domenica 10 gennaio 2016

Keynes* (ma chi era costui?) - Marco Veronese Passarella



*DA:  http://www.marcopassarella.it/it/
Seconda parte, dibattito:    https://www.youtube.com/watch?v=oo-C8yG_2xQ

Leggi anche:    http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=9698

Spinoza - Remo Bodei



"Temo l'odio dei teologi, perché sostengo in quest'opera che Dio coincide con la natura, e attribuisco a Dio cose che nella tradizione filosofica sono state sempre considerate effetti o creature, mentre io, ritengo che queste cose appartengano alla stessa natura di Dio."  (Spinoza, Opere. Breve trattato su Dio, l'uomo e il suo bene)

Vedi anche: Carlo Sini

sabato 9 gennaio 2016

PROBLEMI DIALETTICI - Stefano Garroni




Cosa si intende con matematizzazione dell'esperienza?
Linguaggio e livelli di esperienza. Correlazioni tra livelli linguistici: linguaggio formalizzato e linguaggio degli eventi empirici.
Il duplice significato del termine epistemologia.
Sulla storia della scienza.
Classificazione aristotelica e di Leibniz.
La scoperta dell'autonomia del linguaggio: cosa ha comportato? L'uomo e il rapporto con le macchine.
Ideologia e volgarizzazione.
Stati Uniti come modello di sviluppo.
Medici cubani e URSS.

venerdì 8 gennaio 2016

Neoliberismo (critica dell’imperialismo)* - Gianfranco Pala

  *Da:   http://www.gianfrancopala.tk/    (http://www.contraddizione.it/quiproquo.htm)
L’OMBRA DI MARX - estratti da “piccolo dizionario marxista” contro l’uso ideologico delle parole


“Moralmente e filoso­ficamente condivido praticamente tutto del libro del prof. Hayek, La via della schiavitù; e non si tratta di un semplice consenso ma di una condivisione pro­fondamente motivata”  (John Maynard Keynes)


Risulta di immediata evidenza che “neoliberismo” è una metafora per impe­rialismo. Se solo di questo si trattasse, basterebbe intendere l’un termine per l’altro, compiacendosi che anche sulle “pagine web” di Internet appaiano scritti relativi a incontri “per l’umanità e contro il neoliberismo”. Ma così non è. 

La questione è un po’ più complicata. Dall’ideologia riversata nel cattivo senso comune, infatti, si espunge il signi­ficato del­l’imperialismo e dello stesso modo di produzione capitalistico, sì che è al neoliberismo che sono imputati eventi quali: crescita senza occupa­zione, devastazione sociale e ambientale dovuta al macchinismo, squilibrio “nord-sud” nelle cosiddette globalizzazione e finanziarizzazione, fino all’“unicità” del mercato e del pensiero, e via omologando nella grigia piat­tezza di un dispotismo barbarico. Come se – e qui sta il tranello – si possa pre­sumere che sia data l’evenienza di un’altra organizzazione sociale (di cui ac­curatamente si taccia la forma capitalistica, ormai ritenuta obsoleta e ineffabi­le) non neoliberista, meno barbarica e dunque accettabile per l’umanità me­desima: a es., una società basata su una “regolazione” dei rapporti di produ­zione e di distribuzione di tipo genericamente keynesian-proudhoniano.

giovedì 7 gennaio 2016

Il processo di modernizzazione e il suo rapporto con la guerra - Aldo Giannuli




Affrontando lo studio del cd processo di “modernizzazione” possiamo distinguere alcune fasi intensive cui sono succeduti periodi di stabilizzazione, durante i quali i paesi limitrofi a quelli “moderni” si sono avviati per la stessa strada, mentre le fasi intensive investono, normalmente, i paesi di maggior rilievo. Possiamo, quindi, identificare tre fasi intensive principali:

 a- quella della “Modernizzazione classica o liberal-capitalistica” (dal XVI agli inizi del XIX secolo) che ha riguardato essenzialmente Olanda, Inghilterra, America del Nord e Francia;

 b- quella della “Modernizzazione autoritaria” che va dal 1860 circa, al 1939, che investe Italia, Giappone, Germania e Russia;

 c -quella attuale, della “Modernizzazione neoliberista” che va dagli anni ottanta del secolo scorso ad oggi e che colpisce gran parte dei paesi asiatici (Cina, India, Indonesia) e dell’America Latina (Brasile, Messico, Argentina).

mercoledì 6 gennaio 2016

Dal primo dopoguerra al Secondo conflitto mondiale (passando per la grande crisi del ’29)* - Mauro Rota** e Francesco Schettino***

*Da:     https://rivistacontraddizione.wordpress.com/
**Sapienza, Università di Roma. mauro.rota@uniroma1.it
*** Seconda Università di Napoli. francesco.schettino@unina2.it ; corresponding author


Introduzione - il mondo dopo la prima guerra mondiale

Il primo conflitto mondiale ha rappresentato per il modo di produzione del capitale uno degli eventi più di rilievo dal momento della sua nascita. La grande crisi originatasi nel Regno Unito a partire dal 1870 – e proseguita per almeno due decenni – aveva mostrato con chiarezza che, a differenza di quanto molti studiosi avessero teorizzato, il capitalismo fosse tutt’altro che un sistema perfetto e proiettato verso una produzione infinita (Lenin, 1916) ma che, al contrario, potesse incappare in problematiche persino contraddittorie e potenzialmente irrisolvibili a meno di un intervento poderoso dello Stato all’interno del libero mercato (Gallagher e Robinson, 1953). Dunque, il primo conflitto mondiale estrinsecò i suoi drammatici eventi all’interno di un contesto europeo dominato da una sensibile ostilità tra le nazioni che storicamente avevano governato il processo di sviluppo del capitale e quelle di nuova formazione (Germania in primis) e soprattutto in una condizione assai critica dal punto di vista dell’accumulazione; tale situazione era particolarmente compromessa per quel che riguarda il capitale britannico che, proprio da qualche decennio, aveva rafforzato sensibilmente il proprio processo di espansione, attraverso esportazione di capitale (investimenti diretti esteri o speculativi) nei territori controllati attraverso il Commonwealth e nei dominions più in generale, conosciuto anche con il nome di imperialismo (Hobson, 1903, Brignoli, 2010, Rota e Schettino, 2011).

Il primo conflitto mondiale fu il frutto di una lotta necessaria al ristabilimento egemonico, in termini di dominio commerciale e politico, dell’Europa e del mondo, in senso più ampio. Da questo punto di vista, il ruolo degli Usa fu di fondamentale rilievo. Proprio in questo periodo si inizia a concretare quell’ideale passaggio di consegne – avvenuto con gradualità, come sarà spiegato più avanti – dal Regno Unito agli Usa nel ruolo di paese guida e locomotiva dell’intero sistema economico. Ma, come è logico, a fronte di una cordata di vittoriosi, corrispondono altrettanti perdenti e tra questi c’era la Germania che da quel momento in poi si trovava ad affrontare – anche a causa degli ingenti debiti scaturenti proprio dall’esito del conflitto – una situazione particolarmente drammatica per quel che concerne sia lo status economico, che per il morale del popolo tedesco deliberatamente umiliato dalle risoluzioni dei trattati conclusivi del primo conflitto mondiale. 

martedì 5 gennaio 2016

Moneta, finanza e crisi. Marx nel circuito monetario* - Marco Veronese Passarella

*Da:    http://www.marcopassarella.it/it/omaggio-ad-augusto-graziani/


 “valorizzazione del capitale, per i capitalisti come classe, può derivare unicamente da scambi che i capitalisti effettuino al di fuori della propria classe, e quindi nell’unico scambio esterno possibile, che consiste nell'acquisto di forza-lavoro. Soltanto nella misura in cui i capitalisti utilizzano lavoro e si appropriano di una parte del prodotto ottenuto, essi possono realizzare un sovrappiù e convertirlo in profitto” (A. Graziani)

Circuito monetario, mercati finanziari e valore: una messa in ordine logica**

Il principale punto di contatto dell’opera di Marx con la TCM (Teoria Circuito Monetario) è la concezione del sistema economico quale economia monetaria di produzione, ossia quale sequenza temporale di rapporti monetari concatenati di scambio e di produzione intercorrenti tra classi sociali portatrici di interessi contrapposti. In estrema sintesi, tale successione viene aperta dalla decisione delle banche (la classe dei capitalisti monetari) di accordare un’apertura di credito a favore delle imprese (la classe dei capitalisti industriali), per le quali tale flusso di liquidità (il capitale monetario) costituisce, al contempo, il potere d’acquisto necessario ad acquistare la forza-lavoro (nonché, ad un minor livello di astrazione teorica, gli altri fattori produttivi) da impiegare nel processo produttivo e un elemento non riproducibile internamente.

Tale sequenza (o circuito) si chiude soltanto allorché le imprese, una volta realizzato in forma monetaria il valore sociale della produzione, estinguono il debito verso le banche, suddividendo il sovrappiù sociale (corrispondente al plusvalore) tra profitti d’impresa e interessi bancari.(7) È questa, si badi, non la rappresentazione di una particolare configurazione storica o geografica del capitalismo. Non si tratta, cioè, della manifattura inglese di inizio Ottocento, ovvero del sistema di fabbrica italiano del secondo dopoguerra. Si tratta, invece, dell’esplicitazione dei nessi monetari necessari intercorrenti tra gruppi sociali contrapposti all’interno dello spazio capitalistico.

sabato 2 gennaio 2016

Karl Marx (una compiuta critica dell’economia politica)* - Emiliano Brancaccio

*Da:      http://www.emilianobrancaccio.it/wp-content/uploads/2013/02/Appunti-di-Economia-politica-quinta-versione-Novembre-2014.pdf


Proprio sulla concezione del profitto come “residuo”, e più in generale sugli elementi di conflitto sociale riconosciuti dagli economisti classici, farà leva Karl Marx per criticare la loro concezione positiva del capitalismo. Con la pubblicazione del Capitale nel 1867 Marx si propone esplicitamente il compito di elaborare una compiuta critica dell’economia politica che era stata elaborata dagli economisti classici. In questo senso sferra un attacco poderoso al teorema della mano invisibile (A. Smith). Egli infatti descrive un sistema tutt’altro che armonico ed eterno. Per Marx il capitalismo è in realtà afflitto da perenne instabilità e da crisi ricorrenti. La teoria delle crisi di Marx è molto complessa e tuttora oggetto di varie interpretazioni. 

Qui possiamo affermare che nella visione di Marx si intersecano due spiegazioni della crisi: da un lato la tendenza alla caduta del saggio di profitto, dall’altro la contraddizione tra sviluppo delle forze produttive e consumi ristretti delle masse lavoratrici. 

Sulla tesi della caduta tendenziale del saggio di profitto, in questa sede possiamo limitarci ad affermare che per Marx sussisterebbero forze che tendono nel tempo a ridurre il saggio di profitto medio del sistema economico. La tesi di partenza di Marx è che i capitalisti estraggono il profitto dal lavoro vivo degli operai, cioè dal lavoro di coloro i quali sono direttamente impiegati nella produzione e non dal lavoro già erogato, incorporato nei mezzi di produzione già prodotti. Egli poi nota che le continue innovazioni tecniche spingono i capitalisti ad accrescere l’impiego di mezzi di produzione rispetto ai lavoratori direttamente impiegati nel processo produttivo. Ma se il rapporto tra lavoratori e mezzi di produzione si riduce, e se si accetta l’idea di Marx secondo cui il profitto deriva dal lavoro vivo degli operai direttamente impiegati nella produzione, allora si deve giungere alla conclusione che si ridurrà anche il saggio di profitto, cioè il profitto totale in rapporto al capitale impiegato per l’acquisto dei mezzi di produzione e per il pagamento dei lavoratori. Una progressiva caduta del saggio di profitto determina tuttavia una crisi generale del modo di produzione capitalistico. Per Marx, infatti, il saggio di profitto rappresenta non solo la remunerazione del capitalista ma anche il motore dell’accumulazione. Una sua precipitazione verso lo zero frenerà l’azione del capitalista, quindi renderà a un certo punto impossibile la riproduzione del sistema capitalistico e aprirà la via ad un’epoca di rivoluzione sociale.

Tra le cause che secondo Marx determinano crisi ripetute vi è però anche il fatto che la spietata concorrenza tra le imprese conduce a una continua serie di rivoluzioni tecniche e organizzative che aumentano al massimo la produttività di ogni singolo lavoratore e al tempo stesso riducono il suo salario. Ciò tuttavia implica un divario crescente tra la capacità produttiva dei lavoratori e la capacità di spesa degli stessi lavoratori. Sotto date condizioni questo divario può determinare un problema di sbocchi per le merci prodotte. La conseguenza è che il processo di accumulazione dei capitali si blocca e le imprese sono indotte a licenziare i lavoratori. Ma ciò allarga ulteriormente il divario tra capacità produttiva e capacità di spesa, per cui il sistema rischia di avvitarsi su sé stesso fino al tracollo. 
Al riguardo Marx scrive: «…La causa ultima di tutte le crisi rimane sempre la povertà ed il consumo ristretto delle masse, di fronte alla tendenza della produzione capitalistica a sviluppare le forze produttive…» (Capitale, vol. III). 

Le due tesi descritte si affiancano poi a un’altra tendenza registrata da Marx, quella verso la scomparsa dei capitali più piccoli o la loro acquisizione da parte dei capitali più grandi, la cui proprietà e il cui controllo tenderebbero a concentrarsi in sempre meno mani: nel linguaggio marxiano, si parla di tendenza verso la “centralizzazione” dei capitali a livello internazionale. La letteratura marxista ha derivato da questa tendenza varie implicazioni, tra cui due contraddizioni: una concorrenza capitalistica che spinge sempre più verso la monopolizzazione dei mercati da parte dei pochi, grandi capitali vincenti, e una radicalizzazione del conflitto di classe tra una cerchia ristretta di proprietari e una massa crescente di diseredati. Alla luce delle tendenze descritte Marx contesta dunque l’idea classica di un capitalismo “naturale” e quindi “eterno”, sostenendo invece la tesi della sua instabilità, della sua contraddittorietà e quindi anche della sua storicità, vale a dire della sua finitezza.

venerdì 1 gennaio 2016

SUL FETICISMO (e non solo) - Stefano Garroni



Il feticismo nel paragrafo IV del primo capitolo del
capitale libro primo prima sezione e il XXIV capitolo del capitale, terzo
libro, V sezione.
Cosa diventa il linguaggio nel pensiero contemporaneo?
Corrispondenza tra parola e realtà che viene persa.
La fine dell800 e il nostro periodo: crisi politica, morale,
caduta dello slancio rivoluzionario e conseguente emergenza dello spiritismo,
astrologia , ecc.
Carattere mistico della merce: da dove viene? Valore di
scambio delle merci.
Il valore della merce è dato dal lavoro contenuto in senso
eterno?
Dialettica e suo legame con il non isolamento dei livelli.
Profitti e guerre. Perché Lenin insiste sul fatto che il
socialismo si fa coinvolgendo nella gestione tutti i lavoratori?
Perché è inseparabile dalla natura del capitalismo il fatto
che il lavoro globale e la socialità dell'uomo si realizzi attraverso una
mediazione? Cosa comporta che in una società capitalistica non si può avere una
gestione sociale dell'economia?
Socialismo e processo storico. LUrss era capitalista o no?
Hegel e lo spirito del tempo. Stati Uniti e sussidio di
disoccupazione. La rivoluzione internazionale come epoca storica. 1989 e ordine
del mondo. 

giovedì 31 dicembre 2015

Gli anni vissuti pericolosamente - Riccardo BELLOFIORE (2011)


La cosiddetta “età d’oro” del capitalismo - il termine non mi piace tanto, in verità – i trenta anni tra il 1945 e il 1975, spesso viene qualificata come un’epoca di compromesso tra le classi. Ma quando mai! Era un’epoca di dominio forte da parte del capitale, un comando sul lavoro, dentro cui, con il conflitto e con l’antagonismo, si sono, nel corso della seconda metà degli anni Sessanta soprattutto e primi anni Settanta, strappate una serie di conquiste. Il fatto che tanto i governi conservatori quanto quelli più di centro-sinistra abbiano perseguito politiche di bassa disoccupazione lo si deve alla storia tragica dell’Europa nel Novecento; e poi alla competizione di un sistema, che non ha mai avuto la mia simpatia, che era il sistema sovietico, e che però imponeva all’Occidente di stare al passo. In quel trentennio, prima ancora che i keynesiani in senso stretti divenissero consiglieri espliciti dei governi (avverrà soprattutto con Kennedy e Johnson), esiste una piena occupazione e una contrattazione collettiva, un lavoro decente secondo la definizione dell’ILO, e salari progressivamente crescenti in termini reali.

La fase del neo-liberismo monetarista è la fase che risponde alla crisi di questo capitalismo “keynesiano”, che è anche una caduta da sinistra, una caduta dovuta anche ad un conflitto sociale, ad un conflitto del lavoro in cui i lavoratori non accettano di farsi usare come strumento di produzione, come cose, magari risarciti con la piena occupazione e un “equo” salario (lo aveva di nuovo intuito Kalecki). Quella piena occupazione viene criticata duramente anche se non soprattutto da sinistra. Vigeva solo in una parte del mondo e solo per un genere, quello maschile, dentro una mercificazione generale a cui si deve ricondurre anche la distruzione accelerata degli equilibri ecologici. L’epoca della reazione capitalistica, è l’epoca di una nuova disoccupazione di massa, che è legata però non soltanto al problema della carenza della domanda effettiva, ma alla ristrutturazione della produzione da parte del capitale, alla ridefinizione dei rapporti di forza sul mercato del lavoro.

mercoledì 30 dicembre 2015

I mass-media, Gramsci e la costruzione dell’uomo eterodiretto - Paolo Ercolani

 Mai come oggi, nelle nostre società occidentali così apparentemente libere, è doveroso stare in guardia e ricordare l’insegnamento di Platone, il quale era ben consapevole che è proprio dalla democrazia che può nascere, attraverso un processo di degenerazione, la tirannide. Evidentemente non c’è e non può esserci esercizio effettivo della libertà quando i mezzi di comunicazione di massa, nel senso specifico che «massificano» l’individuo, o che «portano all’ammasso» non solo l’intelletto, ma anche la sensibilità dell’uomo, esprimono tutta la loro potenza non solo di informazione, ma anche di «formazione»: l’uomo perde in questo modo la propria autonomia, finendo con l’essere ridotto alla stregua di un «minorenne» eterodiretto, incapace di servirsi autonomamente della propria ragione e del proprio sapere, comunque subordinato ai meccanismi di una tecnica che, seppure figlia dell’uomo stesso, progredisce in maniera più veloce rispetto alle capacità umane di assorbirla. Ecco perché i rischi sono quelli di un nuovo totalitarismo, ancora più insidioso e totalizzante in quanto proveniente dai sottili meccanismi di funzionamento di una società in superficie democratica, che non perde occasione per ribadire la centralità dell’uomo e dei suoi bisogni, ma che in realtà finisce col ridurlo a mezzo e strumento per interessi economici e di potere. Una forma di totalitarismo che, in aggiunta, si rivela ancora più completa in quanto unisce i due aspetti che finora erano stati attribuiti ai regimi liberticidi moderni: la capacità massificante e omologante unita a quella atomizzante ed estraniante.

 L’universo dei nuovi media, pensiamo in particolare a Internet, massifica l’uomo in quanto ne omologa i gusti e le facoltà di percezione e pensiero, nel momento stesso in cui lo atomizza poiché, fornendogli l’illusione di poter entrare in comunicazione col mondo intero e con un numero illimitato di persone (e di informazioni), lo tiene in realtà chiuso tra le quattro pareti di casa propria, sempre più disabituato a coltivare rapporti diretti e ad incontrarsi con altri individui per dibattere, ragionare ed eventualmente organizzarsi. Siffatto individuo, esposto alle forze omologanti e isolanti esercitate dai nuovi mezzi di comunicazione, finisce col venire «eterodiretto» fin dal suo rapporto più ordinario con i più elementari meccanismi di funzionamento dei mass media: nella vita reale l’uomo è libero di seguire in maniera indipendente i propri processi di associazione, mentre, per esempio nell’interazione col computer, con i rimandi ai vari link gli viene di fatto richiesto di seguire delle «associazioni pre-programmate», in altre parole di seguire «la traiettoria mentale del programmatore». Ecco allora che, a distanza ormai di quasi un secolo, si pone su un piano ulteriore (mutatis mutandis) la discriminante già vista, quella fra il «credere, obbedire, combattere» della propaganda fascista e quanto proprio Gramsci scriveva come epigrafe all’OrdineNuovo: «Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza!». 

Leggi tutto: 

"Dialettica riproposta" di Stefano Garroni - A. Ciattini, A. Bellacicco, A. Sobrero, B. Steri, P. Vinci, O. Di Mauro, R. Caputo, L. Climati.



Presentazione del libro di Stefano Garroni "Dialettica riproposta" tenutasi il 20 novembre 2015 presso l'Università degli Studi di Roma "La Sapienza" (parte prima). 

Parte seconda: 
https://www.youtube.com/watch?v=JwrKfmnnBaY 
Parte terza: 
https://www.youtube.com/watch?v=GpeB3rKlwKc

martedì 29 dicembre 2015

Salario minimo garantito (reddito di cittadinanza)* - Gianfranco Pala

*Da:   http://www.gianfrancopala.tk/    (http://www.contraddizione.it/quiproquo.htm)
L’OMBRA DI MARX - estratti da “piccolo dizionario marxista” contro l’uso ideologico delle parole


 groucho,        moro,         chico,         harpo,        zeppo
 “Se ci vien fatto di dimostrare che la carità legale, applicata secondo questo princi­pio, può essere utilmente introdotta nelle società moderne, noi avremo tolto al comunismo i suoi più formidabili argomenti, e segnata la via a migliorare le sorti delle classi più numerose, senza mettere a repentaglio l’esistenza stessa dell’ordine sociale” (Camillo Benso conte di Cavour) 

Salario minimo garantito (reddito di cittadinanza)

Il carattere “sociale” e “minimo” del salario non deve assolutamente essere frainteso. Vi sono difatti molti, oggigiorno, che sull’onda delle mode ripro­duttive e fuori mercato, intendono con codesto tipo di dizioni forme spurie di salario o reddito garantito dallo stato o da altre istituzioni pubbliche, median­te prestazioni più o meno accessorie fornite a lavoratori e disoccupati, donne e giovani, cittadini e utenti. Una tal commistione di categorie, e meglio anzi sarebbe dire una tale lista di attributi tra loro incongruenti, conduce a un pa­sticcio di rapporti di forza, di lotta e di diritti, di assistenzialismo e di elemo­sina (quel tipo di confusione concettuale “inetta e barbarica” sulla quale He­gel ironizzava chiamandola “un ferro di legno”).  L’essere sociale e minimo del salario è invece unicamente conseguenza dell’essere merce della forza-la­vo­ro entro il rapporto di capitale posto da questo modo della produzione sociale. Non vi è spazio né teorico né storico, perciò, per confondere il carattere sociale del salario con sole sue parti o con differenti forme assistenziali cui le istituzioni borghesi saltuariamente prov­vedono per concessioni parziali, né il suo livello minimo con analoghe forme assistenziali o contrattuali che dànno veste legale all’ipocrita solidarietà della filantropia bor­ghese.

lunedì 28 dicembre 2015

Retoriche della crisi e stato d'eccezione permanente* - Alessandro Colombo**

*Da:     http://www.aldogiannuli.it/
              http://www.laboratoriolapsus.it/debito-migrazioni-terrorismo-retoriche-della-crisi/



**Alessandro Colombo, docente di relazioni internazionali dell’Università degli Studi di Milano e autore del volume “Tempi decisivi” (Feltrinelli 2014)

mercoledì 23 dicembre 2015

TTIP E TPPA: ACCERCHIARE LA CINA* - Maurizio Brignoli





Uno scenario importante dello scontro interimperialistico in atto si sta in questo momento giocando nella realizzazione di alcuni grandi trattati sovranazionali in cui la strategia statunitense punta a realizzare l’accerchiamento della Cina, la subordinazione dell’Ue e l’isolamento della Russia, con tutta una serie di conseguenze nel processo di ulteriore subordinazione della classe lavoratrice in tutto il mondo. 

 L’obiettivo statunitense nella formazione del Ttip e del Ttp è quello di realizzare una concentrazione imperialistica capace di imporre le sue norme a livello mondiale e di accerchiare il principale concorrente cinese.



Accordi di libero scambio, barriere non tariffarie e Isds

Lo scontro interimperialistico fra i principali attori (Usa, Ue, Cina, Russia) si va sempre più delineando attraverso un processo di potenziale “concentrazione imperialistica” attorno ad alcune aree imperialistiche sovranazionali. Scontro a livello transnazionale con un grande processo di ricollocazione della divisione internazionale del lavoro. Le trattative relative al Transatlantic trade and investment partnership (Ttip) e al Trans-Pacific partnership agreement (Tppa) sono espressione rilevante di questo scontro. Per comprenderne la reale portata e gli obiettivi questi accordi vanno collocati all’interno della strategia statunitense di scontro con la Cina. 

Il Ttip ha come obiettivo di realizzare l’unione di due delle economie più ricche al mondo e delle rispettive aree valutarie, quella del dollaro e quella, maggiormente in difficoltà, legata all’euro. Le consultazioni Usa-Ue sono iniziate più di due anni fa, ma lo scontro interimperialistico all’interno dello stesso Ttip è forte, nonostante gli Usa abbiano cercato di sfruttare il momento di debolezza dell’Ue per la realizzazione di un progetto che torna soprattutto a loro vantaggio. Le trattative sono segrete e condotte dai funzionari della Commissione europea e da quelli del Ministero del commercio statunitense con le lobby delle grandi multinazionali. 

Gli obiettivi finali del Ttip (e dello speculare Tppa) sono riassumibili fondamentalmente in tre punti principali: 

lunedì 21 dicembre 2015

IL CAPITALE - Stefano Garroni



Confronto tra il testo francese e quello tedesco di Marx. 
Perché Marx accusa di cinismo l'economia politica? 
L'ambiguità della merce. Valore d'uso e la valutazione del bisogno che scompare. 
Il valore di scambio. Lo scambio mercantile e la società capitalistica.
Il processo produttivo che diventa strumento di arricchimento. 

Rapporto tra religione e capitalismo. 
La trasformazione del sapere: l'idiota specializzato.

sabato 19 dicembre 2015

RIFLESSIONI ANTROPOLOGICHE SULLA VIOLENZA E SULLA GUERRA* - Alessandra Ciattini




 La guerra, da sempre, scandisce col suo tocco gelido l’intero percorso dell’umanità, disseminandolo di discriminazione, persecuzioni, barbarie, violenza, morte. Le motivazioni “umanitarie” dietro alle quali si celano gli spietati aggressori odierni, burattinai di una società occidentale stanca e lacerata, svelano con chiarezza quanto, per dirla col saggista Césaire, “una civiltà che gioca con i propri principi sia una civiltà moribonda”.




La storia umana è un mattatoio

 In una celebre pagina Hegel sviluppa una serie di considerazioni assai amare e tristi sulla vicenda storica umana, anche se poi – come è noto - riesce a trovare in essa un processo progressivo ed emancipatorio. Egli sottolinea l'universale transitorietà, che travolge Stati e individui, per opera della natura e della volontà umana; osserva che quadri terribili scaturiscono dalla riflessione sulla storia che possono suscitare in noi un profondo e inconsolabile cordoglio; conclude che, stante tale analisi complessiva e sconsolata, la storia umana può definirsi un mattatoio “in cui sono state condotte al sacrificio la fortuna dei popoli, la sapienza degli Stati, la virtù degli individui” [1]. Questa pagina di Hegel richiama alla mente un celebre sonetto del Belli, Er caffettiere filosofo, scritto nel 1833 (siamo, dunque, nella stessa fase storica anche se in un contesto differente), nel quale il poeta compara tristemente gli uomini ai chicchi del caffè che vengono inesorabilmente macinati e che, pertanto, sono tutti destinati trasformarsi in polvere, finendo annientati nella gola della morte, nonostante essi si spostino ed entrino in conflitto tra loro [2]. Il caffettiere si trasforma in filosofo perché, prendendo spunto dalla sua semplice e quotidiana attività, la cui descrizione sembra addirittura evocare l'aroma del caffè macinato, trova in essa una splendida metafora concreta con la quale rappresentare la disperante vicenda umana.

FILOSOFIA - Georg Wilhelm Friedrich Hegel



 Come c'è stato un periodo dei geni poetici, così attualmente sembra esserci un periodo dei geni filosofici. Impastando un po' di carbonio, ossigeno, azoto e idrogeno, mettendolo in una carta su cui altri hanno scritto "polarità" ecc., e sparandolo in aria con la coda di legno della vanità che è un razzo, costoro ritengono di edificare l'empireo.

 Secondo la mania moderna, specialmente della pedagogia, non si deve tanto esser istruiti nel contenuto della filosofia, quanto imparare a filosofare senza contenuto. Ciò vuol dire, pressappoco: si deve viaggiare, viaggiare sempre, senza imparare a conoscere le città, i fiumi, i paesi, gli uomini ecc. [...] 

 Quando si impara a conoscere il contenuto della filosofia, non si impara soltanto il filosofare, ma anche già si filosofa effettivamente. Anche il fine dello stesso imparare a viaggiare  dovrebbe essere soltanto quello di imparare a conoscere quelle città ecc., il contenuto [...]. La filosofia comprende i più alti pensieri razionali intorno agli oggetti essenziali, comprende l'universale e il vero dei medesimi; è di grande importanza conoscere questo contenuto, e accogliere nella propria testa questi pensieri [...]. Il procedere della conoscenza di una filosofia ricca di contenuto non è altro che l'imparare. La filosofia deve venire insegnata e imparata come ogni altra scienza. L'infelice prurito di educare a pensare da sé e alla produzione autonoma ha messo in ombra questa verità: come se, quando io imparo ciò che è sostanza, causa o qualunque altra cosa, non pensassi io stesso, come se non producessi io stesso , queste determinazioni del mio pensiero. Se ci si ferma unicamente alla forma astratta del contenuto filosofico, si ha una (cosiddetta) filosofia intellettualistica. 

venerdì 18 dicembre 2015

TRACCIATI DIALETTICI - NOTE DI POLITICA E CULTURA - Stefano Garroni



 Raccolgo qui scritti diversi sia per argomento che per estensione: ciò che li lega - se non sbaglio - è la continuità di un tipo e di un taglio di ricerca.
 Se le cose stanno effettivamente come dico, ne deriva che anche gli scritti di argomento senza dubbio politico vanno letti come espressione - e conseguenza - di quel tipo e taglio di ricerca. In questo senso, il capitolo introduttivo - al di là della sua evidenza immediata - svolge questa sua funzione anche per le pagine, ripeto, esplicitamente politiche.
 Ciò che vorrei  non sfuggisse, insomma, è il tentativo di fondo (qui solo abbozzato): attraverso l'analisi di fenomeni centrali della nostra cultura attuale, ritrovare le fila di un ragionamento dialettico e marxista.

 Rispetto a questo obiettivo, le cose che qui presento valgono come primo deposito di un lavoro più ampio, che sto conducendo.