*da: Lenin, Opere
Complete, vol. 33, Editori Riuniti, Roma, 1967, pp. 385-397.
Relazione al IV congresso dell'Internazionale comunista, 13 novembre 1922. Pravda n. 258, 15 novembre 1922.
Cinque anni di rivoluzione russa e le prospettive della rivoluzione mondiale
Compagni! Sono
iscritto nell'elenco degli oratori come relatore principale, ma voi
comprenderete che dopo la mia lunga malattia non posso fare un grande
rapporto. Non posso che limitarmi a un'introduzióne alle questioni
più importanti. Il mio tema sarà molto limitato. Il tema: Cinque
anni di rivoluzione russa e le prospettive della rivoluzione mondiale
è troppo vasto e grandioso perché, in generale, un solo oratore, in
un solo discorso, possa esaurirlo. Perciò mi limiterò a trattare
soltanto una piccola parte di questo tema, cioè la questione della
«nuova politica economica». Scelgo di proposito soltanto questa
piccola parte del tema per informarvi su di un problema che oggi ha
la massima importanza, almeno per me che ci lavoro attorno in questo
momento.
Vi dirò perciò
come abbiamo dato inizio alla nuova politica economica e quali
risultati abbiamo ottenuto per mezzo di questa politica. Se mi limito
a questo problema, riuscirò forse a farne un esame generale e a
darne un'idea generale.
Per incominciare dal
modo come siamo giunti alla nuova politica economica, devo
richiamarmi a un articolo che io scrissi nel 1918 (101). Al princìpio
del 1918, in una breve polemica, sfiorai, per l'appunto, la questione
dell'atteggiamento che dovevamo assumere verso il capitalismo di
Stato. Scrivevo allora:
«II capitalismo di
Stato rappresenterebbe un passo avanti rispetto allo stato attuale
delle cose (cioè, relativamente alla situazione di allora) nella
nostra Repubblica sovietica. Se, per esempio, tra sei mesi si
instaurasse da noi il capitalismo di Stato, ciò sarebbe un enorme
successo e rappresenterebbe la più sicura garanzia che tra un anno
il socialismo sarebbe da noi definitivamente consolidato e reso
invincibile».
Dicevo questo,
s'intende, in un periodo nel quale eravamo più inesperti di adesso,
ma non tanto inesperti da non poter esaminare simili questioni.
Cosicché, nel 1918,
sostenevo l'opinione che, relativamente alla situazione economica
allora esistente nella Repubblica sovietica, il capitalismo di Stato
rappresentava un passo avanti. Ciò sembra molto strano, e forse
perfino assurdo, poiché anche allora la nostra repubblica era già
una repubblica socialista, poiché allora noi prendevamo ogni giorno
con grande fretta - probabilmente con fretta esagerata - diverse
nuove misure economiche che non possono essere chiamate altrimenti
che socialiste. E ciò nondimeno io presumevo allora che il
capitalismo di Stato, rispetto alla situazione economica allora
esistente nella Repubblica sovietica, fosse un passo avanti, e
spiegavo poi questa idea elencando semplicemente gli elementi
fondamentali della struttura economica della Russia. Secondo me,
questi elementi erano i seguenti: «1. la forma patriarcale, ossia la
più primitiva dell'economia agricola; 2. la piccola produzione
mercantile (questa forma comprende anche la maggioranza dei contadini
che vendono il grano); 3. il capitalismo privato; 4. il capitalismo
di Stato; e 5. il socialismo». Tutti questi elementi economici erano
rappresentati nella Russia di quel tempo. Mi proposi allora di
mettere in chiaro quali rapporti reciproci esistessero tra questi
elementi e se non si dovesse attribuire a uno degli elementi non
socialisti, cioè al capitalismo di Stato, un valore più alto del
socialismo. Ripeto: sembra a tutti molto strano che un elemento non
socialista sia stimato a un livello più alto, sia ritenuto più
elevato del socialismo in una repubblica che si proclama socialista.
Ma la cosa sarà chiara se ricorderete che non consideravamo la
struttura economica della Russia come un qualche cosa di omogeneo e
di altamente sviluppato, e che eravamo pienamente consci di avere in
Russia un'agricoltura patriarcale, vale a dire la forma più
primitiva di agricoltura, accanto alla forma socialista. Quale
funzione, dunque, avrebbe potuto esercitare il capitalismo di Stato
in una tale situazione?
Io mi domandavo
inoltre: quale di questi elementi predomina? È chiaro che in un
ambiente piccolo-borghese domina l'elemento piccolo-borghese. Io mi
rendevo conto, allora, che l'elemento piccolo-borghese predominava;
non era possibile pensare altrimenti. Il problema che mi prospettavo
allora - si trattava di una polemica speciale che non riguardava la
questione attuale - era il seguente: qual'è il nostro atteggiamente
verso il capitalismo di Stato? E rispondevo: il capitalismo di Stato,
pur non essendo una forma socialista, sarebbe per noi e per la Russia
una forma preferibile a quella attuale. Che cosa vuoi dire questo?
Vuol dire che non sopravvalutavamo né i germi né gli inizi
dell'economia socialista, quantunque avessimo già compiuto la
rivoluzione sociale; al contrario, già allora, comprendevamo, fino a
un certo punto, che sarebbe stato meglio se dapprima fossimo
pervenuti al capitalismo di Stato e soltanto dopo al socialismo.