Aristide Bellacicco (Medico) fa parte del "Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni"
Stavano ancora sul letto, nudi tutti e due, quando Gena cominciò a piangere. Gli disse che lui voleva solo divertirsi e che per il resto non gliene importava nulla.
- Tu fai l’amore con me tutti i giorni, e pensi che perciò io devo essere contenta. Invece non sono contenta proprio per niente.Turi si accese una sigaretta. Era per lo meno la centesima volta che lei lo assillava con quel discorso. Ogni volta dopo fatto l’amore, quando sarebbe stato molto meglio starsene sdraiati in silenzio o dormire o fare qualsiasi altra cosa.
Era sempre Gena a cominciare. Non ne poteva fare a meno, e a volte Turi pensava che ormai fosse una specie di tic nervoso.
- Non facciamo solo l’amore - le disse con calma – andiamo anche al cinema e a cena fuori. E andiamo al bowling. E vediamo gli altri, anche.
Quelle cose le aveva già dette un mucchio di volte e si sentiva stupido a ripeterle.
Gena mise giù le gambe dal letto, dandogli le spalle, e si appoggiò il mento sui pugni chiusi. Faceva sempre così quando era arrabbiata.
Turi le guardò la schiena nuda.
- Copriti che prendi freddo – le disse.
- Per quello che te ne importa – disse Gena – E’ inutile che fai finta con me, sai, io ti conosco. E’ inutile che ti metti a fare i complimenti. Non ci sei tagliato.
Si alzò e andò a chiudersi nel bagno, girando la chiave con furia. Turi la immaginò mentre fumava per conto suo seduta sulla tazza, con gli occhi rossi e le lacrime che le scendevano.
Raccolse la vestaglia di Gena dalla sedia accanto al letto. Andò fino alla porta del bagno e la appese alla maniglia
- Qui fuori c’è la vestaglia – le disse attraverso la porta – Non puoi stare spogliata a quel modo. I termosifoni sono ancora spenti. Poi aggiunse: - Io vado a fare il caffè.
Si infilò i pantaloni, il maglione e le scarpe. In cucina riempì con l’acqua e il caffè la caffettiera piccola e la mise sul fornello. Accese il gas e andò a sedersi sul divano del soggiorno, con la sigaretta ancora in mano che faceva precipitare la cenere dovunque.
- Bisogna che ci decidiamo a comprare qualche posacenere – disse a voce abbastanza alta perché Gena lo sentisse.
Dal bagno arrivò il rumore dell’acqua del rubinetto. Poi sentì girare la chiave, Gena che imprecava a bassa voce mentre raccoglieva la vestaglia da terra e subito dopo si richiudeva dentro.
Turi accese il televisore, fece scorrere qualche canale e si fermò su un film giapponese dove c’erano due che facevano l’amore. In primo piano c’era la schiena muscolosa dell’uomo e il volto di una ragazza molto giovane, quasi una bambina. La ragazza aveva gli occhi chiusi e la bocca semiaperta, lo abbracciava stretto dietro al collo e gli passava le dita fra i capelli.
Alla fine l’uomo si voltava con la faccia verso l’alto e in quel momento si vedeva che era molto più grande di lei. Quasi un vecchio, forse, ma ancora ben messo. Questa cosa non sembrava creare nessuna difficoltà fra loro. Si abbracciavano e si baciavano come due adolescenti.
Dopo un quarto d’ora Gena uscì dal bagno. Si era fatta la doccia e aveva ancora i capelli chiusi nell’asciugamano. Era a piedi nudi e con la vestaglia aperta.
Turi spense il televisore e andò in cucina.
- Vatti a mettere le pantofole – le disse.
- Te la pianti ? – sbuffò lei – Non mi serve una governante. Anzi, adesso che ci penso, non mi serve nemmeno un uomo. Non uno come te, almeno.
Andò in camera da letto e cominciò ad armeggiare con i cassetti dell’armadio.
Turi versò il caffè nelle tazzine e le portò sul tavolo del soggiorno tenendole per il bordo. Prese anche i cucchiaini e lo zucchero.
- C’è il caffè – disse.
Gena uscì dalla camera da letto con i capelli sciolti, appesantiti dall’acqua. Si era messa i jeans e un maglioncino rosa. Aveva anche messo le calze e le pantofole.
Prese una tazzina e bevve un sorso di caffè. Aggiunse un cucchiaino di zucchero.
- Cosa stavi guardando alla televisione ? – chiese.
Turi le guardò i capelli bagnati e le mani che le tremavano.
- Ma niente – rispose alzando le spalle- era un film giapponese.
Le disse che non c’erano nemmeno i sottotitoli e che non si capiva niente. Chissà che li mandavano a fare.
- Evidentemente, qualcuno li guarda – disse Gena – C’era dentro qualche porcheria, vero? Roba di sesso. Scopate. Ce n’è un sacco di porci in giro. Tu dovresti saperlo.
Mise giù la tazzine e si accese una sigaretta.
- Magari ti sarai anche toccato – disse.
Allora Turi sedette sul divano e la guardò mentre gettava la cenere nella tazzina vuota.
- Va bene – disse – se proprio lo vuoi sapere te lo dico: in quel film c’erano solo due che stavano bene insieme. Tutto qui. Facevano l’amore e poi continuavano a parlare e a ridere e a scherzare. Insomma, quelle cose che fa la gente normale dopo che ha fatto l’amore. E lui era anche molto più vecchio di me. Questo però non c’entra. Il fatto è che ho pensato a noi.
- E ti sei eccitato? – chiese Gena a bruciapelo – No, perché se proprio non ce la fai più, io sono sempre qui. Io sono la tua fedele geisha, lo sai. La tua schiava da letto. La tua puttana.
Turi intrecciò le dita delle mani e le strinse fino a che diventarono bianche e gli fecero male. Poi le distese e restò a guardarsele fino a quando tornarono normali.
- Sì, mi sono eccitato – rispose - mi sono eccitato davanti alla tranquillità.
E le disse quello che aveva pensato da molto tempo, che così era impossibile e che forse era il caso che per un po’ smettessero di fare l’amore. Le giurò che a quel punto per lui era meglio e che non vedeva altra soluzione. E che non capiva che cosa gli stava succedendo, a lui e a Gena.
Davvero, non aveva idea di cosa fosse.
- Magari un periodo di astinenza ci fa bene a tutti e due. Magari per un po’ la smettiamo di litigare e viviamo in santa pace, non lo so. Davvero, Gena, parlo seriamente. Tu che ne dici?
Gena non lo lasciò nemmeno finire. Afferrò la tazzina piena di cenere e gliela scagliò contro.
- Dico che sei un bastardo – si mise a urlare – un maledetto bastardo ipocrita e ricattatore. Tu ti credi che io non posso stare senza il tuo coso, è vero? E’ questo che pensi, no? Pensi che non ce la faccio a stare senza scopare con te.
Certo, perché lei era una puttana, che altro? Una fatta apposta per andare a letto, e solo per quello, per prenderlo fra le cosce o in bocca.
- Ma guarda che io me ne sbatto del tuo coso, una volta o l’altra te lo stacco e lo getto nel cesso quell’arnese del cazzo, perché tanto mi fa schifo, schifo e basta! Tutti e due mi fate schifo!
E sempre urlando cose del genere andò nella stanza da letto e si chiuse a chiave.
Turi rimase per una mezz’ora sul divano a fumarne una dopo l’altra. Dopo un po’ si sentiva la bocca piena di roba scura e gettò la sigaretta che aveva appena acceso nella sua tazzina ancora piena a metà di caffè.
Il mozzicone si spense con un lieve sfrigolio, come un insetto schiacciato,
Poi si alzò, raccolse i frammenti della tazzina che Gena gli aveva tirato addosso e li buttò nel secchio.
Si sentiva il volto in fiamme a andò in bagno a sciacquarselo. Nello specchio vide che aveva ancora della cenere sparsa sui capelli e la spazzolò via con la mano.
- Gena – pensò.
Stavano insieme da tre anni ed era andata veramente bene solo per i primi sei mesi. Poi era iniziata quella storia. All’inizio lui aveva pensato, di volta in volta, alle mestruazioni, alla stanchezza o al fatto che forse era gelosa, anche se non sapeva immaginarsi di chi. Allora aveva smesso di vedere gli amici da solo e le aveva insegnato a giocare a bowling, in modo che Gena non si annoiasse quando ci andavano. Facevano tutto insieme, tanto che gli amici li chiamavano “gli inseparabili”, con una punta di ironia.
Aveva fatto in modo che la mattina dormisse di più e si era incaricato di fare la spesa e di provvedere alle pulizie di casa. Aveva anche assunto una domestica, che veniva tre volte alla settimana per stirare.
Ma non era cambiato nulla. Anzi, le scenate si erano fatte più frequenti e vertevano sempre sulla stessa idea, che cioè Turi la considerava poco più di una puttana e che stava con lei solo per scoparsela. Eppure, anche a Gena piaceva fare l’amore. Non era mai successo che si rifiutasse. Ma dopo, ormai quasi ogni volta, si metteva a piangere, a strillare o se ne rimaneva zitta per ore, chiusa in quel pensiero assurdo. Qualsiasi cosa Turi le dicesse, non serviva a nulla. Lei era una puttana, una puttana e basta.
Quando aveva saputo della domestica, si era infuriata oltre ogni dire.
- Quella non è una domestica, ma una tenutaria di bordello – gli aveva detto – L’hai presa solo perché io abbia più tempo per venire a letto con te.
Turi si guardò ancora nello specchio. La cenere non c’era più, i suoi capelli erano neri.
- Gena – pensò.
Verso le quattro accesero i termosifoni. L’appartamento era piccolo e si riscaldò rapidamente. Alle sei era diventato talmente afoso che Turi aprì la portafinestra e uscì sul balcone a respirare l’aria fredda.
Era già scuro. Lontano si vedeva il traffico sulla tangenziale e se ne poteva indovinare il fragore. Giungevano, attutiti dalla distanza, suoni di clacson e altri che somigliavano a urla. Turi accese una sigaretta e la fumò fino al filtro, poi la gettò di sotto e seguì la brace precipitare dal sesto piano fino sul marciapiede, rotolando nell’aria.
La sigaretta rimbalzò sull’asfalto e andò a spegnersi nella cunetta. Un passante alzò la testa verso l’alto, e Turi si tirò indietro.
Dopo una mezz’ora rientrò in soggiorno, ma lasciò accostata la portafinestra perché la temperatura si abbassasse un po’. Gli venne in mente che in camera da letto, dov’era Gena, doveva essere un forno. Ma aveva timore di andare da lei a vedere come stava
Erano più di quattro ore che da lì non arrivava nessun rumore. Forse Gena dormiva, ma Turi cominciò a preoccuparsi. Andò in cucina e mise su un altro caffè. Poi si accostò alla porta della stanza e vi appoggiò l’orecchio. Non si sentiva nulla. Restò lì un paio di minuti a domandarsi cosa stava facendo Gena e se veramente dormiva.
Quando il caffè fu pronto, riempì una tazzina, ci mise un cucchiaino di zucchero e tornò davanti alla porta. Non voleva bussare. Con molta cautela provò a girare la maniglia, e la porta si aprì.
Dentro era scuro e faceva un caldo da morire. Alla luce del corridoio, vide Gena che dormiva voltata dall’altra parte. Il suo respiro era lieve e si sentiva appena.
- Gena – la chiamò piano – Gena.
Gena emise un mugolio e si voltò lentamente verso di lui. Strinse le palpebre davanti alla luce.
- Ma che ora è ? – chiese.
- Le sette – disse Turi – ti ho portato il caffè.
Gena accese il lume sul comodino e mise giù le gambe. Aveva dormito vestita e aveva tutta la faccia coperta di sudore.
- Dio, che caldo – disse- mi porti un bicchiere d’acqua, per favore?
Quando Turi tornò con l’acqua la bevve tutta d’un sorso. Poi si rimise distesa.
- Non lo bevi il caffè? - le chiese Turi.
- Dopo – disse Gena, e lo attirò a sé con un braccio.
Sapeva di umido e di sonno. Sembrava ancora più attraente e morbida, come un neonato appena sveglio.
Turi si sdraiò accanto a lei e si parlarono a lungo. Gena gli disse che forse aveva ragione, e che per qualche tempo era meglio se evitavano di toccarsi. Gli disse che ogni volta che lui la toccava lei si sentiva proprio una gran troia e che questo le piaceva da morire e le faceva venire un sacco di pensieri strani e eccitanti, che la mandavano fuori di testa.
- E quando vengo è proprio una cosa grandiosa – disse alzando gli occhi al soffitto – una cosa che nemmeno ti immagini. Uno sconquasso totale.
Subito dopo, cominciava quella sensazione. All’improvviso si sentiva sporca dentro e fuori, come se un estraneo l’avesse manipolata per ore e poi violentata in una discarica.
- Mi sembra di essere piena di spazzatura fino agli occhi. Mi sembra che io e te siamo tutti sbagliati.
Gli chiese di scusarla. Non sapeva cosa farci. Era una cosa più forte di lei.
- Che sarà, Turi? – gli chiese – Forse sono matta davvero. Sono matta e basta. Magari è meglio se parlo con un dottore.
Turi le diede un bacio su una guancia
- Non preoccuparti – la rassicurò – vedrai ti passa. Sono cose che possono capitare a tutti. Ora però stai tranquilla. Non ti serve il dottore.
Aveva voglia di baciarla ma lasciò perdere. Si domandò quando sarebbe stata la prossima volta che avrebbe potuto stringerla fra le braccia.
Cenarono insieme e guardarono un po’ di televisione, chiacchierando distrattamente. Verso le dieci Gena sbadigliò, lo baciò su una guancia e se ne andò a letto.
- Domani andiamo a comprare i posacenere – gli disse sbadigliando.
Turi rimase sveglio fino a notte a fumare e a cambiare i canali del televisore.
Non cercava nulla di preciso. Andava da una parte all’altra del mondo come uno sbandato.
Ogni tanto gli veniva in mente che c’era qualcosa di diverso che si poteva fare. Qualcosa di semplice e di divertente, tutto qui, niente di speciale. Ma non riusciva a ricordarsi che cos’era.
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