Al termine dell’adolescenza, quando si tratta di scegliere la facoltà universitaria o il lavoro, di restare o andare altrove, viene il momento in cui i ragazzi si fanno carico della loro vita: puntano lo sguardo sul futuro, calcolano le risorse e rischiano il domani. Spesso i genitori spaventati, incapaci di attendere, li subissano di consigli, previsioni, ammonizioni, sino a prendere il loro posto, sino a sostituirli. Agiscono indubbiamente per il loro bene ma in tal modo li rendono dipendenti e passivi e telecomandandoli tarpano le loro ali. Apparentemente può far comodo ma vivere nel futuro degli altri, nel loro orizzonte di aspettative, depaupera le motivazioni e impedisce ai giovani di scorgere quanto hanno in comune tra loro, come il loro destino sia condiviso dai coetanei e come il vero soggetto di una generazione sia il “Noi” non l’”Io”. Non sanno che da una crisi epocale ci si salva tutti o nessuno e procedono pertanto in ordine sparso, senza elaborare una narrazione collettiva, un romanzo corale al quale riconoscersi. In una lettera aperta scritta da un gruppo di ventenni al presidente del consiglio e pubblicata sul Corriere della sera si legge: “Siamo colposamente sospesi tra il vuoto di aspettative e il miraggio di sicurezze. Senza la possibilità di metterci in gioco con le stesse garanzie dei nostri padri e dei nostri nonni. La nostra voce è stata marginalizzata e resa afona anche per via di nostre comprovate responsabilità. Abbiamo subito le decisioni e consentito che la nostra indifferenza lasciasse ampi spazi di manovra a chi non ha avuto a cuore le nostre sorti...”
La teoria Marxista poggia la sua forza sulla scienza... che ne valida la verità, e la rende disponibile al confronto con qualunque altra teoria che ponga se stessa alla prova del rigoroso riscontro scientifico... il collettivo di formazione Marxista Stefano Garroni propone una serie di incontri teorici partendo da punti di vista alternativi e apparentemente lontani che mostrano, invece, punti fortissimi di convergenza...
sabato 25 febbraio 2017
Genitori in difficoltà nel tempo della crisi - Silvia Vegetti Finzi*
*Silvia_Vegetti_Finzi è una psicologa italiana.
Al termine dell’adolescenza, quando si tratta di scegliere la facoltà universitaria o il lavoro, di restare o andare altrove, viene il momento in cui i ragazzi si fanno carico della loro vita: puntano lo sguardo sul futuro, calcolano le risorse e rischiano il domani. Spesso i genitori spaventati, incapaci di attendere, li subissano di consigli, previsioni, ammonizioni, sino a prendere il loro posto, sino a sostituirli. Agiscono indubbiamente per il loro bene ma in tal modo li rendono dipendenti e passivi e telecomandandoli tarpano le loro ali. Apparentemente può far comodo ma vivere nel futuro degli altri, nel loro orizzonte di aspettative, depaupera le motivazioni e impedisce ai giovani di scorgere quanto hanno in comune tra loro, come il loro destino sia condiviso dai coetanei e come il vero soggetto di una generazione sia il “Noi” non l’”Io”. Non sanno che da una crisi epocale ci si salva tutti o nessuno e procedono pertanto in ordine sparso, senza elaborare una narrazione collettiva, un romanzo corale al quale riconoscersi. In una lettera aperta scritta da un gruppo di ventenni al presidente del consiglio e pubblicata sul Corriere della sera si legge: “Siamo colposamente sospesi tra il vuoto di aspettative e il miraggio di sicurezze. Senza la possibilità di metterci in gioco con le stesse garanzie dei nostri padri e dei nostri nonni. La nostra voce è stata marginalizzata e resa afona anche per via di nostre comprovate responsabilità. Abbiamo subito le decisioni e consentito che la nostra indifferenza lasciasse ampi spazi di manovra a chi non ha avuto a cuore le nostre sorti...”
Al termine dell’adolescenza, quando si tratta di scegliere la facoltà universitaria o il lavoro, di restare o andare altrove, viene il momento in cui i ragazzi si fanno carico della loro vita: puntano lo sguardo sul futuro, calcolano le risorse e rischiano il domani. Spesso i genitori spaventati, incapaci di attendere, li subissano di consigli, previsioni, ammonizioni, sino a prendere il loro posto, sino a sostituirli. Agiscono indubbiamente per il loro bene ma in tal modo li rendono dipendenti e passivi e telecomandandoli tarpano le loro ali. Apparentemente può far comodo ma vivere nel futuro degli altri, nel loro orizzonte di aspettative, depaupera le motivazioni e impedisce ai giovani di scorgere quanto hanno in comune tra loro, come il loro destino sia condiviso dai coetanei e come il vero soggetto di una generazione sia il “Noi” non l’”Io”. Non sanno che da una crisi epocale ci si salva tutti o nessuno e procedono pertanto in ordine sparso, senza elaborare una narrazione collettiva, un romanzo corale al quale riconoscersi. In una lettera aperta scritta da un gruppo di ventenni al presidente del consiglio e pubblicata sul Corriere della sera si legge: “Siamo colposamente sospesi tra il vuoto di aspettative e il miraggio di sicurezze. Senza la possibilità di metterci in gioco con le stesse garanzie dei nostri padri e dei nostri nonni. La nostra voce è stata marginalizzata e resa afona anche per via di nostre comprovate responsabilità. Abbiamo subito le decisioni e consentito che la nostra indifferenza lasciasse ampi spazi di manovra a chi non ha avuto a cuore le nostre sorti...”
venerdì 24 febbraio 2017
A che serve il muro?*- Adriano Voltolin**
**Società di
Psicoanalisi Critica http://www.societadipsicoanalisicritica.it/

Le
dighe costruite per creare dei bacini idrici servono per evitare che
piene ed alluvioni travolgano i frutti del lavoro di ciò che sta a
valle e, se non vengono costruite in modo criminale, si pensi al
Vajont, nome sintomatico del monte che stava sopra la diga e che
significa in dialetto friulano “viene giù”, proteggono le case,
le coltivazioni e la vita stessa delle persone ed addirittura
servono, regolando l’afflusso delle acque, a far fiorire
ulteriormente il lavoro dell’uomo. Si pensi, più modestamente,
alle risaie ed ai prati marcitori lombardi: l’acqua, non più
trattenuta, allagando i campi produce il risultato straordinario di
fornire un cibo come il riso che costituisce buona parte
dell’alimentazione mondiale e in Lombardia forniva foraggio fresco
quando la neve ed il gelo coprivano la pianura padana. L’isolamento
dall’acqua è una strategia che non ha affatto per mira quello di
chi la ferma, ma il suo utilizzo più proficuo per rendere la
comunità più ricca e benestante.
Il
muro inteso come fortezza che protegge dall’invasione dei barbari è
invece concettualmente l’opposto: il benessere maggiore non è dato
dallo sfruttamento intelligente di ciò che viene dall’esterno in
modo da creare nuove opportunità, ma è fantasticato come
l’isolamento da esso. I colonizzatori inglesi e belgi non avevano
bisogno di costruire muri di cemento, ma il loro isolamento dai neri
del Kenya e del Congo era garantito dalla ricchezza, dalle armi e da
una ideologia grossolanamente illuministica che ricreava il modo di
vita europeo (delle classi agiate) in Africa.
Sul
piano individuale, l’isolamento attraverso un muro difensivo, è
più facilmente avvertito come patologico mentre, per il fenomeno
della deresponsabilizzazione gruppale, non appare tale quando diviene
ideologia di massa. Nella richiusura paranoide il pericolo
dell’irruzione di un agente esterno viene avvertito come
catastrofico e, tanto meno tale agente è oggettivamente pericoloso,
tanto più esso appare infido e subdolo. Si pensi, è un esempio
magnifico, alla fortezza Bastiani ne Il deserto dei tartari di Dino
Buzzati: l’assoluta mancanza di pericolo del deserto viene
avvertita come tanto più minacciosa quanto più assente è ogni
individuo che provenga da esso: il giovane tenente Drogo invecchierà,
insieme a tutta la guarnigione, nella perenne attesa di un nemico che
non c’è e la sua vita sarà consumata per intero in una difesa
spasmodica da ciò che, all’esterno, non esiste.
giovedì 23 febbraio 2017
Su “UBER”, “SHARING” E “GIG ECONOMY”*- Carlo Formenti
*Da:
http://contropiano.org/ intervento di Carlo Formenti all’iniziativa organizzata da Noi Restiamo al
Politecnico di Torino il 10 maggio 2016. L’intervento non è stato
rivisto dal relatore ed eventuali errori
sono quindi da considerarsi a carico nostro. Il titolo è
redazionale.
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/02/sulla-nozione-di-progresso-renato-curcio.html
SHARING E GIG ECONOMY: DINAMICHE TAYLORISTICHE E SFRUTTAMENTO
Prima parte dell’intervento:
Il lavoro che ho fatto negli ultimi 10-15 anni all'Università del Salento è stato in larga misura dedicato alla sociologia della rete che oggi, da quando sono felicemente approdato alla pensione, continuo a proseguitare; il giorno dopo che ho smesso di insegnare Teoria e tecnica dei nuovi media sono felicemente tornato a quelli che sono sempre stati i miei interessi fondamentali, che riguardano il socialismo economico e la sociologia politica. E ogni volta che mi tocca sentire qualcuno che mi telefona e mi dice "Professore, perché non viene a questo incontro su Internet e la società", subito mi si rizzano i capelli sulla testa; nel senso che in qualche modo dà per scontato che esista una sfera autonoma della dimensione della tecnologia e della rete come articolazione attuale della dimensione della tecnologia non sovradeterminata dai processi economici, politici, sociali, culturali e quant'altro. E che, viceversa, oggi sia possibile ragionare dei processi economici, politici, sociali e culturali prescindendo dal fatto che ormai le tecnologie di rete sono parte della nostra vita quotidiana, del nostro lavoro e delle relazioni sociali, del nostro viaggiare, sentire, stringere amicizie, ecc. Quindi, tendo sempre a riportare il tema a degli aspetti molto più determinati e specifici; in particolare, per quanto riguarda la questione del rapporto tra nuove tecnologie e lavoro, metterò a fuoco un aspetto molto particolare, che è quello di Uber, più altre esperienze che vengono variamente denominate di "sharing economy" o, negli Stati Uniti, di "gig economy", con una apertura più ampia rispetto al discorso e secondo me più interessante per il ventaglio di fenomeni che viene preso in considerazione.
Per affrontare questo problema, partirò da una piccola apologia del luddismo e dei movimenti luddisti nella prima metà dell'Ottocento in Inghilterra; perché, come sapete, negli ultimi giorni qui in Italia in particolare a Milano c'è stata una nuova ondata di agitazioni dei tassisti contro Uber, che erano stati preceduti da movimenti e fenomeni analoghi in tutto il mondo, ma particolarmente duri sono stati quelli avvenuti a Parigi l'anno scorso. In quell'occasione il mio "amico" Dario Di Vico (Corriere della Sera) si è come al solito precipitato a scrivere una serie di articoli in cui ha fatto una critica radicale di questa arretratezza e di questa assoluta stupidità nell'opporsi a un processo tecnologico che risulta irreversibile e non può essere contrastato in nessun modo, ma che è di per sé assolutamente benefico e porta una serie di vantaggi incredibili per i consumatori, per Uber ovviamente, che fa un sacco di quattrini, ma in prospettiva anche per gli stessi tassisti. Allora questo discorso richiama esattamente il tipo di argomenti che venivano usati contro il movimento luddista nel primo Ottocento inglese; tenete conto che il movimento dei luddisti, di cui si sa molto poco in realtà perché è stato studiato relativamente poco (non da storici specialisti), è stato un movimento di dimensioni enormi; per diversi anni l'Inghilterra ha visto mobilitazioni di massa, di distruzione e di incendi di fabbriche, di telai di nuova generazione, di scontri armati, cioè i luddisti andavano in bande di 200-300 a distruggere queste fabbriche e si scontravano con l'esercito inglese, con le milizie dei padroni dell'industria tessile, ci sono state centinaia di morti, molti dei quali impiccati, perché quando li prendevano li impiccavano anche perché era ancora illegale lo sciopero, figurarsi queste forme di mobilitazione violenta.
mercoledì 22 febbraio 2017
Sulla “Nuova lettura di Marx”*- Riccardo Bellofiore
*conferenza tenuta da Riccardo Bellofiore: 'Socializzazione e lavoro astratto in Marx'. L'intervento si è svolto nell'ambito del Corso di perfezionamento in Teoria Critica della Società dell'Università degli studi di Milano-Bicocca. https://www.facebook.com/Economisti-di-classe-Riccardo-Bellofiore-Giovanna-Vertova-
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/04/teoria-critica-della-societa-critica.html
https://ilcomunista23.blogspot.it/2015/06/saggi-sulla-teoria-del-valore-di-marx.html
https://ilcomunista23.blogspot.it/2014/01/riabilitiamo-la-teoria-del-valore.html
https://ilcomunista23.blogspot.it/2015/06/saggi-sulla-teoria-del-valore-di-marx.html
https://ilcomunista23.blogspot.it/2014/01/riabilitiamo-la-teoria-del-valore.html
"La nuova letteratura su Hegel, negli ultimi decenni - e io nutro sempre più il sospetto che non abbiano torto - ritiene che questa rappresentazione di Hegel, che si ritrova in Marx e che in qualche modo ritroviamo in Adorno, Horckeimer, Schmidt e sarà uguale in Reichelt e Backhaus, questa lettura di Hegel come idealista un po' pazzo, che pensa che il concetto sia in qualche modo la realtà stessa, questa cosa non abbia a che vedere con lo Hegel vero e proprio.
Io non lo so, perché non sono un esperto, ma le cose che ho letto mi convincono che questa posizione abbia molte frecce al suo arco.
Al tempo stesso, voglio chiarire subito, che io sto dal lato di Marx e di questi autori per una ragione molto semplice: perché la mia tesi è che questo Hegel, fosse anche un Hegel pazzo, è quello che per Marx è il mezzo per comprendere qual è la logica del capitale come modo di produzione.
Quindi non conta tanto se veramente Hegel fosse un idealista, la tesi è che la realtà sociale capitalistica è una realtà idealistica. In questo senso una totalità negativa..."
Socializzazione
e lavoro astratto in Marx (Parte II): https://www.youtube.com/watch?v=Gmup_ASBeLw
Socializzazione
e lavoro astratto in Marx (Parte III): https://www.youtube.com/watch?v=PCFAUDcJjMw
martedì 21 febbraio 2017
Crisi si, ma quale teoria della crisi?- Marco Veronese Passarella*
*Università di Leeds
Slide dell'incontro: http://www.marcopassarella.it/wp-content/uploads/Perugia-2016.pdf
Slide dell'incontro: http://www.marcopassarella.it/wp-content/uploads/Perugia-2016.pdf
lunedì 20 febbraio 2017
Le vicende storiche dell’Unione Sovietica e il loro impatto sull’America Latina*- Alessandra Ciattini
*Da: https://www.lacittafutura.it/
Nel
2012 la casa editrice Ocean Sur ha pubblicato un’interessante
antologia intitolata La izquierda latinoamericana a 20 años del
derrumbe de la Unión Soviética, la cui recensione reperibile in
Cubadebate mi permette di riflettere in maniera concisa e rapida su
tre temi distinti, ma tra loro intrecciati: l’impatto della
Rivoluzione d’Ottobre sull’America Latina, le ripercussioni del
derrumbe (crollo) dell’Unione Sovietica, i caratteri del marxismo
latinoamericano. Tema quest’ultimo a cui la Storia del marxismo,
progettata da Eric J. Hobsbawm, Georges Haupt, Franz Marek, Ernesto
Ragionieri, Vittorio Strada, Corrado Vivanti (1981), dedica un
articolo contenuto nel terzo volume scritto da José Aricó.

Naturalmente
sono del tutto consapevole della complessità dei temi su indicati,
ma mi sembra utile fare dei brevi cenni ad essi per fornire qualche
elemento di riflessione, da cui partire per comprendere anche la
difficile partita che si sta giocando in America Latina.
In
primo luogo, comincio col dire che, al tempo della Rivoluzione russa,
la Russia era un paese pressoché sconosciuto, misterioso, enigmatico
di cui si sapeva assai poco. In particolare, in Perù, il 30 dicembre
1917 José Carlos Mariátegui, considerato il primo marxista
latinoamericano, scriveva che la Russia continuava a essere
considerata una leggenda. A Lima si diffuse la notizia che il potere
autocratico dello zar era collassato e che il governo era finito
nelle mani dei massimalisti o bolscevichi capeggiati da Lenin. E ciò
benché in Europa autorevoli giornali tranquillizzassero i loro
lettori, scrivendo che si trattava di un evento effimero destinato ad
esser spazzato via rapidamente senza tanti complimenti.
In quel momento storico operavano attivisti sindacali di ispirazione anarchica, che si agitavano per ottenere la giornata lavorativa di otto ore, la costituzione di organizzazioni sindacali, e attizzavano il fuoco dei primi scioperi operai, delle prime manifestazioni di piazza. È proprio in questo contesto che Mariátegui si dichiara nauseato della politica creola [1] e decisamente orientato verso il socialismo. -http://www.cubadebate.cu/noticias/2012/07/21/el-derrumbe-de-la-urss-tuvo-una-repercusion-enorme-en-america-latina/#.WJtP9zvhDIU-
E successivamente, insieme ad altri intellettuali, darà vita alla rivista Amauta [2], nella quale come scrive lui stesso “Studieremo tutti i grandi movimenti di rinnovamento, politici, artistici, letterari, scientifici.
Tutto
ciò che è umano ci appartiene” -https://www.marxists.org/espanol/mariateg/1926/sep/amauta.htm-. La rivista, fondata nel 1926,
cui collaborarono autori come Andrè Breton, Miguel de Unamuno, Jorge
Luis Borges, esprimeva la volontà di modificare radicalmente la
società – nella prospettiva aperta dall’Ottobre –,
dischiudendosi a tutte le sollecitazioni innovatrici sia europee,
come la psicoanalisi, il cubismo, che latinoamericane come
l’indigenismo [3].
domenica 19 febbraio 2017
Comunismo*- Franco Fortini**
*Da: ( Da F. Fortini, «Extrema ratio» pag 99- 101, Garzanti, Milano 1990 ) https://www.facebook.com/maurizio.bosco.18/posts/10212679597138467
**Franco_Fortini è stato un poeta, critico letterario, saggista e intellettuale italiano.

"Termine con cui si designano dottrine che propugnano e descrivono una società basata su forme comunitarie di produzione ovvero di produzione e consumo, in alternativa a società basate su forme di proprietà privata ovvero di distribuzione e di consumo diseguali. Possesso comune della terra e dei mezzi di produzione, lavoro per tutti, regolazione pianificatrice dei bisogni e delle funzioni (...) parte integrante di tali dottrine è l'educazione comune, pubblica, di tutti gli individui" (Enciclopedia Garzanti).
Il combattimento per il comunismo è già il comunismo. è la possibilità (quindi scelta e rischio, in nome di valori non dimostrabili) che il maggior numero di esseri umani - e, in prospettiva, la loro totalità - pervenga a vivere in una contraddizione diversa da quella oggi dominante. Unico progresso, ma reale, è e sarà il raggiungimento di un luogo più alto, visibile e veggente, dove sia possibile promuovere i poteri e la qualità di ogni singola esistenza. Riconoscere e promuovere la lotta delle classi è condizione perché ogni singola vittoria tenda ad estinguere la forma presente di quello scontro e apra altro fronte, di altra lotta, rifiutando ogni favola di progresso lineare e senza conflitti.
Meno consapevole di sé quanto più lacerante e reale, il conflitto è fra classi di individui dotati di diseguali gradi e facoltà di gestione della propria vita. Oppressori e sfruttatori (in Occidente, quasi tutti; differenziati solo dal grado di potere che ne deriviamo) con la non-libertà di altri uomini si pagano l'illusione di poter scegliere e regolare la propria individuale esistenza. Quel che sta oltre la frontiera di tale loro "libertà" non lo vivono essi come positivo confine della condizione umana, come limite da riconoscere e usare, ma come un nero Nulla divoratore. Per dimenticarlo o per rimuoverlo gli sacrificano quote sempre maggiori di libertà, cioè di vita, altrui; e, indirettamente, di quella propria. Oppressi e sfruttati (e tutti, in qualche misura, lo siamo; differenziati solo dal grado di impotenza che ne deriviamo) vivono inguaribilità e miseria di una vita incontrollabile, dissolta ora nella precarietà e nella paura della morte ora nella insensatezza e non-libertà della produzione e dei consumi. Né gli oppressi e sfruttati sono migliori, fintanto che ingannano se stessi con la speranza di trasformarsi, a loro volta, in oppressori e sfruttatori di altri uomini. Migliori cominciano ad esserlo invece da quando assumono la via della lotta per il comunismo; che comporta durezza e odio per tutto quel che, dentro e fuori degli individui, si oppone alla gestione sovraindividuale delle esistenze; ma anche flessibilità e amore per tutto quel che la promuove e la fa fiorire.
**Franco_Fortini è stato un poeta, critico letterario, saggista e intellettuale italiano.

"Termine con cui si designano dottrine che propugnano e descrivono una società basata su forme comunitarie di produzione ovvero di produzione e consumo, in alternativa a società basate su forme di proprietà privata ovvero di distribuzione e di consumo diseguali. Possesso comune della terra e dei mezzi di produzione, lavoro per tutti, regolazione pianificatrice dei bisogni e delle funzioni (...) parte integrante di tali dottrine è l'educazione comune, pubblica, di tutti gli individui" (Enciclopedia Garzanti).
Il combattimento per il comunismo è già il comunismo. è la possibilità (quindi scelta e rischio, in nome di valori non dimostrabili) che il maggior numero di esseri umani - e, in prospettiva, la loro totalità - pervenga a vivere in una contraddizione diversa da quella oggi dominante. Unico progresso, ma reale, è e sarà il raggiungimento di un luogo più alto, visibile e veggente, dove sia possibile promuovere i poteri e la qualità di ogni singola esistenza. Riconoscere e promuovere la lotta delle classi è condizione perché ogni singola vittoria tenda ad estinguere la forma presente di quello scontro e apra altro fronte, di altra lotta, rifiutando ogni favola di progresso lineare e senza conflitti.
Meno consapevole di sé quanto più lacerante e reale, il conflitto è fra classi di individui dotati di diseguali gradi e facoltà di gestione della propria vita. Oppressori e sfruttatori (in Occidente, quasi tutti; differenziati solo dal grado di potere che ne deriviamo) con la non-libertà di altri uomini si pagano l'illusione di poter scegliere e regolare la propria individuale esistenza. Quel che sta oltre la frontiera di tale loro "libertà" non lo vivono essi come positivo confine della condizione umana, come limite da riconoscere e usare, ma come un nero Nulla divoratore. Per dimenticarlo o per rimuoverlo gli sacrificano quote sempre maggiori di libertà, cioè di vita, altrui; e, indirettamente, di quella propria. Oppressi e sfruttati (e tutti, in qualche misura, lo siamo; differenziati solo dal grado di impotenza che ne deriviamo) vivono inguaribilità e miseria di una vita incontrollabile, dissolta ora nella precarietà e nella paura della morte ora nella insensatezza e non-libertà della produzione e dei consumi. Né gli oppressi e sfruttati sono migliori, fintanto che ingannano se stessi con la speranza di trasformarsi, a loro volta, in oppressori e sfruttatori di altri uomini. Migliori cominciano ad esserlo invece da quando assumono la via della lotta per il comunismo; che comporta durezza e odio per tutto quel che, dentro e fuori degli individui, si oppone alla gestione sovraindividuale delle esistenze; ma anche flessibilità e amore per tutto quel che la promuove e la fa fiorire.
La Repubblica di Platone - Francesco Fronterotta
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/08/platone-la-repubblica-luciano-canfora.html
https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/08/filosofi-al-potere-mario-vegetti.html
https://ilcomunista23.blogspot.it/2015/02/platone-antonio-gargano-1-2-di-2.html
http://177ermanno.blogspot.it/2014/02/blog-post.html?spref=fb
Il testo: http://www.ousia.it/content/Sezioni/Testi/PlatoneRepubblica.pdf
https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/08/filosofi-al-potere-mario-vegetti.html
https://ilcomunista23.blogspot.it/2015/02/platone-antonio-gargano-1-2-di-2.html
http://177ermanno.blogspot.it/2014/02/blog-post.html?spref=fb
Il testo: http://www.ousia.it/content/Sezioni/Testi/PlatoneRepubblica.pdf
sabato 18 febbraio 2017
Sulla Costituzione - Luciano Canfora
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/legge-elettorale-costituzione.html
https://www.marxists.org/italiano/archive/storico/cost-urss.htm
("Chi non lavora non mangia")
Al fine di distruggere gli elementi parassitàri della società e di organizzare l'economia nazionale, viene istituito per tutti il servizio obbligatorio del lavoro.
[ I° Costituzione sovietica (1918) ]
https://www.marxists.org/italiano/archive/storico/cost-urss.htm
("Chi non lavora non mangia")
Al fine di distruggere gli elementi parassitàri della società e di organizzare l'economia nazionale, viene istituito per tutti il servizio obbligatorio del lavoro.
[ I° Costituzione sovietica (1918) ]
venerdì 17 febbraio 2017
La scienza e la tecnologia secondo Fidel Castro*- Massimo Zucchetti
*Da: http://www.marx21.it/

La scomparsa del Comandante Fidel Castro Ruz, avvenuta in questi giorni, mi ha portato a scrivere un breve ricordo di quelli che sono stati – avendoli verificati di persona - il suo pensiero sulla Scienza e la Tecnologia, la sua influenza sullo sviluppo di queste discipline a Cuba e nel mondo, e di come questo suo pensiero abbia contributo a conservare a Cuba la sua indipendenza.
Partiamo dalla mia esperienza personale, e non certo per mettere me stesso in mostra, ma per cercare di far capire a quale titolo vengano scritte queste righe: in questi giorni abbondano infatti sedicenti neo-esperti di Cuba, che nell’isola caraibica non hanno mai messo piede, se non al massimo per una settimana all-inclusive in un albergo a Varadero. Ho partecipato – dagli anni 90 fino all’anno scorso - a molte Conferenze internazionali a Cuba, in particolare relative a materie vicine alla mia disciplina, cioè la fisica nucleare e lo studio dell’ambiente. Nella serie di convegni internazionali WONP (Workshop On Nuclear Physics) e NURT (Nuclear and Related Techniques) ho potuto presentare molti miei lavori scientifici, trovando sempre ottima accoglienza, pubblico ampio, colleghi interessati con i quali ho anche intessuto rapporti di collaborazione.
Un solo esempio per tutti: nel 2001 presentai un lavoro scientifico sull’impatto ambientale e sulla salute dell’utilizzo militare dell’Uranio Impoverito [1], uno dei primi lavori presentati a livello internazionale da un italiano dopo la guerra contro la Jugoslavia nel 1999. Attenzione alla data: nel 2001 era molto difficile parlare scientificamente di quel problema, dato che nel democratico occidente vigeva una vulgata de facto che relegava l’allarme sull’uso di quel materiale radioattivo ad una protesta complottista. Ora, nel 2016, sappiamo che la NATO fece un uso criminale di quegli ordigni nei Balcani (come prima in Iraq e poi in altre guerre), mentre il governo “di sinistra” italiano, prima partecipò con le proprie basi ai bombardamenti, e poi inviò i soldati italiani in Kosovo, senza alcuna protezione contro l’inquinamento da polveri radioattive e composti chimici cancerogeni: l’odissea delle malattie e delle morti dei nostri militari si protrae tuttora. A Cuba, così come quando parlai di fusione termonucleare controllata a deuterio-elio-3, di monitoraggio e previsione dei sismi mediante il gas radon, ed altri argomenti scientifici di avanguardia, trovai spazio, accoglienza, attenzione, critica costruttiva, e dignità scientifica.

La scomparsa del Comandante Fidel Castro Ruz, avvenuta in questi giorni, mi ha portato a scrivere un breve ricordo di quelli che sono stati – avendoli verificati di persona - il suo pensiero sulla Scienza e la Tecnologia, la sua influenza sullo sviluppo di queste discipline a Cuba e nel mondo, e di come questo suo pensiero abbia contributo a conservare a Cuba la sua indipendenza.
Partiamo dalla mia esperienza personale, e non certo per mettere me stesso in mostra, ma per cercare di far capire a quale titolo vengano scritte queste righe: in questi giorni abbondano infatti sedicenti neo-esperti di Cuba, che nell’isola caraibica non hanno mai messo piede, se non al massimo per una settimana all-inclusive in un albergo a Varadero. Ho partecipato – dagli anni 90 fino all’anno scorso - a molte Conferenze internazionali a Cuba, in particolare relative a materie vicine alla mia disciplina, cioè la fisica nucleare e lo studio dell’ambiente. Nella serie di convegni internazionali WONP (Workshop On Nuclear Physics) e NURT (Nuclear and Related Techniques) ho potuto presentare molti miei lavori scientifici, trovando sempre ottima accoglienza, pubblico ampio, colleghi interessati con i quali ho anche intessuto rapporti di collaborazione.
Un solo esempio per tutti: nel 2001 presentai un lavoro scientifico sull’impatto ambientale e sulla salute dell’utilizzo militare dell’Uranio Impoverito [1], uno dei primi lavori presentati a livello internazionale da un italiano dopo la guerra contro la Jugoslavia nel 1999. Attenzione alla data: nel 2001 era molto difficile parlare scientificamente di quel problema, dato che nel democratico occidente vigeva una vulgata de facto che relegava l’allarme sull’uso di quel materiale radioattivo ad una protesta complottista. Ora, nel 2016, sappiamo che la NATO fece un uso criminale di quegli ordigni nei Balcani (come prima in Iraq e poi in altre guerre), mentre il governo “di sinistra” italiano, prima partecipò con le proprie basi ai bombardamenti, e poi inviò i soldati italiani in Kosovo, senza alcuna protezione contro l’inquinamento da polveri radioattive e composti chimici cancerogeni: l’odissea delle malattie e delle morti dei nostri militari si protrae tuttora. A Cuba, così come quando parlai di fusione termonucleare controllata a deuterio-elio-3, di monitoraggio e previsione dei sismi mediante il gas radon, ed altri argomenti scientifici di avanguardia, trovai spazio, accoglienza, attenzione, critica costruttiva, e dignità scientifica.
giovedì 16 febbraio 2017
martedì 14 febbraio 2017
lunedì 13 febbraio 2017
La via maestra*- Antonio Gramsci
*(editoriale
del num. 1 del quotidiano «L’Unità» 12 febbraio 1924). Da:
http://www.senzatregua.it/
La tragica esperienza compiuta dagli operai e dai contadini d’Italia in questi ultimi anni non deve essere perduta, essa può costituire anzi la taglia che essi hanno pagato e pagano per raggiungere la capacità politica necessaria a portare a termine lo sviluppo della loro rivoluzione. Il martirio subito può passare all’attivo della classe proletaria, se rimarrà a debellare definitivamente le illusioni che le hanno fatto segnare il passo negli anni 1919-1920. Occorre per ciò impedire che il fascismo, come già la guerra mondiale, passi senza aver trasformato radicalmente lo spirito delle masse, occorre che sotto l’assillo delle sofferenze e per l’anelito alla riscossa, non siano realizzate formule, stati d’animo e pregiudizi atti a sabotare ogni possibilità di ripresa proletaria, a precludere ogni seria prospettiva di rivincita.
Il
nostro giornale si propone a tale scopo di sondare metodicamente le
cause che hanno piegato i lavoratori sotto il peso di una gravissima
sconfitta e di farne pesare gli insegnamenti nella loro coscienza
militante. L’unità a cui noi facciamo appello non è quindi un
richiamo di ordine sentimentale e decorativo; non è il fiotto
fangoso e torbido dei consensi stagnanti e senza sbocco; essa tende a
forgiare lo strumento idoneo per la lotta del proletariato, ed ha
alla sua base una concezione politica ben definita e coerente, che vi
circola come sangue vivo, che la genera e la rinsalda.
domenica 12 febbraio 2017
sabato 11 febbraio 2017
«Sono utili le prove Invalsi?» - Giorgio Israel*
*Giorgio
Israel (Roma, 6
marzo 1945 – Roma, 25
settembre 2015)
è stato uno storico
della scienza ed epistemologo italiano.
Membro
della Académie
Internationale d'Histoire des Sciences e
professore dell'Università di Roma La
Sapienza,
è stato autore di più di 200 articoli
scientifici e
30 volumi, nei quali ha esplorato il ruolo della scienza nella
storia della cultura europea e ha condotto una critica dell'idea di
razionalità matematica e del meccanicismo.
venerdì 10 febbraio 2017
Il comunismo nella storia cinese: riflessioni su passato e futuro della Repubblica popolare cinese*- Maurice Meisner**
*Da: http://digitalcommons.macalester.edu/macintl/vol18/iss1/8 https://traduzionimarxiste.wordpress.com/
**Meisner, Maurice (1931-2012), storico della Cina contemporanea. “The Place of Communism in Chinese History: Reflections on the Past and Future of the People’s Republic of China,” Macalester International: Vol. 18, Article 8. (2007)
[…]
Questo non è il luogo adatto per discutere seriamente gli sviluppi
del capitalismo seguiti rapidamente alle riforme degli anni ottanta,
probabilmente il più massiccio processo di sviluppo capitalistico
della storia mondiale. Vorrei occuparmi esclusivamente di alcuni
aspetti strettamente correlati di tale esito: innanzitutto, il ruolo
dello stato nello sviluppo del capitalismo; secondo, il fenomeno del
“capitalismo burocratico” nella storia cinese; infine, alcuni
brevi commenti circa le conseguenze politiche e culturali del
capitalismo cinese contemporaneo, in particolare riguardo al posto
del comunismo nella storia cinese.
III.
Capitalismo e stato
Una
delle grandi ironie della storia moderna cinese è il fatto che la
dinamica capitalistica che ha trasformato la Cina nell’ultimo
quarto di secolo è il risultato di decisioni prese da un partito e
da un potente stato comunisti. Per quanto incongruo in termini di
classica ideologia liberale, nella fattualità storica un ruolo
cruciale dello stato nello sviluppo del capitalismo non è inusuale.
Lo stato bismarkiano, ad esempio, diede gran parte dell’impeto e
dell’orientamento per lo sviluppo del moderno capitalismo
industriale nella Germania del tardo XIX secolo, mentre
l’industrializzazione promossa dallo stato rappresentò la forza
dominante nella storia del Giappone nell’epoca Meiji (1868-1912).
Nelle cosiddette “nazioni di recente industrializzazione” del
secondo dopoguerra, la modernizzazione patrocinata dallo stato
costituì un fatto universale. Corea del sud, Taiwan e Singapore sono
alcuni degli esempi di maggior successo.
Di
fatto, non è solo nel caso della tarda modernizzazione (o di quella
che Barrington Moore ha definito “modernizzazione conservatrice”)
che si è assistito al coinvolgimento dello stato nella promozione
dello sviluppo capitalistico. Il potere statale ha giocato un ruolo
essenziale nel precedente sviluppo del capitalismo nei paesi
occidentali, ruolo oscurato dalla necessità ideologica di dipingerlo
come espressione naturale di una presunta natura umana essenziale.
Una necessità che ha trovato esternazione nell’ideologia del
“libero mercato”, secondo la quale il capitalismo opera meglio
laddove libero da qualsiasi ingerenza governativa esterna. Eppure,
anche in Inghilterra, la classica patria del capitalismo e
dell’ideologia liberale, fu l’intervento dello stato a creare il
mercato del lavoro, precondizione allo sviluppo di un moderno
capitalismo industriale. Le enclosure, che promossero il capitalismo
rurale espellendo dalla terra milioni di contadini trasformandoli in
proletari urbani, nono furono semplicemente frutto di leggi naturali
dell’economia, bensì di provvedimenti del parlamento applicati da
tribunali e polizia. E fu la riforma della Poor Law del 1834 a porre
fine ai tradizionali diritti di sussistenza in favore di un mercato
del lavoro “libero”, la funzione del quale venne rafforzata dalla
minaccia della Workhouse. Lo stato britannico era pesantemente
coinvolto nella creazione delle condizioni necessarie per lo sviluppo
del moderno capitalismo industriale nella sua patria nonché classica
incarnazione (11).
giovedì 9 febbraio 2017
La Rivoluzione contro il Capitale*- Antonio Gramsci
*Pubblicato
sull'Avanti il
24 novembre 1917 e su Il Grido del Popolo il 5 gennaio 1918 https://www.marxists.org/
La rivoluzione dei bolscevichi
si è definitivamente innestata nella rivoluzione generale del popolo
russo. I massimalisti che erano stati fino a due mesi fa il fermento
necessario perché gli avvenimenti non stagnassero, perché la corsa
verso il futuro non si fermasse, dando luogo ad una forma definitiva
di assestamento - che sarebbe stato un assestamento borghese, - si
sono impadroniti del potere, hanno stabilito la loro dittatura, e
stanno elaborando le forme socialiste su cui la rivoluzione dovrà
finalmente adagiarsi per continuare a svilupparsi armonicamente,
senza troppi grandi urti, partendo dalle grandi conquiste già
realizzate.
La rivoluzione dei bolscevichi
è materiata di ideologie più che di fatti. (perciò, in fondo, poco
ci importa sapere più di quanto sappiamo). Essa è la rivoluzione
contro il Capitale di Carlo Marx. Il Capitale di Marx era, in Russia,
il libro dei borghesi, più che dei proletari. Era la dimostarzione
critica della fatale necessità che in Russia si formasse una
borghesia, si iniziasse un'era capitalistica, si instaurasse una
civiltà di tipo occidentale, prima che il proletariato potesse
neppure pensare alla sua riscossa, alle sue rivendicazioni di classe,
alla sua rivoluzione. I fatti hanno superato le ideologie. I fatti
hanno fatto scoppiare gli schemi critici entro i quali la storia
della Russia avebbe dovuto svolgersi secondo i canoni del
materialismo storico. I bolscevichi rinnegano Carlo Marx, affermano
con la testimonianza dell'azione esplicata, delle conquiste
realizzate, che i canoni del materialismo storico non sono così
feroci come si potrebbe pensare e come si è pensato.
Eppure c'è una fatalità
anche in questi avvenimenti, e se i bolscevichi rinnegano alcune
affermazioni del Capitale, non ne rinnegano il pensiero immanente
vivificatore. Essi non sono "marxisti", ecco tutto; non
hanno compilato sulle opere del Maestro una dottrina esteriore di
affermazioni dogmatiche e indiscutibili. Vivono il pensiero marxista,
quello che non muore mai, che è la continuazione del pensiero
idealistico italiano e tedesco, e che in Marx si era contaminato di
incrostazioni positivistiche e naturalistiche. E questo pensiero pone
sempre come massimo fattore di storia non i fatti economici, bruti,
ma l'uomo, ma la società degli uomini, degli uomini che si accostano
fra di loro, si intendono fra loro, sviluppano attraverso questi
contatti (civiltà) una volontà sociale, collettiva, e comprendono i
fatti economici e li giudicano e li adeguano alla loro volontà,
finché questa diventa la motrice dell'economia, la plasmatrice della
realtà oggettiva, che vive, e si muove, e acquista carattere di
materia tellurica in ebollizione, che può essere incanalata dove
alla volontà piace.
mercoledì 8 febbraio 2017
Sulla NEP e sul capitalismo di Stato* - Lenin
*da: Lenin, Opere
Complete, vol. 33, Editori Riuniti, Roma, 1967, pp. 385-397.
Relazione al IV congresso dell'Internazionale comunista, 13 novembre 1922. Pravda n. 258, 15 novembre 1922.
https://archive.org/stream/LeninOpereComplete/Lenin_Collected%20works_4th%20edition_Vol_33_Italian#page/n375/mode/2up
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2014/10/ricerche-marxiste_28.html
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2014/10/ricerche-marxiste_28.html
Cinque anni di rivoluzione russa e le prospettive della rivoluzione mondiale
Compagni! Sono
iscritto nell'elenco degli oratori come relatore principale, ma voi
comprenderete che dopo la mia lunga malattia non posso fare un grande
rapporto. Non posso che limitarmi a un'introduzióne alle questioni
più importanti. Il mio tema sarà molto limitato. Il tema: Cinque
anni di rivoluzione russa e le prospettive della rivoluzione mondiale
è troppo vasto e grandioso perché, in generale, un solo oratore, in
un solo discorso, possa esaurirlo. Perciò mi limiterò a trattare
soltanto una piccola parte di questo tema, cioè la questione della
«nuova politica economica». Scelgo di proposito soltanto questa
piccola parte del tema per informarvi su di un problema che oggi ha
la massima importanza, almeno per me che ci lavoro attorno in questo
momento.
Vi dirò perciò
come abbiamo dato inizio alla nuova politica economica e quali
risultati abbiamo ottenuto per mezzo di questa politica. Se mi limito
a questo problema, riuscirò forse a farne un esame generale e a
darne un'idea generale.
Per incominciare dal
modo come siamo giunti alla nuova politica economica, devo
richiamarmi a un articolo che io scrissi nel 1918 (101). Al princìpio
del 1918, in una breve polemica, sfiorai, per l'appunto, la questione
dell'atteggiamento che dovevamo assumere verso il capitalismo di
Stato. Scrivevo allora:
«II capitalismo di
Stato rappresenterebbe un passo avanti rispetto allo stato attuale
delle cose (cioè, relativamente alla situazione di allora) nella
nostra Repubblica sovietica. Se, per esempio, tra sei mesi si
instaurasse da noi il capitalismo di Stato, ciò sarebbe un enorme
successo e rappresenterebbe la più sicura garanzia che tra un anno
il socialismo sarebbe da noi definitivamente consolidato e reso
invincibile».
Dicevo questo,
s'intende, in un periodo nel quale eravamo più inesperti di adesso,
ma non tanto inesperti da non poter esaminare simili questioni.
Cosicché, nel 1918,
sostenevo l'opinione che, relativamente alla situazione economica
allora esistente nella Repubblica sovietica, il capitalismo di Stato
rappresentava un passo avanti. Ciò sembra molto strano, e forse
perfino assurdo, poiché anche allora la nostra repubblica era già
una repubblica socialista, poiché allora noi prendevamo ogni giorno
con grande fretta - probabilmente con fretta esagerata - diverse
nuove misure economiche che non possono essere chiamate altrimenti
che socialiste. E ciò nondimeno io presumevo allora che il
capitalismo di Stato, rispetto alla situazione economica allora
esistente nella Repubblica sovietica, fosse un passo avanti, e
spiegavo poi questa idea elencando semplicemente gli elementi
fondamentali della struttura economica della Russia. Secondo me,
questi elementi erano i seguenti: «1. la forma patriarcale, ossia la
più primitiva dell'economia agricola; 2. la piccola produzione
mercantile (questa forma comprende anche la maggioranza dei contadini
che vendono il grano); 3. il capitalismo privato; 4. il capitalismo
di Stato; e 5. il socialismo». Tutti questi elementi economici erano
rappresentati nella Russia di quel tempo. Mi proposi allora di
mettere in chiaro quali rapporti reciproci esistessero tra questi
elementi e se non si dovesse attribuire a uno degli elementi non
socialisti, cioè al capitalismo di Stato, un valore più alto del
socialismo. Ripeto: sembra a tutti molto strano che un elemento non
socialista sia stimato a un livello più alto, sia ritenuto più
elevato del socialismo in una repubblica che si proclama socialista.
Ma la cosa sarà chiara se ricorderete che non consideravamo la
struttura economica della Russia come un qualche cosa di omogeneo e
di altamente sviluppato, e che eravamo pienamente consci di avere in
Russia un'agricoltura patriarcale, vale a dire la forma più
primitiva di agricoltura, accanto alla forma socialista. Quale
funzione, dunque, avrebbe potuto esercitare il capitalismo di Stato
in una tale situazione?
Io mi domandavo
inoltre: quale di questi elementi predomina? È chiaro che in un
ambiente piccolo-borghese domina l'elemento piccolo-borghese. Io mi
rendevo conto, allora, che l'elemento piccolo-borghese predominava;
non era possibile pensare altrimenti. Il problema che mi prospettavo
allora - si trattava di una polemica speciale che non riguardava la
questione attuale - era il seguente: qual'è il nostro atteggiamente
verso il capitalismo di Stato? E rispondevo: il capitalismo di Stato,
pur non essendo una forma socialista, sarebbe per noi e per la Russia
una forma preferibile a quella attuale. Che cosa vuoi dire questo?
Vuol dire che non sopravvalutavamo né i germi né gli inizi
dell'economia socialista, quantunque avessimo già compiuto la
rivoluzione sociale; al contrario, già allora, comprendevamo, fino a
un certo punto, che sarebbe stato meglio se dapprima fossimo
pervenuti al capitalismo di Stato e soltanto dopo al socialismo.
martedì 7 febbraio 2017
Salario, concorrenza e mercato mondiale*- Maurizio Donato**
*Da: https://mrzodonato.wordpress.com/
** Facoltà di Giurisprudenza, Università di Teramo, aprile 2015.

“Nel commercio mondiale le merci dispiegano universalmente il loro valore. Dunque, la loro forma autonoma di valore si presenta qui, di fronte ad esse, ovviamente come denaro mondiale. Solo sul mercato mondiale il denaro funziona in pieno come quella merce la cui forma naturale è allo stesso tempo forma immediatamente sociale di realizzazione del lavoro umano in abstracto. Il suo modo di esistenza diventa adeguato al suo concetto”. Karl Marx, Il Capitale, Libro primo, terzo capitolo, pagg. 171-2 dell’edizione Einaudi, 1978.
Secondo la teoria marxiana del valore-lavoro, il valore di una merce dipende dal tempo di lavoro socialmente necessario a produrla; essendo la forza-lavoro una merce, anche il suo valore è determinato allo stesso modo. Se vogliamo esprimere lo stesso concetto facendo riferimento alla forma monetaria del valore, possiamo dire che il valore della forza-lavoro umana è determinato dal valore delle merci di sussistenza necessarie a produrla e riprodurla. L’aumento della forza produttiva del lavoro reso possibile dalle innovazioni tecnologiche riduce il tempo di lavoro necessario a produrre anche le merci di sussistenza, e dunque – per questa via – il valore della forza-lavoro tende necessariamente a ridursi.
Come è noto, non solo questo prezioso elemento di analisi, ma l’intera struttura logica del I libro del Capitale si situano a un livello di astrazione molto alto, nel senso che il metodo di Marx – nel complesso lavoro di scrittura del I volume – era rivolto a concentrarsi sugli elementi e sulle tendenze di fondo del processo di produzione del capitale, prescindendo completamente – e volutamente – dalle “perturbazioni” di un modello costruito sulle sue linee generali, riservando ad altre occasioni il compito di “ridurre” il livello di astrazione dell’analisi, per tener conto di elementi ugualmente importanti ma con un grado inferiore di generalizzazione.
Da questa prospettiva l’elemento del mercato mondiale è presente – come concetto – da subito nel modello marxiano che già nel terzo capitolo del I libro, dedicato al denaro come forma di valore delle merci, intitola un paragrafo “denaro mondiale”. Ma in che senso era da intendersi allora e oggi l’espressione “mercato mondiale”?
Se è senz’altro corretto assumere la categoria di “mercato mondiale” a un livello di astrazione alto, non si possono ignorare o sottovalutare le profonde differenze, le vere e proprie stratificazioni di cui il mercato mondiale è stato ed è ancora composto a partire dalle condizioni generali della produzione e dunque anche – necessariamente – in riferimento al salario. Senza cercare di ripercorrere la storia dei differenziali salariali mondiali, va almeno tenuto presente che attorno alla metà degli anni ’90 i lavoratori specializzati dei paesi più ricchi del mondo guadagnavano in media sessanta volte di più dei lavoratori appartenenti al gruppo più povero, i braccianti dell’Africa subsahariana.
** Facoltà di Giurisprudenza, Università di Teramo, aprile 2015.

“Nel commercio mondiale le merci dispiegano universalmente il loro valore. Dunque, la loro forma autonoma di valore si presenta qui, di fronte ad esse, ovviamente come denaro mondiale. Solo sul mercato mondiale il denaro funziona in pieno come quella merce la cui forma naturale è allo stesso tempo forma immediatamente sociale di realizzazione del lavoro umano in abstracto. Il suo modo di esistenza diventa adeguato al suo concetto”. Karl Marx, Il Capitale, Libro primo, terzo capitolo, pagg. 171-2 dell’edizione Einaudi, 1978.
Secondo la teoria marxiana del valore-lavoro, il valore di una merce dipende dal tempo di lavoro socialmente necessario a produrla; essendo la forza-lavoro una merce, anche il suo valore è determinato allo stesso modo. Se vogliamo esprimere lo stesso concetto facendo riferimento alla forma monetaria del valore, possiamo dire che il valore della forza-lavoro umana è determinato dal valore delle merci di sussistenza necessarie a produrla e riprodurla. L’aumento della forza produttiva del lavoro reso possibile dalle innovazioni tecnologiche riduce il tempo di lavoro necessario a produrre anche le merci di sussistenza, e dunque – per questa via – il valore della forza-lavoro tende necessariamente a ridursi.
Come è noto, non solo questo prezioso elemento di analisi, ma l’intera struttura logica del I libro del Capitale si situano a un livello di astrazione molto alto, nel senso che il metodo di Marx – nel complesso lavoro di scrittura del I volume – era rivolto a concentrarsi sugli elementi e sulle tendenze di fondo del processo di produzione del capitale, prescindendo completamente – e volutamente – dalle “perturbazioni” di un modello costruito sulle sue linee generali, riservando ad altre occasioni il compito di “ridurre” il livello di astrazione dell’analisi, per tener conto di elementi ugualmente importanti ma con un grado inferiore di generalizzazione.
Da questa prospettiva l’elemento del mercato mondiale è presente – come concetto – da subito nel modello marxiano che già nel terzo capitolo del I libro, dedicato al denaro come forma di valore delle merci, intitola un paragrafo “denaro mondiale”. Ma in che senso era da intendersi allora e oggi l’espressione “mercato mondiale”?
Se è senz’altro corretto assumere la categoria di “mercato mondiale” a un livello di astrazione alto, non si possono ignorare o sottovalutare le profonde differenze, le vere e proprie stratificazioni di cui il mercato mondiale è stato ed è ancora composto a partire dalle condizioni generali della produzione e dunque anche – necessariamente – in riferimento al salario. Senza cercare di ripercorrere la storia dei differenziali salariali mondiali, va almeno tenuto presente che attorno alla metà degli anni ’90 i lavoratori specializzati dei paesi più ricchi del mondo guadagnavano in media sessanta volte di più dei lavoratori appartenenti al gruppo più povero, i braccianti dell’Africa subsahariana.
domenica 5 febbraio 2017
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