i contadini vivevano sul latifondo di un proprietario assenteista: il fundus Tuletianos di Geminius Catullinus. I documenti descrivono la vita quotidiana di circa 400 contadini: la nascita e la crescita di un figlio, il matrimonio e la dote della figlia, la morte di un congiunto, ma anche i rapporti con i contadini confinanti, soprattutto quelli potenti – o meglio, prepotenti. La comunità era formata da un gruppo eterogeno di piccoli possidenti, affittuari, e lavoratori agricoli, i quali dovevano decidere di anno in anno quanta terra coltivare, se rimanere nella comunità, oppure lasciare il latifondo per trovare di che vivere altrove. 
I documenti di Djebel Mrata mostrano che nel corso di un secolo i contadini del latifondo Tuletianos affrontarono varie avversità, inclusi eventi drammatici come la scomparsa di un familiare, senza tuttavia segnalare alcuna crisi di sistema nell’economia locale. La famiglia contadina rimase per tutto il periodo documentato dalle fonti la struttura portante dell’economia del latifondo. 
Sulla scorta del modello offerto dal fundus Tuletianos, il libro mostra come l’economia contadina reagisce ai cambiamenti nel lungo periodo. Mutamenti politici considerati ‘epocali’ come la fine dell’impero romano nel quinto secolo o la conquista islamica nel settimo secolo determinarono trasformazioni negli assetti fondiari, favorendo il consolidamento di nuove élites (vandale, bizantine, arabe oppure locali), comportando anche variazioni nella natura e scala del surplus agrario sottratto ai contadini e mutamenti nelle traiettorie di scambio, come anche nelle opportunità di consumo locale. Uno stato più o meno centralizzato ed élites fondiarie più o meno ricche influirono sulle modalità di ripartizione della terra e sull’organizzazione della manodopera rurale, soprattutto in termini di mobilità e precarietà dei lavoratori senza terra o con terra insufficiente per sopravvivere.  
Pur considerata l’importanza di queste trasformazioni, esse non sembrano tuttavia avere intaccato la centralità della famiglia contadina come principale protagonista nelle campagne africane: i contadini continuarono a decidere quanti figli avere, quanta terra coltivare, quanto produrre e quanto consumare, pur prendendo queste decisioni condizionati dalle richieste dei proprietari della terra – fossero essi lo stato, le istituzioni religiosi, oppure i possidenti privati. 

                                                                            

sabato 15 giugno 2024

Toccherà agli europei fare la guerra alla Russia mentre la Nato rimarrà a guardare? - Alessandra Ciattini

Da: https://futurasocieta.com - Alessandra Ciattini (Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni - Membro del Coordinamento Nazionale del Movimento per la Rinascita Comunista) ha insegnato Antropologia culturale alla Sapienza di Roma. E' docente presso l'Università Popolare Antonio Gramsci (https://www.unigramsci.it). 



Autorevoli esperti statunitensi scrivono che gli Usa scaricheranno il peso della guerra in Ucraina all’Europa. Allora cosa succederà? Eseguiranno gli ordini, avviandoci sempre più all’autodistruzione?


Il dottor Ezequiel Bistoletti, specialista in geopolitica e attivo analista politico, direttore dell’interessantissimo canale «Demoliendo mitos de la politica» (https://www.youtube.com/watch?v=bJFaVGQ9fhM&ab_channel=Demoliendomitosdelapolitica), ha reso noto e documentato un’importante notizia che intendiamo contribuire a diffondere. 

Il 22 aprile la prestigiosa rivista statunitense «Foreigner Affairs»fondata nel 1922che rivela e allo stesso tempo condiziona la politica estera della grande potenza, ha pubblicato un rilevantissimo articolo firmato da ben tre autori, i quali sono tutti statunitensi, accademici, esperti in questioni militari, legati a corporazioni e istituzioni potentissime (A. Crouther, J. Matisek e P. P. O’ Brian). Insomma, non sono gli ultimi arrivati. Il titolo dell’articolo è assai preoccupante per tutti noi, che ci ritroviamo a vivere della vecchia ed esausta Europa: “L’Europa, non la Nato, dovrebbe mandare le sue truppe in Ucraina”. Analizziamo brevemente le argomentazioni su cui poggia questa autorevole opinione.

giovedì 13 giugno 2024

Astensione di massa e vincolo esterno - Geminello Preterossi

Da: https://www.lafionda.org - Geminello Preterossi è un filosofo italiano del diritto e della politica. Studioso di Hobbes, Hegel, Carl Schmitt e altri classici della filosofia politica e giuridica dell'età moderna, è stato il curatore del Festival del diritto di Piacenza ed è il direttore scientifico dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici.

Vedi anche: Diritto e lavoro - Alisa Del Re, Geminello Preterossi 

Il vero dato politico delle elezioni europee, per quello che riguarda l’Italia, è la vastissima astensione: non era mai successo in queste proporzioni. È il segno di una crisi radicale di legittimazione, le cui cause profonde andrebbero indagate, invece di fermarsi alla superficie (come avviene nei talk show televisivi, ma anche in quello che resta dei giornali, tranne rarissime eccezioni). Il minimo che si può dire è che il popolo italiano nella sua maggioranza non ha raccolto l’appello di Mattarella a “consacrare” la “sovranità europea” nel rito elettorale. Un invito retorico, emotivo, perciò forzato e precario in quanto non fondato sul piano concettuale e dottrinale: l’UE non è uno Stato (né nazionale né federale), quindi non può possedere alcuna sovranità. L’UE è una strana costruzione tecnocratica, finanziaria e giurisdizionale, vocata prevalentemente ai dogmi mercatisti neo- e ordoliberali, frutto di accordi internazionali i cui “signori” continuano a essere, logicamente, gli Stati (i quali infatti possono recedere da quegli accordi, come si è visto con la Brexit). Un’istituzione a bassa intensità politica, dominata dai particolarismi, senza una visione unitaria (ma subalterna alla NATO); un costrutto “hayekiano”, funzionale a presidiare il vincolo esterno mercatista (e atlantista), a disciplinare i più deboli ma in generale i riottosi, che si ostinino eventualmente a credere nell’autonomia della politica, nella legittimità del conflitto sociale, nella sua proiezione democratica. L’UE ha nel Consiglio dei Capi di Stato e di governo (statali) la propria camera di compensazione politica degli interessi nazionali, e nella BCE il proprio custode dell’ortodossia monetaria ordoliberale, simboleggiata dall’euro (una moneta senza Stato: cioè un paradosso che non può funzionare, perché alla lunga ha costi sociali e democratici insostenibili). In tale contesto, il Parlamento europeo, non casualmente, non è un vero Parlamento legislatore, quindi non garantisce un’autentica legittimazione democratica. Il Trattato di Lisbona, benché strumentalmente definito “costituzionale”, non è affatto una “costituzione”, ed è subentrato al fallimento di quella che fu presentata come una costituzione (non lo era), bocciata da alcuni popoli europei (francesi e olandesi): per tutta risposta, l’eurocrazia ha fatto finta di niente cambiando di nome alla costituzione, riconoscendo di fatto che si trattava di un trattato (quindi soggetto a ratifica internazionale, non al vaglio di un potere costituente), appiccicandoci addosso la qualifica di “costituzionale” a fini propagandistici, tanto per ingenerare ancora più opacità e confusione. Parlare di “Europa sovrana” (come fanno Padoan e Guerrieri in un recente volume Laterza) è una contraddizione in termini: segno o di ignoranza (giuridica, politica e storica), o di un atteggiamento “wishful thinking” senza costrutto né fondamenta reali; insomma, l’ennesima commedia degli inganni.

martedì 11 giugno 2024

I rischi inaccettabili di una guerra nucleare - Massimo Zucchetti

Da: Massimo Zucchetti - Massimo Zucchetti è professore ordinario dal 2000 presso il Politecnico di Torino (www.polito.it, zucchetti@polito.it), Dipartimento di Energia. Attualmente è docente di Radiation Protection, Tecnologie Nucleari, Storia dell’energia, Centrali nucleari).


Sono un prof. di Impianti Nucleari al Politecnico di Torino. La mia materia principale è la Protezione dalle Radiazioni. Dato che trovo irresponsabile e atroce che - recentemente - più di un governante parli di una guerra nucleare come un'opzione sì estrema, ma possibile e praticabile, ho ritenuto necessario trasmettere e mettere in pubblico le mie conoscenze di (purtroppo) esperto nel settore.

Provo a raccontarvela io, per ribadire come l'uso di bombe atomiche, piccole, grandi, russe, cinesi, americane, francesi, inglesi non è MAI concepibile, per NESSUN motivo. Non c'è bisogno di essere studenti universitari, per seguirmi: basta avere un po' di basi di chimica e fisica, oltre che una grande pazienza.

                                                                           

mercoledì 5 giugno 2024

La Crisi della Politica. Alessandro Di Battista dialoga con Luciano Canfora

Da: Alessandro Di Battista - Luciano Canfora, filologo, storico, saggista, professore emerito dell’Università di Bari, membro del Consiglio scientifico dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana e direttore della rivista Quaderni di Storia, Dedalo Edizioni. (Luciano Canfora Podcast) - Alessandro Di Battista è un opinionista e scrittore italiano. Deputato M5S alla Camera (2013–2018).
Leggi anche: La storia è conflitto e il “politicamente corretto” è da fessi - LUCIANO CANFORA 

Guerra, sovranità, crisi della politica, democrazia, capitalismo, questione palestinese. 
Ne parliamo con il Prof. Luciano Canfora, autore del libro Dizionario politico minimo.

                                                                         

domenica 2 giugno 2024

"La società dell'emergenza" di Francesco Fantuzzi - Recensione di Paolo Massucci

Da: https://www.sinistrainrete.info - Paolo Massucci, Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni. 

Il saggio, edito nel 2024 da Sensibili alle foglie, fornisce una ricca analisi della crisi in corso della democrazia. Le soluzioni proposte stimolano riflessioni utili alla comprensione della nostra condizione storica e alla speranza di un cambiamento.


Segnalo il saggio di Francesco Fantuzzi "La società dell'emergenza. Pandemia, guerra, insicurezza, caos: quale futuro ci attende?" edito nel 2024 da Sensibili alle foglie.

Il libro offre una chiara, dettagliata e spietata descrizione dello spirito del nostro tempo e della grave crisi politica, economica, sociale, culturale ed ecologica in corso, di cui non riusciamo più a intravedere alcuna soluzione. L'annunciata epoca della globalizzazione, della pace mondiale, del progresso e della libertà, una volta crollata l'URSS si è presto conclusa in conseguenza dei sussulti per la contesa sul nuovo ordine mondiale.

Viene esposta la grave situazione politica, ovvero il progressivo arretramento della democrazia per cui è stato anche coniato il termine “postdemocrazia”: le istituzioni nazionali e sovranazionali che detengono il potere rispondono sempre più alle richieste delle lobby industriali e finanziarie, anziché ai popoli. Mentre i governi, a prescindere dai partiti che li sostengono, non si discostano più dalle politiche economiche neoliberiste e di austerità, sfavorevoli ai lavoratori e alle fasce deboli e impiegano modelli di gestione costantemente emergenziali e metodi autoritari.

L'Autore, la cui visione etica appare a mio avviso influenzata dal filone del pensiero occidentale della Scuola di Francoforte, intravede il rischio di una deriva "dis-umanistica", caratterizzata dallo sgretolarsi dei rapporti tra persone e dalla spettacolarizzazione dell'esistenza (viene citato il saggio del 1967 di Guy Debord), in un ambiente relazionale segnato dal solipsismo narcisistico, in cui tutti si mostrano, nessuno ascolta e gli istinti inconsci non sublimati dominano sulla ragione. Tutto ciò, secondo l'Autore, e a ragione, sarebbe favorito anche dalla diffusione degli strumenti della tecnologia informatica, finalizzati, in ultima analisi, esclusivamente alla massimizzazione del profitto privato, anziché a progetti lungimiranti, razionali, etici e responsabili verso la collettività. Viene quindi richiamato il pericolo del "postumanesimo", una progetto a oggi ancora elitario che auspica l'impiego della tecnica per estendere le possibilità del corpo e della mente umana: una pericolosa riproposizione -quella del postumanesimo-, secondo la tesi di Paolo Ercolani nel saggio "Nietzsche l'iperboreo", di cui pure consiglio la lettura, della inquietante teoria del superuomo.

Nella parte finale l’Autore -che afferma che il capitalismo è il problema e pertanto esso non può offrire soluzioni- presenta alcune proposte per invertire la rotta, collocabili, a mio avviso, nell'ambito della cultura postmoderna, quali la teoria della “decrescita felice” di Serge Latouche: una prospettiva lodevole e razionale, nonostante alcuni limiti, indispensabile per poter superare la crisi ecologica e il super-individualismo odierno. Chiaramente occorre anche considerare le possibili contromisure che il capitalismo prenderebbe, come le guerre, per far fronte a un ipotetico calo dei consumi, prima di implodere, se mai dovesse avvenire. D’altra parte, considerate le attuali disparità del livello di consumo nel mondo, si può ipotizzare che la rinuncia a un dato stile di vita consumistico, il cosiddetto benessere, possa coinvolgere per lo più solo quella parte più consapevole e sensibile della classe media più acculturata, mentre il mondo nel complesso continuerebbe presumibilmente a funzionare senza particolari inceppi o trasformazioni.

D’altra parte ci si può chiedere -ma siamo forse nel campo della teoria politica- se l'attuale crisi, con particolare riferimento al restringimento degli spazi di democrazia e al neoliberismo, caratterizzata dall'arretramento dei diritti sociali conquistati nella seconda metà del secolo scorso, cui deriva la vertiginosa polarizzazione di redditi e patrimoni, non sia altro che la naturale conseguenza dell’incontrastato processo capitalistico, una volta privato degli ostacoli dati dalla presenza dell'Unione Sovietica e dei partiti comunisti di massa.

E’ comunque certo, e su questo il saggio fornisce un pregevole contributo di riflessione, che un eventuale movimento anticapitalista internazionale, ancorché non certamente all’ordine del giorno, abbia l’indispensabile compito, oltre all’abbattimento del capitalismo e dello sfruttamento di classe, di mostrare la possibilità e persino il guadagno in termini di civiltà e di relazioni intersoggettive di uno stile di vita più sobrio, meno consumistico, meno competitivo e in definitiva più umano. Anzi, si può affermare, ciò costituirebbe un immenso vantaggio per la nostra esistenza materiale e spirituale: non sarebbe un tornare al passato, bensì un percorso di rinnovamento dei rapporti umani e sociali anche a livello etico: come affermava Che Guevara, la rivoluzione necessita anche della costruzione di un homo novus. Naturalmente, a nostro avviso, qualsiasi cambiamento non può prescindere da una profonda trasformazione della struttura sociale, dei rapporti tra classi, del modo di produzione, altrimenti si collocherebbe su un mero piano idealista, moralista, dei “buoni propositi”.

Non vi è dubbio, in definitiva, che questo libro possa offrire stimoli utili a una riflessione critica sul mondo attuale e spunti per un dibattito per la ricerca di possibili percorsi concreti che possano impedire quella che, a oggi, appare ai più una catastrofe inevitabile di tutto il genere umano.