Vedi anche: http://www.iisf.it/scuola/s_s_plato/sofisti.htm
La teoria Marxista poggia la sua forza sulla scienza... che ne valida la verità, e la rende disponibile al confronto con qualunque altra teoria che ponga se stessa alla prova del rigoroso riscontro scientifico... il collettivo di formazione Marxista Stefano Garroni propone una serie di incontri teorici partendo da punti di vista alternativi e apparentemente lontani che mostrano, invece, punti fortissimi di convergenza...
venerdì 28 ottobre 2016
giovedì 27 ottobre 2016
La migrazione come rivolta contro il capitale*- Prabhat Patnaik**
*Da: https://traduzionimarxiste.wordpress.com/ Link
all’articolo originale in inglese MRZine,
originariamente pubblicato in People’s Democracy
**Prabhat Patnaik è un economista marxista indiano.
Il fatto che un alto numero di rifugiati, specialmente da
paesi che sono stati soggetti negli ultimi tempi alle devastazioni delle
aggressioni e guerre imperialiste, stiano tentando di entrare in Europa viene
visto quasi esclusivamente in termini umanitari. Per quanto una tale percezione
abbia senza dubbio la propria validità, vi è un altro aspetto della questione
che è sfuggito del tutto all’attenzione, ossia che per la prima volta
nella storia moderna il fenomeno della migrazione potrebbe trovarsi al di fuori
del controllo esclusivo del capitale metropolitano. Sino ad oggi i flussi
migratori sono stati interamente dettati dalle esigenze del capitale
metropolitano; ora, per la prima volta, le persone ne stanno violando i
dettami, tentando di dare seguito alle proprie preferenze riguardo a dove
vogliono stabilirsi. In miseria e infelici, e senza essere coscienti delle
implicazioni delle proprie azioni, questi sventurati stanno effettivamente
votando coi propri piedi contro l’egemonia del capitale metropolitano, il quale
procede sempre sulla base del presupposto che le persone si sottometteranno
docilmente ai suoi diktat, anche riguardo a dove vivere.
L’idea secondo la quale il capitale metropolitano avrebbe
fino ad oggi determinato chi dovrebbe rimanere e dove nel mondo,
nonché in quali condizioni materiali, potrebbe apparire a prima vista
inverosimile. Ciò nondimeno è vera. Nei tempi moderni si possono distinguere
tre grandi ondate migratorie, ognuna delle quali dettata dalle necessità del
capitale. La prima è stata il trasporto di milioni di persone ridotte in
schiavitù dall’Africa alle Americhe, per lavorare nelle miniere e nelle
piantagioni al fine di produrre le materie prime da esportare così da far
fronte alle richieste del capitale metropolitano. Dal momento che le vicende
riguardanti la tratta degli schiavi sono presumibilmente ben note, non
discuterò ulteriormente questa particolare ondata migratoria.
Una volta terminato il periodo di fioritura del commercio
degli schiavi, ci fu un nuovo tipo di migrazione. Nel corso di tutto il XIX
secolo e dell’inizio del XX, il capitale metropolitano aveva imposto un processo
di “deindustrializzazione” al terzo mondo, non solo alle colonie tropicali come
l’India ma anche alle semi-colonie e dipendenze come la Cina. Allo stesso tempo
aveva “drenato” una parte del surplus economico di queste società attraverso
svariati mezzi, dalla pura e semplice appropriazione di merci senza
alcun quid pro quo, ricorrendo alle entrate fiscali delle colonie
amministrate direttamente, all’imposizione dello scambio ineguale nella
valutazione dei prodotti del terzo mondo, sino all’estrazione di profitti
monopolistici nel commercio. Le popolazioni delle economie del terzo mondo
impoverite tramite tali meccanismi erano state forzate, viceversa, a restare
dove si trovavano, intrappolate all’interno dei propri universi.
Lavoratori vincolati indiani al loro arrivo a
Trinidad
mercoledì 26 ottobre 2016
Studio su Hegel: Estetica - Stefano Garroni
Quarta parte: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/studio-su-hegel-filosofia-storia-etica_13.html
Ultima: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/studio-su-hegel-estetica-stefano-garroni.html
Ultima: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/studio-su-hegel-estetica-stefano-garroni.html

Interessante Cassirer, 6508: 156-8 - «In seguito i
filosofi hanno cercato di evitare questa conclusione [la condanna platonica dell’ arte]
assegnando all’ arte una meta più elevata. Ci hanno spiegato che l’
arte riproduce non già il mondo fenomenico, ma il mondo sovrasensibile. Questa
idea prevale in tutti i sistemi dell’ estetica idealistica: da Plotino giù giù
fino a Schelling e Hegel. La bellezza, si afferma, non è una mera qualità
empirica o fisica delle cose; è un predicato intelligibile, sovrasensibile.
Nella letteratura inglese troviamo questa concezione, per es., nelle opere di
Coleridge e di Carlyle. In ogni opera d’ arte, afferma Carlyle, noi discerniamo
l’ etermità che traspare nel tempo, il divino reso visibile» (Cassirer, 6508:
158).
«... Baumgarten, sappiamo, propose con notevole successo postumo il nome
intenzionalmente filosofico di “estetica”, per molti decenni accettato però
solo in area tedesca. Kant non lo adoperò mai come nome disciplinare, non
sentendo affatto il bisogno di dare un nome quale che sia a una riflessione che
non era un sapere. Schelling tenne poi lezioni non di “estetica”, ma di
“filosofia dell’ arte”, e anche Hegel avrebbe preferito questo nome a quello,
impostosi in sostanza per ragioni di routine
accademica.» (Garroni, 6631: 37). Platonismo estico di Hegel versus Kant.
(AAVV, 7376: 203).
martedì 25 ottobre 2016
Brzezinski e la futurologia. (America in the Technetronic Age)* - Alessandra Ciattini
*Da: https://www.lacittafutura.it/
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/usamerica-nellepoca-tecnetronica.html
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/usamerica-nellepoca-tecnetronica.html

Come è noto, Brzezinski si è sempre dilettato di analisi
politiche volte a delineare gli scenari internazionali futuri. In questo breve
intervento, mi limiterò ad analizzare brevemente un articolo
dell’ex-consigliere, pubblicato nel 1968, dal significativo titolo America
in the Technetronic Age(leggi), nel
quale egli indica i caratteri della società cosiddetta postindustriale o, se
volete, postmoderna. E ciò perché in effetti egli coglie nel segno,
anche perché descrive le linee politiche adottate dalla classe dirigente
mondiale, a cui era ed è strettamente vincolato.
Questo aspetto è ben colto da un autore sovietico, Edward
Arab-Ogly, il cui libro intitolato Nel labirinto dei vaticini è
stato pubblicato in italiano dalle Edizioni Progress (Mosca) nel 1977 e che ho
avuto già modo di menzionare in un precedente articolo per La Città futura. Egli sottolinea,
in questo d’accordo con Brzezinski [1], che la rivoluzione tecnico-scientifica
del Novecento ha determinato “mutamenti profondi e irreversibili con una
conseguente accelerazione dell’evoluzione sociale”. A suo parere “tali
trasformazioni sociali, politiche, economiche che in passato si sarebbero
dipanate per decenni e forse per secoli”, si stanno realizzando vorticosamente
nello spazio di una generazione. Egli aggiunge che nell’epoca contemporanea il
potere che l’uomo ha sulla natura e sul proprio destino è straordinario e che
noi e i nostri posteri potremo godere i frutti di questo avanzamento, ma ci
troveremo anche a “pagare il fio delle nostre attività” (op. cit. 1977: 3).
lunedì 24 ottobre 2016
Il lavoro tra operai digitali e cottimisti del voucher*- Bruno Casati
Solo negli ultimi 5 anni l’Italia ha perso un milione di
occupati, di cui 300mila nel settore metalmeccanico. La piccola risalita fatta
registrare l’anno scorso, pur così enfatizzata (l’Italia della retorica
Renziana che riparte), è stata del tutto assorbita in quanto drogata dagli
sgravi che il Governo regalava agli imprenditori che assumevano. Finita la
droga si è tornati a licenziare in scioltezza e si sono gettati al vento chi
dice 10 chi dice 20 miliardi di Euro. Va così in tutta Europa? Solo in Spagna
si sono verificate perdite di occupati pari a quelle intervenute in Italia. In
Germania invece si è tornati al livello degli anni precedenti la crisi e,
quindi, mentre l’Italia ha perso, come si è detto, 1 milione di occupati, la
Germania ha aumentato i suoi di 1 milione e mezzo.
Pare proprio si sia
configurata un’Europa del Lavoro e dell’Economia a due velocità. Ed allora la
Gran Bretagna ha pensato bene di salutare questa Europa con il referendum di
giugno. E la Gran Bretagna non è la Grecia, che è stata calpestata un anno fa, e
va ascoltata. Perché la Brexit ci costringe per davvero a ragionare
sull’esistenza o meno di un’alternativa “allo stato di cose presenti” che
l’assetto economico assunto dall’UE ci impone, a partire dal lontano trattato
di Maastrich. E quel trattato, impedendo la compressione della disoccupazione,
da allora considerata “elemento funzionale al mantenimento degli equilibri
interni al sistema economico capitalistico”, negava anche l’intervento pubblico
in Economia (bloccati gli aiuti di Stato, eccezion fatta per le Banche ben
s’intende) e imponeva le privatizzazioni. E un furia privatizzatrice spazzò
l’Italia che, con Bersani in testa, enfatizzava privatizzazioni a “lenzuolate”.
Se oggi noi ci apprestiamo a dire no nel referendum costituzionale, è bene
rammentare che fu proprio la UE, imponendo la “coesistenza pacifica” con la
disoccupazione e la cancellazione della mano pubblica in Economia, ad assestare
il primo doloroso colpo di piccone alla nostra Carta Costituzionale che
sostiene esattamente l’opposto. Il secondo, mortale, fu l’imposizione più
recente del vincolo di Bilancio (il pareggio dell’art.81). Da tutto ciò ne
discende che il concetto di “piena occupazione” in Italia è stato riposto nello
scantinato del Novecento, a fianco della Programmazione Economica, l’IRI e le
Partecipazioni Statali. In quello scantinato sono quindi finite le lezioni di
John Keynes che, all’interno dell’Economia di Mercato, sollecitava interventi
di Stato, attraverso i quali il sistema capitalistico avrebbe retto alla sfida,
si era nel trentennio 1945-1975, portata dall’economia di piano dell’Unione
Sovietica. Oggi, che non esiste più l’Unione Sovietica e la sfida se si vuole è
con il “Socialismo di Mercato” della Cina, quelle antiche lezioni tornerebbero
comunque utili perché la crisi economica mondiale, iniziata negli USA nel 2007,
ha, tra le sue cause, lo ricorda l’economista Thomas Piketty, proprio il
fallimento delle politiche neoliberiste spinte dell’ultimo quarto di secolo, da
quando ossia l’Unione Sovietica è uscita di scena e il capitale non aveva più
il nemico.
domenica 23 ottobre 2016
La questione curda, ieri ed oggi*- Samir Amin**
Una grande confusione domina il dibattito su questo tema. La ragione è, a mio avviso, l'allineamento della maggior parte degli attori e degli osservatori dietro ad una visione non storica di questa questione, così come di altre. Il diritto dei popoli all'autodeterminazione è stato innalzato a diritto assoluto, che vorremmo fosse mantenuto valido per tutti e in tutti i tempi (presenti e futuri), così come per il passato. Questo diritto è considerato come uno dei diritti collettivi tra i più fondamentali, al quale si dà di solito più importanza che agli altri diritti collettivi di portata sociale (diritto al lavoro, all'educazione, alla sanità, alla partecipazione politica ecc..).
D'altra parte i soggetti di questo diritto assoluto non sono
definiti in maniera precisa; il soggetto di questo diritto può essere “una
comunità” qualunque, maggioritaria o minoritaria all'interno delle frontiere di
uno stato o di una delle sue province; questa comunità che si definisce essa
stessa come “particolare” per lingua o religione per esempio; e si proclama, a
torto o a ragione, vittima di una discriminazione, se non di un'oppressione. Le
mie analisi e le mie prese di posizione si iscrivono all'opposto di questa
visione transtorica dei problemi della società e dei “diritti” attraverso i
quali si esprimono le rivendicazioni dei movimenti sociali del passato e del
presente. In particolare attribuisco un'importanza capitale alla frattura che
separa lo sviluppo del moderno mondo capitalista dai mondi precedenti.
sabato 22 ottobre 2016
CONTROSTORIA DEL SECOLO BREVE, dalla Rivoluzione di ottobre alla seconda guerra mondiale - Renato Caputo
2 LEZIONE. LA PRIMA GUERRA MONDIALE -
interventismo e neutralismo in Italia; cenni sui
fronti di guerra; la conclusione della prima guerra mondiale; i trattati di
pace e il nuovo assetto mondiale:
1 LEZIONE. LE CAUSE E LA PRIMA FASE DELLA GRANDE GUERRA - Le cause della prima guerra mondiale; gli schieramenti
contrapposti; le fasi iniziali della guerra; dalla guerra di movimento alla
guerra di trincea: https://www.youtube.com/watch?v=29nEf34Fc5M
venerdì 21 ottobre 2016
Le pipeline in Siria e Iraq: il vero motivo strategico della guerra* - Alberto Negri
*(Sintesi di una relazione per il convegno "Cooperazione Regionale e Sviluppo delle
Risorse Energetiche nel Mediterraneo") https://www.facebook.com/alberto.negri.9469?fref=nf
Vedi anche: https://www.youtube.com/watch?v=k7LPILjBAmo
https://www.youtube.com/watch?v=plmoK22uMn4
Gas e petrolio sono da sempre al cuore della questione mediorientale: nelle vene di questa regione strategica per gli equilibri mondiali scorrono tutte le peggiori ragioni per fare una guerra e anche le migliori per fare la pace. Si tratta, in fondo, soltanto di scegliere e di conoscere la storia.
Vedi anche: https://www.youtube.com/watch?v=k7LPILjBAmo
https://www.youtube.com/watch?v=plmoK22uMn4
Gas e petrolio sono da sempre al cuore della questione mediorientale: nelle vene di questa regione strategica per gli equilibri mondiali scorrono tutte le peggiori ragioni per fare una guerra e anche le migliori per fare la pace. Si tratta, in fondo, soltanto di scegliere e di conoscere la storia.
Nel 1947 l’americana Bechtel e la Saudi Aramco decisero di
realizzare un pipeline dai pozzi sauditi alle sponde del Mediterraneo. Si
trattava della famosa Tapline: nel primo progetto doveva arrivare ad Haifa in
Israele ma il piano fu accantonato dopo la dichiarazione di indipendenza dello
stato ebraico. Si scelse così un percorso alternativo che passava dalle colline
siriane del Golan e dal Libano, fino a Sidone. Il Parlamento siriano però
chiese più tempo per esaminare la questione e la risposta fu un colpo di stato
condotto dal colonnello Zaim con l’aiuto dell’agente della Cia Stephen Meade
che rovesciò un governo democraticamente eletto.
Soltanto quattro anni dopo, nel 1953, un altro colpo di
stato anglo-americano detronizzava in Iran il leader Mossadeq che aveva
nazionalizzato il petrolio. Il vero autore del golpe in Iran fu Kermit
Roosevelt jr, nipote del presidente Theodore Roosevelt. La sua foto negli anni
’50 mostra un quarantenne sorridente, con occhiali dalla montatura nera pesante
e l’aria mite di un professore: è il capo del della Cia in Medio Oriente, un
insospettabile uomo d’azione, coraggioso, capace come pochi di volgere gli
eventi a suo favore, anche nelle peggiori condizioni. Fu lui a dirigere sul
campo il colpo di stato contro Mossadeq.
I golpe americani a sfondo energetico e i loro segreti sono
una questione di famiglia: i Roosevelt, i Kennedy e ora i Clinton. C’è qualche
dubbio che coloro che oggi si proclamano “amici della Siria” come Stati Uniti,
Francia e Gran Bretagna lo siano veramente: gli ultimi due sono stati quelli
che si sono spartiti il Medio Oriente un secolo fa con gli accordi di
Sykes-Picot del 1916.
Gli accordi tracciavano i confini del futuro Medio Oriente
dopo la dissoluzione dell’impero ottomano. Ma Georges Clémenceau accettò di
“offrire” Mosul agli inglesi in cambio del controllo francese sulla Siria e sul
Libano.
giovedì 20 ottobre 2016
mercoledì 19 ottobre 2016
martedì 18 ottobre 2016
Ventotene, l’Europa e il postmoderno*- Giovanna Cracco
*Da: http://www.rivistapaginauno.it/
“La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre
esigenze, dovrà essere socialista,” scrive Spinelli, “cioè dovrà proporsi
l’emancipazione delle classi lavoratrici e la realizzazione per esse di
condizioni più umane di vita”

Nell’epoca postmoderna le grandi narrazioni universali
finalistiche e collettive che avevano legittimato il legame sociale non sono
più credibili perché hanno tradito le promesse
Imprescindibile Lyotard, quando si parla di postmodernismo.
Ne sono state date definizioni plurime, ma al filosofo francese si risale per
la prima: “Semplificando al massimo, possiamo considerare ‘postmoderna’
l’incredulità nei confronti delle metanarrazioni”, scrive nel 1979 ne La
condizione postmoderna. Un’epoca che per Lyotard coincide con il
capitalismo avanzato e l’“informatizzazione della società”, cambiamenti
tecnologici che incidendo fortemente sul processo di ricerca e di trasmissione
delle conoscenze, generano la trasformazione del Sapere in merce; già l’èra
industriale ne aveva fatto forza produttiva, questo è un passaggio ulteriore.
“Il sapere viene e verrà prodotto per essere venduto, e viene e verrà consumato
per essere valorizzato in un nuovo tipo di produzione: in entrambi i casi, per
esse-re scambiato. Cessa di essere fine a se stesso, perde il proprio ‘valore
d’uso’.” (1)
In questa fase storica, le grandi narrazioni universali,
finalistiche e collettive che nella precedente epoca moderna avevano
legittimato il legame sociale – illuminismo, idealismo e marxismo, ma anche il
positivismo scientifico che si è accompagnato al capitalismo, esaltando la
tecnologia come motore dello sviluppo economico e del benessere
delle società – non sono più credibili, perché hanno tradito le promesse,
e l’agire dell’Uomo non appare più quel processo di emancipazione verso una
civiltà globale sempre più avanzata, libera ed egualitaria. La Storia stessa ha
delegittimato le metanarrazioni:
lunedì 17 ottobre 2016
domenica 16 ottobre 2016
Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 - Friedrich Engels, Introduzione (1895)
[...]
Dopo la sconfitta del 1849 non condividemmo in nessun modo
le illusioni della democrazia volgare raccolta attorno ai governi provvisori
futuri in partibus. Questa contava su una vittoria rapida, decisiva una volta
per tutte, del "popolo" sugli "oppressori"; noi su una
lotta lunga, dopo l'eliminazione degli "oppressori", tra gli elementi
contraddittori che si celavano precisamente in questo "popolo". La
democrazia volgare aspettava la nuova esplosione dall'oggi al domani; noi
dichiaravamo già nell'autunno 1850 che almeno il primo capitolo del periodo
rivoluzionario era chiuso e che non vi era da aspettarsi nulla sino allo
scoppio di una nuova crisi economica mondiale. Per questo fummo messi al bando
come traditori della rivoluzione da quegli stessi che in seguito fecero tutti,
quasi senza eccezione, la pace con Bismarck, nella misura in cui Bismarck trovò
che ne valeva la pena.
Ma la storia ha dato torto anche a noi; ha rivelato che la
nostra concezione d'allora era una illusione. La storia è andata anche più
lontano; essa non ha soltanto demolito il nostro errore di quel tempo; essa ha
pure sconvolto le condizioni in cui il proletariato ha da lottare. Il modo di
combattere del 1848 è oggi sotto tutti gli aspetti antiquato, e questo è un
punto che in questa occasione merita di essere esaminato più da vicino.
Tutte le passate rivoluzioni hanno condotto alla
sostituzione del dominio di una classe con quello di un'altra; ma sinora tutte
le classi dominanti erano soltanto piccole minoranze rispetto alla massa del
popolo dominata. Così una minoranza dominante veniva rovesciata, un'altra
minoranza prendeva il suo posto al timone dello Stato, e rimodellava le
istituzioni politiche secondo i propri interessi. E ogni volta si trattava di
quel gruppo di minoranza che le condizioni dello sviluppo economico rendevano
atto e chiamavano al potere, e appunto per questo e soltanto per questo
avveniva che la maggioranza dominata partecipava al rivolgimento schierandosi a
favore di quella minoranza, oppure si adattava tranquillamente al rivolgimento
stesso. Ma se prescindiamo dal contenuto concreto di ogni caso, la forma comune
di tutte quelle rivoluzioni consisteva nel fatto che esse erano tutte
rivoluzioni di minoranze. Anche quando la maggioranza prendeva in esse una
parte attiva, lo faceva soltanto, coscientemente o no, al servizio di una
minoranza; questo fatto però, o anche solo il fatto dell'atteggiamento passivo
e della mancanza di resistenza della maggioranza, dava alla minoranza
l'apparenza di essere rappresentante di tutto il popolo.
sabato 15 ottobre 2016
Riflessioni su Foucault*- Paolo Di Remigio
La sinistra è stata colta di sorpresa dal neoliberalismo;
anziché riconoscerlo come un programma criticabile, lo ha scambiato per una
svolta storica già accaduta, a cui rassegnarsi, a cui anzi i suoi capi hanno
prestato i propri servizi in modo da averne la piccola ricompensa. Il grande
merito delle lezioni del 1978-79 di Michel Foucault al Collège de
France1 è
di avere colto la natura di programma del neoliberalismo, rintracciandone la
doppia radice nell'ordo-liberalismo tedesco della scuola di Friburgo degli anni
’20 e nel successivo anarco-liberalismo americano della scuola di Chicago, e
narrandone con grande accuratezza la storia. Chi leggesse il libro potrebbe
riconoscere nelle vecchie idee ordo-liberali non solo i principi ispiratori
dell'Unione Europea, ma la sua stessa retorica; l'espressione «economia sociale
di mercato», infine scivolata nel trattato di Lisbona, è stata coniata là, in
polemica con l'economia keynesiana; l'adorazione ordo-liberale della
concorrenza si è insinuata nel trattato di Lisbona come definizione della
natura fortemente competitivadell’Unione Europea2;
la stessa idea di reddito di cittadinanza che trasforma la disoccupazione inoccupabilità dei
lavoratori ha la sua genesi nella scuola di Friburgo. Dall'anarco-capitalismo
americano è invece influenzato, più che il moralismo europeista della
competitività, il capitalismo post-keynesiano in generale, che pretende di fare
dell'individuo, qualunque sia la sua condizione, un imprenditore, e della sua
attività, qualunque essa sia, un'impresa3.
Non è il caso di riassumere il lavoro di Foucault: meglio leggerlo,
anzi studiarlo, per trarne il quadro dell'ideologia neoliberale nella sua
ossessiva pervasività; è invece il caso di chiedersi perché mai il libro non
sia diventato né un segnale d'allarme né un'arma di lotta politica. La risposta
può essere anticipata subito: Foucault condivide con il neoliberalismo e con il
marxismo il suo presupposto più interno: l'identità di libertà e natura,
ossia la concezione che la libertà sia una proprietà originaria dell'individuo fuori dal
contesto politico, determinato cioè come naturale. Perché la sua indagine
avesse risonanza politica, Foucault avrebbe dovuto esporre il neoliberalismo
confrontandosi a fondo con la natura dello Stato, mettendo in questione non
solo il liberalismo, ma lo stesso Marx, risalendo quindi a Hegel.
venerdì 14 ottobre 2016
OTTAVA BOLGIA INFERNALE*- Gianfranco Pala
Ottavo cerchio dell’inferno dantesco in
fondo a destra, questo è il cammino, e poi dritto fino al mattino. Poi la
strada non la trovi da te, sprofonda all’inferno, che però non c’è.
Solo un <buzzurro> {*} come Salvini che nella sua
ignoranza non sa nemmeno l’italiano, giacché “traditore” è chi consegna libri e
pensieri ai loro avversarî e il fellone che ha commesso tradimento nei
confronti della
patria;
della causa,o dei compari di una lotta
merita una dura punizione, fino alla morte, o per dirla con la severità di Dante “se le mie parole esser
dien seme, che frutti infamia al traditor ch’i’ rodo”. Ma i libri o i pensieri
di Carlo Azeglio Ciampi per chi e di chi erano? Certamente non per
proletari e comunisti, ma per banchieri e capitalisti internazionali, cui
semmai gli italiani si fossero omologati. E parimenti ciò è vero altresì per il
silente <convitato-di-pietra> Giorgio Napolitano, che qui non dovrebbe
entrare direttamente in gioco (ma che, come si dirà, <tomo tomo, cacchio
cacchio> si è dedicato e plasmato sugli stessi padroni e opposto ai medesimi
nemici). Quindi è palese l’ipocrisia del legaiolo – con il suo <cesso di
anima>, per dirla come il diavolo di Altàn – di manifestare “preghiera e
cordoglio” per la non prematura morte di Ciampi; lo storico e politico
analfabetismo del disumano guitto
<ruspista> lombardo ne delinea le magnifiche sorti, e regressive. Ossia
definire Ciampi “uno dei traditori dell’Italia e degli italiani, come
Napolitano, Prodi e Monti” non sono “parole choc,
a caldo”, di Matteo
Salvini sulla morte del presidente emerito della repubblica, il
quale a dire del legaiolo “si porta sulla coscienza il disastro di 50 milioni
di italiani, e come per Napolitano è uno da processare come traditore”. E neppure
sono “parole miserevoli” come esclamano le anime-benintenzionate del Pd, anche
dell’asinistra di coloro-che-lastricano-le-vie-dell’inferno. Poiché costoro
fingono di non sapere mentre Salvini – è chiaro – non sa proprio chi siano
realmente, da decenni, né Ciampi né Napolitano e via con coloro che sempre <osservano-gli-ordini-superiori>.
{* per spiegare alcuni termini, per chi non lo sapesse, non è male apprendere
che buzzurro viene dal
tedesco antico Butzen (moderno Putzer), in linguaggio popolare riferito agli immigrati
che decisero di fermarsi tra l’Esquilino e la zona ex Macao del rione Castro
pretorio, come ancora oggi; allora erano circa il 10% della popolazione romana
dell’epoca. Vennero perciò chiamati spazzacamini; caldarrostari, ambulanti
castagnari, montanari alpini semianalfabeti che nella stagione autunnale delle
castagne scendono in pianura, per venderle fresche o arrostite (per cui preliminarmente
pulivano le canne fumarie) e pulitori in genere; in Italia centrale equivale,
estensivamente in senso figurato, a termini dialettali quali
<ciafrujoni>, confusionari, casinisti, pasticcioni, ingarbugliatori, che
confondono le idee; a parti invertite, è il corrispettivo dell’epiteto terroni che i <nordici> affibbiano
con violenza verbale analoga all’uso di <buzzurro>, ma provocatore di
doppiosenso rivolto ai <sudici> [non si dimentichi che
<tombini-di-ghisa> uscendo coperto di merda dalle fogne, nel 2009 a
Pontida; cantò stonando "senti che puzza, scappano anche i cani, sono
arrivati i napoletani"; e adesso, per catturare un pugno di voti ... <sudici>,
dopo la felpa per <lampedusa> si è fatto sùbito stampare un’altra felpa con
su scritto <amatrice>!!], La parola <terroni> (e varianti
dialettali) proviene dallo spagnolo terrones
(zolle di terra, zappate dai <contadini>),
che in un più remoto passato in Toscana non era riferita ai <lavoratori
agricoli> servi della gleba, ma invece riguardava originariamente una
disputa tutta interna alla classe padronale tra i <proprietari terrieri>,
<latifondisti>, che con la terra avevano solo un <rapporto di
proprietà> non avendola mai lavorata, zappata, e i <bottegai> che si
ritevano dominati e vessati da quegli altri, proprietari privati della natura}.
giovedì 13 ottobre 2016
Studio su Hegel: Filosofia, Storia, Etica - Stefano Garroni
[5] - La filosofia in Hegel e il Weltbild in Holz
(AAVV, 7376: 266s) - nota che Biasutti sottolinea la necessità, per la
filosofia dialettica, di mettere in questione l’evidenza.
[5.1] - L’oggetto della filosofia -giusta AAVV,
7376: 267a- sembra una generalizzazione del <progetto cartesiano>, di cui
in des.doc.
[5.2] - Filosofia e storia -la filosofia, che vien
sempre dopo. (AAVV, 7376: 284s) -fino a che punto questa posizione dello
Hegel maturo si contrappone a quella del giovane Marx, che addirittura legifera
sul futuro della filosofia, indicandole la necessità di svolgere il ruolo di
eredità, che il proletariato dovrà assumersi? E’ proprio vero che, per Hegel,
la filosofia non ha alcun ruolo da svolgere nel presente? Comunque, questo è in
modo di presentarsi del paradosso di
Marx.
[5.3] - Hegel contro Reinhold, per la concezione
del <progresso>; inoltre, chiarissima l’attenzione di Hegel alla
<diversità> dei costrutti storici -qui, si tratta di filosofie. (AAVV,
7376: 287).
[5.4] - Secondo Hegel, “ogni autentica filosofia
conserva un permanente nucleo di verità, anche quando è caduta in desuetudine
la sua forma originaria...” (AAVV, 7376: 307).
mercoledì 12 ottobre 2016
Il tema del lavoro secondo Karl Marx*- Giulio Di Donato
Il lavoro dovrebbe essere, agli occhi di Marx,
“manifestazione di libertà”, “oggettivazione/realizzazione del soggetto”,
“libertà reale”. In tutte le forme storiche succedutesi, il lavoro ha però
sempre avuto (quale lavoro schiavistico, servile, salariato) un carattere
“repellente”, è stato sempre “lavoro coercitivo esterno”. In altre parole, non
si sono mai create le condizioni soggettive ed oggettive che gli permettessero
di diventare “attraente”, di costituire “l’autorealizzazione dell’individuo”.
[1]
Perché si ritorni alla sua vera e profonda essenza, deve
cessare di essere lavoro “antitetico” e divenire “libero”. Ciò non significa,
ribadisce Marx, che esso possa diventare, come vorrebbe Fourier, un mero gioco;
un “lavoro realmente libero, per es. comporre, è al tempo stesso la cosa
maledettamente più seria di questo mondo, lo sforzo più intensivo che ci sia”.
E tanto più serio e intensivo sarà il lavoro quando esso diventerà veramente
“universale”, cioè processo di produzione consapevolmente istituito e
controllato dagli uomini “come attività regolatrice di tutte le forze
naturali”. [2]
Certamente anche l’animale produce. Si fabbrica un nido,
delle abitazioni, come fanno le api, i castori, le formiche, ecc. Solo che
l’animale produce unicamente ciò che gli occorre immediatamente per sé o per i
suoi nati; produce in modo unilaterale, mentre l’uomo produce in modo
universale; produce solo sotto l’imperio del bisogno fisico immediato, mentre
l’uomo produce anche libero dal bisogno fisico, e produce veramente soltanto
quando è libero da esso; l’animale riproduce soltanto se stesso, mentre l’uomo
riproduce l’intera natura; il prodotto dell’animale appartiene immediatamente
al suo corpo fisico, mentre l’uomo si pone liberamente di fronte al suo
prodotto. L’animale costruisce soltanto secondo la natura e il bisogno della
specie a cui appartiene, mentre l’uomo sa produrre secondo la misura di ogni
specie e sa ovunque predisporre la misura inerente a quel determinato oggetto;
quindi l’uomo costruisce anche secondo le leggi della bellezza. [3]
martedì 11 ottobre 2016
Panzieri, Tronti, Negri: le diverse eredità dell’operaismo italiano*- Cristina Corradi
* Questo testo è già apparso in P. P. Poggio (a cura), L’ALTRONOVECENTO.
COMUNISMO ERETICO E PENSIERO CRITICO, vol. II, IL SISTEMA E I
MOVIMENTI- EUROPA 1945-1989, Fondazione L. Micheletti-Jaca Book, Milano
2011, pp. 223-247. Si ringrazia la Fondazione Micheletti e l’editore. http://www.consecutio.org/
Vedi anche: https://www.youtube.com/watch?v=09CqeHs4W44
Vedi anche: https://www.youtube.com/watch?v=09CqeHs4W44

(Il saggio mira a distinguere
i profili teorici presenti all’interno dell’operaismo, la corrente del marxismo
italiano che, negli anni ’60, si propone quale alternativa rivoluzionaria alla
strategia togliattiana della via italiana al socialismo e alla politica
culturale del Pci che adotta una problematica democratica, antifascista e
populista in luogo di una problematica socialista, marxista, operaia. La
sociologia politica di Raniero Panzieri e del gruppo dei “Quaderni rossi”, che
fa riferimento al Capitale e ai rapporti sociali di produzione per analizzare
il capitalismo fordista-keynesiano, mette a fuoco l’intreccio perverso tra
razionalità tecnocratica e illusioni democratiche, rifiuta la concezione
progressista della storia e la visione acritica del progresso tecnologico,
mantiene un saldo ancoraggio alla teoria marxiana del valore. La rivoluzione
copernicana del gruppo di “Classe operaia” si propone come operazione di
rottura più che di rivitalizzazione del marxismo: il pensiero operaio di Mario
Tronti segna il passaggio da una prospettiva neomarxista ad una filosofia della
classe operaia, la cui particolare tonalità culturale deriva dall’incrocio con
la Nietzsche-Heidegger Renaissance e dall’uso di un dispositivo
attivistico che trasforma il rapporto di produzione nel prodotto di un’attività
soggettiva. Negli anni ’70, mentre il paradigma dell’autonomia del politico
accompagna il processo di riconversione post-marxista del ceto politico del
Pci, la teoria dell’operaio sociale di Negri, che incontra il movimento del
’77, esplicita la sua vocazione oltremarxiana aprendosi alla filosofia francese
della differenza e anticipando le tesi del postmoderno e del postfordismo)
L’operaismo è una corrente del marxismo italiano che nasce
in risposta alla crisi interna e internazionale del movimento operaio esplosa
nel ’56. Raniero Panzieri, Mario Tronti e Antonio Negri sono i teorici più noti
della corrente che, formatasi negli anni Sessanta intorno alle riviste
“Quaderni rossi” e “Classe operaia”, contribuisce in misura rilevante alla
formazione di una nuova sinistra, protagonista della lunga stagione di lotte
operaie e studentesche che si susseguono dal secondo biennio rosso ’68-’69 al
movimento del ’77 1. L’analisi della
composizione di classe, l’uso dell’inchiesta operaia e della conricerca come
strumenti di lavoro politico, la lettura della critica dell’economia politica
come scienza dell’antagonismo di classe, una storiografia innovativa delle
lotte operaie sono considerati i suoi contributi più significativi 2
lunedì 10 ottobre 2016
Iscriviti a:
Post (Atom)