La teoria Marxista poggia la sua forza sulla scienza... che ne valida la verità, e la rende disponibile al confronto con qualunque altra teoria che ponga se stessa alla prova del rigoroso riscontro scientifico... il collettivo di formazione Marxista Stefano Garroni propone una serie di incontri teorici partendo da punti di vista alternativi e apparentemente lontani che mostrano, invece, punti fortissimi di convergenza...
sabato 12 marzo 2016
Il reddito di esistenza - Giovanna Vertova
Leggi anche: http://www.internazionale.it/opinione/jacopo-ottaviani/2016/03/04/italia-giovani-lavoro-studio
venerdì 11 marzo 2016
Dialoghi di profughi IV* - Bertolt Brecht
IL MONUMENTO AL GRANDE POETA KIVI. – I POVERACCI VENGONO
EDIFICATI ALLA VIRTU’. – PORNOGRAFIA.
In una bella giornata Ziffel e Kalle fecero un po’ di strada insieme, conversando. Attraversarono la piazza della stazione e si fermarono dinanzi a un gran monumento di pietra che rappresentava un uomo seduto.
ZIFFEL
Questo è Kivi, di cui tutti dicono che bisognerebbe leggere qualcosa.
KALLE
Deve essere stato un buon poeta, però è morto di fame. Il poetare non gli ha
fatto bene alla salute.
ZIFFEL Ho
sentito dire che qui fa parte dei costumi del paese che i migliori poeti muoiano
di fame. C’è tuttavia qualche eccezione, visto che alcuni si dice siano morti
alcolizzati.
KALLE
Vorrei sapere perché l’hanno messo lì a sedere davanti alla stazione.
ZIFFEL
Probabilmente come esempio ammonitore. Loro ottengono tutto con le minacce. Lo
scultore ha il senso dell’umorismo: gli ha dato infatti uno sguardo trasognato,
come se stesse sognando una crosta di pane a sua piena disposizione.
KALLE
Però ci sono anche artisti che hanno detto al pubblico quel che ne pensavano.
ZIFFEL Si,
ma per lo più in forma poetica, o comunque poco chiara. Questo mi fa ricordare
la storiella, che ho letto una volta da qualche parte, dell’uomo nell’altra
stanza. Una donna, dunque, aveva una relazione con un tizio che chiameremo Y e
che in fondo disprezzava, e un altro uomo – chiamiamolo X – era venuto a
saperlo. Ora, poiché ci teneva alla stima di costui, arrangiò le cose in
modo tale che, una volta che era a letto con Y, l’altro si trovasse nella
stanza accanto e potesse sentir bene tutto. Il suo piano era basato sul fatto
che X udiva, ma non vedeva. Y era ormai un po’ freddo con lei, sicché bisognava
che lei lo eccitasse. Per esempio quella si aggiusta il reggicalze, e Y vede
benissimo, e nello stesso tempo gli dice qualcosa di sprezzante, e X sente
benissimo. E così va avanti. Gli si butta addosso, e intanto geme «giù le
mani!»; gli mostra il didietro, e rantola «non mi lascio violentare», si mette
prona, puntellando il corpo con le ginocchia, e grida «porco!»: e Y vede, e X
sente, e la dignità della donna è salva. Un caso simile era quello di un poeta
che declamava in un cabaret, e prima andava sempre in cortile a insudiciarsi le
scarpe, perché il pubblico vedesse che per la sua bella faccia non si puliva
nemmeno le scarpe.
giovedì 10 marzo 2016
mercoledì 9 marzo 2016
Friedrich Engels, La situazione della classe operaia in Inghilterra* - Gabriella Giudici
a voi dedico un’opera
nella quale mi sono sforzato di presentare ai miei compatrioti tedeschi un
quadro fedele delle vostre condizioni, delle vostre sofferenze e lotte, delle
vostre speranze e prospettive.
Ho vissuto abbastanza
a lungo tra voi per avere una certa conoscenza delle vostre condizioni
d’esistenza, al cui studio ho dedicato la più seria attenzione, esaminando i
vari documenti ufficiali e non ufficiali, nella misura in cui sono riuscito a
procurarmeli. Ma non mi sono accontentato di questo: volevo qualcosa di più
della semplice conoscenza astratta del mio soggetto, volevo vedervi nelle
vostre stesse case, osservarvi nella vostra vita di tutti i giorni, discorrere
con voi sul vostro stato e sui vostri tormenti, essere testimone delle vostre
lotte contro il potere sociale e politico dei vostro oppressori.
Ho fatto così, ho
rinunciato alla compagnia e ai trattenimenti, al vino di Porto e allo champagne
delle classi medie, ho dedicato le mie ore libere quasi esclusivamente a
frequentare semplici operai; sono insieme contento e fiero di averlo fatto.
Contento, perché in tal modo sono stato indotto a trascorrere piu di un’ora
felice, imparando a conoscere la realtà della vita, ore che altrimenti
sarebbero state dissipate in conversazioni mondane e in tediosi cerimoniali;
fiero, perché ho avuto cosi la possibilità di rendere giustizia ad una classe
oppressa e calunniata di uomini che, con tutti i loro difetti e in mezzo a
tutti i disagi della loro situazione, si impongono tuttavia al rispetto di
chiunque non sia un affarista inglese.
[…] avendo ampia
occasione di osservare le classi medie, vostre avversarie, ben presto sono
giunto a concludere che voi avete ragione, perfettamente ragione, di non
aspettarvi alcun appoggio da esse. I loro interessi sono diametralmente opposti
ai vostri, sebbene esse cerchino sempre di sostenere il contrario e di farvi
credere che nutrono la più fervida simpatia per la vostra sorte. […] Hanno
fatto forse qualcosa di più che pagare le spese di una mezza dozzina di
commissioni d’inchiesta, i cui voluminosi rapporti sono condannati a dormire in
perpetuo tra cataste di cartacce negli scaffali del Home Office? Hanno almeno
tratto da questi libri azzurri che stanno ammuffendo un solo libro leggibile,
dal quale ognuno possa attingere con facilità qualche informazione sulle
condizioni della grande maggioranza dei « liberi britanni »? Non son stati essi
a farlo, naturalmente; queste sono cose delle quali non amano parlare.
Hanno lasciato a uno straniero il compito di
informare il mondo civile sulla situazione degradante nella quale siete
costretti a vivere. Uno straniero per loro, non per voi, spero: il il mio
inglese non sarà perfetto, ma spero che voi tuttavia, lo troverete chiaro.
Nessun operaio in Inghilterra mi ha mai trattato da straniero. Con grande gioia
ho osservato che voi siete immuni da quella terribile maledizione che sono i
pregiudizi e l’orgoglio nazionali che oltretutto non sono altro che egoismo
all’ingrosso. Ho osservato che voi simpatizzate seriamente con chiunque dedichi
le proprie forze al progresso umano – sia o no inglese – che ammirate ogni cosa
grande e buona, sia essa germogliata o no sul vostro suolo, ho trovato che
siete qualcosa in più che inglesi puri e semplici, siete uomini […] i quali
sanno che i propri interessi coincidono con quelli di tutto il genere umano.
E come tali, come
membri di questa famiglia dell’umanità «una e indivisibile», come esseri umani
nel senso più pieno della parola, io, e molti altri sul continente, plaudiamo
al vostro progresso in tutte le direzioni e vi auguriamo un rapido successo.
Andate avanti come avete fatto finora. Molte cose ancora ci saranno da
affrontare, siate decisi, siate impavidi, il vostro successo è certo e nessun
passo da voi compiuto nella vostra marcia in avanti sarà perduto per la nostra
causa comune, la causa dell’umanità!."
Barmen (Prussia renana), 15 marzo 1845
*Leggi tutto: http://gabriellagiudici.it/friedrich-engels-la-situazione-della-classe-operaia-in-inghilterra/
martedì 8 marzo 2016
La storia dell'8 marzo...* - Giovanna Vertova
Mi piacerebbe qui ricordare la storia della Giornata Internazionale delle Donne (GID), affinché si impari a distinguere questa dalle cosiddette “feste” (festa della mamma, festa del papà, san valentino, ect.) che sono state inventate per puro spirito di consumismo. La GID non è una “festa” ma una giornata di memoria. La storia della GID è legata a tutte quelle rivendicazioni per il lavoro, per il voto, per l’istruzione, per la possibilità di occupare posizioni pubbliche, per porre fine alle discriminazioni, portate avanti dalle donne agli inizi del 1900.
Ed è una storia lunga! Cercherò qui di riassumerla brevemente.
Nel 1908, 15.000 donne marciarono nella città di New York per chiedere
l’accorciamento della giornata lavorativa, paghe migliori e il diritto di voto.
Nel 1909, con la Dichiarazione del Partito Socialista d’America, la prima GID
venne celebrata negli Stati Uniti. La data era il 28 febbraio.
Nel 1910, a Copenhagen, durante la conferenza dell’Internazionale Socialista
Clara Zetkin (figura prominente del movimento internazionale dei lavoratori,
spartachista e tra i fondatori del Partito Comunista tedesco) propose che, ogni
anno, in ciascun paese, si celebrasse una GID. La Conferenza, composta da donne
di più di 17 paesi, che militavano attivamente in sindacati, in partiti
socialisti e comunisti, in gruppi di lavoratrici, accettarono all’unanimità la
proposta della Zetkin. Ma nessuna data venne proposta.
Il 19 marzo 1911, a seguito della decisione presa a Copenhagen, la prima GID venne celebrata in Austria, in Danimarca, in Germania e in Svizzera.
Il 19 marzo 1911, a seguito della decisione presa a Copenhagen, la prima GID venne celebrata in Austria, in Danimarca, in Germania e in Svizzera.
Meno di una settimana dopo avvenne il tragico fatto del “Triangle Fire”. Il 25
marzo 1911 scoppiò un incendio nella Triangle Shirtwaist Company di New York
(che era una fabbrica di abbigliamento). Questo incendio fu un evento
significativo perché portò alla ribalta le disumane condizioni di lavoro
dell’industrializzazione statunitense. La Triangle Waist Company era una tipica
fabbrica “del sudore” nel cuore di Manhattan dove regnavano bassi salari, ore
di lavoro lunghissime, condizioni di lavoro malsane e pericolose.
Verso l’ora di chiusura scoppiò un incendio accidentale. Poiché era un periodo di agitazioni operarie, i proprietari avevano chiuso a chiave le porte, per impedire che le operaie potessero uscire a scioperare. A seguito dell’incendio morirono 146 donne (delle 500 dipendenti), quasi tutte immigrate italiane ed ebree, in parte bruciate e soffocate e in parte per essersi buttate dalle finestre nel tentativo di scappare.
Verso l’ora di chiusura scoppiò un incendio accidentale. Poiché era un periodo di agitazioni operarie, i proprietari avevano chiuso a chiave le porte, per impedire che le operaie potessero uscire a scioperare. A seguito dell’incendio morirono 146 donne (delle 500 dipendenti), quasi tutte immigrate italiane ed ebree, in parte bruciate e soffocate e in parte per essersi buttate dalle finestre nel tentativo di scappare.
Le lavoratrici sopravvissute raccontarono dei loro inutili sforzi per aprire le
porte del nono piano per accedere alle scale e poter, così, sfuggire
all’incendio. Altre lavoratrici aspettarono vicino alle finestre che i pompieri
venissero a salvarle, solo per scoprire che le scale dei pompieri erano troppo
corte e non riuscivano a raggiungere i piani dove si trovavano loro. Subito
dopo l’incendio si alzarono voci di protesta, scioccate per la scarsa
preoccupazione delle condizioni delle lavoratrici e per l’avidità che aveva
permesso tutto ciò. Entro un mese dall’incendio, il governatore dello stato di
New York designò una commissione per indagare sull’evento. Per 5 anni questa
commissione condusse una serie di inchieste il cui risultato fu l’approvazione
di una legislazione sulla sicurezza nelle fabbriche.
Nonostante, quindi, non ci sia alcun rapporto tra questi fatti e l’8 marzo,
questo evento attirò l’attenzione sulle condizioni di lavoro delle donne negli
USA.
Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale delle donne russe, che manifestavano
per la pace, celebrarono la loro prima GID (era il 13 febbraio).
Nell’ultima domenica di febbraio del 1917, sempre delle donne russe iniziarono
uno sciopero per “il pane e la pace” come risposta ai 2 milioni di soldati
russi morti in guerra. La data di inizio dello sciopero era il 23 febbraio nel
calendario Giuliano, che corrisponde all’8 marzo in quello gregoriano.
Ecco fissata la data per la GID. La GID quindi non è una “festa”, ma la
celebrazione delle lotte delle donne, fatte di sudore e di sangue, per la
rivendicazione dei loro diritti.
Purtroppo, negli ultimi decenni, si è persa questa memoria storica.
Oggi si vive nell’illusione che le disuguaglianze tra donne e uomini siano
sparite. Certo, sempre più donne entrano nel mondo del lavoro, e, certo, la
legislazione per la parità ha fatto passi da gigante dai primi decenni del
1900.
Tuttavia, le disuguaglianze persistono ancora oggi. Nel mondo del lavoro, le
donne subiscono una segregazione verticale (glass ceiling), cioè la difficoltà
di raggiungere le posizioni apicali della carriera; una segregazione
orizzontale, cioè le donne occupate sono concentrate in alcuni settori e/o
professioni ritenute, socialmente e culturalmente, “femminili”; il gender pay
gap, cioè differenze retributive anche a parità di lavoro; maggior flessibilità,
cioè la maggior parte dei contratti atipici riguarda le donne.
Nella vita privata, ancora oggi le donne svolgono la maggior parte del lavoro
di cura non pagato, rendendo difficile, per loro e solo per loro, la
conciliazione tra lavoro pagato fuori casa e lavoro non pagato in casa.
Nella vita pubblica, ancora oggi le donne sono poco presenti.
Inoltre, rimane l’annoso problema della violenza sulle donne che nessuna istituzione pubblica italiana vuole cercare di risolvere.
Inoltre, rimane l’annoso problema della violenza sulle donne che nessuna istituzione pubblica italiana vuole cercare di risolvere.
La memoria storica dovrebbe servirci per ricordare la strada fatta dalle donne
ma, soprattutto, quella che c’è ancora da fare.
...................................
8 marzo giornata internazionale di lotta delle donne proletarie, dovrebbe essere.
Mi sono riletta quello che scrissi anni fa sulle donne
-Lecce, 9 marzo 2000 – 3 Marzo 2001 -
Che la situazione non solo delle donne ma di tutti gli
esseri umani sia peggiorata mi pare inconfutabile. Intanto rispetto a quello
che dicevo una cosa mi colpisce. che oggi non si è solo uomini o donne,
omosessuali e lesbiche ma si è anche LGBT.
A parte il fatto, orrendo per me. di mettere i cartellini
agli ESSERI UMANI, c’è il fatto che le gente (non le persone) sono orgogliose
di essere stampigliate e di ridurre il loro essere in una sigla.
(Tra)lasciando considerazioni di ordine etico che potrebbero
essere fatte in merito, resta il dato di fatto che si va verso ulteriori
frammentazioni, che ogni categoria pensa al problema suo, e ogni categoria
rivendica qualche diritto del cazzo allo Stato, diritto del cazzo, perchè nella
società capitalista, tutti siamo merce : il diritto è del più forte, cioè del
capitale che ha i mezzi di produzione e se ti concede un diritto te lo concede
perché gli è conveniente, perché remunerativo per lui capitale, altrimenti ,
nisba!
Redditiva oggi e la “festa” delle donne: il mercatino dello
strausato non solo delle frasi fatte e dei cioccolatari e dei fioristi, ma pure
degli sproloqui della retorica del cazzo di mezzi di informazione e di
politicanti di tutti i generi, almeno una volta avevamo intellettuali borghesi
che parlavano senza montarsi la testa! Stamani mi sono svegliata al suono di
“son la mondina son la sfruttata” bene, si sono appropriati anche di questa che
era una canzone delle donne SFRUTTATE IN LOTTA, se non c’è lotta, si può anche
cantare….
Rileggendo quelle notarelle e le varie esperienze di donne
riportate , una cosa è chiara che la situazione è ulteriormente peggiorata e
che ora i salari sono diminuiti e lo sfruttamento è peggiorato, per tutti, e
quindi le donne
per la condizione di doppio sfruttamento in famiglia e nella
società scontano un prezzo maggiorato di infelicità e sfruttamento : guardate i
dati di violenza e uccisioni di donne come sono aumentati in modo esponenziale.
Per me questo giorno resta sempre il giorno di LOTTA
INTERNAZIONALE DELLE DONNE PROLETARIE CONTRO LO SFRUTTAMENTO CAPITALISTA. ANCHE
CON L’AMAREZZA CHE ORMAI NON C’E DI FATTO UN PROLETARIATO, MA UN Lumpenproletariat
diffuso.
vittoria L’Avamposto degli Incompatibili
lunedì 7 marzo 2016
RELIGIONE, FONDAMENTALISMI, VIOLENZA* - Alessandra Ciattini
*Da: http://www.lacittafutura.it/
Cominciamo con chiederci: cos'è la religione? Tale
risposta ci fornirà indizi per comprendere come dalla problematica religiosa
germoglino talvolta violente manifestazioni di intolleranza, assai preoccupanti
perché la guerra odierna si fonda su un raffinato armamentario tecnologico
altamente distruttivo. Cercheremo di illustrare, poi, le diverse forme del
fondamentalismo, mostrando che non è un fenomeno esclusivamente islamico e che,
se da sola la religione non può scatenare le guerre, tuttavia, può giocare in
esse un ruolo importante e decisivo.
L'ascesa del cosiddetto Stato Islamico e lo spazio che esso
occupa nella cultura massmediatica contemporanea rendono urgente una
riflessione equilibrata e ponderata sulla relazione tra tre elementi, spesso
sbrigativamente interconnessi a fini demagogici: religione, fondamentalismi,
violenza.
Questa riflessione non può non prendere le mosse da una
questione di non poco conto, che la cultura massmediatica nemmeno si pone: cosa
è la religione? Come la definiamo? La risposta a questa domanda non è facile,
giacché in primo luogo nella nostra società e cultura la religione è tout
courtidentificata con il cristianesimo e considerata la massima espressione
dell'eticità e della spiritualità, come se tali aspetti non fossero anche
presenti ed operanti in altre forme di attività pratica e intellettuale, come
per esempio la riflessione scientifica.
Se si prendono in considerazione le varie opere, anche
monumentali, dedicate al tema della riflessione sulla religione, anche
scorrendo solo l'indice, ci si renderà conto che non c'è un'unanimità di punti
di vista tra gli studiosi dell'argomento, e che le risposte date alla domanda
sopra formulata sono assai diverse, in funzione anche degli aspetti specifici
che vengono posti in risalto da questi ultimi. Questa diversità di
impostazione, del resto riscontrabile nei diversi ambiti delle scienze umane,
non deve impedirci di prendere posizione, chiarendo ovviamente le ragioni che
stanno alla base della prospettiva teorica che si intende scegliere. Ovviamente
la natura di questo breve intervento mi impedisce di approfondire in maniera
soddisfacente il senso di tali ragioni e di illustrare i vantaggi
interpretativi ed esplicativi della prospettiva da me proposta. Aggiungo che la
mia definizione di religione non è assolutamente nuova e si limita a cercare di
integrare in maniera implicita prospettive diverse tra loro, ma non
contraddittorie.
sabato 5 marzo 2016
Rosa Luxemburg*- Edoarda Masi
Scritto per il
convegno internazionale “Una candela che brucia dalle due parti. Rosa Luxemburg
e la critica dell’economia politica” (organizzato da Riccardo Bellofiore, 16-18
dicembre 2004, Università degli studi di Bergamo).
I rivoluzionari, specie comunisti, vengono oggi comunemente
rappresentati come gente di ferro, senza anima, oppure come fanatici: comunque
spietati e disumani, combattenti per principi astratti e lontani dalla concreta
reale vita degli individui – i soli apparentemente privilegiati dalle ideologie
correnti. Qualora si tratti di donne, ovviamente le si rappresenta prive di
quanto genericamente (e spesso impropriamente) vien definito femminilità.
Leggo
sul numero dello scorso 14 ottobre della Far Eastern Economic Review una
recensione, di Jason Overdorf, del romanzo autobiografico War Trash di Ha Jin,
dove si dice «[Yu, il protagonista] più osserva le decisioni dei dirigenti del
partito nel campo – per esempio, lotte simboliche per sventolare la bandiera
cinese – più arriva a credere che la loro fede non lascia spazio all’umanità.
‘Ero ambivalente sul tentativo di recuperare la bandiera’. Yu riflette: ‘Da un
lato, ammiravo il coraggio mostrato dai nostri uomini, e per un verso ero
colpito da reverente timore per la loro passione e per l’audacia che – dovevo
ammetterlo – io non possedevo. Dall’altro lato, mi chiedevo se valesse la pena
di perdere la vita di un uomo per una bandiera che, per quanto simbolica, era
solo un pezzo di stoffa.’ Rendendo esplicito il sorprendente parallelo fra
fervente comunismo e fanatismo religioso, Yu conclude: ‘Avevo notato una sorta
di fanatismo religioso in alcuni di quegli uomini, capaci di rinunciare alla
loro vita per un’idea’».
La mozione che nella difesa dell’individuo anche al
livello minimo implica una rivendicazione di umanità contro la mistificazione
delle grandi idee, religiose o laiche, ha una valenza positiva e anzi
rivoluzionaria ogni qual volta quanti sono in possesso degli strumenti di
dominio, valendosi strumentalmente e falsamente delle grandi idee, mirano ad
assoggettare gli individui per altri fini. Un grande significato positivo ha
avuto una simile mozione al tempo della prima guerra mondiale, quando le
bandiere dei vari patriottismi venivano sventolate a coprire la carneficina
promossa da quelli che Lenin chiamò “i briganti coronati” e gli sporchi
interessi di cui erano rappresentanti. Ma allora contro il patriottismo –
valido in tempi precedenti e ormai esaurito, la cui bandiera era divenuta
effettivamente solo un pezzo di stoffa – la difesa degli individui si
accompagnava all’affermazione di valori altri e più alti, assunti da
moltitudini associate nella lotta; portatrici di nuove bandiere: di nuove idee,
corrispondenti alle esigenze reali del tempo, e tali da motivare, nuovamente,
anche il sacrificio dei singoli individui che in esse si riconoscevano: non una
menzogna al fine della propria dipendenza ma uno strumento per la propria
affermazione.
Reddito minimo: i problemi aperti* - Antonella Stirati
L’obiettivo di un reddito di cittadinanza è non solo poco realistico, ma anche poco interessante, mentre quello di un reddito minimo garantito, inteso come una riforma di ampliamento del welfare, è auspicabile, ma difficilmente sostenibile se non si associa a politiche di pieno impiego[1]. Non a caso, i bassi tassi di occupazione che esistono in Italia rappresentano un ostacolo molto serio alla realizzazione di un reddito minimo garantito di tipo universalistico.
Esiste una grande varietà e articolazione di proposte che
possiamo a grandi linee classificare a seconda del modo prevalente di concepire
il reddito minimo:
– Garanzia di un reddito a chi non ha un lavoro (più ampia)
– Strumento di lotta alla povertà attraverso una rete di
protezione minima che garantisca un reddito minimo ‘di sussistenza’ (più
restrittiva)
Consideriamo la prima concezione. Questo strumento non
dovrebbe sostituire cassa integrazione e sussidi di disoccupazione già
esistenti e basati sulla contribuzione obbligatoria.[2] Il
reddito garantito dovrebbe quindi rivolgersi a) a chi ha esaurito o non ha
accesso a quei due strumenti; b) alle persone in cerca prima occupazione.
Questo può essere fatto:
1) in modo universalistico: tutti coloro che non hanno una
occupazione con unica condizione la disponibilità ad accettare le proposte di
lavoro (con regolare contratto e coerenti con il proprio profilo professionale)
e che passano per appositi uffici di collocamento.
2) Non solo in base alle condizioni precedenti ma anche
sulla base di condizioni di bisogno economico.
In via di principio la prima sarebbe preferibile per varie
ragioni: l’universalità è garanzia contro distorsioni legate a clientelismo,
corruzione o evasione fiscale, i costi di gestione sono minori; ed anche in via
di principio la garanzia di un reddito dovrebbe riguardare tutti anche, ad
esempio, giovani provenienti da famiglie che non sono povere ma che ambiscono
ad una autonomia dalla famiglia di provenienza. Ma è sostenibile?
venerdì 4 marzo 2016
INTERPRETARE HEGEL (per) INTERPRETARE MARX - Stefano Garroni
Per una migliore fruizione audio/video si consiglia di modificare le impostazioni del video (velocità 1,25 - qualità auto 360)
giovedì 3 marzo 2016
Moneta unica (corso dei cambi)* - Gianfranco Pala
*Da:
http://www.gianfrancopala.tk/
(http://www.contraddizione.it/quiproquo.htm)
L’OMBRA DI MARX - estratti da “piccolo dizionario marxista” contro l’uso ideologico delle parole
L’OMBRA DI MARX - estratti da “piccolo dizionario marxista” contro l’uso ideologico delle parole
Sono ormai tanti gli anni di liturgiche litanìe passati
intorno all’altare di Maastricht – tra vicissitudini varie, crisi reali
e bolle speculative, entrate e uscite dal serpentesco sistema monetario
europeo, e tante altre amenità che certo non dipendono dai protocolli di
Maastricht, i quali ne sono semmai solo un effetto. I cosiddetti “parametri di
convergenza”, scritti in tedesco dai rappresentanti del grande capitale
monopolistico finanziario a base europea, costituiscono il simulacro dietro
il quale si celano i governi nazionali. La realtà è tutta un’altra cosa. Tra
l’altro perché essa procede per suo conto, anticipando scadenze e slittamenti
convenuti in via istituzionale. Una delle cerimonie più seguite è quella della Uem,
riguardante l’unione monetaria europea, che ha come rito simbolico il segno
della “moneta unica”. Appunto quella moneta segno, come anche Marx
intese chiamarla, che convenzionalmente caratterizza la denominazione del denaro
che circola su un mercato nazionale. Proprio di questo si tratta, e quel
mercato nazionale è ora il mercato unico della “nazione” europea.
E come tale la questione va considerata.
Il passaggio da un mercato locale a un mercato nazionale è
un processo storico che ha i suoi tempi definiti dall’allargamento della
produzione e dell’accumulazione in quell’area. La storia della nascita e
dell’ascesa del capitalismo inglese costituisce un utile insegnamento. E così
quella del passaggio dal mercato nazionale inglese al mercato mondiale
dell’ottocento, per il movimento delle merci, prima, e dei capitali
britannici, poi. In un’epoca in cui, pure, era più immediato il riferimento al
tallone aureo (gold standard), l’affermazione della sterlina come moneta
rappresentativa del denaro universale sul mercato mondiale si basava
unicamente sulla capacità di dominio e accentramento unificante del capitale
inglese sulla via dell’imperialismo.
Così stanno le cose per l’euro oggi. [Occorrerebbe
rammentare le determinazioni di “denaro”, in quanto merce, valore, distinte da
quelle di “moneta”, segno e simbolo di una misura di valore predeterminata,
insieme alle forme di passaggio da moneta locale a moneta nazionale, ossia da
moneta “nazionale” a moneta europea. Ma è un’analisi più lunga da svolgere in
altro momento]. Se si considera l’Europa come una “nazione” il cui
mercato è in formazione, conseguentemente occorre analizzarne le componenti e
le forme dominanti. Dunque, serve valutarne le tendenze e i tempi di effettiva
integrazione. Tali tendenze e tempi non tengono in alcun conto le vicissitudini
dei compromessi politici e delle rappresentazioni ideologiche. Seguono
piuttosto le fasi della crisi, in maniera che gli slittamenti e i
ritardi del processo di formazione del mercato unico corrispondano alle
difficoltà della ripresa del ciclo di accumulazione del capitale. Nel frattempo
i rapporti reali della produzione si consolidano e fanno prevalere chi ha più
forza.
mercoledì 2 marzo 2016
"Non è finita finché non inizia a cantare la cantante grassa". Di cosa dovremmo parlare quando parliamo dei paesi europei - Riccardo Bellofiore
Il teorema dell'orcio della vedova (le equazioni macroeconomiche del profitto): mentre le famiglie (o salariati) spendono ciò che guadagnano, le imprese (o capitalisti) guadagnano ciò che spendono.
martedì 1 marzo 2016
La responsabilità sociale del filosofo* - György Lukács
*Da: https://gyorgylukacs.wordpress.com/2016/02/21/la-responsabilita-sociale-del-filosofo/
[Die soziale Verantwortung des Philosophen, 1960 ca., inedito, trad. it. Vittoria
Franco, in G. L., La responsabilità
sociale del filosofo, Pacini Fazzi, Lucca 989]
Devo scusarmi subito in apertura se arriverò a rispondere
alla questione solo dopo lunghi giri. Primo, [perché] mi sembra che la
questione in sé non sia stata finora sufficientemente chiarita. Secondo, e più
importante, perché scorgo nella situazione attuale problemi del tutto
particolari, che rinviano oltre una specificazione normale della questione
generale e la cui analisi soltanto consente teoricamente una risposta concreta.
I nostri ragionamenti devono dunque culminare nelle due
questioni seguenti, fra di loro strettamente connesse: esiste una
responsabilità specifica del filosofo, che va oltre la responsabilità normale
di ogni uomo per la propria vita, per quella dei suoi simili, per la società in
cui vive e il suo futuro? E inoltre: tale responsabilità nella nostra epoca ha
acquistato una forma particolare? Per la teoria dell’etica, entrambe le
questioni implicano il problema se la responsabilità contenga un momento
storico-sociale costitutivo. È un interrogativo che va posto subito all’inizio,
giacché proprio l’etica moderna, specialmente quella che si è sviluppata sotto
l’influenza di Schopenhauer prima e di Kierkegaard poi, pone l’accento sul
fatto che il comportamento etico dell’individuo «gettato» nella vita mira
proprio a tenersi lontano da tutto ciò che è storico-sociale per pervenire
all’essere ontologico, in contrapposizione netta a tutto l’essente. È
ovviamente impossibile trattare qui, sia pure per grandi linee, tutto questo complesso
di problemi. Possiamo occuparci solo di quegli aspetti che riguardano
oggettivamente il nostro problema.
lunedì 29 febbraio 2016
Dialoghi di profughi III* - Bertolt Brecht
Da: https://www.facebook.com/notes/maurizio-bosco/dialoghi-di-profughi-iii-bertolt-brecht/10151248291278348?pnref=story
Cos'è "Dialoghi di Profughi": http://www.controappuntoblog.org/2013/10/18/quando-si-parla-di-umorismo-io-penso-sempre-al-filosofo-hegel-fluchtlingsgesprache-dialoghi-di-profughi-brecht-bertolt/
Cos'è "Dialoghi di Profughi": http://www.controappuntoblog.org/2013/10/18/quando-si-parla-di-umorismo-io-penso-sempre-al-filosofo-hegel-fluchtlingsgesprache-dialoghi-di-profughi-brecht-bertolt/
DELL’ESSERE INUMANO. – MODESTE ESIGENZE. - DELLA SCUOLA. –
HERRNREITTER.
Ziffel andava quasi ogni giorno al ristorante della
stazione, perché nel vasto locale c’era un piccolo chiosco di tabacchi, e ogni
tanto, a periodi irregolari, compariva una ragazza, con un paio di scatole
sotto il braccio, apriva e poi per dieci minuti vendeva sigari e sigarette.
Ziffel aveva già in tasca un capitolo delle sue memorie e spiava l’arrivo di
Kalle. Poiché questi per una settimana non venne, Ziffel già cominciava a
pensare di avere scritto quel capitolo inutilmente, e abbandonò il lavoro. A H.
non conosceva nessuno, tranne Kalle, che parlasse tedesco. Ma al decimo o
undicesimo giorno Kalle ricomparve e non mostrò alcun segno particolare di
spavento quando Ziffel tirò fuori il suo manoscritto.
ZIFFEL
Incomincio con una introduzione nella quale faccio presente, in tono dimesso,
che le opinioni ch’io intendo esporre erano ancora, almeno fino a poco tempo
fa, le opinioni di milioni di uomini, sicché è impossibile che siano proprio
del tutto prive di interesse. Salto l’introduzione, e anche un altro pezzetto,
e passo subito all’analisi dell’educazione di cui ho goduto. Questa analisi, infatti,
mi sembra assai istruttiva, e qua e là veramente eccellente. Si chini un po’
verso di me, in modo da non essere disturbato dal baccano che c’è qui. (Legge)
“So che la bontà delle nostre scuole viene spesso messa in dubbio. Il mirabile
principio su cui si fondano non viene riconosciuto o apprezzato. Esso consiste
nell’introdurre immediatamente il giovane, in tenerissima età, nel mondo così
com’è. Senza tanti preamboli, senza fargli molti discorsi, viene gettato in un
sudicio stagno: nuota o ingoia fango!
Ur-Fascismo, il fascismo perenne* - Umberto Eco
Il fascismo non è morto nel ‘45, al contrario, la sua
visione del mondo precede la forma storica assunta nel ventennio ed è più
longeva della dittatura mussoliniana. La tesi di Umberto Eco nei quattordici
punti di questo articolo uscito sulla “New York Review of Books”, il 22 Giugno
1995. La traduzione italiana è tratta da Punk4free. (G. Giudici)
1. La prima caratteristica di un Ur-Fascismo è il culto
della tradizione
Il tradizionalismo è più vecchio del fascismo. Non fu solo
tipico del pensiero controrivoluzionario cattolico dopo la Rivoluzione
Francese, ma nacque nella tarda età ellenistica come una reazione al
razionalismo greco classico.
Nel bacino del Mediterraneo, i popoli di religioni diverse
(tutte accettate con indulgenza dal Pantheon romano) cominciarono a sognare una
rivelazione ricevuta all’alba della storia umana. Questa rivelazione era
rimasta a lungo nascosta sotto il velo di lingue ormai dimenticate. Era affidata
ai geroglifici egiziani, alle rune dei celti, ai testi sacri, ancora
sconosciuti, delle religioni asiatiche. Questa nuova cultura doveva essere
sincretistica. “Sincretismo” non e’ solo, come indicano i dizionari, la
combinazione di forme diverse di credenze o pratiche. Una simile combinazione
deve tollerare le contraddizioni. Tutti i messaggi originali contengono un
germe di saggezza e quando sembrano dire cose diverse o incompatibili e’ solo
perché tutti alludono, allegoricamente, a qualche verità primitiva.Come
conseguenza, non ci può essere avanzamento del sapere. La verità è stata già
annunciata una volta per tutte, e noi possiamo solo continuare a interpretare
il suo oscuro messaggio. E sufficiente guardare il sillabo di ogni movimento
fascista per trovare i principali pensatori tradizionalisti. La gnosi nazista
si nutriva di elementi tradizionalisti, sincretistici, occulti.
La piu’ importante fonte teoretica della nuova destra
italiana, Julius Evola, mescolava il Graal con i Protocolli dei Savi di Sion,
l’alchimia con il Sacro Romano Impero. Il fatto stesso che per mostrare la sua
apertura mentale una parte della destra italiana abbia recentemente ampliato il
suo sillabo mettendo insieme De Maistre, Guenon e Gramsci è una prova lampante
di sincretismo. Se curiosate tra gli scaffali che nelle librerie americane
portano l’indicazione “New Age”, troverete persino Sant’Agostino, il quale, per
quanto ne sappia, non era fascista. Ma il fatto stesso di mettere insieme
Sant’Agostino e Stonehenge, questo e’ un sintomo di Ur-Fascismo.
domenica 28 febbraio 2016
Elogio del fallimento - Massimo Recalcati
Dedicato ad un maestro, un buon maestro, con il suo sapere, i suoi inciampi, la sua umanità: Stefano Garroni
(il collettivo)
Leggi anche: http://gabriellagiudici.it/skinner-macchine-per-imparare-macchine-per-insegnare/
sabato 27 febbraio 2016
Classe lavoratrice, sindacato, storia del Movimento Operaio* - Alessandro Mazzone
*Da. http://www.proteo.rdbcub.it/
1. Il lettore di “Proteo” sa bene che questa
rivista a carattere scientifico è, nello stesso tempo, una pubblicazione di classe.
Le due cose vanno insieme. Da sempre, lotta di classe dalla parte dei
lavoratori vuol dire anche conoscere, rendersi conto del mondo, migliorarsi,
emanciparsi. (Cento anni fà, la prima lotta mondiale, quella
per la giornata lavorativa di 8 ore, aveva per motto: 8 per lavorare, 8 per
riposare, 8 per migliorarci.) - Questo è il lato soggettivo. Il suo sviluppo,
nel corso di ormai quasi due secoli, ha portato alla costruzione di
organizzazioni economiche (cooperative), sindacali, politiche dei lavoratori;
in Italia, a Camere del lavoro, Case del popolo, istituzioni di vita autonoma
delle classi lavoratrici, che insieme erano strumenti di lotta e di cultura
attiva.
Ma, naturalmente, c’è un lato oggettivo della lotta, che
emerge non appena si considera la controparte. Anche la borghesia è mutata
profondamente nel tempo, fino a generare un’oligarchia ristretta che oggi, con
strumenti economici, politici, culturali (o anticulturali), impone il suo
dominio, direttamente e indirettamente, a miliardi di uomini in quasi ogni
Paese. E oggi diventa via via più chiaro qualcosa, che in linea di principio è
sempre stato vero: che l’oggetto della lotta di classe è sempre
stato, fin dai primi confronti parziali, locali, fin dalle Leghe di Resistenza
dell’‘800, il modo di organizzare la vita degli uomini associati, la produzione
e riproduzione di questa attraverso e mediante il lavoro [1].
Naturalmente, non è stato sempre nella coscienza soggettiva
dei lavoratori organizzati, che le rivendicazioni elementari, di salario,
normative, erano in germe rivendicazioni di un diverso modo di
vita, di una diversa organizzazione del vivere associato. Questa diversa
organizzazione è quello che 100, 130 anni fa si chiamava, in generale,
“socialismo”. Nella coscienza era la solidarietà come principio, la dignità di
vita e l’emancipazione del lavoro come scopo, come pure si diceva.
Solo per
gradi, e in forme diverse (che costituiscono la storia del sindacato e del
Movimento Operaio in genere in ogni Paese) [2], e soprattutto nell’età dell’imperialismo e
delle sue guerre, cioè nel ‘900 e fino ad oggi, diventa via via più chiaro il
legame obiettivo tra singole lotte e - come si è detto -
“questioni di società” [3].
Obiettivamente, però, l’oggetto del contendere, cioè il lato
obiettivo della lotta di classe, il suo contenuto è sempre il
modo di vita degli uomini associati, cioè, in astratto, la Riproduzione Sociale
Complessiva. Questa, naturalmente, è una astrazione [4]. Tuttavia essa si concretizza nel processo
storico stesso: il lavoratore complessivo è concetto molto più
attuale oggi che quando Marx lo esponeva, nel 1867.
venerdì 26 febbraio 2016
Rileggere il Capitale - Incontri di approfondimento teorico - Antiper
«il marxismo non si lascia collocare in nessuno dei comparti tradizionali del sistema delle scienze borghesi, e anche se si intendesse approntare appositamente per esso... un nuovo comparto chiamato sociologia, esso non vi rimarrebbe tranquillamente, ma continuerebbe a uscirne per infilarsi in tutti gli altri. “Economia”, “filosofia”, “storia”, “teoria del diritto e dello Stato”, nessuno di questi comparti è in grado di contenerlo, ma nessuno di essi sarebbe al sicuro dalle sue incursioni se si intendesse collocarlo in un altro». (Karl Korsch, Marxismo e filosofia)
L'audio di tutti gli incontri: http://www.antiper.org/pensieri/cmep/257-iat-ric-audio.html
Leggi anche: http://www.antiper.org/pensieri/247-antiper-cms-1.html
Considero il sistema dell’economia borghese nell’ordine
seguente: capitale, proprietà fondiaria, lavoro salariato; Stato, commercio
estero, mercato mondiale. Nelle tre prime rubriche esamino le condizioni
economiche d’esistenza delle tre grandi classi in cui si divide la moderna
società borghese; il legame che unisce le altre tre rubriche salta agli occhi
da sé. La prima sezione del libro primo, che tratta del capitale, consta dei
seguenti capitoli: 1. la merce; 2. il denaro, la circolazione semplice; 3. il
capitale in generale. I primi due capitoli formano il contenuto del presente
fascicolo. Ho davanti tutto il materiale in forma di monografie da me buttate
giù, a grande distanza di tempo l’una dall’altra, non per stamparle, ma per
chiarire le cose a me stesso. La loro elaborazione complessiva, secondo il
piano indicato, dipenderà dalle circostanze esteriori.
Sopprimo una introduzione generale che avevo abbozzato
perchè, dopo aver ben riflettuto, mi pare che ogni anticipazione di risultati
ancora da dimostrare disturbi, e il lettore che avrà deciso di seguirmi dovrà
decidere a salire dal particolare al generale. Mi sembra invece che trovino qui
il loro posto alcuni accenni al corso dei miei studi politico-economici.
La mia specialità erano gli studi giuridici, ma io non li
coltivavo se non come disciplina subordinata, accanto alla filosofia e alla
storia. Nel 1842-43, come redattore della Rheinische Zeitung, fui posto per
la prima volta davanti all’obbligo, per me imbarazzante, di esprimere la mia
opinione a proposito di cosiddetti interessi materiali. I dibattiti della Dieta
renana sui furti forestali e sullo spezzettamento della proprietà fondiaria, la
polemica ufficiale che il signor von Schaper, allora primo presidente della
provincia renana, iniziò con la Rheinische Zeitung circa la situazione dei
contadini della Mosella, infine i dibattiti sul libero scambio e sulla
protezione doganale, mi fornirono le prime occasioni di occuparmi di problemi
economici. D’altra parte, in un’epoca in cui la buona volontà di “andare
avanti” era di molto superiore alla competenza, si era potuta avvertire nella
Rheinische Zeitung una eco, leggermente tinta di filosofia, del socialismo e comunismo
francese. Mi dichiarai contrario a questo dilettantismo, ma nello stesso tempo,
in una controversia con la Augsburger Allgemeine Zeitung, confessai senza
reticenze che gli studi che avevo fatto sino ad allora non mi consentivano di
arrischiare un giudizio indipendente qualsiasi sul contenuto delle correnti
francesi. Fui invece sollecito nell’approfittare dell’illusione dei gerenti
della Rheinische Zeitung, i quali credevano di poter far revocare la condanna a
morte caduta sul loro giornale dandogli una linea più moderata, per ritirarmi
dalla scena pubblica nella stanza da studio.
giovedì 25 febbraio 2016
Filosofia e Politica (con la filosofia, contro la filosofia) - Stefano Garroni
Bellissimo intervento, Stefano. Per quanto mi riguarda la filosofia è una scuola utile ad organizzare il pensiero, affilarlo. Nello specifico, Marx (e con lui molti altri), contribuiscono ad affilare le armi per la conquista di un mondo più giusto, per prima cosa, comprendendone molte delle sue componenti, delle sue dinamiche. Non ci sono ricette perfette, alchimie teoriche, mantra dialettici che possano evocare coscienza di classe, rivoluzioni; se non si conosce l'uomo, non c'è dialettica che tenga: la realtà smentirà puntualmente tutte le aspettative nate sulla carta. La giustizia è una condizione che precede e va oltre Marx. Ecco perché suscitare dubbi, far intravedere la possibilità che ci siano elementi materiali, percorsi accidentati ma determinati, per raggiungerla, è indispensabile per allargare l'orizzonte di una lotta che non rimanga solo nella nostra mente. E' così che si alimenta una coscienza, prima ancora che di classe, oggi.
Questa tua frase poi, sarebbe da mettere in cima alla pagina, come monito:
"Ma quest’uomo – noi questo lo dobbiamo capire molto bene – le masse
lavoratrici non si battono perché hanno letto Marx; le masse lavoratrici che
fanno la rivoluzione non sono comuniste, sono masse che lottano per stare
meglio e che capiscono l’importanza del soviet se capiscono che il soviet è uno
strumento per poter stare meglio."
Le discussioni più proficue sono quelle che faccio con chi ignora totalmente termini come plusvalore e che si trova distante anni luce dalle visioni marxiste. Ma posso garantirvi che molti di questi hanno una coscienza, anche se non ancora di classe, del quale non dubiterei in alcun modo, cosa che potrei non fare riguardo alcuni "dottori del marxismo" che fanno del marxismo, solo un feticcio, un hobby, un sollazzo mentale. (M. Ferrara )
Questa tua frase poi, sarebbe da mettere in cima alla pagina, come monito:
"Ma quest’uomo – noi questo lo dobbiamo capire molto bene – le masse
lavoratrici non si battono perché hanno letto Marx; le masse lavoratrici che
fanno la rivoluzione non sono comuniste, sono masse che lottano per stare
meglio e che capiscono l’importanza del soviet se capiscono che il soviet è uno
strumento per poter stare meglio."
Le discussioni più proficue sono quelle che faccio con chi ignora totalmente termini come plusvalore e che si trova distante anni luce dalle visioni marxiste. Ma posso garantirvi che molti di questi hanno una coscienza, anche se non ancora di classe, del quale non dubiterei in alcun modo, cosa che potrei non fare riguardo alcuni "dottori del marxismo" che fanno del marxismo, solo un feticcio, un hobby, un sollazzo mentale. (M. Ferrara )
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