lunedì 26 settembre 2016

HEGEL, SCIENZA DELLA LOGICA (1812).*


Quanto segue traduce e commenta il primo capitolo di una delle opere filosofiche più importanti, di certo però la meno facile. Essa oppone infatti alla comprensione il suo stile unico. Mentre di solito gli scrittori espongono delle convinzioni e cercano di renderle credibili argomentandole e confutando quelle opposte, la «Scienza della logica» non propone tesi care al suo autore, ma quelle che si impongono o in forza della legge dell’inizio o come risultato di quanto le precede. Anziché poi argomentarle, Hegel si impegna a confutarle mostrando la contraddizione celata nella loro determinatezza: la dialettica è innanzitutto scetticismo. Non è soltanto scetticismo perché una tesi confutata, lungi dall’essere un nulla astratto, è dimostrazione della verità del proprio negativo. Questa capacità di riconoscere il positivo nel negativo, l’elemento virtuosistico della filosofia – ciò che Hegel chiama speculativo –, è però il culmine soltanto del micrometodo. Anche il negativo riconosciuto come positivo incorre infatti nella sua dialettica, da cui risulta infine un positivo che è negazione del negativo. La successione di positivo, negativo, negazione del negativo rappresenta il macrometodo, lo sviluppo completo di ogni concetto in cui si espone la scienza filosofica. Essa compone tre atteggiamenti che di solito si presentano come incompatibili: quello dogmatico di chi confida nei principi assoluti, quello scettico di chi riconosce soltanto la relatività e la mutevolezza, quello speculativo di chi intuisce la verità come concreta, come conciliarsi di opposti. Poiché ogni volta percorre questi tre paradigmi di pensiero, la filosofia hegeliana resta inafferrabile ai lettori irrigiditi nei loro punti di vista; ne nasce un rancore che la infama con le accuse di aridità, di ciarlataneria, di demenza. Soltanto uno sforzo di comprensione animato da impavida fiducia nella razionalità del testo può dissipare i pregiudizi generati dalle difficoltà ermeneutiche e renderne infine accessibile la debordante ricchezza teorica. 



HEGEL, SCIENZA DELLA LOGICA (1812).
Traduzione e commento del primo capitolo a cura di Paolo Di Remigio  

C a p i t o l o  p r i m o


––––––       A. 
      E s s e r e

      Essere, essere puro,  –  senza qualunque determinazione ulteriore.      Nella sua immediatezza indeterminata è uguale solo a sé stesso, ed è anche non disuguale da altro, non ha diversità né al suo interno né secondo l’esterno.      Con una qualsiasi determinazione o contenuto che vi si differenziasse, o con cui lo si ponesse come differente da un altro, non sarebbe tenuto fermo nella sua purezza.      È l’indeterminatezza pura e il puro vuoto.  –  Non vi è nulla da intuire, se qui si può parlare di intuire;      ossia, l’essere è solo questo stesso intuire puro, vuoto.      Neanche vi si può pensare qualcosa, ossia è anche questo pensare solo puro.      L’essere, l’immediato indeterminato, è in effetti nulla, e né più né meno di nulla.1

 ––––––       B.
      N u l l a .

      Nulla, il nulla puro;      è uguaglianza semplice a sé stesso, perfetta vuotezza, mancanza di determinazione e di contenuto;      indifferenziazione dentro lui stesso.  –   In quanto qui si può menzionare l’intuire o il pensare, fa differenza se si intuisca o si pensi qualcosa oppure nulla.      Intuire o pensare nulla ha dunque un significato;      il nulla è nel nostro intuire o pensare;      o meglio è l’intuire puro e il pensare puro stessi;      ed è lo stesso intuire vuoto o pensare vuoto che l’essere puro è.  –  Dunque il nulla è la stessa determinazione, o meglio la stessa mancanza di determinazione, e quindi in generale lo stesso che l’essere puro è.2

 ––––––      C.
      D i v e n i r e
      U n i t à  d i  e s s e r e  e  n u l l a

      L’essere puro e il nulla puro sono lo stesso3 .      La verità non è l’essere né il nulla, ma che l’essere è mutato  –  non «muta»  –  in nulla e il nulla in essere4.      Tuttavia la verità è ugualmente non la loro nondifferenza, anzi, che sono assolutamente differenti, ma altrettanto immediatamente ciascuno svanisce nel suo contrario5.      La loro verità è dunque questo moto dello svanire immediato dell’uno nell’altro:      il divenire, un moto in cui entrambi sono differenti, ma di una differenza che si è altrettanto immediatamente dissolta6.

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1 Pur nella sua brevità, il paragrafo attraversa tutti i tre momenti del micrometodo: l’essere è dapprima definito, poi falsificato dalla dialettica interna alla sua definizione, infine questa dialettica ha un risultato positivo, è già una nuova categoria. – 1. «Essere» qui non significa l’esserci delle cose mutevoli, cioè il loro imporsi all’intuizione, ma è la verità nella sua forma più semplice, più povera: la verità è l’uguaglianza di pensiero e realtà (adaequatio rei et intellectus), l'essere è questa uguaglianza astratta da ogni differenza; per la sua purezza non si riferisce ad altro che a sé stesso; ciò sembrerebbe garantirgli l’immobilità eleatica. – 2. L’essere è tuttavia corroso da una sua dialettica; esso si falsifica a causa della disuguaglianza contenuta proprio nella sua purezza; infatti questa da un lato lo protegge dalla contaminazione con il determinato che con la sua differenza turberebbe il semplice riferimento a sé, ma d’altro lato è sinonimo di vuotezza. Essendo puro, l’essere è indeterminato, ossia non-determinato; il determinato non è però semplice nulla, ma unità di negazione e essere; a causa di questo doppio significato, che l’essere sia indeterminato implica non soltanto che sia privo di negazione, ma anche che non abbia l’essere proprio della determinatezza. In altri termini: la determinatezza è un essere limitato; il negarla all’essere non soltanto gli toglie il limite, gli sottrae anche l’essere, ne fa un essere senza essere, dunque lo falsifica. – 3. In virtù del principio della negazione determinata, la dialettica è però anche speculazione, ossia la falsità per cui l’essere svanisce è già una nuova categoria, è la verità della sua negazione: l'essere è la negazione immediata dell'essere determinato, dunque non è l'essere, è il vuoto, il nulla. – Espresso in forma più generale, l'indeterminato è una determinatezza rispetto al determinato; come ogni determinatezza implica un’unità di differenti che sollecita la dialettica: proprio per la sua purezza l’essere è il suo negarsi, ma questo negarsi, come assenza della determinatezza, è in verità il nulla. Come si vede, il moto di regressione nel nulla non è aggiunto empiricamente alla quiete logica dell’essere – come volle credere Trendelenburg –, è invece la disuguaglianza propria dell’essere; il secondo significato della sua indeterminatezza si desta e mostra la non validità del primo; la contraddizione insita nella purezza dell’essere ne svela la nullità, questo svelarsi è però non solo svanire, ma anche mutamento in nulla. 

2 Mentre la dialetticità dell’essere parmenideo, pur avvertita da Platone ed Aristotele, ha dovuto attendere l’esposizione hegeliana, la dialetticità del nulla, come è proprio di ogni seconda fase del metodo, è posta immediatamente, e fu subito esposta al sorgere della filosofia dagli eleati. – Anche questo paragrafo attraversa tuttavia le tre fasi del micrometodo: 1. il nulla è dapprima una verità immediata: il nirvana buddistico è ispirato a questa sua immediatezza. 2. Poi emerge la sua dialettica: il nulla non è l’assurdo, ma in virtù della sua stessa indeterminatezza è determinato rispetto al determinato; ha significato perché il pensare (intuire) nulla è differente dal pensare (intuire) qualcosa di determinato; quindi il nulla è oggetto del pensiero, dell’intuizione; anzi, poiché nella logica non c’è più differenza tra soggetto e oggetto, è proprio il pensiero puro, l’intuire senza determinatezza. 3. Infine la dialettica si rovescia nella speculazione: poiché ha significato, il nulla è; il suo confutarsi è uno svanire che è nel contempo verità del non-essere del nulla, dunque verità dell'essere. – È verosimile che quando sostenne l’impensabilità del non-essere Parmenide abbia inteso questo suo immediato confutarsi in essere; egli però, oltre ad aver ignorato la dialetticità dell’essere, trascurò la verità del moto di confutazione del nulla e rilevò soltanto quella del suo risultato. – Come si vede, il moto del micrometodo (dogmatico, dialettico, speculativo) porta a un avanzamento dalla prima determinazione alla seconda; lo stesso moto porta a retrocedere dalla seconda alla prima, così che si forma la circolarità propria del macrometodo.

3 Il risultato del punto A. è che l’essere è il nulla, quello del punto B. è che il nulla è l’essere. Questi due risultati si riassumono nella proposizione per cui l’essere e il nulla sono lo stesso. Segue la sua analisi articolata, come al solito, nei tre momenti del micrometodo. Innanzitutto Hegel rileva il momento positivo della proposizione, ossia che l’essere e il nulla sono confutati, svaniti in una identità; il suo secondo momento è invece la loro differenza in questa loro identità, così la contraddizione all’inizio ancora latente si fa palese; il terzo momento esprime la realtà positiva della contraddizione palesata: l’inseparatezza dell’identità e della differenza di essere e nulla è il divenire.

4 Il primo momento della proposizione precedente è l’identità di essere e nulla: l’essere non è identico a sé, ma è il nulla, il nulla non è identico a sé, ma è l’essere; dunque essere e nulla non sono due cose, sono una cosa sola – un’identità in cui svanisce la differenza tra i soggetti della proposizione. – L’inciso “non «muta»” avverte che se ci si attenesse soltanto a questo primo momento e si riflettesse soltanto sull’identità di essere e nulla trascurando la loro differenza, il divenire, il mutamento, sarebbe non presente, ma già avvenuto. «L’essere è il nulla», «il nulla è l’essere» non equivalgono a «l’essere muta in nulla», «il nulla muta in essere»; le due prime proposizioni sono identità; poiché però sono anche identità tra opposti, esse sono non immediate, ma derivano da un identificare; il moto di identificazione è però avvenuto prima di queste proposizioni, ed esse ne sono soltanto il risultato; dunque in esse l’essere e il nulla non mutano, ma sono già mutati nel loro opposto.

5 Il secondo momento della proposizione «l’essere puro e il nulla puro sono lo stesso» nasce dal porre l’accento sulla differenza tra i soggetti. «L’essere puro» e «il nulla puro» della proposizione sono due soggetti posti esplicitamente come differenti; dunque la copula «sono» non esprime soltanto identità, ma l’identità di una differenza come tale. Così nella proposizione iniziale non c’è l’inerzia della tautologia, ma il movimento della contraddizione: la differenza è affermata nei soggetti e nel contempo negata nel predicato della loro identità. Ciò che quindi si presenta non è l'identità semplice di essere e nulla, ma l’identità come moto del confutarsi della loro differenza: c’è una differenza, ma questa differenza è uno svanire nell’identità. La verità non è tanto la falsità di essere e nulla, ma il loro falsificarsi l’uno nell’altro; essere e nulla non sono apparenze soggettive, ma momenti di un moto.

6 La difficoltà di questo passaggio è che esso, dopo aver focalizzato una contraddizione come tale, contrariamente alla prassi universale, non la lascia andare come se fosse un’inutile assurdità; la contraddizione è risultata dall’analisi di categorie universalmente ammesse e non può essere meno reale delle categorie da cui è derivata; la sua realtà è in effetti la categoria universalmente ammessa di divenire. Poiché è differenza tra essere e nulla e nel contempo è loro uguaglianza, il divenire è la contraddizione nella sua forma più immediata. – Aristotele ha enunciato l’impossibilità di ciò che si contraddice, intendendo con «l’impossibilità» l’assurdo, anziché il mutamento; eppure la contraddizione è riscontrabile in ogni divenire, e lo stesso Aristotele non esita a infrangere il suo principio nella sua geniale definizione del movimento. Essendo infatti al di qua della privazione e della forma, già la materia infrange il principio del terzo escluso e di conseguenza il principio di non-contraddizione; l’estraneità alla forma ne fa tuttavia una potenza; dunque la materia è la contraddizione ma soltanto come potenza non attuata. La definizione del movimento come «atto della potenza in quanto tale», poiché l’atto è la forma e la potenza la materia, può solo significare che il movimento consiste nella materia in quanto accoglie non soltanto una delle forme opposte (con una sola forma sarebbe non il movimento, ma il prima o il dopo del movimento), ma contemporaneamente entrambe le forme opposte, ossia che è la contraddizione come esistenza  
  
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