Da: https://it.insideover.com - Claudia Carpinella Nata a Roma, classe 1991, appassionata di storia e di storie. Dal 2016 collabora con diverse testate giornalistiche italiane e appena può prende un aereo per posti lontani, per conoscere meglio il mondo e raccontarlo a parole sue.
L’esercito israeliano ha sradicato oltre tremila ulivi come punizione collettiva contro un intero villaggio palestinese. Già, in Cisgiordania funziona così: l’IDF e i coloni spadroneggiano su quella terra per terrorizzare gli abitanti, in ogni modo possibile. Violenze e soprusi che fanno parte di una politica di lunga data, e che ora — con il genocidio di Gaza in corso — vengono persino rivendicati dagli stessi generali che li ordinano.
Ha fatto notizia l’ennesimo incidente di percorso, che ha visto un colono lievemente ferito da un palestinese mentre guidava un quad su dei terreni rubati. Per ritorsione, il capo del Comando Centrale dell’IDF, Avi Bluth, ha fatto sradicare 3.100 ulivi — poco prima della raccolta delle olive — punendo così non il singolo aggressore che aveva sparato, bensì l’intero villaggio da cui proveniva.
Lo ha rivendicato lo stesso Bluth: “I palestinesi devono sapere che, se commettono un attacco terroristico, pagheranno un prezzo elevato”. Nulla importava, infatti, che, mentre l’esercito era all’opera per devastare gli ulivi di al-Mughayyir, l’aggressore fosse stato già stato identificato e arrestato.
Il generale maggiore Bluth ha rincarato la dose, precisando che tale distruzione “è volta a scoraggiare tutti, non solo questo villaggio [al-Mughayyir, ndr], ma chiunque cerchi di alzare una mano contro i residenti [ovvero i coloni degli insediamenti e degli avamposti illegali, ndr]”. Ha poi chiarito ulteriormente il senso della “giustizia” applicata dall’esercito israeliano nella Cisgiordania occupata: “Se un palestinese compie un attacco, non c’è problema. Accenderemo i riflettori sul suo villaggio con operazioni di ‘ristrutturazione’”.
Eppure Bluth, scrive Gideon Levy, “non accenderà quei riflettori contro chi davvero alza le mani”, cioè i coloni, che attaccano indisturbati i palestinesi: da gennaio sono state registrate 1000 aggressioni contro di essi. Aggressioni che si consumano con la connivenza dell’IDF che, quando va bene, resta a guardare. Ciò perché Bluth, come annota Levy, “e i coloni provengono dallo stesso villaggio, hanno gli stessi capelli e indossano le stesse kippah”. “Quando si nomina un ufficiale come Bluth a capo del Comando Centrale — continua Levy — si affida questo ruolo cruciale a uno che è sostanzialmente un fiancheggiatore dei coloni”. Avi Bluth, infatti, si è formato nella Yeshiva – scuola religiosa ebraica – di Eli, un insediamento illegale della Cisgiordania. Proprio lì il generale maggiore ha imparato quel che mette in pratica: cioè “che gli ebrei sono i padroni della terra e che ai coloni è permesso bruciare, distruggere, sradicare e uccidere quando vogliono”. Questo è “il sionismo di Bluth e dell’esercito che guida”, commenta Levy.
Un sistema punitivo rodato
Il metodo della punizione collettiva è un sistema ben rodato in Israele. È così che le case di Al-Funduq sono state rase al suolo dopo la sparatoria sul bus compiuta da tre palestinesi armati. Allo stesso modo è stato devastato il villaggio di Burqin e sono stati distrutti i campi profughi di Tul Karm, Nur al-Shams e Jenin. La motivazione ufficiale, ovviamente, resta sempre il solito mantra dell’IDF: “L’abbattimento di case e di alberi è giustificato da un chiaro e immediato bisogno di sicurezza”.
“Disumanizzare i palestinesi per distruggere ogni cosa”
Il problema di fondo, spiega Levy su Haaretz, ha a che fare sempre con la disumanizzazione dei palestinesi — a Gaza come in Cisgiordania: “I palestinesi sono considerati subumani e come tali non possono fare nulla: non possono difendersi, non possono lasciare i loro villaggi e neppure raccogliere le loro olive”.
Le punizioni collettive non solo sono tollerate dal governo e da tanta parte della società israeliana, ma in molti casi vengono persino incoraggiate. “La prospettiva militare dominante è che tutti i palestinesi sono terroristi, e ogni raid in Cisgiordania viene inquadrato come un’operazione antiterrorismo o di sicurezza”. Ed è per questo motivo che interi villaggi possono essere legittimamente rasi al suolo.
Partendo da questo assunto, ogni casa palestinese diventa un possibile sito del terrore. E quando l’IDF non arriva armato di ruspe e bulldozer, è comunque legittimato a fare ciò che vuole. Persino sequestrare — o rubare, ça va sans dire — i soldini custoditi nei salvadanai dei bambini. D’altronde, per simili confische i soldati israeliani non devono dare alcuna giustificazione: fa parte dello stesso copione, collaudato da decenni, cioè da ben prima del 7 ottobre.
“Ogni persona ha un nome datogli da Dio – conclude Levy – Il cognome Bluth significa ‘sangue’ in tedesco. Questo generale sanguinario è ormai diventato il volto della Cisgiordania e l’immagine morale dell’intero Paese. Forse sarà lui a comandare il prossimo genocidio, dopo quello di Gaza”. Che sarà quello che si consumerà in Cisgiordania, se nessuno fermerà il mattatoio di Gaza.
Coraggioso Levy, che, nell’articolo citato, ha definito Bluth “Oberkommandant”, termine che evoca un noto quanto tenebroso passato. Tanto che stavolta la sua denuncia ha suscitato più rabbia del solito: si è mosso addirittura il governo che ha ferocemente criticato sia il cronista che il giornale che ospita i suoi scritti che, al solito, sono stati accusati di seminare odio antisemita (accusa ormai omnicomprensiva). E Haaretz è stato definito “entità ostile”. Probabile che questa storia non finisca qui.
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