Da: https://fazieditore.it/catalogo-libri/come-loccidente-ha-provocato-la-guerra-in-ucraina
Prefazione di Luciano Canfora
Quando, nel 1961, lo storico britannico Alan John Percival Taylor (1906-1990) pubblicò Le origini della seconda guerra mondiale1 si sprigionò una bufera mediatica. I detrattori insorsero perché Taylor aveva, tra l’altro, sostenuto e argomentato tesi che in verità oggi non inquietano più nessuno: per esempio che i vincitori del primo conflitto mondiale, con la loro miope gestione della vittoria, avevano posto alcune non secondarie premesse del successivo conflitto mondiale. Perciò al principio dell’opera figurava un capitolo intitolato “L’eredità della prima guerra mondiale”. E merita attenzione, a questo proposito, la periodizzazione proposta da ultimo da Richard Overy: una «Grande guerra imperiale, 1931-1945»2.
Taylor, militante laburista e avversario della politica conciliante dei conservatori inglesi verso Hitler, non si lasciava intimidire dagli automatismi del “politicamente corretto”. Per esempio – a proposito di un altro scottante tema, sommerso da interpretazioni propagandistiche – argomentava lucidamente che nell’agosto 1939 l’unica strada praticabile per l’URSS – avversata dai governi occidentali, da quello tedesco e dalla Polonia – era il patto di non aggressione con la Germania: «È difficile vedere», scriveva Taylor nel capitolo conclusivo, «quale altra strada avrebbe potuto prendere la Russia sovietica»; e spiegava: «Poiché i polacchi rifiutavano l’aiuto sovietico e gli inglesi tiravano per le lunghe i negoziati a Mosca senza cercare sul serio di giungere a una conclusione, la neutralità, con o senza un atto formale, era il massimo cui la diplomazia sovietica potesse aspirare»3.
Come si sa, il “patto” del 23 agosto 1939 fu violato dai tedeschi meno di due anni più tardi, con l’attacco alla Russia del giugno 1941. Qualcosa di analogo è successo nel caso della recente guerra NATO-Russia che si sta combattendo sul territorio dell’Ucraina. Al momento del disfacimento del patto di Varsavia (1990), l’assicurazione, non formalizzata in accordo scritto (formulata dal segretario di Stato degli Stati Uniti James Baker a Gorbačëv), da parte statunitense e a nome della NATO, era stata che la NATO non avrebbe cercato di estendersi verso est. E invece nel volgere di pochi anni tutti gli Stati euro-orientali confinanti con la Russia (i Baltici) o con la Bielorussia (la Polonia) o con l’Ucraina (la Romania) – a tacere della fomentata crisi caucasica – divennero membri della NATO. Eppure non erano mancati appelli alla saggezza come, ad esempio, la lettera di George Kennan e Robert McNamara (giugno 1997) a Bill Clinton, che additava il rischio insito nell’espansione a est della NATO. Era un nuovo, pericoloso caso di gestione miope della vittoria: ovvero della vittoria della NATO, cioè di fatto degli Stati Uniti e dei loro più o meno docili satelliti, nella lunga guerra fredda (1947-1991). È in genere l’impulso a “stravincere” che innesca nuove guerre. La lezione del dopo-trattato di Versailles (1919- 1939), così efficacemente posta in luce da Taylor, non era servita a nulla. (E nemmeno esperienze più remote, come l’errore imperdonabile di Bonaparte nel 1812, che mirava a estendere, ancora una volta a est, l’egemonia: in quel caso, dell’impero francese).