mercoledì 4 gennaio 2017

Perché no al reddito di cittadinanza*- Aldo Giannuli

*Da:    http://www.aldogiannuli.it/
                                   http://www.bin-italia.org/wp-content/uploads/2016/04/QR3_impaginato_Layout-1-3.pdf 

I giovani non devono chiedere reddito ma lavoro. 

A quanto pare, dopo il M5s, Sel, il Pci (già Partito dei comunisti italiani) ora anche Berlusconi si pronuncia a favore del reddito di cittadinanza. Tanta convergenza appare un po’ sospetta, vi pare?  Magari varrebbe la pena di chiedersi se tutti intendano la stessa cosa. Tutti fanno riferimento “all’Europa” ma in Europa esistono sistemi abbastanza diversi e l’indicazione chiarisce poco. Qui non vogliamo passare in rassegna le diverse soluzioni adottate, ci limiteremo solo ad alcune osservazioni generali.

Partiamo da una premessa: se si sta pensando ad un modello una tantum per venire incontro alle situazioni di sofferenza sociale esistenti, ad esempio un assegno di 5-600 euro per 18 mesi, anche allo scopo di riattivare il mercato interno e permettere a molte aziende di ripartire ed assumere, non avremmo nulla da eccepire, salvo fare i conti per capire dove prendiamo i soldi (ovviamente distraendoli da altre destinazioni attuali). Sin qui tutto bene, ma questo non è il reddito di cittadinanza, reddito garantito o comunque lo si voglia chiamare. Con questa espressione si intende un sussidio stabilmente concesso a chi non raggiunga un certo livello ritenuto necessario alla sopravvivenza. In alcuni casi il contributo è concesso per un certo periodo di tempo (in genere uno o due anni), in altri non prevede particolari limiti di tempo, ma il beneficiario deve accettare le offerte di lavoro che gli vengono fatte (magari con la facoltà di rifiutare le prime due offerte). In alcune situazione il reddito non è compatibile con altre forme di reddito, lavoro incluso, in altre l’assegno statale è una integrazione del salario da un lavoro precario o comunque sottopagato. Come si vede le forme sono diverse, e quindi ma qui facciamo un discorso in generale su uno schema base che prevede un reddito costante per un tempo prolungato.

Il primo problema che si pone è se l’assegno sia compatibile o no con un altro reddito da lavoro ovviamente basso. Naturalmente l’assegno statale si immagina sia piuttosto contenuto, diciamo 5 o 600 euro al mese con i quali nessuno può vivere, per cui, proibire che contemporaneamente si possa svolgere altro lavoro significa solo incrementare il lavoro nero e spingere il lavoratore ad accettare lavori senza versamenti di sorta. Immaginiamo invece che si conceda di affiancare un lavoro all’assegno statale. Il risultato sarebbe solo quello di spingere i datori di lavoro a tenere bassi i salari e l’assegno avrebbe solo una funzione adattativa del lavoratore alle condizioni di sotto salario. Peggio ancora se il reddito statale fosse a tempo: nessun datore di lavoro accetterebbe di assumere il lavoratore integrandone  il salario essendo molto più facile licenziarlo e trovare un altro dipendente che goda di un periodo di reddito garantito.

martedì 3 gennaio 2017

Che cos’è l’economia*- Vladimiro Giacché**

...alcune caratteristiche di fondo dell’economia neoclassica. Essa per un verso si trova in continuità con l’economia classica di Adam Smith e David Ricardo, sotto un duplice profilo: nel pensare che l’egoismo degli attori economici, unito alla concorrenza, dia luogo a un risultato positivo per la società, e nel ritenere che i mercati si riequilibrino da soli. 

D’altra parte però, rispetto agli economisti precedenti (e in particolare Smith, Ricardo e Marx), l’economia neoclassica si differenzia sotto almeno tre aspetti importanti: in primo luogo, sposta l’attenzione dalla produzione al consumo e allo scambio; in secondo luogo, sposta l’attenzione dall’offerta alla domanda (e più precisamente la domanda di un soggetto che è l’individuo egoista e razionale); in terzo luogo, accoglie come un dato di fatto la struttura sociale in essere.

Cosa manca all’economia neoclassica? Volendo sintetizzare, potremmo rispondere: la consapevolezza della storicità dei fenomeni economici, della complessità dell’interazione tra soggetto e società e del ruolo dell’ideologia nella costruzione stessa della teoria economica.

la prova della storicità dell’oggetto dell’economia si ricava dal mutamento stesso di significato del concetto di “economia” nel corso del tempo: quella che per noi è oggi l’economia per antonomasia (la produzione e lo scambio finalizzati al profitto), era definita «crematistica» (letteralmente: arte di arricchirsi) da Aristotele, che la giudicava contro natura; Aristotele chiamava invece «economia» (letteralmente: amministrazione della casa) e giudicava «secondo natura» esclusivamente quell’attività economica in cui produzione e scambio sono finalizzati al consumo.

Nella società che l’economista studia il comportamento umano interviene nel processo e ne altera i risultati.

domenica 1 gennaio 2017

Perchè è fallito il comunismo?*- Domenico Losurdo (9/11/1999)


LOSURDO: 
  Sono Domenico Losurdo e insegno Storia della filosofia all'Università di Urbino. Oggi discutiamo della fine del comunismo e possiamo iniziare con una scheda introduttiva che potrà stimolare il dibattito.

Lo storico inglese Eric J. Hobsbawm attribuisce all'esaurimento dell'esperienza del comunismo sovietico una paradossale conferma delle tesi di Karl Marx. "Le forme produttive - diceva infatti Marx - si trasformano in catene della produzione stessa". Secondo questa teoria, quando un sistema produttivo invecchia, intrappola l'economia e determina così la crisi del mondo sociale, che era espressione di quel modello economico. La crisi dell'economia sovietica ha prodotto la fine del mondo comunista. "Il tentativo comunista produsse - scrive Hobsbawm - risultati notevoli, ma a costi umani elevatissimi e intollerabili e al prezzo di edificare ciò che alla fine si è rivelato una economia senza sbocchi e un sistema politico sul quale non si può esprimere alcun giudizio positivo. La tragedia della Rivoluzione d'Ottobre sta nel fatto che essa poteva solo produrre quel tipo di socialismo: spietato, brutale, autoritario. "Nel fallimento del comunismo non si può dimenticare però - dice ancora Hobsbawm - che la Rivoluzione d'Ottobre produsse il più formidabile movimento rivoluzionario organizzato della storia moderna". La sua espansione mondiale non ha paragoni e, per trovare nel passato un elemento simile, bisogna risalire alle conquiste realizzate dall'Islam nel primo secolo della sua storia. Appena trenta o quarant'anni dopo l'arrivo di Lenin alla stazione Finlandia di Pietrogrado, un terzo dell'umanità si trovò a vivere sotto regimi partiti direttamente dai dieci giorni che sconvolsero il mondo. Che cosa è stato allora il comunismo per il Novecento? L'eredità di un movimento che ha coinvolto milioni di persone ad ogni latitudine del pianeta può consistere soltanto nel passato di un'illusione?

STUDENTESSA:
  Come simbolo della trasmissione noi abbiamo scelto la falce e il martello perché maggiormente rappresentano e descrivono il comunismo e quello che era il suo ideale di una società senza classi, senza proprietà privata, nelle mani del proletariato. Questi sono tutti principi teorici perché quando il comunismo ha preso il potere ha conosciuto strumenti come la dittatura, le armi, la strage. Secondo Lei, non si è contraddetto nel tempo? Oppure non è stata proprio questa forma di degenerazione a portarne la caduta?

LOSURDO: 

venerdì 30 dicembre 2016

CONTROSTORIA DEL SECOLO BREVE, nazismo, fascismo e seconda guerra mondiale - Renato Caputo

12 LEZIONE.   LA SECONDA GUERRA MONDIALE
L’invasione della Polonia e della Francia; l’intervento dell’Italia; la guerra d’Inghilterra; la guerra della Germania e dei suoi alleati contro l’U.R.S.S.; l’intervento in guerra degli U.S.A; la svolta del 1942-1943; la caduta del fascismo in Italia; la resistenza; la vittoria degli alleati:


11 LEZIONE.   L’AVVENTO IN GERMANIA DEL NAZIONALSOCIALISMO E IL FASCISMO FINO ALLA SECONDA GUERRA MONDIALE
L’eliminazione delle opposizioni e la conquista del potere; il regime totalitario nazionalsocialista; La guerra di Etiopia; la guerra civile spagnola: https://www.youtube.com/watch?v=u3ph6vNo8hE&feature=share

                                      (3/4)   https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/11/controstoria-del-secolo-breve-dalla.html 
                                        (5/6)   https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/11/controstoria-del-secolo-breve-movimenti.html                                           
                                          (7/8)    https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/12/controstoria-del-secolo-breve-il-primo.html                                            
                                            (9/10)    https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/12/controstoria-del-secolo-breve-il.html 


giovedì 29 dicembre 2016

ECONOMIA MALATA, TEORIA CONVALESCENTE*- Marco Palazzotto intervista Giorgio Gattei



Abbiamo assistito al fallimento del movimento per Tsipras in Europa e il governo greco oggi non fa che perpetrare una politica di austerità in continuità con i precedenti governi (in teoria) più a destra. Podemos sembra non riuscire a superare l’impronta populista dell’anti-casta in salsa grillina. Idem in Italia in cui il M5S si accinge, probabilmente, ad accrescere il proprio potere, soprattutto se il governo Renzi non riuscirà a superare il voto referendario. Alcuni segnali positivi arrivano dall’Inghilterra, che almeno vede ricompattare una sinistra attorno a Corbyn. Che percorsi occorre intraprendere in Italia e in Europa, secondo te, per costruire un movimento di massa che faccia da contraltare alle politiche di austerità e che tenti di superare il potere dei grandi comitati d’affari europei rappresentati dalle istituzioni UE e dal blocco franco-tedesco?

Sullo stato attuale di ciò che avrebbe dovuto essere una “sinistra eterna” e di cui ha parlato da qualche parte François Furet (ma che adesso proprio ‘eterna’ non può dirsi), al momento la vedo andare alla deriva per la perdita del doppio ancoraggio alla marxiana critica dell’economia politica e alla pratica della lotta di classe che è stata sostituita da una accozzaglia di “scontri di civiltà”, guerre di religione, conflitti geopolitici e quant’altro. Va però detto che questo fallimento della “sinistra” non è proprio tutto colpa sua, perché come si poteva mantenere “marxista” e “classista” dopo lo squagliamento vergognoso (perché senza nemmeno un gemito) dell’URSS e dopo la dimostrazione logica dell’erroneità di quella “trasformazione dei valori in prezzi di produzione” che avrebbe dovuto confermare che il profitto non è altro che sfruttamento del lavoro altrui? A ciò si è poi aggiunto un tale rimescolamento delle classi sociali che ha trasformato il “capitalismo padronale” di un tempo, quando di contro avevamo le altre persone, nell’attuale “capitalismo patrimoniale” in cui di fronte abbiamo le altre cose. E mi spiego.

Una volta le posizioni di classe erano nette: da una parte c’erano i proletari, sia di città che di campagna, con il loro salario, e dall’altra i “padroni delle ferriere” con i profitti, i proprietari di terre e di case con le rendite, i possessori di risparmi in banca o in borsa con gli interessi e i dividendi. Insomma, c’eravamo noi e c’erano loro. Ma oggi? Complice la grande “rivoluzione salariale” degli anni ’60-’70, il lavoratore medio ha visto crescere il proprio reddito fino al punto di potersi permettere l’acquisto della propria casa e (caso mai) anche una seconda abitazione, mentre col denaro risparmiato s’è comprato azioni e obbligazioni sia pubbliche che private, e perfino il suo accantonamento pensionistico è affidato a fondi d’investimento il cui rendimento è fatto dipendere dall’andamento volubile di borsa. Per questo nella sua denuncia dei redditi possono arrivare a confluire, oltre al salario, anche rendite, interessi, dividendi e addirittura profitti se nel tempo libero esercita, lui o la sua famiglia, una qualche attività in proprio. Ed è per questo che il suo livello di benessere economico viene ad essere il risultato non soltanto dalla remunerazione che gli paga il suo datore di lavoro, ma pure dalla redditività del patrimonio mobiliare e immobiliare che ha costituito nel tempo, alla stessa maniera (fatta salva la dimensione quantitativa) dei “riccastri” di una volta.

lunedì 26 dicembre 2016

Per una rinascita del materialismo storico negli studi di filosofia, storia e scienze umane*- Stefano G. Azzarà**


Da diversi decenni, gli studi di orientamento storico-materialistico in ambito filosofico – ma considerazioni non molto diverse potrebbero essere fatte per l’ambito storico e più in generale per le scienze umane nel loro complesso – versano nelle università italiane in una situazione di grave difficoltà. Non ricostruisco qui nei dettagli il rilevante significato culturale che per una lunga stagione questa corrente ha avuto nel nostro paese. La linea di pensiero che da Labriola conduce a Gramsci e al gramscismo ha ripensato dalle fondamenta le categorie del marxismo, riconducendole al loro rapporto genetico con la dialettica hegeliana e dunque sia con l’esperienza della filosofia classica tedesca in senso stretto, sia con tutto il dibattito politico-culturale che dalla Rivoluzione francese ha attraversato il XIX secolo. Questa impostazione, che più volte si è misurata con le autonome prese di posizione di Croce e Gentile e che dunque ha saputo dialogare con i punti più alti della tradizione filosofica italiana, ha saputo proporre poi su queste basi una riflessione originale. Una riflessione che dopo la sconfitta del fascismo e la fine della Seconda guerra mondiale, e da quel momento almeno fino agli anni Settanta del Novecento, non solo ha contribuito a modernizzare il dibattito culturale di un paese che risultava ancora per larghi tratti arretrato rispetto alle esperienze europee più avanzate ma ha anche posto le basi intellettuali per una sua rinascita civile e politica.

Ritengo sbagliata, largamente immaginaria e persino strumentale la tesi assai diffusa che parla di un interminabile inverno del pensiero all’insegna dell’egemonia culturale marxista in Italia, sia quando questa tesi assume il tono nostalgico del rimpianto di una nobiltà perduta, sia – come per lo più in verità accade – quando si presenta come il sospiro di sollievo caricaturale di chi ritiene di essersi liberato una volta per tutte da una dittatura ideologica soffocante e persino totalitaria. Tuttavia, è vero che, proprio prendendo sul serio la riflessione gramsciana sulla posizione decisiva della produzione culturale nel funzionamento della società, sul ruolo degli intellettuali e sull’importanza della dimensione del consenso nella politica, il marxismo italiano aveva saputo esercitare su molteplici piani un’influenza assai profonda, in grado di confrontarsi ad armi pari con altre e diverse tradizioni – dal liberalismo all’azionismo, dall’esistenzialismo al personalismo cattolico – che rendevano un tempo quanto mai ricco e pluralistico il panorama filosofico nazionale. E da qui aveva saputo proiettarsi all’avanguardia del dibattito internazionale, facendo conoscere e apprezzare in tutti i paesi l’afflato umanistico, storicistico e universalistico – e dunque profondamente democratico – della sua ispirazione.

Oggi la situazione appare molto diversa per questa impostazione e un patrimonio culturale di grande rilievo è andato in frantumi e sembra essersi del tutto disperso. Lasciato libero il campo dalle vecchie generazioni di studiosi, il materialismo storico non ha pressoché più cittadinanza nel mondo accademico in quanto tradizione di studi con una sua legittimità e autonomia. E se ancora persiste un certo rispetto “archeologico” nei suoi confronti quando si guarda alle acquisizioni del passato, la sua stessa dignità scientifica non viene più riconosciuta e viene semmai contestata quando si tratta invece di affrontare le grandi questioni del presente.

lunedì 19 dicembre 2016

CONTROSTORIA DEL SECOLO BREVE, Il fascismo, La crisi del 1929. - Renato Caputo

10 LEZIONE:    LA GRANDE CRISI ECONOMICA DEL 1929 E LE SUE CONSEGUENZE: La crisi del 1929; tentativi di uscire dalla crisi: protezionismo e autarchia; gli Usa dal dopoguerra al New Deal; la Francia dal dopoguerra al Fronte popolare:


9 LEZIONE.     IL FASCISMO: la sconfitta del movimento operaio e la controffensiva fascista; l’avvento del fascismo; le istituzioni dello stato fascista in Italia; il Concordato con la Chiesa:     https://www.youtube.com/watch?v=TQfcE7LlFQE&feature=share
 
                                      (3/4)   https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/11/controstoria-del-secolo-breve-dalla.html 
                                        (5/6)   https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/11/controstoria-del-secolo-breve-movimenti.html                                           
                                          (7/8)   https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/12/controstoria-del-secolo-breve-il-primo.html 

martedì 13 dicembre 2016

Populismo*- Elena Maria Fabrizio



Populismo di secondo grado e manipolazione dell’esito referendario

Tra i sintomi che affliggono le democrazie occidentali, la manipolazione dell’opinione pubblica e la manipolazione del voto sono i più noti. E non c’è consultazione politica e referendaria, con o senza quorum, che non confermi questo trend. Così, puntualmente, nell’ultima consultazione la tutela della Costituzione e il conseguente rigetto di una riforma irresponsabile che non ci avrebbe protetto da maggioranze retrograde, populiste e autoritarie, viene surclassato da altri dati, dotati di scarsa oggettività e più semplicistici. Non solo i cittadini avrebbero innanzi tutto votato per dire Sì o No al Presidente del Consiglio Renzi e al suo governo, ma con questa scelta, più che esprimersi sulla sua politica e le sue leggi, si sarebbero di fatto espressi sull’alternativa Renzi o il populismo, che è ovviamente sempre quello degli altri, Salvini e Grillo in primis. Sembra quasi superfluo evidenziare che la carente analiticità di questa lettura eleva il populismo a giudizio di secondo grado cui scadono nell’analisi del voto, ma già prima nei modi e nei toni della campagna referendaria, quegli stessi sostenitori che hanno eretto il Pd a partito antipopulista per eccellenza; il quale non cede alla tentazione di dividere ancora una volta l’elettorato nel popolo che interpreta correttamente i propri valori (cambiamento, bellezza, sogno, futuro) dal popolo che al contrario ne sarebbe incapace. 

La comunicazione sistematicamente distorta dell’ideologia dominante 

domenica 11 dicembre 2016

Fidel e la religione*- Alessandra Ciattini


In un articolo dedicato al marxismo cubano, Aurelio Alonso Tejada sottolinea giustamente le capacità tattiche e strategiche di Fidel Castro in quanto dirigente politico [1], ma occorre aggiungere che il pragmatismo del capo storico della Rivoluzione cubana non costituisce un’opzione che fa strame dei principi, ma anzi ad essi si richiama per individuare la tattica più adeguata per metterli in pratica.

A mio parere tali capacità risaltano in particolare nell’atteggiamento politico che Fidel ha tenuto nei confronti della religione, che a Cuba si presenta in un ventaglio complesso di manifestazioni, e nei confronti delle correnti progressiste sorte sia in seno alla Chiesa Cattolica che alle Chiese protestanti in America Latina.

Ricorderò, in primo luogo, i rapporti che stabilì, durante un suo viaggio in Cile, con il Movimento dei cristiani per il socialismo, quando si riunì con un gruppo di sacerdoti (dicembre 1971) e formulò i due principi a cui si sarebbe dovuta ispirare la collaborazione tra i marxisti e i cristiani. Essi sono: 1) i cristiani costituiscono <<alleati strategici>> dei marxisti per portare avanti il processo di liberazione dell’America Latina; 2) il cristiano può accettare tranquillamente la metodologia analitica marxista, senza mettere in discussione la propria fede religiosa.

Successivamente, l’anno seguente, Fidel invitò a Cuba dodici sacerdoti cileni, i quali parteciparono ad attività di lavoro volontario. Alla conclusione di questa significativa esperienza questi sacerdoti pubblicarono sul Granmaun’importante dichiarazione che evidenziava una convergenza di intenti tra i cristiani rivoluzionari e i marxisti. In tale dichiarazione si evidenziavano queste 3 considerazioni: 1) l’origine dei mali dell’America Latina sta nello sfruttamento capitalistico; 2) il socialismo costituisce una necessità storica; 3) i cristiani debbono considerarsi obbligati moralmente a lottare insieme ai marxisti contro la violenza istituzionalizzata generata nel subcontinente dal capitalismo [2].

sabato 10 dicembre 2016

Dal fordismo al capitalismo bio-cognitivo - Andrea Fumagalli

"Il passaggio dal capitalismo fordista-industriale al capitalismo cognitivo-immateriale è quindi
la metamorfosi del ciclo del capitale dalla formula:    denaro-merce-denaro (D-M-D')
a quello:    denaro-conoscenza-denaro (D-M(K)-D')."



Leggi anche:   http://effimera.org/produttivita-del-lavoro-precarieta-circolo-vizioso-delleconomia-italiana-andrea-fumagalli-2/

venerdì 9 dicembre 2016

ELEMENTI DI ECONOMIA DEL LAVORO - Guglielmo Forges Davanzati


L’economia del lavoro ha come proprio campo d’indagine lo studio del funzionamento del  mercato  del  lavoro,  con  particolare  riferimento  all’individuazione  delle  cause  della disoccupazione e dei meccanismi che sono alla base della determinazione dei salari, sia sul piano teorico, sia sul piano empirico. A tal fine, e per quanto riguarda la trattazione che segue, si fa propria un’opzione metodologica che rinvia alla coesistenza di paradigmi alternativi e competitivi, non riconducibili a un schema teorico unitario e unanimemente condiviso. Questa opzione si basa sulla convinzione che ogni schema teorico si basa su assiomi, ovvero su premesse non dimostrate né dimostrabili, che sono radicalmente in contrapposizione con gli assiomi propri di altri schemi teorici e che, per questa ragione, non  si  rende  possibile  giungere  a  una  sintesi.  In  quanto  segue,  verranno  descritti  i principali  orientamenti  teorici  presenti  nel  dibattito  contemporaneo:  il  modello neoclassico, il modello keynesiano, il modello postkeynesiano nella sua variante della c.d. teoria monetaria della produzione.

Si propongono, a seguire, due appendici: la prima dà conto del dibattito su diseguaglianze distributive e crescita economica; la seconda riporta un breve importante saggio di M. Kalecki, rilevante per la comprensione dello studio del funzionamento del mercato del lavoro in una prospettiva postkeynesiana e marxista. Alla trattazione di queste teorie vengono qui aggiunte due sezioni dedicate, rispettivamente, agli effetti delle politiche di deregolamentazione del mercato del lavoro sull’occupazione e al dibattito sugli effetti dell’accumulazione di capitale umano sulla crescita economica e dell’occupazione.

Alla stesura di questi appunti hanno contribuito Andrea Pacella (Università di Catania) che ha scritto parte del cap.1 e Gabriella Paulì (Università del Salento), che ha scritto parte del cap.4 e del cap. 5. Lecce, marzo 2016

LEGGI TUTTO:        https://www.dropbox.com/s/lqbu9gy1iqvepoe/ELEMENTI%20DI%20ECONOMIA%20DEL%20LAVORO%20-FORGES%20DAVANZATI.pdf?dl=0

martedì 6 dicembre 2016

Referendum “sociale” o costituzionale? Torna il problema delle “periferie” per il Pd - Marco Valbruzzi

Quali sono state le principali motivazioni che hanno spinto gli elettori alle urne? E, soprattutto, perché hanno deciso di promuovere o bocciare il progetto di revisione costituzionale del governo Renzi? Quali sono stati gli strati sociali maggiormente favorevoli (o contrari) alla riforma? Per rispondere a tali quesiti, l’Istituto Cattaneo ha analizzato la distribuzione del voto nelle sezioni di Bologna per cercare di capire se i settori dove il disagio sociale è maggiore hanno avuto un comportamento più critico nei confronti del governo e della sua riforma. Un’analisi di questo tipo è resa possibile dall’esistenza di dati socio-demografici della popolazione (età, genere, reddito, presenza di immigrati ecc.), disaggregati a livello di singola sezione elettorale e messi liberamente a disposizione dal comune di Bologna. Il problema del Pd nelle periferie, sia geografiche che “sociali”, era già emerso chiaramente nelle elezioni amministrative del 2016: nel territorio, il partito di Renzi aveva perso progressivamente contatto e consenso negli strati sociali più deboli, appartenenti a quel “ceto medio impoverito” di cui stanno discutendo in questi giorni analisti e commentatori. Il referendum costituzionale di domenica ha rappresentato un                                                                                                            nuovo laboratorio d’analisi all’interno del quale verificare se il voto favorevole alla riforma – sostenuto dal Pd – ha                                                                                                        “sofferto” in misura maggiore nelle aree di Bologna più disagiate o in difficoltà. [...]

In sintesi, con il voto nel referendum costituzionale del 4 dicembre si conferma l’orientamento degli elettori a votare “contro” il governo in carica, sia nelle elezioni politiche (comprese quelle amministrative) che in quelle referendarie. Il voto diventa lo strumento attraverso il quale i cittadini esprimono il loro malcontento verso una situazione di crisi – economica e sociale – dalla quale non vedono ancora alcuna via d’uscita. Il voto contro l’establishment, in opposizione alla classe di governo di turno, ha trovato un nuovo canale di espressione nel referendum costituzionale, trasformando un giudizio sulla riforma della Costituzione in una valutazione sull’operato del governo Renzi e sulla condizione sociale degli elettori. Se ogni occasione elettorale è buona per esprimere la propria insoddisfazione, anche un referendum costituzionale può facilmente trasformarsi in un referendum “sociale”. Con i risultati che ora sappiamo.



lunedì 5 dicembre 2016

Rosa Luxemburg e la teoria del capitalismo*- Una recensione di Paul M. Sweezy

Questa recensione dell’opera di Rosa Luxemburg, The Accumulation of capital [trad. di Agnes Schwarzschild, intr. di Joan Robinson, London and New Haven 1951], apparve in “The New statesman and Nation” il 2 giugno 1951 ed è riportata nel volume  Paul M. Sweezy, Il presente come storia, trad. di Ruggero Amaduzzi, Torino 1962
L’edizione italiana dell’opera è L'accumulazione del capitale. Contributo alla spiegazione economica dell'imperialismo e ciò che gli epigoni hanno fatto della teoria marxista. Una anticritica [trad. di Bruno Maffi, introduzione di Paul M. Sweezy, Torino, 1968] 



   Rosa Luxemburg è una delle poche figure veramente grandi nella storia del movimento socialista internazionale, e L’accumulazione del capitale è incontestabilmente la sua opera maggiore. Che l’opera sia ora accessibile in inglese, e in una traduzione eccellente, è un’ottima cosa.


   Per comprendere L’accumulazione del capitale ci si deve collocare nella letteratura socialista della fine del secolo XIX e dell’inizio del secolo XX. Era quello il periodo del grande dibattito fra i marxisti “ortodossi” e i “revisionisti”, un dibattito che, sul piano puramente analitico, si accentrava attorno alla questione: può il capitalismo continuare ad espandersi indefinitamente, o presto o tardi crollerà in forza delle contraddizioni economiche che gli sono congenite? I revisionisti sostenevano la tesi dell’espandibilità indefinita e ne traevano la conclusione che non c’era fratta per il socialismo e non c’era bisogno di prepararsi alla situazione d’emergenza: tutto si poteva aggiustare tranquillamente e gradualmente. Gli “ortodossi” erano unanimi nel respingere questa teoria, ma tutt’altro che unanimi sulla teoria che ritenevano giusta. Fu proprio questo problema che Rosa Luxemburg si propose di risolvere con L’accumulazione del capitale. Il titolo stesso rivela dove essa riteneva di aver individuato il nucleo del problema e riassume, come può farlo un breve titolo, l’argomento dell’intera opera.

domenica 4 dicembre 2016

L'EGEMONIA DIGITALE - Renato Curcio



"Io sono l'automa", così si è presentato a una visita medica obbligatoria, un lavoratore deella ACEA di Roma. "In che senso scusi?" gli ha chiesto la dottoressa. E lui, con un tono angosciato: "Nel senso che ormai non sono più una persona, il tablet personale mi comanda come un robot, nel senso che mi sento un automa, gli presto le mani è vero, ma per il resto quasi non decido più nulla; nel senso che questi ci pilotano: 'vai qua e vai là', 'inserisci il tuo numero matricola e poi segui i comandi'; nel senso che il tablet attivato mi geo-localizza e mi programma la giornata; nel senso che ogni spostamento è controllato e se mi fermo a prendere un caffè o a urinare in un luogo non previsto il tablet lo registra; nel senso che è il tablet che mi porta in giro e ho paura! Ho paura che il tablet registri anche quello che le sto dicendo adesso che siamo in visita. Ecco in che senso".


Questo libro restituisce il percorso di un cantiere socianalitico che, partendo dalle narrazioni d’esperienza dei suoi partecipanti, si è interessato ai modi in cui l’impero virtuale cerca di costruire la sua capacità egemonica sul mondo del lavoro. Ripercorrendo la micro-fisica dei processi innescati dai dispositivi digitali che mediano l’attività lavorativa – smartphone, piattaforme, sistemi gestionali, registri elettronici – in queste pagine si esplorano alcune metamorfosi radicali che, mentre rovesciano il rapporto millenario tra gli umani e i loro strumenti, sconvolgono ciò che fino a ieri abbiamo familiarmente chiamato “lavoro”. Alcuni territori chiave – la digitalizzazione della scuola, della professione medica, dei servizi, dei trasporti condivisi, dei grandi studi legali e delle banche – assunti come analizzatori, ci raccontano l’impatto trasformativo delle nuove tecnologie e il disorientamento dei lavoratori. Ma, nello stesso tempo, fanno emergere le linee liberticide su cui questo processo procede: la cattura degli atti, la dittatura dei dati, il trionfo della quantità e le narrazioni sostitutive con cui esso si racconta. Proprio riflettendo su queste tendenze che velocemente ci attraversano fino al punto di chiamarci in causa singolarmente il libro, infine, indica quattro pericolose tendenze generali – l’autismo digitale, l’obesità tecnologica, l’ethos della quantità, lo smarrimento dei limiti – e si chiede se non sia forse giunto il momento, dopo le ambigue interpretazioni del Novecento, di cominciare a distinguere il progresso sociale dal progresso tecnologico.

sabato 3 dicembre 2016

CONTROSTORIA DEL SECOLO BREVE, il primo dopoguerra - Renato Caputo


8 LEZIONE.    IL PRIMO DOPOGUERRA IN ITALIA - Problemi economico e sociali dell’Italia post-bellica; la crisi dello Stato liberale; il biennio rosso e l’occupazione delle fabbriche:


7. LEZIONE.    DOPOGUERRA e REPUBBLICA DI WEIMAR. La Repubblica di Weimar e la sua crisi;
i fondamenti ideologici del nazionalsocialismo:    https://www.youtube.com/watch?v=DIAEu36UWBY&feature=share

                                      (3/4)   https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/11/controstoria-del-secolo-breve-dalla.html 
                                         (5/6)   https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/11/controstoria-del-secolo-breve-movimenti.html

venerdì 2 dicembre 2016

giovedì 1 dicembre 2016

mercoledì 30 novembre 2016

Genere e famiglia in Marx: una rassegna*- Heather Brown**

**Eather Brown è assistente di scienze politiche alla Westfield State University. Questo articolo è un adattamento della conclusione del suo volume Marx on Gender and the Family: A Critical Study (Haymarket, 2013), dove compare in una forma leggermente diversa.

Molte studiose femministe hanno avuto, nel migliore dei casi, un rapporto ambiguo con Marx e il marxismo. Una delle questioni oggetto di maggiore contesa riguarda il rapporto Marx/Engels.

Gli studi di György Lukács, Terrel Carver e altri, hanno mostrato significative differenze tra Marx ed Engels circa la dialettica, così come su molte altre problematiche (1). Basandomi su tali lavori, ho esplorato le loro differenze riguardo alle questioni di genere nonché della famiglia. Ciò è di particolare rilevanza in rapporto ai dibattiti attuali, considerato che un certo numero di studiose femministe hanno criticato Marx ed Engels per quello che considerano il determinismo economico di questi ultimi. Tuttavia, Lukács e Carver indicano proprio nel grado di determinismo economico una notevole differenza tra i due. Entrambi considerano Engels più monistico e scientista di Marx. Raya Dunayevskaya è tra le poche a separare Marx ed Engels riguardo al genere, indicando nel contempo la natura maggiormente monistica e deterministica della posizione di Engels, in contrasto con una comprensione dialetticamente più sfumata delle relazioni di genere da parte di Marx (2).

In anni recenti, vi è stata scarsa discussione intorno agli scritti di Marx su genere e famiglia, ma negli anni Settanta e Ottanta, essi erano oggetto di numerosi dibattiti. In alcuni casi, elementi della più complessiva teoria marxiana andavano a fondersi con la teoria femminista, psicoanalitica o di altra forma, nel lavoro di studiose femministe come Nancy Hartsock e Heidi Hartmann (3). Queste hanno visto la teoria di Marx come primariamente chiusa rispetto alle questioni di genere, insistendo sulla necessità di integrazioni teoriche al fine di comprendere meglio le relazioni di genere. Ciò nonostante, hanno continuato a ritenere il materialismo storico di Marx come un punto di partenza per comprendere la produzione. Inoltre, un certo numero di femministe marxiste hanno fornito il loro contributo, dai tardi anni Sessanta fino agli Ottanta, in particolare nell’ambito dell’economia politica. Per esempio, Margaret Benston, Mariarosa Dalla Costa, Silvia Federici e Wally Seccombe, hanno tentato una rivalutazione del lavoro domestico (4). In aggiunta, Lise Vogel ha cercato di andare oltre il sistema duale, verso una comprensione unitaria dell’economia politica e della riproduzione sociale (5). Ancora, Nancy Holmstrom ha mostrato come Marx possa essere utilizzato al fine di comprendere lo sviluppo storico della natura femminile (6).

lunedì 28 novembre 2016

L'Occidente arretrato e l'Oriente avanzato*- Emiliano Alessandroni

Intervento al Forum "La Via Cinese e il contesto internazionale", Roma, 15 ottobre 2016  


Nelle Lezioni sulla filosofia della storia Hegel ci insegna che «quando si parla di libertà, si deve sempre far caso se, in realtà, non si stia parlando d'interessi privati» [1]. Già a suo tempo, dunque, il filosofo tedesco ci metteva in guardia contro gli usi ideologici di determinati termini e vocaboli. 

Qualche decennio più tardi, in effetti, allorché si sviluppa il dibattito sulla schiavitù nel sud degli Stati Uniti, i proprietari di schiavi denunciavano quelle spinte che premevano verso la soppressione dell'istituto della schiavitù, come degli attacchi alla libertà, ovvero a quelli che definivano sacrosanti diritti di proprietà [2]. La libertà che si vedevano minacciata era la libertà di possedere schiavi e i diritti che rivendicavano erano essenzialmente il diritto di commerciare carne umana. Evidentemente i due termini, libertà e diritto, venivano impiegati in una accezione                                                                                                              tutta ideologica, al fine di difendere interessi particolari.

Qualcosa di analogo si verifica anche ai giorni nostri: gli attuali mezzi di comunicazione sono soliti presentare l'Occidente come un insieme di stati avanzati e democratici e l'Oriente come un agglomerato caotico di stati dispotici e arretrati. Ma, dobbiamo domandarci, stanno davvero così le cose? L'Occidente promuove realmente un avanzamento ed un progresso storico nel mondo? O ci troviamo anche in questo caso di fronte ad un uso ideologico dei termini volto alla difesa di interessi particolari?

Per rispondere a queste domande soffermiamoci su alcuni dei più significativi scenari internazionali, e osserviamo se l'Occidente abbia assunto verso di essi un atteggiamento costruttivo e progressivo o distruttivo e regressivo.

domenica 27 novembre 2016

Referendum costituzionale, le ragioni del No*- Luigi Ferrajoli


Le costituzioni sono patti di convivenza, sorrette da un consenso generale. La Costituzione di Renzi, invece, è una costituzione che divide, non essendo neppure di maggioranza, ma di minoranza

Le ragioni del No al referendum sull’aggressione in atto alla nostra Costituzione investono sia il metodo con cui la riforma è stata approvata, sia i suoi contenuti.

Anzitutto le ragioni di metodo. Questa riforma, cambiando 47 articoli su 139, non è una “revisione” dell’attuale costituzione, ma un’altra costituzione, diversa da quella del 1948. Ma la nostra Costituzione non consente l’approvazione di una nuova costituzione, neppure ad opera di un’ipotetica as­semblea costituente che pur decidesse a larghissi­ma maggioranza. Il solo potere ammesso dall’articolo 138 della Costitu­zione è un potere di revi­sio­ne, che non è un pote­re costituen­te ma un potere co­stitui­to. Di qui il primo profilo di illegittimità: l’indebita trasformazione del potere di revisione costituzionale previsto dall’articolo 138 in un potere costituente non previsto dalla nostra Costituzione e perciò anticostituzionale ed eversivo.

In secondo luogo questa nuova costituzione, per il modo in cui è stata promossa e approvata, è un oltraggio non tanto e non solo alla Costituzione del 1948, ma al costituzionalismo in quanto tale, cioè all’idea stessa di Costituzione. Le costituzioni sono patti di convivenza. Stabiliscono le pre-condizioni del vivere civile, idonee a garantire tutti, maggioranze e minoranze, e perciò tendenzialmente sorrette da un consenso generale quale fu quello con cui fu approvata la Costituzione del ’48. Servono a unire, e non a dividere, dato che equivalgono a sistemi di limiti e vincoli imposti a qualunque maggioranza, di destra o di sinistra o di centro, a garanzia di tutti.

sabato 26 novembre 2016

Omaggio a Fidel* - Lia

 *Da:    http://www.ilcircolo.net/ 

Io non ho amato Cuba, nei tre anni trascorsi a studiare lì. Tanto è vero che mi spostavo in Messico ogni volta che potevo, e alla fine a Cuba ci avrò trascorso un anno e mezzo in totale. Non l’ho amata perché amo poco le isole, in generale, e perché i cubani mi davano sui nervi, parecchio.  E la pativo: l’embargo è uno stillicidio di cose che non funzionano, che non si trovano, che sono difficilissime da fare. L’embargo crea paesi logoranti dove la sopravvivenza è legata all’organizzazione che ti dai, e dove tu, straniero, sei sempre in torto: perché hai più soldi – credono loro – e vieni dalla parte di mondo che la vorrebbe vedere cadere, Cuba, e l’isola risponde togliendoti ogni tratto umano e trasformandoti in un portafogli che cammina, caricaturizzandoti nel cliché dello straniero a Cuba che, nove volte su dieci, non è una bella persona. Io, quindi, ogni volta che potevo prendevo il mio Cubana de Aviación e in 50 minuti ero in Messico, dove la gente era normale e non si aspettava di essere pagata anche solo per rispondere a un “buongiorno”. E dove, perdonatemi, mangiavo: un’insalata che non fosse di cavolo, una minestra che non fosse sempre e solo di riso con fagioli, un frutto che non fosse l’unico che si trova a Cuba di trimestre in trimestre. Un’introvabile patata. Un gelato che non fosse stato scongelato e ricongelato quaranta volte. A Cuba, a meno che tu non voglia spendere molti soldi – e anche lì, uhm – apprendi cos’è la deprivazione sensoriale, dopo mesi passati a provare un sapore solo. Io a Cuba una volta sono quasi svenuta in un supermercato, dopo due giorni trascorsi all’infruttuosa ricerca di un pomodoro. Il corpo ti chiede certe vitamine, certi sali minerali, e tu non riesci a darglieli. Atterravo in Messico e, i primi due giorni, mi strafogavo.

Eppure, Cuba funzionava. A modo suo. Davanti a ogni facoltà, all’università, c’era una targa che ringraziava la tale Comunità Autonoma spagnola che aveva finanziato il sistema elettrico. All’interno della facoltà sembrava di essere negli anni 50 dopo un bombardamento: banchi, cattedre, lavagne, tavoli sbilenchi, lampadine a intermittenza, computer e telefoni arcaici, sedie metalliche incongruenti, tutto in rovina, tutto cadente, e in mezzo a tutto questo professori trasandati, sciupati, malvestiti, che però ti facevano lezioni durante cui il tempo volava, che sapevano quello che facevano, che erano bravi. A volte proprio bravi. L’assoluta incongruenza tra lo squallore del luogo e la qualità delle parole. E la serietà, la severità, l’inflessibilità dietro la trasandatezza. La gente che ho visto bocciare all’esame di dottorato. L’incongruenza che tu, straniera, avvertivi tra come si presentava il tutto e la loro altissima considerazione di sé. Perché i cubani hanno un’immensa stima di sé. I cubani si sentono speciali, bravissimi, una specie di razza eletta. E questo non te lo aspetti, da un paese che cade a pezzi. E siccome te la fanno pesare, la loro presunzione, la loro certezza di essere degli immensi fighi, un po’ li strozzeresti e un po’ ti ritrovi ad ammettere che tutti i torti non ce li hanno. Li strozzeresti per i modi, ma poi devi ammettere che la loro forza è tutta lì. Nel sentirsi i migliori di tutti e quelli che non hanno paura di nessuno.

Hasta la victoria siempre, Comandante!


Querido pueblo de Cuba:
Con profundo dolor comparezco para informar a nuestro pueblo, a los amigos de Nuestra América y del mundo que hoy 25 de noviembre de 2016 a las 10:29 horas de la noche, falleció el Comandante en Jefe de la Revolución cubana Fidel Castro Ruz.
En cumplimento de la voluntad expresa del compañero Fidel, sus restos serán cremados.
En las primeras horas de mañana sábado 26 la comisión organizadora de los funerales brindará a nuestro pueblo una información detallada sobre la organización del homenaje póstumo que se le tributará al fundador de la Revolución cubana. 
Hasta la victoria siempre! 
(Raul)

giovedì 24 novembre 2016

I mass media, Gramsci e la costruzione dell’uomo eterodiretto*- Paolo Ercolani


 
Con l’evoluzione della «società dello spettacolo» sta maturando il passaggio da una forma di dominio sui corpi a una sulle menti. L’individuo, sotto attacco nella sua sfera intellettiva, rischia di perdere la capacità di agire consapevolmente e di essere soggetto della storia.

«Nella realtà sociale, nonostante tutti i cambiamenti, il dominio dell’uomo sull’uomo è rimasto il continuum storico che collega la Ragione pre-tecnologica a quella tecnologica»
H. Marcuse 1


Se uno degli ambiti di studio e azione più importanti della filosofia marxista è consistito nell’analisi delle forme di dominio del più forte sul più debole, la grande intuizione di Antonio Gramsci, e quindi uno dei suoi lasciti più fecondi, risiede nell’aver compreso come, con il Novecento, il terreno su cui si svolgevano – e si sarebbero svolte – le nuove forme di dominio non era più dato dal solo contesto strutturale, ma avrebbe interessato la sovrastruttura ideologica 2. In forme e con modalità certamente non osservabili (e quindi prevedibili) in tutta la loro potenzialità ai tempi del pensatore sardo, ma che sono sotto gli occhi di tutti nei giorni nostri in piena epoca di trionfo della società dello spettacolo, con i suoi meccanismi tecnologici annessi 3. Con l’elaborazione del nesso fra teoria e pratica,tra pensiero e azione, in buona sostanza tra filosofia e politica, Gramsci non soltanto superava quel marxismo meccanicistico che concentrava la propria attenzione sul solo momento strutturale (di contro al problema opposto rappresentato dall’Idealismo), ma poneva le basi per un recupero della centralità dell’uomo (e della sua dignità) come soggetto pensante e agente (inscindibili i due momenti) e, in quanto tale, soggetto consapevole e «creatore della sua storia» 4. All’interno di questo discorso si comprende l’intento gramsciano perché al nesso fra teoria e azione (o tra filosofia e politica) corrispondesse quello tra «intellettuali» e «semplici»: innanzitutto affinché i primi sapessero elaborare dei principi coerenti con i problemi che le masse si trovano a porre con la propria attività pratica, al fine di costituire un «movimento filosofico» che non svolgesse «una cultura specializzata per ristretti gruppi di intellettuali», ma che fosse in grado di trovare nel contatto costante coi semplici «la sorgente dei problemi da studiare e risolvere». Soltanto in questo modo una filosofia si «depura» dagli «elementi intellettualistici» e si fa «vita» 5.

martedì 22 novembre 2016

Erich Honecker*: Discorso-Autodifesa pronunciato davanti al Tribunale di Berlino**

*Erich Honecker (Neunkirchen, 25 agosto 1912 - Santiago del Cile, 29 maggio 1994) è stato un politico tedesco. È stato Presidente della Repubblica Democratica Tedesca dal 1976 al 1989.
**Da:   www.resistenze.org        http://www.linearossage.it/ddr/erich_honecker.htm 


Difendendomi dall’accusa manifestamente infondata di omicidio non intendo certo attribuire a questo Tribunale e a questo procedimento penale l’apparenza della legalita’. La difesa del resto non servirebbe a niente, anche perche’ non vivro’ abbastanza per ascoltare la vostra sentenza. La condanna che evidentemente mi volete infliggere non mi potra’ piu’ raggiungere. Ora tutti lo sanno. Basterebbe questo a dimostrare che il processo e’ una farsa. E’ una messa in scena politica.

Nessuno nelle regioni occidentali della Germania, compresa la citta’ di prima linea di Berlino Ovest, ha il diritto di portare sul banco degli accusati o addirittura condannare i miei compagni coimputati, me o qualsiasi altro cittadino della RDT, per azioni compiute nell’adempimento dei doveri emananti dallo Stato RDT.

Se parlo in questa sede, lo faccio solo per rendere testimonianza alle idee del socialismo e per un giudizio moralmente e politicamente corretto di quella Repubblica Democratica Tedesca che piu’ di cento stati avevano riconosciuto in termini di diritto internazionale. Questa Repubblica, che ora la RFT chiama Stato illegale e ingiusto, è stata membro del Consiglio di Sicurezza dell’ O.N.U., che per qualche tempo ha anche presieduto, e ha presieduto per un periodo la stessa l’Assemblea generale. Non mi aspetto certo da questo processo e da questo Tribunale un giudizio politicamente e moralmente corretto della RDT, ma colgo l’occasione di questa messa in scena politica per far conoscere ai miei concittadini la mia posizione.

domenica 20 novembre 2016

CONTROSTORIA DEL SECOLO BREVE, movimenti di emancipazione dei popoli coloniali fra le due guerre.- Renato Caputo

 6 LEZIONE.   MOVIMENTI DI EMANCIPAZIONE DEI POPOLI COLONIALI FRA LE DUE GUERRE: In particolare Cina e India:


5 LEZIONE.    STORIA DELL’URSS FINO ALLE SOGLIE DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE: la costruzione del socialismo in un solo paese; l’industrializzazione e la collettivizzazione delle campagne; l’età di Stalin:   https://www.youtube.com/watch?v=tuUtouZoypw 

                                     (3/4)   https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/11/controstoria-del-secolo-breve-dalla.html 

venerdì 18 novembre 2016

Grand Hotel «Abisso»*- György Lukács

*[Grand Hotel „Abgrund”Világosság, no.8/9, 1977, p.572-79; trad. it. in La responsabilità sociale del filosofo, a c. di V. Franco, Pacini Fazzi, Lucca 1989]        Da:    https://gyorgylukacs.wordpress.com/  
Si ringrazia Toni Infranca per aver messo a disposizione questo testo. 

Infine, nei periodi in cui la lotta di classe si avvicina al momento decisivo, il processo di dissolvimento in seno alla classe dominante, in seno a tutta la vecchia società, assume un carattere così violento, così aspro, che una piccola parte della classe dominante si stacca da essa per unirsi alla classe rivoluzionaria, a quella classe che ha l’avvenire nelle sue mani. Perciò, come già un tempo una parte della nobiltà passò alla borghesia, così ora una parte della borghesia passa al proletariato, e segnatamente una parte degli ideologi borghesi che sono giunti a comprendere teoricamente il movimento storico nel suo insieme. 
K. Marx, F. Engels, Manifesto del partito Comunista

Hell wogt der saal vom spiel der seidnen suppen.
Doch eine berg ihr fieber unterm mehlle
Und sah umwirbelt von den tollen gruppen
Dass nicht mehr viel am aschermittwoch fehle.
Sie schleicht hinaus zum öden park, zum flachen
Gestade. winkt noch kurz dem mummenschanze
Und beugt sich frostelns übers eis. ein krachen
Dann stumme kälte, fern der ruf zum tanze.
Keins von der artigen rittern oder damen
Ward sie gewahr bedeckt mit tang und kieseln.
Doch als im frühling sie zum garten kamen
Erhob sich oft vom teich ein dumpfes rieseln.
Die leichte schar aus scherzendem jahrundert
Vernahm wohl dass es drunten seltsam raune.
Nur hat sie sich nicht sehr darob gewundert
Sie hielt es einfach für der wellen laune.
S. George, Die Maske1 

L’accostamento di queste due citazioni sorprenderà sicuramente la maggior parte dei lettori. In effetti, esse possono andare insieme solo in quanto sono entrambe espressione chiara e pregnante dei due poli del movimento di dissoluzione ideologica di una classe dominante in un periodo di crisi rivoluzionaria. L’intellighenzia, cioè quello strato della società che a causa della divisione sociale del lavoro fa della produzione e della propaganda ideologica un’occupazione di vita, il fondamento materiale e spirituale della propria esistenza, reagisce con straordinaria prontezza e sensibilità a tutte le svolte che si compiono nella realtà materiale della società. Ma proprio perché fa della produzione della ideologia la sua massima occupazione, all’interno della società di classe essa reagisce sempre con una falsa coscienza; e tanto più è falsa quanto più è sviluppata la divisione sociale del lavoro, quanto più è avanzata la dissoluzione materiale della classe dominante. La divisione sociale del lavoro comporta necessariamente che gli ideologi si ricolleghino sempre alle ideologie immediatamente precedenti o contemporanee, che la loro critica del presente si compia nella forma di una critica delle ideologie presenti e passate. E nella maggior parte dei casi non è una faccenda semplicemente formale. Il produttore borghese di ideologie, proprio in ragione delle necessità materiali della sua situazione sociale, è vissuto nell’illusione che le trasformazioni sociali siano nella loro essenza trasformazioni ideologiche e che, in ultima analisi, vengano da queste provocate. Da questa illusione deriva anche la sua credenza del ruolo guida, a livello sociale, dello strato a cui appartiene. Dalla contraddizione tra questa illusione e la situazione materiale del suo sorgere e della sua esistenza deriva una delle cause più importanti delle oscillazioni di questa intellighenzia. Reagendo ai rapidi alti e bassi dello sviluppo economico, della lotta tra le classi decisive della società – la borghesia e il proletariato – con straordinaria rapidità e violenza, e tuttavia con più o meno falsa coscienza, essa da un lato rispecchia l’oscillazione della piccola borghesia tra rivoluzione e controrivoluzione e le dà una forma ideologica, dall’altro però, nella sua produzione ideologica esprime – almeno in parte – la propria situazione specifica nella lotta di classe. La sua reazione immediata ai nuovi mutamenti, alle nuove tendenze, che la fa sempre andare avanti rispetto alla media della sua classe, le dà l’illusione di aver prodotto essa stessa tali tendenze. E come se si considerasse il termometro causa del freddo e del caldo o il barometro causa del buono e del cattivo tempo.

giovedì 17 novembre 2016

Economia politica e filosofia della storia. Variazioni su un tema smithiano: la missione "civilizzatrice" del capitale.*- Riccardo Bellofiore**

*Da:   https://www.facebook.com/Economisti-di-classe-Riccardo-Bellofiore-Giovanna-Vertova-148198901904582/?fref=ts  (pubblicato in due parti come: (a) Economia politica e filosofia della storia. Variazioni su un tema smithiano: la missione ‘civilizzatrice’ del capitale,  in “Teoria politica”, n. 2, 1991, pp. 69-96; (b) Cambiare la natura umana. Ancora su economia politica e filosofia della storia, “Teoria politica”, n. 3, 1991, pp. 63-98) 
**Dipartimento di Scienze Economiche, Università di Bergamo 

"Pour que la réalité se dévoile, il faut qu'un homme lutte contre elle."
Jean Paul Sartre, "Matérialisme et révolution", in Situations, I, Paris 1957, p. 213 


1. Introduzione

L'economia politica ha costituito da sempre terreno fertile per la riflessione filosofica. Gli ultimi anni, da questo punto di vista, non fanno eccezione: basta pensare al proliferare di studi di epistemologia economica, o ancora alla questione della relazione tra etica ed economia. Il problema che vorrei affrontare nelle pagine che seguono è invece di quelli un po' desueti: la ricerca bibliografica difficilmente registrerebbe titoli recenti; l'inglese non sarebbe forse la lingua egemone; la letteratura definibile in senso lato come empirista e liberale sarebbe una componente importante ma non esclusiva. 

Si tratta, per dirla in breve ed un po' enfaticamente, di ripercorrere le tappe principali di quella linea di pensiero che si è interrogata sulla missione "civilizzatrice" e sul ruolo storico del capitale. Di riandare, dunque, a quegli autori che hanno visto nel primato dell'economico un problema, sino in alcuni casi ad auspicare, o a temere, un suo possibile superamento. E che, proprio perché questo era il loro tema, si sono trovati a fare affermazioni impegnative sulla "natura umana", e sul "significato della storia". Terreno che altri giudicherà scivoloso, e che senz'altro lo è: ma che comincia ad apparirmi culturalmente, e politicamente, ineludibile, per ragioni che spero saranno più chiare alla fine di questo scritto. Certamente in questa luce l'economia politica si confonde con la filosofia della storia e con la filosofia morale; l'indagine sulle leggi di funzionamento del sistema sfocia nella questione del "senso" del corso storico, si confonde con la discussione sulla "giustificazione" del capitalismo - come vedremo, le due cose sono anzi per molti degli autori che considererò due facce della stessa medaglia. 

Il metodo che adotterò sarà quasi sempre quello di far parlare direttamente i testi. Metodo soggettivo ed arbitrario quant'altri mai, al di là dalle apparenze: benché poco di ciò che dirò pretenda di essere originale, la selezione e il percorso che proporrò presuppongono un filtro interpretativo molto forte, che rimarrà però in buona misura implicito. Il gioco, o le buone regole, della conversazione intellettuale richiedono che io mostri di credere fino in fondo alle ipotesi che avanzo: ciò non toglie che - trattandosi di un tema che costringe ad abbandonare i sicuri recinti degli specialismi - la critica sia la benvenuta.

domenica 13 novembre 2016

Europa. Competizione globale e lavoratori poveri*- Lucia Pradella**

La disoccupazione ha raggiunto livelli senza precedenti in Europa occidentale. I salari sono in discesa e si intensificano gli attacchi all’organizzazione dei lavoratori. Nel 2013 quasi un quarto della popolazione europea, circa 92 milioni di persone, era a rischio povertà o di esclusione sociale. Si tratta di quasi 8,5 milioni di persone in più rispetto al periodo precedente la crisi.

La povertà, la deprivazione materiale e il super-sfruttamento tradizionalmente associati al Sud del mondo stanno ritornando anche nei paesi ricchi d’Europa.

La crisi sta minando il “modello sociale europeo”, e con esso l’assunto che l’impiego protegge dalla povertà. Il numero di lavoratori poveri – lavoratori occupati in famiglie con un reddito annuo al di sotto della soglia di povertà – è oggi in aumento, e l’austerità peggiorerà di molto la situazione in futuro.

Alcuni critici sostengono che l’austerità è assurda e contro-producente, ma i leader europei non sono d’accordo. Durante l’ultima tornata di negoziati con la Grecia l’estate scorsa, Angela Merkel ha dichiarato: “Il punto non sono alcuni miliardi di euro – la questione di fondo è come l’Europa può restare competitiva nel mondo.” C’è del vero in tutto questo. Quello che la Merkel non dice è che i lavoratori in Europa, nel Sud dell’Europa in particolare, competono sempre di più con i lavoratori del Sud del mondo. L’impoverimento e l’austerità in Europa sono le due facce della stessa medaglia, e riflettono una tendenza strutturale all’impoverimento e profondi cambiamenti dell’economia globale.