Da: https://www.laluce.news - Gabriele Repaci Studioso del mondo islamico e del Vicino Oriente. Laureato in Filosofia presso l'Università degli Studi di Milano, ha intrapreso una carriera che coniuga ricerca accademica e attività giornalistica.
I quindici mesi di assedio e bombardamenti su Gaza, iniziati il 7 ottobre 2023, hanno trasformato l’area in un luogo inabitabile, lasciando la popolazione sopravvissuta a fronteggiare un futuro drammatico. L’inabitabilità non riguarda soltanto la distruzione fisica delle infrastrutture, ma anche una devastazione sociale, politica ed economica senza precedenti. I sopravvissuti sono costretti ad affrontare il trauma collettivo, la pulizia delle macerie e la ricostruzione di un tessuto sociale ormai lacerato.
Un Ritorno all’Età della Pietra
Le operazioni israeliane, secondo dichiarazioni di alti ufficiali, mirano a riportare Gaza a un “ritorno all’età della pietra”, un’espressione che sintetizza la portata della distruzione inflitta. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha attuato una strategia di devastazione sistematica, colpendo ogni aspetto della vita civile: scuole, ospedali, abitazioni, moschee e campi profughi palestinesi sono stati ridotti in macerie. Le condizioni di vita sono talmente insostenibili da spingere parte della popolazione a lasciare Gaza, mentre chi rimane è intrappolato in uno spazio inquinato e devastato, lottando per accedere ai beni essenziali.
La devastazione non ha risparmiato nemmeno i luoghi di cura: gli ospedali sono stati distrutti e le forniture mediche esaurite. La CNN ha documentato scene di orrore, inclusi neonati palestinesi abbandonati in stato di decomposizione negli ospedali bombardati, con immagini che hanno scosso l’opinione pubblica internazionale. La carenza di risorse è così grave che il medico britannico-palestinese Abu Sittah ha descritto di aver dovuto amputare arti di bambini senza anestesia.
Secondo una ricerca pubblicata dalla prestigiosa rivista medica The Lancet, il numero reale delle vittime palestinesi è molto più alto di quanto dichiarato: non 45.000 morti, come riportato inizialmente, ma almeno 70.000, con un numero imprecisato di feriti e dispersi. La popolazione sopravvissuta è intrappolata in un ciclo continuo di fame, sete e traumi, senza accesso a cure mediche adeguate.
La Tregua: Speranza Fragile o Pausa Tattica?
L’annuncio di una tregua temporanea, iniziata il 19 gennaio 2025, segna un momento di relativa calma, ma l’incertezza regna sovrana. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha chiarito che l’accordo non rappresenta la fine del conflitto. In televisione, ha ribadito l’intenzione di mantenere il controllo sul corridoio Filadelfia, una zona strategica tra Gaza e l’Egitto, e ha dichiarato che l’esercito è pronto a riprendere le ostilità se necessario.
Questa tregua è parte di un accordo negoziato a Doha, che prevede il rilascio di ostaggi israeliani e detenuti palestinesi. Tuttavia, la sua durata e l’efficacia restano in bilico, specialmente considerando le pressioni interne da parte dell’estrema destra israeliana, che spinge per una “distruzione completa” di Gaza.
Il Ruolo della Politica Internazionale
La politica internazionale, rappresentata soprattutto dagli Stati Uniti sotto la nuova presidenza di Donald Trump, gioca un ruolo cruciale. Trump ha espresso sostegno alle operazioni israeliane, promettendo armi e risorse. Tuttavia, questo sostegno potrebbe non essere illimitato, specialmente se si scontrerà con le dinamiche regionali, come i tentativi di normalizzazione con l’Arabia Saudita. La politica estera trumpiana si basa su un equilibrio tra minaccia e opportunità, e l’impegno per una stabilità regionale potrebbe limitare le azioni israeliane.
Israele è stato chiamato a rispondere delle sue azioni dalla Corte Internazionale di Giustizia dell’ONU, che sta esaminando accuse di genocidio, e dalla Corte Penale Internazionale, che indaga su crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Queste accuse, supportate da testimonianze e prove raccolte sul campo, hanno sollevato un dibattito globale sull’accountability del governo israeliano e sull’impunità internazionale che spesso accompagna questi conflitti.
Divisioni Politiche e Rischi Interni
Sul fronte interno, la destra israeliana si presenta divisa. Le dimissioni di Itamar Ben-Gvir e di altri ministri del partito Otzma Yehudit segnalano tensioni, ma non sembrano sufficienti a provocare una crisi di governo immediata. La posizione di Bezalel Smotrich, altro esponente di destra estrema, si dimostra più pragmatica: pur criticando la tregua, non ha minacciato di abbandonare la coalizione.
Il vero rischio per il governo di Netanyahu potrebbe derivare da un’inchiesta ufficiale sugli eventi del 7 ottobre 2023, un attacco devastante che ha esposto le falle della sicurezza israeliana e il ruolo ambiguo del governo nel rafforzamento di Hamas negli anni.
Un Futuro Senza Certezze
Mentre la tregua offre un momento di respiro, la pace resta un miraggio. Gaza rimane intrappolata in un ciclo di devastazione, con la ricostruzione ostacolata dalle dinamiche politiche e dall’assenza di una visione comune per il futuro. La popolazione, esasperata dalla violenza e dalle condizioni di vita insostenibili, guarda a un futuro incerto, dove anche i gesti di speranza rischiano di essere annientati dalla brutalità del conflitto.
Questo conflitto, con la sua brutalità e le sue implicazioni legali e morali, rimane una ferita aperta per il Medio Oriente e una sfida urgente per la comunità internazionale, chiamata a impedire che tragedie di questa portata si ripetano.
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