venerdì 12 marzo 2021

Una ricerca del Fmi prevede lo scoppio di un’ondata di ribellioni nel mondo dopo la pandemia - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it - Alessandra Ciattini (Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni) insegna Antropologia culturale alla Sapienza di Roma. 


Persino il Fmi prevede lo scoppio di ribellioni in tutte le parti del mondo per protestare contro le diseguaglianze e l’impoverimento sempre più forti dovuti alla crisi socio-economica e sanitaria. 


Qualcuno si ricorderà del film del 1975 con Robert Redford intitolato I tre giorni del Condor, che comincia con un attacco a una sezione della Cia a New York, dove gli impiegati studiano e leggono libri e giornali provenienti da tutto il mondo per individuare personaggi politicamente pericolosi e trame sospette. Si salva solo Condor (Redford) e comprende di aver inviato un dossier compromettente ai suoi superiori dal quale si ricava l’esistenza di un piano per far scoppiare una guerra in Medio Oriente con lo scopo di controllare le sue risorse petrolifere (guarda un po’). Proprio per questo Condor e i suoi colleghi devono essere uccisi, ma questi riesce a fuggire e inizia una battaglia personale (all’americana) con un gruppo di agenti deviati della Cia.

Del resto, questa costituisce una delle molteplici attività della Cia, i cui recenti documenti sul brutale omicidio del giornalista Jamal Kassoggi indicano che il principe ereditario dell’Arabia Saudita Mohammed bin Salman è stato l’istigatore di questo crimine avvenuto nel consolato saudita di Istambul nel 2018. Documenti che Donald Trump non aveva reso pubblici, noti ora grazie al “democratico” Joe Biden.

Da questo genere di attività, propria di questi organismi operanti dietro le quinte, è scaturita una ricerca condotta dal Fmi su milioni di articoli pubblicati dal 1985 in 130 paesi sulle conseguenze sociali della pandemia, la quale evidenzia che già prima della diffusione del Covid-19 il malessere sociale era forte, non ha potuto esprimersi con tutta la sua forza in questo lungo periodo a causa delle limitazioni prodotte dalla quarantena, ma che, nella misura in cui il virus allenterà la sua morsa, è probabile che i sollevamenti e le proteste si ripresenteranno. Ricavo queste informazioni da un articolo pubblicato il 22 febbraio dal sito Izquierda diario Red Internacional a firma di Camila Delgado Troncoso, che fa riferimento a un documento del Fmi del luglio passato [1].

I ricercatori del Fmi hanno elaborato un indice di malessere sociale, sulla base del quale tentano di fare previsioni sulle probabilità dell’insorgere di proteste in seguito alla pandemia, mettendo in relazione questa possibilità con circa 11mila eventi, come disastri naturali e forme epidemiche, verificatisi dagli anni ’80. Essi si sono avvalsi di complesse equazioni algebriche che comproverebbero la relazione tra le epidemie e le esplosioni sociali.

Devo dire che i summenzionati esperti riflettono su avvenimenti assai antichi come l’epidemia verificatosi ai tempi di Giustiniano nel secolo VI e la celebre peste nera del secolo XIV, soffermandosi sulla spagnola, le cui origini erano in realtà statunitensi, sostenendo sostanzialmente che le epidemie hanno un forte impatto sulla vita sociale, provocano esplosioni di protesta, sovvertono l’ordine sociale. Molto probabilmente qualcosa del genere si produrrà anche con l’esaurimento dell’attuale pandemia, la quale tuttavia probabilmente diventerà endemica.

Le ragioni di questa che resta un’ipotesi, sia pure interessante, stanno nel fatto che un evento epocale come una pandemia porta alla ribalta i gravi problemi già presenti nella società come le disuguaglianze, la mancanza di istituzioni in grado di tutelare i cittadini in questo difficile contesto, la sfiducia nelle istituzioni – credo ormai un fenomeno mondiale –, la convinzione che i governi siano formati da uomini corrotti e incompetenti. Sono tutte osservazioni fatte dagli esperti del Fmi, i quali d’altra parte rimarcano che i sommovimenti non si realizzeranno nella fase più acuta della pandemia, ma dovranno passare mesi, se non addirittura due anni, prima di tale auspicabile esplosione, alle cui radici ci saranno le misure antipopolari per rimettere in sesto l’economia capitalistica [2].

Un impulso alla mobilitazione delle masse popolari sarebbe dato dalla constatazione che le misure prese per contrastare la pandemia vadano a esclusivo vantaggio dei ricchi, come sta accadendo per esempio nel caso in cui il vaccino viene offerto a chi è strettamente legato alla classe dirigente. Oppure dalla scoperta che le grandi società farmaceutiche hanno imposto agli Stati di non essere trascinate in tribunale dalle possibili conseguenze negative dei vaccini, che certo non possono essere escluse.

Un caso tra tanti. Nella capitale commerciale dell’India, Mumbai, migliaia di lavoratori migranti senza lavoro hanno protestato negli scorsi mesi in una stazione ferroviaria, chiedendo di poter tornare ai loro villaggi, dopo che il primo ministro Narendra Modi ha esteso il blocco della popolazione. I salariati giornalieri si trovano in questo paese in una situazione drammatica e ormai stanno facendo letteralmente la fame, per questa ragione vogliono lasciare le città.

Da un’analisi complessiva risulterebbe che durante i periodi più acuti della pandemia non si è verificato un numero significativo di proteste, a parte la straordinaria reazione del movimento dei Black Lives Matter dopo il brutale omicidio da parte della polizia di George Floyd a Minneapolis che, nonostante gli omicidi si siano ripetuti (quasi un centinaio), non ha manifestato la stessa rabbia.

IL Fmi formula l’ipotesi che, conclusasi la fase più violenta della pandemia, i sommovimenti, le rivolte potrebbero diventare frequenti, come sembrerebbe possibile ricavare dai milioni di articoli pubblicati nel mondo nei quali si esprime tutta l’indignazione e la rabbia per la situazione che si è venuta a creare e sulle sue più che probabili conseguenze antiproletarie.

Concordando con le analisi di matrice anticapitalistica, l’organismo internazionale, dominato dagli Stati Uniti, sa perfettamente che la pandemia costituisce solo un catalizzatore di una grave crisi già presente, i cui caratteri più gravi sono la straordinaria crescita delle disuguaglianze, l’impatto sempre più forte con forme di profonda ingiustizia sociale, l’aumento formidabile della marginalizzazione di gruppi consistenti.

A causa del vezzo tecnocratico a quantificare i tecnici del Fmi osano fare previsioni precise, arrivando a sostenere che, nel giro di due anni, si genereranno gravi crisi politiche, il cui fine sarebbe quello di far cadere i governi che sono saliti al potere con lo slogan “risolvere la crisi”, in realtà adottando misure che ne produrranno un’altra probabilmente più acuta per le sue conseguenze sociali e ambientali, anche perché in questo campo siamo arrivati a limiti ormai insuperabili.

Un altro report del Fmi, intitolato Come le pandemie conducono alla disperazione e al disagio sociale dell’ottobre del 2020 ripropone le stesse previsioni sulle possibili rivolte. Consapevolezza non nuova dal momento che già nel 2019, anno caratterizzato da grandi proteste a livello mondiale, sono stati pubblicati studi, i quali sottolineano che: “Per quanto esplose a latitudini così lontane e per motivi diversi, tutte le proteste di queste ultime settimane (Cile, Libano, Ecuador, Catalogna, Francia, Iraq etc.) celano un malcontento più ampio nei confronti di una élite politica vista come distante e corrotta, nutrito dalla fatica di dover affrontare forti e profonde disuguaglianze sociali ed economiche”.

La conclusione di queste brevi riflessioni non può non fondarsi sulla forte differenza tra mobilitazione e organizzazione, nel senso che generalmente le ribellioni sorgono spontaneamente in situazioni difficili e critiche, in cui si intravede la possibilità di costituire una società diversa. Purtroppo, se la mobilitazione spontanea non riesce a darsi una seria organizzazione fondata su un elaborato programma di rivendicazioni e un coordinamento sistematico ormai al livello continentale se non mondiale, il rischio è che si esaurisca come neve al sole magari anche sotto i colpi di una dura repressione.


Note:


[2] Alle quali sta forse pensando Mario Draghi, il quale nel suo discorso al senato prima di ottenere la fiducia ha citato il conte Cavour che nel 1850, applaudito dalla sinistra, aveva dichiarato: “Vedete, o signori, come le riforme compiute a tempo, invece d’indebolire l’autorità, la rafforzano”. Le parole successive dell’allora deputato del Regno proseguivano: “invece di crescere la forza dello spirito rivoluzionario, lo riducono all’impotenza”.

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