domenica 20 marzo 2016

FRANCESCO VALENTINI, SOLUZIONI HEGELIANE* - Carla Maria Fabiani

"L'assoluto è fra noi", quest'espressione significa che le concezioni che fino a Hegel si sono avute dell'assoluto come di un qualcosa di non interamente dominabile dall'uomo, ormai sono comprese e, essendo comprese, liberano l'uomo dal timore che ci possa essere un qualcosa, un assoluto che lo trascenda o addirittura in qualche modo lo minacci. L'assoluto è fra noi, ma non per questo l'assoluto è compiuto; è cioè compiuta una concezione errata dell'assoluto, ma il sapere è un sapere sempre totalmente aperto. (F. Valentini)

                                http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/01/la-legge-la-liberta-la-grazia-remo_29.html ù
                                    http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/12/hegel-e-la-dialettica-remo-bodei.html
                                        http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/01/la-civetta-e-la-talpa-il-concetto-di.html
                                             http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/09/hegel-la-dialettica-valerio-verra.html
                                                  http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/03/hegel-e-la-sua-fenomenologia-fulvio-papi.html
                                                       http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/08/hegel-la-comprensione-dellintero-carlo.html
                                                            http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/05/hegel-il-sistema-antonio-gargano.html
                                                                 http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/04/soggetto-oggetto-commento-hegel-remo.html
                                                                      http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/05/del-ragionamento-dialettico-stefano.html
                                                                           http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/05/liberta-e-necessita-hegel-sartre.html
                                                                                http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/08/il-riconoscimento-in-hegel-carla-maria.html
                                                                                     http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/06/hegel-la-ragione-come-mondo-costantino.html
                                                                                           https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/07/il-senso-della-politica-francesco.html  
"La fenomenologia dello spirito nel pensiero si Hegel" - Francesco Valentini (https://www.teche.rai.it/1990/06/la-fenomenologia-dello-spirito-nel-pensiero-hegel/
 




Francesco Valentini, Soluzioni hegeliane, Milano, Guerini e Associati 2001 
*Da:  www.filosofia.it

L'oggettività è così quasi soltanto un involucro sotto il quale si trova nascosto il concetto. Nel finito non possiamo vedere o esperire che il fine viene veramente raggiunto. L'attuazione del fine infinito consiste così soltanto nel superare l'illusione che ancora non sia attuato. Il bene, ciò che è assolutamente bene, si compie eternamente nel mondo, e il risultato è che esso è già compiuto in sé e per sé, e non ha bisogno di aspettare noi. È questa l'illusione in cui viviamo e, al tempo stesso, è quest'illusione soltanto la forza operante su cui riposa l'interesse del mondo. [Soluzioni...p.233n] 

Torneremo, nel corso di questa breve recensione, sull'idea hegeliana del Bene e la sua genesi, seguendo il prezioso e limpido commento di Francesco Valentini. Emergerà, in chi si appresta a leggere Soluzioni hegeliane, l'esigenza di comprendere il pensiero di Hegel a partire da Hegel, e al contempo l'esigenza sarà pienamente soddisfatta. Sarà, per es., soddisfatta l'esigenza di chi voglia comprendere il realismo hegeliano, la soluzione offerta da Hegel al problema kantiano del Bene e della sua realizzazione; il lettore interessato, perciò, sospenda inizialmente il giudizio, se accogliere o meno le soluzioni proposte da Hegel, e segua fino in fondo la traccia che F. Valentini disegna così lucidamente attraverso tutta l'opera del filosofo. 

MARX dopo MARX, da Engels a Labriola.* - Renato Caputo

*Da:      Università Gramsci


Sindacalismo rivoluzionario di Sorel- il marxismo rivoluzionario di Lenin e il dibattito sull'eredità leninista: https://www.youtube.com/watch?v=MLe_0zBB5Lw

Il dibattito sull'eredità leninista - Stalin - Trockij - il marxismo nel Terzo Mondo - Introduzione a Gramsci:    https://www.youtube.com/watch?v=BS0rMehI-Wg

Antonio Gramsci: Quaderni del carcere. Introduzione a Jean Paul Sartre:    https://www.youtube.com/watch?v=jyP5a2Rycag

J. P. Sartre: La difficile sintesi fra marxismo ed esistenzialismo; Utopia e speranza: il marxismo di Ernst Bloch:    https://www.youtube.com/watch?v=VYMnbfnmxV8

Vedi lezioni precedenti:   http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/02/il-giovane-marx-renato-caputo_28.html

giovedì 17 marzo 2016

Il significato della supremazia bianca oggi. Racconto della conferenza di Angela Davis* - Coll. Militant

*Da:   http://www.militant-blog.org/

«Non sono più iscritta al partito comunista, ma sono ancora comunista». 

Questa una delle affermazioni di Angela Davis durante la lezione magistrale che ha tenuto lunedì scorso all’Università di Roma Tre. Parole decise, prive di ipocrisia e senza toni attenuati, pronunciate in risposta all’intervento polemico del germanista Marino Freschi, che – e la frecciatina anticomunista nelle sue affermazioni era palese – evidenziava i rapporti di Davis con Erich Honecker, segretario della Sed (il partito comunista della Repubblica democratica tedesca) e poi presidente della Ddr, e l’esistenza di una foto che la ritrae con sua moglie Margot. La foto in questione, che vede anche la presenza della cosmonauta sovietica Valentina Tereshkova, è del 4 agosto 1973, pochi giorni dopo la morte di Walter Ulbricht, fino ad allora presidente della Ddr con pochi poteri effettivi: Freschi non ha potuto fare a meno di fare un po’ di polemica, dicendo che Honecker aveva tenuto nascosta questa morte perché allora nella Ddr non si poteva dire la verità. La dichiarazione di Davis di essere ancora comunista e l’affermazione precedente sulla possibilità di un futuro socialista («Non solo perché non ci sono più paesi socialisti dobbiamo pensare che non ci sarà più un mondo socialista in futuro», ma andiamo a memoria) assumono, in questo contesto ufficiale, ancora più valore.

Queste parole, infatti, sono state pronunciate da Davis nell’aula magna della facoltà di Lettere dell’Università di Roma Tre, nel corso di un incontro ufficiale organizzato dall’istituzione universitaria. Le cinquecento poltrone dell’aula non sono bastate a contenere tutto il pubblico, composto in gran parte di compagne e compagne, e molti si sono seduti a terra o sono rimasti in piedi. Era la prima volta che quell’aula era così piena, come ha notato il rettore dell’Università Mario Panizza in una pantomima introduttiva in cui, probabilmente per fare bella figura con l’ospite straniera, invitava a continuare a leggere Marx.

A riempirla per la prima volta, a quanto pare, è dunque riuscita proprio Angela Davis: e ciò dimostra come la forza del suo esempio e di quello del Black Panther Party sia ancora forte tra i compagni. Militante del Partito comunista dal 1968 e, in seguito, del BPP (almeno fino a quando le pantere nere decisero che la militanza nell’organizzazione non era compatibile con quella in altri partiti e Davis scelse il partito comunista), a lungo imprigionata per “terrorismo” a causa soprattutto dei suoi rapporti con George Jackson, e poi liberata dopo una vastissima campagna internazionale, Angela Davis è oggi docente universitaria e attiva nel movimento Black Lives Matter (BLM): da molto tempo è impegnata nello studio delle interconnessioni tra classe, razza e genere e, negli ultimi anni, nella lotta per l’abolizione del carcere. Una figura di militante politica comunista importantissima, oggi come quarantacinque anni fa, a dispetto della scandalosa “breve biografia” pubblicata sul sito di Roma Tre, in cui la sua figura è stata quasi completamente depoliticizzata, la sua militanza ridotta a “coinvolgimento” (??) «nei movimenti per la giustizia sociale in tutto il mondo grazie al suo attivismo e al suo impegno decennale» e la sua persona presentata come una che «con il suo lavoro di educatrice – sia a livello universitario che nell’ambito pubblico più ampio – ha sempre sostenuto l’importanza di costruire comunità militanti per la giustizia economica, razziale e di genere» (con il suo lavoro di educatrice??). Una depoliticizzazione così ricercata che, nell’elenco delle sue pubblicazioni, è persino scomparsa la sua Autobiografia di una rivoluzionaria: forse il titolo sembrava troppo estremista. Una depoliticizzazione che fa il paio con l’intervista a Davis di Antonio Gnoli uscita su «Repubblica», che non ha saputo far meglio che chiedere alla militante afroamericana dei suoi incontri con Adorno e Marcuse, della musica, del suo giudizio sul post-moderno, della sua infanzia.

mercoledì 16 marzo 2016

Sull'uso capitalistico delle macchine nel neocapitalismo* - Raniero Panzieri


   "La stessa facilità del lavoro diventa un mezzo di tortura, giacché la macchina non libera dal lavoro l'operaio, ma toglie il contenuto al suo lavoro. E' fenomeno comune a tutta la produzione capitalistica in quanto non sia soltanto processo lavorativo, ma anche processo di valorizzazione del capitale, che non è l'operaio ad adoprare la condizione del lavoro ma viceversa, la condizione del lavoro ad adoperare l'operaio; ma questo capovolgimento viene ad avere soltanto con le macchine una realtà tecnicamente evidente. Mediante la sua trasformazione in macchina automatica il mezzo di lavoro si contrappone all'operaio durante lo stesso processo  lavorativo quale capitale, quale lavoro morto che domina e succhia la forza-lavoro vivente." (K. Marx, Il Capitale)


Lo sviluppo capitalistico della tecnologia comporta, attraverso le diverse fasi della razionalizzazione, di forme sempre più raffinate di integrazione ecc., un aumento crescente del controllo capitalistico. Il fattore fondamentale di questo processo è il crescente numero del capitale costante rispetto al capitale variabile. Nel capitalismo contemporaneo, come è noto, la pianificazione capitalistica si ampia smisuratamente con il passaggio a forme monopolistiche e oligopolistiche, che implicano il progressivo estendersi della pianificazione dalla fabbrica al mercato, all'area sociale esterna.

Nessun "oggettivo" occulto fattore, insito negli aspetti di sviluppo tecnologico o di programmazione nella società capitalistica di oggi, esiste, tale da garantire lì"automatica" trasformazione o il "necessario" rovesciamento dei rapporti esistenti. Le nuove "basi tecniche"via via raggiunte nella produzione costituiscono per il capitalismo nuove possibilità di consolidamento del suo potere. Ciò non significa, naturalmente, che non si accrescano nel contempo le possibilità di rovesciamento del sistema. Ma queste possibilità coincidono con il valore totalmente eversivo che, di fronte all'"ossatura oggettiva" sempre più indipendente del meccanismo capitalistico, tende ad assumere "l'insubordinazione operaia".

domenica 13 marzo 2016

La "Storia del marxismo" curata da Stefano Petrucciani* - Con una lettura di Roberto Finelli

*Da:   http://materialismostorico.blogspot.it/  


Obiettivo dei tre volumi della Storia del marxismo è tracciare una mappa delle molte avventure di pensiero che, a partire dal 1883, anno della morte di Marx, si sono dipanate prendendo le mosse dalla sua eredità. Ripercorrere quasi un secolo e mezzo di storia intellettuale, come i tre volumi cercano di fare, può essere utile anche per contestualizzare ciò che di nuovo si viene scoprendo, attorno alle questioni marxiane, nella ripresa di studi su Marx alla quale assistiamo da qualche anno. 




I. Socialdemocrazia, revisionismo, rivoluzione (1848-1945)
II. Comunismi e teorie critiche nel secondo Novecento
III.  Economia, politica, cultura: Marx oggi  




Stefano Petrucciani Manifesto 8.12.2015



   L’impatto che Karl Marx ha avuto sulla storia del XIX e del XX secolo è stato così forte da non poter essere paragonato a quello di nessun altro pensatore. Solo i fondatori delle grandi religioni hanno lasciato alla storia del mondo una eredità più grande, influente e persistente di quella che si deve al pensatore di Treviri. Ma per capire che tipo di influenza ha avuto la figura di Marx sulla storia del suo tempo e di quello successivo, bisogna mettere a fuoco un aspetto che concorre con altri a determinarne la singolarità: l’attività di Marx si è caratterizzata per il fatto che Marx è stato al tempo stesso un pensatore e un organizzatore/leader politico, e di statura straordinaria in entrambi i campi. Notevolissima è stata la ricaduta che le sue teorie hanno avuto sul pensiero sociale, filosofico e storico, ma ancor più grande, anche se non immediato, è stato l’impatto che la sua attività di dirigente politico (dalla stesura del Manifesto del Partito Comunista alla fondazione della Prima Internazionale) ha lasciato alla storia successiva. 

Certo, una duplice dimensione di questo tipo non appartiene solo a Marx: la si può anche ritrovare in grandi leader che furono suoi antagonisti, da Proudhon a Mazzini a Bakunin. Ma in Marx entrambe le dimensioni, quella della costruzione teorica e quella della visione politica, attingono una potenza che manca a questi suoi pur importanti antagonisti. Sul piano della organizzazione politica dall’attività di Marx sono infatti derivati, nel tempo e attraverso complesse mediazioni, i partiti socialdemocratici e poi quelli comunisti che hanno inciso così largamente nella storia del Novecento. Sul piano teorico, invece, Marx ha influenzato, e continua a segnare ancora oggi, una parte non trascurabile della cultura che dopo di lui si è sviluppata.

La forza degli inediti 

Un aspetto di questa duplice eredità di Marx è stato proprio quello che si suole definire «marxismo». Anche la realtà politico-culturale che si designa con questo termine è stata qualcosa di assai singolare perché ha avuto una duplice natura: da un lato è stata una corrente culturale presente in modo più o meno intenso nei vari ambiti disciplinari, dall’altro è stata anche il riferimento «statutario» di partiti e organizzazioni politiche (socialiste o comuniste): cosicché le discussioni sul marxismo per un verso si sono dipanate come un libero dibattito culturale, per altro verso sono state un elemento della lotta politica tra frazioni e gruppi all’interno del movimento operaio e dei suoi partiti. 

Ma che rapporto c’è tra il pensiero Marx e il «marxismo»? Un primo aspetto che deve essere messo a fuoco, se si vuole ragionare su questo punto, è che la conoscenza e la diffusione dell’opera di Marx è stata, durante la sua vita e nel tempo immediatamente successivo, decisamente molto limitata. Anzi si potrebbe dire che, su questo tema, viene alla luce una sorta di contraddizione. Colui che è divenuto la fonte ispiratrice di un «ismo», e cioè di qualcosa che comporta inevitabilmente una certa dogmatizzazione, aveva con la propria opera un rapporto decisamente molto critico e problematico. 

venerdì 11 marzo 2016

Dialoghi di profughi IV* - Bertolt Brecht


IL MONUMENTO AL GRANDE POETA KIVI. – I POVERACCI VENGONO EDIFICATI ALLA VIRTU’. – PORNOGRAFIA.

In una bella giornata Ziffel e Kalle fecero un po’ di strada insieme, conversando. Attraversarono la piazza della stazione e si fermarono dinanzi a un gran monumento di pietra che rappresentava un uomo seduto.

ZIFFEL         Questo è Kivi, di cui tutti dicono che bisognerebbe leggere qualcosa.

KALLE          Deve essere stato un buon poeta, però è morto di fame. Il poetare non gli ha fatto bene alla salute.

ZIFFEL         Ho sentito dire che qui fa parte dei costumi del paese che i migliori poeti muoiano di fame. C’è tuttavia qualche eccezione, visto che alcuni si dice siano morti alcolizzati.

KALLE          Vorrei sapere perché l’hanno messo lì a sedere davanti alla stazione.

ZIFFEL         Probabilmente come esempio ammonitore. Loro ottengono tutto con le minacce. Lo scultore ha il senso dell’umorismo: gli ha dato infatti uno sguardo trasognato, come se stesse sognando una crosta di pane a sua piena disposizione.

KALLE          Però ci sono anche artisti che hanno detto al pubblico quel che ne pensavano.

ZIFFEL         Si, ma per lo più in forma poetica, o comunque poco chiara. Questo mi fa ricordare la storiella, che ho letto una volta da qualche parte, dell’uomo nell’altra stanza. Una donna, dunque, aveva una relazione con un tizio che chiameremo Y e che in fondo disprezzava, e un altro uomo – chiamiamolo X – era venuto a saperlo. Ora, poiché ci teneva alla stima di costui, arrangiò le cose in  modo tale che, una volta che era a letto con Y, l’altro si trovasse nella stanza accanto e potesse sentir bene tutto. Il suo piano era basato sul fatto che X udiva, ma non vedeva. Y era ormai un po’ freddo con lei, sicché bisognava che lei lo eccitasse. Per esempio quella si aggiusta il reggicalze, e Y vede benissimo, e nello stesso tempo gli dice qualcosa di sprezzante, e X sente benissimo. E così va avanti. Gli si butta addosso, e intanto geme «giù le mani!»; gli mostra il didietro, e rantola «non mi lascio violentare», si mette prona, puntellando il corpo con le ginocchia, e grida «porco!»: e Y vede, e X sente, e la dignità della donna è salva. Un caso simile era quello di un poeta che declamava in un cabaret, e prima andava sempre in cortile a insudiciarsi le scarpe, perché il pubblico vedesse che per la sua bella faccia non si puliva nemmeno le scarpe.

mercoledì 9 marzo 2016

Friedrich Engels, La situazione della classe operaia in Inghilterra* - Gabriella Giudici



 "Operai!
  a voi dedico un’opera nella quale mi sono sforzato di presentare ai miei compatrioti tedeschi un quadro fedele delle vostre condizioni, delle vostre sofferenze e lotte, delle vostre speranze e prospettive.

  Ho vissuto abbastanza a lungo tra voi per avere una certa conoscenza delle vostre condizioni d’esistenza, al cui studio ho dedicato la più seria attenzione, esaminando i vari documenti ufficiali e non ufficiali, nella misura in cui sono riuscito a procurarmeli. Ma non mi sono accontentato di questo: volevo qualcosa di più della semplice conoscenza astratta del mio soggetto, volevo vedervi nelle vostre stesse case, osservarvi nella vostra vita di tutti i giorni, discorrere con voi sul vostro stato e sui vostri tormenti, essere testimone delle vostre lotte contro il potere sociale e politico dei vostro oppressori.
Ho fatto così, ho rinunciato alla compagnia e ai trattenimenti, al vino di Porto e allo champagne delle classi medie, ho dedicato le mie ore libere quasi esclusivamente a frequentare semplici operai; sono insieme contento e fiero di averlo fatto. Contento, perché in tal modo sono stato indotto a trascorrere piu di un’ora felice, imparando a conoscere la realtà della vita, ore che altrimenti sarebbero state dissipate in conversazioni mondane e in tediosi cerimoniali; fiero, perché ho avuto cosi la possibilità di rendere giustizia ad una classe oppressa e calunniata di uomini che, con tutti i loro difetti e in mezzo a tutti i disagi della loro situazione, si impongono tuttavia al rispetto di chiunque non sia un affarista inglese.

  […] avendo ampia occasione di osservare le classi medie, vostre avversarie, ben presto sono giunto a concludere che voi avete ragione, perfettamente ragione, di non aspettarvi alcun appoggio da esse. I loro interessi sono diametralmente opposti ai vostri, sebbene esse cerchino sempre di sostenere il contrario e di farvi credere che nutrono la più fervida simpatia per la vostra sorte. […] Hanno fatto forse qualcosa di più che pagare le spese di una mezza dozzina di commissioni d’inchiesta, i cui voluminosi rapporti sono condannati a dormire in perpetuo tra cataste di cartacce negli scaffali del Home Office? Hanno almeno tratto da questi libri azzurri che stanno ammuffendo un solo libro leggibile, dal quale ognuno possa attingere con facilità qualche informazione sulle condizioni della grande maggioranza dei « liberi britanni »? Non son stati essi a farlo, naturalmente; queste sono cose delle quali non amano parlare.

  Hanno lasciato a uno straniero il compito di informare il mondo civile sulla situazione degradante nella quale siete costretti a vivere. Uno straniero per loro, non per voi, spero: il il mio inglese non sarà perfetto, ma spero che voi tuttavia, lo troverete chiaro. Nessun operaio in Inghilterra mi ha mai trattato da straniero. Con grande gioia ho osservato che voi siete immuni da quella terribile maledizione che sono i pregiudizi e l’orgoglio nazionali che oltretutto non sono altro che egoismo all’ingrosso. Ho osservato che voi simpatizzate seriamente con chiunque dedichi le proprie forze al progresso umano – sia o no inglese – che ammirate ogni cosa grande e buona, sia essa germogliata o no sul vostro suolo, ho trovato che siete qualcosa in più che inglesi puri e semplici, siete uomini […] i quali sanno che i propri interessi coincidono con quelli di tutto il genere umano.

  E come tali, come membri di questa famiglia dell’umanità «una e indivisibile», come esseri umani nel senso più pieno della parola, io, e molti altri sul continente, plaudiamo al vostro progresso in tutte le direzioni e vi auguriamo un rapido successo. Andate avanti come avete fatto finora. Molte cose ancora ci saranno da affrontare, siate decisi, siate impavidi, il vostro successo è certo e nessun passo da voi compiuto nella vostra marcia in avanti sarà perduto per la nostra causa comune, la causa dell’umanità!."

Barmen (Prussia renana), 15 marzo 1845 


martedì 8 marzo 2016

La storia dell'8 marzo...* - Giovanna Vertova




Mi piacerebbe qui ricordare la storia della Giornata Internazionale delle Donne (GID), affinché si impari a distinguere questa dalle cosiddette “feste” (festa della mamma, festa del papà, san valentino, ect.) che sono state inventate per puro spirito di consumismo. La GID non è una “festa” ma una  giornata di memoria. La storia della GID è legata a tutte quelle rivendicazioni per il lavoro, per il voto, per l’istruzione, per la possibilità di occupare posizioni pubbliche, per porre fine alle discriminazioni, portate avanti dalle donne agli inizi del 1900.

Ed è una storia lunga! Cercherò qui di riassumerla brevemente.

Nel 1908, 15.000 donne marciarono nella città di New York per chiedere l’accorciamento della giornata lavorativa, paghe migliori e il diritto di voto.

Nel 1909, con la Dichiarazione del Partito Socialista d’America, la prima GID venne celebrata negli Stati Uniti. La data era il 28 febbraio.

Nel 1910, a Copenhagen, durante la conferenza dell’Internazionale Socialista Clara Zetkin (figura prominente del movimento internazionale dei lavoratori, spartachista e tra i fondatori del Partito Comunista tedesco) propose che, ogni anno, in ciascun paese, si celebrasse una GID. La Conferenza, composta da donne di più di 17 paesi, che militavano attivamente in sindacati, in partiti socialisti e comunisti, in gruppi di lavoratrici, accettarono all’unanimità la proposta della Zetkin. Ma nessuna data venne proposta.
Il 19 marzo 1911, a seguito della decisione presa a Copenhagen, la prima GID venne celebrata in Austria, in Danimarca, in Germania e in Svizzera.

Meno di una settimana dopo avvenne il tragico fatto del “Triangle Fire”. Il 25 marzo 1911 scoppiò un incendio nella Triangle Shirtwaist Company di New York (che era una fabbrica di abbigliamento). Questo incendio fu un evento significativo perché portò alla ribalta le disumane condizioni di lavoro dell’industrializzazione statunitense. La Triangle Waist Company era una tipica fabbrica “del sudore” nel cuore di Manhattan dove regnavano bassi salari, ore di lavoro lunghissime, condizioni di lavoro malsane e pericolose.
Verso l’ora di chiusura scoppiò un incendio accidentale. Poiché era un periodo di agitazioni operarie, i proprietari avevano chiuso a chiave le porte, per impedire che le operaie potessero uscire a scioperare. A seguito dell’incendio morirono 146 donne (delle 500 dipendenti), quasi tutte immigrate italiane ed ebree, in parte bruciate e soffocate e in parte per essersi buttate dalle finestre nel tentativo di scappare.

Le lavoratrici sopravvissute raccontarono dei loro inutili sforzi per aprire le porte del nono piano per accedere alle scale e poter, così, sfuggire all’incendio. Altre lavoratrici aspettarono vicino alle finestre che i pompieri venissero a salvarle, solo per scoprire che le scale dei pompieri erano troppo corte e non riuscivano a raggiungere i piani dove si trovavano loro. Subito dopo l’incendio si alzarono voci di protesta, scioccate per la scarsa preoccupazione delle condizioni delle lavoratrici e per l’avidità che aveva permesso tutto ciò. Entro un mese dall’incendio, il governatore dello stato di New York designò una commissione per indagare sull’evento. Per 5 anni questa commissione condusse una serie di inchieste il cui risultato fu l’approvazione di una legislazione sulla sicurezza nelle fabbriche. 

Nonostante, quindi, non ci sia alcun rapporto tra questi fatti e l’8 marzo, questo evento attirò l’attenzione sulle condizioni di lavoro delle donne negli USA.

Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale delle donne russe, che manifestavano per la pace, celebrarono la loro prima GID (era il 13 febbraio).

Nell’ultima domenica di febbraio del 1917, sempre delle donne russe iniziarono uno sciopero per “il pane e la pace” come risposta ai 2 milioni di soldati russi morti in guerra. La data di inizio dello sciopero era il 23 febbraio nel calendario Giuliano, che corrisponde all’8 marzo in quello gregoriano.

Ecco fissata la data per la GID. La GID quindi non è una “festa”, ma la celebrazione delle lotte delle donne, fatte di sudore e di sangue, per la rivendicazione dei loro diritti.

Purtroppo, negli ultimi decenni, si è persa questa memoria storica.

Oggi si vive nell’illusione che le disuguaglianze tra donne e uomini siano sparite. Certo, sempre più donne entrano nel mondo del lavoro, e, certo, la legislazione per la parità ha fatto passi da gigante dai primi decenni del 1900.

Tuttavia, le disuguaglianze persistono ancora oggi. Nel mondo del lavoro, le donne subiscono una segregazione verticale (glass ceiling), cioè la difficoltà di raggiungere le posizioni apicali della carriera; una segregazione orizzontale, cioè le donne occupate sono concentrate in alcuni settori e/o professioni ritenute, socialmente e culturalmente, “femminili”; il gender pay gap, cioè differenze retributive anche a parità di lavoro; maggior flessibilità, cioè la maggior parte dei contratti atipici riguarda le donne.

Nella vita privata, ancora oggi le donne svolgono la maggior parte del lavoro di cura non pagato, rendendo difficile, per loro e solo per loro, la conciliazione tra lavoro pagato fuori casa e lavoro non pagato in casa.

Nella vita pubblica, ancora oggi le donne sono poco presenti.
Inoltre, rimane l’annoso problema della violenza sulle donne che nessuna istituzione pubblica italiana vuole cercare di risolvere.

La memoria storica dovrebbe servirci per ricordare la strada fatta dalle donne ma, soprattutto, quella che c’è ancora da fare. 

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8 marzo giornata internazionale di lotta delle donne proletarie, dovrebbe essere.

Mi sono riletta quello che scrissi anni fa sulle donne -Lecce, 9 marzo 2000 – 3 Marzo 2001 -

Che la situazione non solo delle donne ma di tutti gli esseri umani sia peggiorata mi pare inconfutabile. Intanto rispetto a quello che dicevo una cosa mi colpisce. che oggi non si è solo uomini o donne, omosessuali e lesbiche ma si è anche LGBT.

A parte il fatto, orrendo per me. di mettere i cartellini agli ESSERI UMANI, c’è il fatto che le gente (non le persone) sono orgogliose di essere stampigliate e di ridurre il loro essere in una sigla.

(Tra)lasciando considerazioni di ordine etico che potrebbero essere fatte in merito, resta il dato di fatto che si va verso ulteriori frammentazioni, che ogni categoria pensa al problema suo, e ogni categoria rivendica qualche diritto del cazzo allo Stato, diritto del cazzo, perchè nella società capitalista, tutti siamo merce : il diritto è del più forte, cioè del capitale che ha i mezzi di produzione e se ti concede un diritto te lo concede perché gli è conveniente, perché remunerativo per lui capitale, altrimenti , nisba!

Redditiva oggi e la “festa” delle donne: il mercatino dello strausato non solo delle frasi fatte e dei cioccolatari e dei fioristi, ma pure degli sproloqui della retorica del cazzo di mezzi di informazione e di politicanti di tutti i generi, almeno una volta avevamo intellettuali borghesi che parlavano senza montarsi la testa! Stamani mi sono svegliata al suono di “son la mondina son la sfruttata” bene, si sono appropriati anche di questa che era una canzone delle donne SFRUTTATE IN LOTTA, se non c’è lotta, si può anche cantare….

Rileggendo quelle notarelle e le varie esperienze di donne riportate , una cosa è chiara che la situazione è ulteriormente peggiorata e che ora i salari sono diminuiti e lo sfruttamento è peggiorato, per tutti, e quindi le donne
per la condizione di doppio sfruttamento in famiglia e nella società scontano un prezzo maggiorato di infelicità e sfruttamento : guardate i dati di violenza e uccisioni di donne come sono aumentati in modo esponenziale.


Per me questo giorno resta sempre il giorno di LOTTA INTERNAZIONALE DELLE DONNE PROLETARIE CONTRO LO SFRUTTAMENTO CAPITALISTA. ANCHE CON L’AMAREZZA CHE ORMAI NON C’E DI FATTO UN PROLETARIATO, MA UN Lumpenproletariat diffuso.
vittoria L’Avamposto degli Incompatibili 




lunedì 7 marzo 2016

RELIGIONE, FONDAMENTALISMI, VIOLENZA* - Alessandra Ciattini

*Da:       http://www.lacittafutura.it/ 


 Cominciamo con chiederci: cos'è la religione? Tale risposta ci fornirà indizi per comprendere come dalla problematica religiosa germoglino talvolta violente manifestazioni di intolleranza, assai preoccupanti perché la guerra odierna si fonda su un raffinato armamentario tecnologico altamente distruttivo. Cercheremo di illustrare, poi, le diverse forme del fondamentalismo, mostrando che non è un fenomeno esclusivamente islamico e che, se da sola la religione non può scatenare le guerre, tuttavia, può giocare in esse un ruolo importante e decisivo.


L'ascesa del cosiddetto Stato Islamico e lo spazio che esso occupa nella cultura massmediatica contemporanea rendono urgente una riflessione equilibrata e ponderata sulla relazione tra tre elementi, spesso sbrigativamente interconnessi a fini demagogici: religione, fondamentalismi, violenza. 

Questa riflessione non può non prendere le mosse da una questione di non poco conto, che la cultura massmediatica nemmeno si pone: cosa è la religione? Come la definiamo? La risposta a questa domanda non è facile, giacché in primo luogo nella nostra società e cultura la religione è tout courtidentificata con il cristianesimo e considerata la massima espressione dell'eticità e della spiritualità, come se tali aspetti non fossero anche presenti ed operanti in altre forme di attività pratica e intellettuale, come per esempio la riflessione scientifica.

Se si prendono in considerazione le varie opere, anche monumentali, dedicate al tema della riflessione sulla religione, anche scorrendo solo l'indice, ci si renderà conto che non c'è un'unanimità di punti di vista tra gli studiosi dell'argomento, e che le risposte date alla domanda sopra formulata sono assai diverse, in funzione anche degli aspetti specifici che vengono posti in risalto da questi ultimi. Questa diversità di impostazione, del resto riscontrabile nei diversi ambiti delle scienze umane, non deve impedirci di prendere posizione, chiarendo ovviamente le ragioni che stanno alla base della prospettiva teorica che si intende scegliere. Ovviamente la natura di questo breve intervento mi impedisce di approfondire in maniera soddisfacente il senso di tali ragioni e di illustrare i vantaggi interpretativi ed esplicativi della prospettiva da me proposta. Aggiungo che la mia definizione di religione non è assolutamente nuova e si limita a cercare di integrare in maniera implicita prospettive diverse tra loro, ma non contraddittorie.

sabato 5 marzo 2016

Rosa Luxemburg*- Edoarda Masi


 Scritto per il convegno internazionale “Una candela che brucia dalle due parti. Rosa Luxemburg e la critica dell’economia politica” (organizzato da Riccardo Bellofiore, 16-18 dicembre 2004, Università degli studi di Bergamo). 


I rivoluzionari, specie comunisti, vengono oggi comunemente rappresentati come gente di ferro, senza anima, oppure come fanatici: comunque spietati e disumani, combattenti per principi astratti e lontani dalla concreta reale vita degli individui – i soli apparentemente privilegiati dalle ideologie correnti. Qualora si tratti di donne, ovviamente le si rappresenta prive di quanto genericamente (e spesso impropriamente) vien definito femminilità. 

Leggo sul numero dello scorso 14 ottobre della Far Eastern Economic Review una recensione, di Jason Overdorf, del romanzo autobiografico War Trash di Ha Jin, dove si dice «[Yu, il protagonista] più osserva le decisioni dei dirigenti del partito nel campo – per esempio, lotte simboliche per sventolare la bandiera cinese – più arriva a credere che la loro fede non lascia spazio all’umanità. ‘Ero ambivalente sul tentativo di recuperare la bandiera’. Yu riflette: ‘Da un lato, ammiravo il coraggio mostrato dai nostri uomini, e per un verso ero colpito da reverente timore per la loro passione e per l’audacia che – dovevo ammetterlo – io non possedevo. Dall’altro lato, mi chiedevo se valesse la pena di perdere la vita di un uomo per una bandiera che, per quanto simbolica, era solo un pezzo di stoffa.’ Rendendo esplicito il sorprendente parallelo fra fervente comunismo e fanatismo religioso, Yu conclude: ‘Avevo notato una sorta di fanatismo religioso in alcuni di quegli uomini, capaci di rinunciare alla loro vita per un’idea’». 

La mozione che nella difesa dell’individuo anche al livello minimo implica una rivendicazione di umanità contro la mistificazione delle grandi idee, religiose o laiche, ha una valenza positiva e anzi rivoluzionaria ogni qual volta quanti sono in possesso degli strumenti di dominio, valendosi strumentalmente e falsamente delle grandi idee, mirano ad assoggettare gli individui per altri fini. Un grande significato positivo ha avuto una simile mozione al tempo della prima guerra mondiale, quando le bandiere dei vari patriottismi venivano sventolate a coprire la carneficina promossa da quelli che Lenin chiamò “i briganti coronati” e gli sporchi interessi di cui erano rappresentanti. Ma allora contro il patriottismo – valido in tempi precedenti e ormai esaurito, la cui bandiera era divenuta effettivamente solo un pezzo di stoffa – la difesa degli individui si accompagnava all’affermazione di valori altri e più alti, assunti da moltitudini associate nella lotta; portatrici di nuove bandiere: di nuove idee, corrispondenti alle esigenze reali del tempo, e tali da motivare, nuovamente, anche il sacrificio dei singoli individui che in esse si riconoscevano: non una menzogna al fine della propria dipendenza ma uno strumento per la propria affermazione. 

Reddito minimo: i problemi aperti* - Antonella Stirati


L’obiettivo di un reddito di cittadinanza è non solo poco realistico, ma anche poco interessante, mentre quello di un reddito minimo garantito, inteso come una riforma di ampliamento del welfare, è auspicabile, ma difficilmente sostenibile se non si associa a politiche di pieno impiego[1]. Non a caso, i bassi tassi di occupazione che esistono in Italia rappresentano un ostacolo molto serio alla realizzazione di un reddito minimo garantito di tipo universalistico.

Esiste una grande varietà e articolazione di proposte che possiamo a grandi linee classificare a seconda del modo prevalente di concepire il reddito minimo:
– Garanzia di un reddito a chi non ha un lavoro (più ampia)
– Strumento di lotta alla povertà attraverso una rete di protezione minima che garantisca un reddito minimo ‘di sussistenza’ (più restrittiva)

Consideriamo la prima concezione. Questo strumento non dovrebbe sostituire cassa integrazione e sussidi di disoccupazione già esistenti e basati sulla contribuzione obbligatoria.[2] Il reddito garantito dovrebbe quindi rivolgersi a) a chi ha esaurito o non ha accesso a quei due strumenti; b) alle persone in cerca prima occupazione.

Questo può essere fatto:

1) in modo universalistico: tutti coloro che non hanno una occupazione con unica condizione la disponibilità ad accettare le proposte di lavoro (con regolare contratto e coerenti con il proprio profilo professionale) e che passano per appositi uffici di collocamento.

2) Non solo in base alle condizioni precedenti ma anche sulla base di condizioni di bisogno economico.
In via di principio la prima sarebbe preferibile per varie ragioni: l’universalità è garanzia contro distorsioni legate a clientelismo, corruzione o evasione fiscale, i costi di gestione sono minori; ed anche in via di principio la garanzia di un reddito dovrebbe riguardare tutti anche, ad esempio, giovani provenienti da famiglie che non sono povere ma che ambiscono ad una autonomia dalla famiglia di provenienza. Ma è sostenibile?

venerdì 4 marzo 2016

INTERPRETARE HEGEL (per) INTERPRETARE MARX - Stefano Garroni


Per una migliore fruizione audio/video si consiglia di modificare le impostazioni del video (velocità 1,25 - qualità auto 360)




giovedì 3 marzo 2016

Capire un sistema monetario: Gold Standard, Dollar Standard, Euro - Marcello De Cecco

Leggi anche:   http://www.emilianobrancaccio.it/2016/03/04/marcello-de-cecco-la-lucida-eresia-di-un-protezionismo-moderato/

Moneta unica (corso dei cambi)* - Gianfranco Pala

*Da:   http://www.gianfrancopala.tk/    (http://www.contraddizione.it/quiproquo.htm)
L’OMBRA DI MARX - estratti da “piccolo dizionario marxista” contro l’uso ideologico delle parole 


Sono ormai tanti gli anni di liturgiche litanìe passati intorno all’altare di Maastricht – tra vicissitudini varie, crisi reali e bolle speculative, en­trate e uscite dal serpentesco sistema monetario europeo, e tante altre amenità che certo non dipendono dai protocolli di Maastricht, i quali ne sono semmai solo un effetto. I cosiddetti “parametri di convergenza”, scritti in tedesco dai rappresentanti del grande capitale monopolistico finanziario a base europea, costituiscono il simulacro dietro il quale si celano i governi nazionali. La real­tà è tutta un’altra cosa. Tra l’altro perché essa procede per suo conto, antici­pando scadenze e slittamenti convenuti in via istituzionale. Una delle cerimonie più seguite è quella della Uem, riguardante l’unione mo­netaria europea, che ha come rito simbolico il segno della “moneta unica”. Appunto quella moneta segno, come anche Marx intese chiamarla, che con­venzionalmente caratterizza la denominazione del denaro che circola su un mercato nazionale. Proprio di questo si tratta, e quel mercato nazionale è ora il mercato unico della “nazione” europea. E come tale la questione va consi­derata.

Il passaggio da un mercato locale a un mercato nazionale è un processo stori­co che ha i suoi tempi definiti dall’allargamento della produzione e dell’accu­mulazione in quell’area. La storia della nascita e dell’ascesa del capitalismo inglese costituisce un utile insegnamento. E così quella del passaggio dal mercato nazionale inglese al mercato mondiale dell’ottocento, per il movi­mento delle merci, prima, e dei capitali britannici, poi. In un’epoca in cui, pu­re, era più immediato il riferimento al tallone aureo (gold standard), l’affermazio­ne della sterlina come moneta rappresentativa del denaro universale sul mercato mondiale si basava unicamente sulla capacità di dominio e accentra­mento unificante del capitale inglese sulla via dell’imperialismo.

Così stanno le cose per l’euro oggi. [Occorrerebbe rammentare le determina­zioni di “denaro”, in quanto merce, valore, distinte da quelle di “moneta”, se­gno e simbolo di una misura di valore predeterminata, insieme alle forme di passaggio da moneta locale a moneta nazionale, ossia da moneta “nazionale” a moneta europea. Ma è un’analisi più lunga da svolgere in altro momento]. Se si considera l’Europa come una “nazione” il cui mercato è in formazione, conseguentemente occorre analizzarne le componenti e le forme dominanti. Dunque, serve valutarne le tendenze e i tempi di effettiva integrazione. Tali tendenze e tempi non tengono in alcun conto le vicissitudini dei compromessi politici e delle rappresentazioni ideologiche. Seguono piuttosto le fasi della crisi, in maniera che gli slittamenti e i ritardi del processo di formazione del mercato unico corrispondano alle difficoltà della ripresa del ciclo di accumu­lazione del capitale. Nel frattempo i rapporti reali della produzione si consoli­dano e fanno prevalere chi ha più forza.

mercoledì 2 marzo 2016

"Non è finita finché non inizia a cantare la cantante grassa". Di cosa dovremmo parlare quando parliamo dei paesi europei - Riccardo Bellofiore



Il teorema dell'orcio della vedova (le equazioni macroeconomiche del profitto): mentre le famiglie (o salariati) spendono ciò che guadagnano, le imprese (o capitalisti) guadagnano ciò che spendono. 

martedì 1 marzo 2016

La responsabilità sociale del filosofo* - György Lukács

*Da:    https://gyorgylukacs.wordpress.com/2016/02/21/la-responsabilita-sociale-del-filosofo/


[Die soziale Verantwortung des Philosophen, 1960 ca., inedito, trad. it. Vittoria Franco, in G. L., La responsabilità sociale del filosofo, Pacini Fazzi, Lucca 989]

Devo scusarmi subito in apertura se arriverò a rispondere alla questione solo dopo lunghi giri. Primo, [perché] mi sembra che la questione in sé non sia stata finora sufficientemente chiarita. Secondo, e più importante, perché scorgo nella situazione attuale problemi del tutto particolari, che rinviano oltre una specificazione normale della questione generale e la cui analisi soltanto consente teoricamente una risposta concreta.

I nostri ragionamenti devono dunque culminare nelle due questioni seguenti, fra di loro strettamente connesse: esiste una responsabilità specifica del filosofo, che va oltre la responsabilità normale di ogni uomo per la propria vita, per quella dei suoi simili, per la società in cui vive e il suo futuro? E inoltre: tale responsabilità nella nostra epoca ha acquistato una forma particolare? Per la teoria dell’etica, entrambe le questioni implicano il problema se la responsabilità contenga un momento storico-sociale costitutivo. È un interrogativo che va posto subito all’inizio, giacché proprio l’etica moderna, specialmente quella che si è sviluppata sotto l’influenza di Schopenhauer prima e di Kierkegaard poi, pone l’accento sul fatto che il comportamento etico dell’individuo «gettato» nella vita mira proprio a tenersi lontano da tutto ciò che è storico-sociale per pervenire all’essere ontologico, in contrapposizione netta a tutto l’essente. È ovviamente impossibile trattare qui, sia pure per grandi linee, tutto questo complesso di problemi. Possiamo occuparci solo di quegli aspetti che riguardano oggettivamente il nostro problema.

lunedì 29 febbraio 2016

Dialoghi di profughi III* - Bertolt Brecht

Da:    https://www.facebook.com/notes/maurizio-bosco/dialoghi-di-profughi-iii-bertolt-brecht/10151248291278348?pnref=story
Cos'è "Dialoghi di Profughi":    http://www.controappuntoblog.org/2013/10/18/quando-si-parla-di-umorismo-io-penso-sempre-al-filosofo-hegel-fluchtlingsgesprache-dialoghi-di-profughi-brecht-bertolt/


DELL’ESSERE INUMANO. – MODESTE ESIGENZE. - DELLA SCUOLA. – HERRNREITTER.


Ziffel andava quasi ogni giorno al ristorante della stazione, perché nel vasto locale c’era un piccolo chiosco di tabacchi, e ogni tanto, a periodi irregolari, compariva una ragazza, con un paio di scatole sotto il braccio, apriva e poi per dieci minuti vendeva sigari e sigarette. Ziffel aveva già in tasca un capitolo delle sue memorie e spiava l’arrivo di Kalle. Poiché questi per una settimana non venne, Ziffel già cominciava a pensare di avere scritto quel capitolo inutilmente, e abbandonò il lavoro. A H. non conosceva nessuno, tranne Kalle, che parlasse tedesco. Ma al decimo o undicesimo giorno Kalle ricomparve e non mostrò alcun segno particolare di spavento quando Ziffel tirò fuori il suo manoscritto.


ZIFFEL          Incomincio con una introduzione nella quale faccio presente, in tono dimesso, che le opinioni ch’io intendo esporre erano ancora, almeno fino a poco tempo fa, le opinioni di milioni di uomini, sicché è impossibile che siano proprio del tutto prive di interesse. Salto l’introduzione, e anche un altro pezzetto, e passo subito all’analisi dell’educazione di cui ho goduto. Questa analisi, infatti, mi sembra assai istruttiva, e qua e là veramente eccellente. Si chini un po’ verso di me, in modo da non essere disturbato dal baccano che c’è qui. (Legge) “So che la bontà delle nostre scuole viene spesso messa in dubbio. Il mirabile principio su cui si fondano non viene riconosciuto o apprezzato. Esso consiste nell’introdurre immediatamente il giovane, in tenerissima età, nel mondo così com’è. Senza tanti preamboli, senza fargli molti discorsi, viene gettato in un sudicio stagno: nuota o ingoia fango!

Ur-Fascismo, il fascismo perenne* - Umberto Eco


Il fascismo non è morto nel ‘45, al contrario, la sua visione del mondo precede la forma storica assunta nel ventennio ed è più longeva della dittatura mussoliniana. La tesi di Umberto Eco nei quattordici punti di questo articolo uscito sulla “New York Review of Books”, il 22 Giugno 1995. La traduzione italiana è tratta da Punk4free. (G. Giudici) 

1. La prima caratteristica di un Ur-Fascismo è il culto della tradizione

Il tradizionalismo è più vecchio del fascismo. Non fu solo tipico del pensiero controrivoluzionario cattolico dopo la Rivoluzione Francese, ma nacque nella tarda età ellenistica come una reazione al razionalismo greco classico.
Nel bacino del Mediterraneo, i popoli di religioni diverse (tutte accettate con indulgenza dal Pantheon romano) cominciarono a sognare una rivelazione ricevuta all’alba della storia umana. Questa rivelazione era rimasta a lungo nascosta sotto il velo di lingue ormai dimenticate. Era affidata ai geroglifici egiziani, alle rune dei celti, ai testi sacri, ancora sconosciuti, delle religioni asiatiche. Questa nuova cultura doveva essere sincretistica. “Sincretismo” non e’ solo, come indicano i dizionari, la combinazione di forme diverse di credenze o pratiche. Una simile combinazione deve tollerare le contraddizioni. Tutti i messaggi originali contengono un germe di saggezza e quando sembrano dire cose diverse o incompatibili e’ solo perché tutti alludono, allegoricamente, a qualche verità primitiva.Come conseguenza, non ci può essere avanzamento del sapere. La verità è stata già annunciata una volta per tutte, e noi possiamo solo continuare a interpretare il suo oscuro messaggio. E sufficiente guardare il sillabo di ogni movimento fascista per trovare i principali pensatori tradizionalisti. La gnosi nazista si nutriva di elementi tradizionalisti, sincretistici, occulti.

La piu’ importante fonte teoretica della nuova destra italiana, Julius Evola, mescolava il Graal con i Protocolli dei Savi di Sion, l’alchimia con il Sacro Romano Impero. Il fatto stesso che per mostrare la sua apertura mentale una parte della destra italiana abbia recentemente ampliato il suo sillabo mettendo insieme De Maistre, Guenon e Gramsci è una prova lampante di sincretismo. Se curiosate tra gli scaffali che nelle librerie americane portano l’indicazione “New Age”, troverete persino Sant’Agostino, il quale, per quanto ne sappia, non era fascista. Ma il fatto stesso di mettere insieme Sant’Agostino e Stonehenge, questo e’ un sintomo di Ur-Fascismo. 

sabato 27 febbraio 2016

Classe lavoratrice, sindacato, storia del Movimento Operaio* - Alessandro Mazzone

*Da.   http://www.proteo.rdbcub.it/



1. Il lettore di “Proteo” sa bene che questa rivista a carattere scientifico è, nello stesso tempo, una pubblicazione di classe. Le due cose vanno insieme. Da sempre, lotta di classe dalla parte dei lavoratori vuol dire anche conoscere, rendersi conto del mondo, migliorarsi, emanciparsi. (Cento anni fà, la prima lotta mondiale, quella per la giornata lavorativa di 8 ore, aveva per motto: 8 per lavorare, 8 per riposare, 8 per migliorarci.) - Questo è il lato soggettivo. Il suo sviluppo, nel corso di ormai quasi due secoli, ha portato alla costruzione di organizzazioni economiche (cooperative), sindacali, politiche dei lavoratori; in Italia, a Camere del lavoro, Case del popolo, istituzioni di vita autonoma delle classi lavoratrici, che insieme erano strumenti di lotta e di cultura attiva.

Ma, naturalmente, c’è un lato oggettivo della lotta, che emerge non appena si considera la controparte. Anche la borghesia è mutata profondamente nel tempo, fino a generare un’oligarchia ristretta che oggi, con strumenti economici, politici, culturali (o anticulturali), impone il suo dominio, direttamente e indirettamente, a miliardi di uomini in quasi ogni Paese. E oggi diventa via via più chiaro qualcosa, che in linea di principio è sempre stato vero: che l’oggetto della lotta di classe è sempre stato, fin dai primi confronti parziali, locali, fin dalle Leghe di Resistenza dell’‘800, il modo di organizzare la vita degli uomini associati, la produzione e riproduzione di questa attraverso e mediante il lavoro [1].

Naturalmente, non è stato sempre nella coscienza soggettiva dei lavoratori organizzati, che le rivendicazioni elementari, di salario, normative, erano in germe rivendicazioni di un diverso modo di vita, di una diversa organizzazione del vivere associato. Questa diversa organizzazione è quello che 100, 130 anni fa si chiamava, in generale, “socialismo”. Nella coscienza era la solidarietà come principio, la dignità di vita e l’emancipazione del lavoro come scopo, come pure si diceva. 
Solo per gradi, e in forme diverse (che costituiscono la storia del sindacato e del Movimento Operaio in genere in ogni Paese) [2], e soprattutto nell’età dell’imperialismo e delle sue guerre, cioè nel ‘900 e fino ad oggi, diventa via via più chiaro il legame obiettivo tra singole lotte e - come si è detto - “questioni di società” [3].

Obiettivamente, però, l’oggetto del contendere, cioè il lato obiettivo della lotta di classe, il suo contenuto è sempre il modo di vita degli uomini associati, cioè, in astratto, la Riproduzione Sociale Complessiva. Questa, naturalmente, è una astrazione [4]. Tuttavia essa si concretizza nel processo storico stesso: il lavoratore complessivo è concetto molto più attuale oggi che quando Marx lo esponeva, nel 1867.

venerdì 26 febbraio 2016

Rileggere il Capitale - Incontri di approfondimento teorico - Antiper




         «il marxismo non si lascia collocare in nessuno dei comparti tradizionali del sistema delle scienze borghesi, e anche se si intendesse approntare appositamente per esso... un nuovo comparto chiamato sociologia, esso non vi rimarrebbe tranquillamente, ma continuerebbe a uscirne per infilarsi in tutti gli altri. “Economia”, “filosofia”, “storia”, “teoria del diritto e dello Stato”, nessuno di questi comparti è in grado di contenerlo, ma nessuno di essi sarebbe al sicuro dalle sue incursioni se si intendesse collocarlo in un altro». (Karl Korsch, Marxismo e filosofia)


 L'audio di tutti gli incontri:      http://www.antiper.org/pensieri/cmep/257-iat-ric-audio.html

 Leggi anche:   http://www.antiper.org/pensieri/247-antiper-cms-1.html


Considero il sistema dell’economia borghese nell’ordine seguente: capitale, proprietà fondiaria, lavoro salariato; Stato, commercio estero, mercato mondiale. Nelle tre prime rubriche esamino le condizioni economiche d’esistenza delle tre grandi classi in cui si divide la moderna società borghese; il legame che unisce le altre tre rubriche salta agli occhi da sé. La prima sezione del libro primo, che tratta del capitale, consta dei seguenti capitoli: 1. la merce; 2. il denaro, la circolazione semplice; 3. il capitale in generale. I primi due capitoli formano il contenuto del presente fascicolo. Ho davanti tutto il materiale in forma di monografie da me buttate giù, a grande distanza di tempo l’una dall’altra, non per stamparle, ma per chiarire le cose a me stesso. La loro elaborazione complessiva, secondo il piano indicato, dipenderà dalle circostanze esteriori.

Sopprimo una introduzione generale che avevo abbozzato perchè, dopo aver ben riflettuto, mi pare che ogni anticipazione di risultati ancora da dimostrare disturbi, e il lettore che avrà deciso di seguirmi dovrà decidere a salire dal particolare al generale. Mi sembra invece che trovino qui il loro posto alcuni accenni al corso dei miei studi politico-economici.

La mia specialità erano gli studi giuridici, ma io non li coltivavo se non come disciplina subordinata, accanto alla filosofia e alla storia. Nel 1842-43, come redattore della Rheinische Zeitung, fui posto per la prima volta davanti all’obbligo, per me imbarazzante, di esprimere la mia opinione a proposito di cosiddetti interessi materiali. I dibattiti della Dieta renana sui furti forestali e sullo spezzettamento della proprietà fondiaria, la polemica ufficiale che il signor von Schaper, allora primo presidente della provincia renana, iniziò con la Rheinische Zeitung circa la situazione dei contadini della Mosella, infine i dibattiti sul libero scambio e sulla protezione doganale, mi fornirono le prime occasioni di occuparmi di problemi economici. D’altra parte, in un’epoca in cui la buona volontà di “andare avanti” era di molto superiore alla competenza, si era potuta avvertire nella Rheinische Zeitung una eco, leggermente tinta di filosofia, del socialismo e comunismo francese. Mi dichiarai contrario a questo dilettantismo, ma nello stesso tempo, in una controversia con la Augsburger Allgemeine Zeitung, confessai senza reticenze che gli studi che avevo fatto sino ad allora non mi consentivano di arrischiare un giudizio indipendente qualsiasi sul contenuto delle correnti francesi. Fui invece sollecito nell’approfittare dell’illusione dei gerenti della Rheinische Zeitung, i quali credevano di poter far revocare la condanna a morte caduta sul loro giornale dandogli una linea più moderata, per ritirarmi dalla scena pubblica nella stanza da studio. 

giovedì 25 febbraio 2016

Filosofia e Politica (con la filosofia, contro la filosofia) - Stefano Garroni

Bellissimo intervento, Stefano. Per quanto mi riguarda la filosofia è una scuola utile ad organizzare il pensiero, affilarlo. Nello specifico, Marx (e con lui molti altri), contribuiscono ad affilare le armi per la conquista di un mondo più giusto, per prima cosa, comprendendone molte delle sue componenti, delle sue dinamiche. Non ci sono ricette perfette, alchimie teoriche, mantra dialettici che possano evocare coscienza di classe, rivoluzioni; se non si conosce l'uomo, non c'è dialettica che tenga: la realtà smentirà puntualmente tutte le aspettative nate sulla carta. La giustizia è una condizione che precede e va oltre Marx. Ecco perché suscitare dubbi, far intravedere la possibilità che ci siano elementi materiali, percorsi accidentati ma determinati, per raggiungerla, è indispensabile per allargare l'orizzonte di una lotta che non rimanga solo nella nostra mente. E' così che si alimenta una coscienza, prima ancora che di classe, oggi.

Questa tua frase poi, sarebbe da mettere in cima alla pagina, come monito:

"Ma quest’uomo – noi questo lo dobbiamo capire molto bene – le masse
lavoratrici non si battono perché hanno letto Marx; le masse lavoratrici che
fanno la rivoluzione non sono comuniste, sono masse che lottano per stare
meglio e che capiscono l’importanza del soviet se capiscono che il soviet è uno
strumento per poter stare meglio."        
                   
Le discussioni più proficue sono quelle che faccio con chi ignora totalmente termini come plusvalore e che si trova distante anni luce dalle visioni marxiste. Ma posso garantirvi che molti di questi hanno una coscienza, anche se non ancora di classe, del quale non dubiterei in alcun modo, cosa che potrei non fare riguardo alcuni "dottori del marxismo" che fanno del marxismo, solo un feticcio, un hobby, un sollazzo mentale.  (M. Ferrara ) 

domenica 21 febbraio 2016

CHARLES BETTELHEIM: L'URSS ERA SOCIALISTA?*

*Da:   http://www.palermo-grad.com/

Ma cos’era il socialismo reale? Bettelheim invita a ragionare sul fatto che non è sufficiente volgere lo sguardo alla questione della pianificazione economica ma occorre anche concentrare l’attenzione sull’insieme dei rapporti politici, sociali e ideologici di una formazione sociale. Da qui, per chi scrive, la necessità quanto mai attuale nel tempo della crisi sistemica scaturita nel 2007 dalla scandalosa gestione dei mutui subprime, di tornare, da un lato, a studiare la storia dell’URSS e, dall’altro, di tenere presente che la storia del comunismo non si può ridurre alla narrazione delle vicende del bolscevismo né, tanto meno, della burocrazia e dei gruppi dirigenti sovietici. Il comunismo non è stato partorito da personalità eccezionali, anche se queste indubbiamente non mancarono, ma è stato una grande elaborazione collettiva, che ha dato vita a una storia esaltante e tragica al tempo stesso. Il protagonista di questa esperienza capitale è stato il movimento operaio le cui istanze sociali e politiche si voleva che costituissero i germi di una nuova civiltà.

E non è tutto: veniamo al tema centrale rappresentato dalla difficoltà di realizzare, all’interno del mercato mondiale, un sistema di rapporti di produzione socialisti. La presenza delle categorie di mercato nell’ambito delle formazioni sociali di transizione (socialismo reale) rimanda, infatti, al problema dell’esistenza delle condizioni oggettive che determinano la comparsa e la persistenza della forma valore. All’interno di una particolare formazione sociale di transizione la questione della sopravvivenza della forma valore rinvia, a sua volta, all’insieme dei rapporti di produzione, circolazione e consumo che si esplicitano in una dinamica di sfruttamento e  che vengono nascosti e dissimulati proprio dalla forma valore. Da qui il bisogno di risalire ai rapporti di produzione e di sostituire, per ciò che riguarda la loro analisi teorica, uno spazio omogeneo come quello dell’economia politica non marxista con uno spazio strutturato e complesso che non rimuova il problema del rapporto salariale che sottomette la forza lavoro all’esigenza dell’incremento del valore. Del resto, su questo versante Charles Bettelheim partecipava di quel salutare clima di rinnovamento culturale del marxismo critico che lo vedeva, insieme a intellettuali del calibro di Louis Althusser, figurare, come membro del gruppo “Spinoza”, ai seminari presso l’École normale supérieure de la rue d'Ulm di Parigi animati dall’autore di Per Marx e di Leggere il Capitale. 

Il teorico dell’economia rilanciava per le società socialiste in transizione, e dunque non ancora sviluppate, la celebre analisi marxiana del primo libro de Il Capitale sul feticismo della merce, secondo cui dietro la forma fantasmagorica del rapporto fra cose si cela un rapporto sociale determinato fra gli uomini stessi. E tutto questo nonostante il fatto che nei paesi in transizione vi fosse una proprietà da parte dello Stato dei mezzi di produzione, con la conseguente pianificazione, non tradottasi peraltro in proprietà sociale dei produttori immediati.

E qui si perviene, così, all’ultimo punto della nostra riflessione sul lavoro teorico di Bettelheim. La pianificazione, modificando, almeno in parte, le modalità del rapporto sociale di produzione e, dunque, le forme dell’interdipendenza tra i diversi lavori del processo sociale di produzione, può innescare realistiche dinamiche di controtendenza rispetto al pericolo di ricaduta all’interno di relazioni a dominanza capitalistica. Ma tutto questo si verifica solo nella misura in cui lo Stato, e le istituzioni politiche, economiche e amministrative che da esso dipendono, coordinano realmente e a priori l’attività produttiva, implementando la cooperazione organizzata su scala sociale, in funzione della partecipazione effettiva delle masse. Di fronte al problema della burocratizzazione e della gerarchizzazione della società sovietica Bettelheim ribadiva la necessità che la realizzazione del piano fosse vincolata all’effettivo controllo, da parte dei produttori immediati, delle condizioni di produzione e di riproduzione. Solo il dominio sociale dei lavoratori sui mezzi di produzione e sui prodotti avrebbe tendenzialmente portato alla eliminazione della funzione della moneta e alla scomparsa dei rapporti di mercato. Se così non fosse stato, si sarebbero configurate forme di intervento “tipiche del capitalismo di Stato” con una direzione in grado di esercitare un forte controllo dal vertice e, prima o poi, ribadiva profeticamente lo studioso di economia, si sarebbe verificato un ritorno ai rapporti di mercato e ai rapporti di lavoro salariato assicurando, per questa via, un sostanziale dominio al modo di produzione capitalistico.
(Giovanni Di Benedetto)
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venerdì 19 febbraio 2016

Crisi, centralizzazione dei capitali e nuovo internazionalismo del lavoro* - Vincenzo Maccarrone (“Noi restiamo”) intervista Emiliano Brancaccio


Un confronto a tutto campo sui temi teorici e politici del nostro tempo, per mettere alla prova l’attualità del metodo di analisi marxista. Ma anche un’occasione per commentare le posizioni assunte da alcuni studiosi annoverabili nella “foto di famiglia” del marxismo, tra cui Negri, Fusaro e Losurdo. Conversazione con l’autore del saggio “Anti-Blanchard”, appena uscito in edizione aggiornata, dedicato a una critica del modello macroeconomico prevalente insegnato dall’ex capo economista del FMI. 
Era il 2003 quando Robert Lucas, esponente di punta del pensiero economico ortodosso nonché premio Nobel, dichiarò trionfante che «il problema centrale della prevenzione delle recessioni è stato risolto». Da allora non è passato molto tempo, eppure quell’ottimismo sembra appartenere a un’epoca lontana. L'emergere di quella che il Fondo Monetario Internazionale ha definito la “grande recessione” ha riportato alla ribalta una visione alternativa, tipica delle scuole di pensiero critico, secondo cui il capitalismo tende strutturalmente a entrare in crisi. Tuttavia, anche tra i critici dell’ortodossia le valutazioni sulle cause del disastro attuale non sono univoche. Ne discutiamo con Emiliano Brancaccio, docente di Economia politica presso l’Università del Sannio, autore di vari saggi dedicati al tema marxiano della “centralizzazione del capitale” pubblicati sul Cambridge Journal of Economics e su altre riviste internazionali. Brancaccio è anche autore della nuova edizione aggiornata dell’Anti-Blanchard, un saggio critico verso il modello macroeconomico insegnato dall’ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale Olivier Blanchard e dagli altri esponenti della teoria dominante.   

Il Sole 24 Ore qualche anno fa ti ha definito uno studioso “di impostazione marxista ma aperto alle innovazioni ispirate dai contributi di Keynes e Sraffa”. Ti riconosci in questa etichetta? 

Dovremmo innanzitutto chiarire cosa si intende per “impostazione marxista”. Il marxismo novecentesco è stato attraversato da varie correnti di pensiero, spesso confliggenti tra loro. Nel pensiero di alcuni studiosi che si definiscono marxisti confesso che faticherei a riconoscermi. Personalmente mi sento vicino alla tesi centrale di Althusser: pur con tutti i limiti tipici dei pionieri, Marx ha aperto alla ricerca scientifica un nuovo continente, quello della Storia. E’ bene chiarire che questa tesi althusseriana è antitetica a quella corrente marxista che va sotto il nome di storicismo. Per Althusser, nel nucleo dell’analisi marxiana non c’è nulla di teleologico, non si intravede nessun destino già scritto della storia umana. Stando a questa interpretazione, il nocciolo dell’analisi di Marx, rigorosamente circoscritto, ha per oggetto il meccanismo di funzionamento del modo di produzione capitalistico, in particolare le sue condizioni di riproduzione, di crisi e di trasformazione. Io studio tali condizioni avvalendomi di un metodo di analisi che rifiuta le banalizzazioni tipiche del vecchio individualismo metodologico e che parte invece dal riconoscimento della divisione in classi della società: si tratta di un metodo estremamente moderno, che prende le mosse dall’epistemologia di Marx ma che oggi trova nuovi riscontri negli sviluppi delle neuroscienze e della psicologia sociale. Ovviamente, una volta scelto il paradigma epistemologico marxiano come riferimento, è possibile trarre indicazioni anche da altri percorsi di ricerca. L’esplorazione delle condizioni di riproduzione e di crisi del capitalismo è un’impresa titanica, collettiva come tutte le imprese scientifiche, e procede anche grazie all’apporto di protagonisti del pensiero economico novecentesco come Keynes, Sraffa ed altri, non tutti necessariamente di matrice marxista […]. 

La storia, la nostra storia, qual è stata? - Stefano Garroni

martedì 16 febbraio 2016

Le classi nel mondo moderno* - Alessandro Mazzone

*Da:   http://www.proteo.rdbcub.it/
Seconda parte:   http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/04/le-classi-nel-mondo-moderno-la.html 
Terza parte:    http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/04/le-classi-nel-mondo-moderno-iii-nuove.html

Chi edificò Tebe dalle sette porte?
Nei libri stanno nomi di re.
Furono i re a trascinare i blocchi di pietra?
E Babilonia, distrutta più volte,
Chi la rifabbricò, altrettante volte?
Dove abitavano i costruttori in Lima splendente d’oro?
E la sera, in cui fu terminata la muraglia cinese, dove andarono
I muratori? La grande Roma
È piena di archi di trionfo. Chi li eresse? Su chi
Trionfavano i Cesari? E Bisanzio tanto celebrata
Aveva soltanto palazzi per i suoi abitatori? Perfino nella leggendaria Atlantide
Nella notte in cui il mare la inghiottì, urlavano ancora
Annegando, per chiamare i loro schiavi.
Il giovane Alessandro conquistò l’India.
Da solo?
Cesare vinse i Galli.
Non aveva con se almeno un cuoco?
Filippo di Spagna pianse, sentendo che la sua flotta
Era andata a picco. Non pianse pure qualcun altro?
La guerra dei Sette Anni fu vinta da Federico secondo. Chi    
Vinse, oltre a lui?
A ogni pagina, una vittoria.
Chi preparò il banchetto?
Ogni dieci anni, un grand’uomo.
Chi ne pagò le spese?
Tante notizie.
Altrettante domande.

Bertolt BRECHT: Domande di un operaio che legge.

Rappresentazione e concetto

1. In un certo senso la nozione delle classi, in cui le società umane si dividono, è antichissima. Nella legislazione e nella poesia mesopotamica, essa è documentata almeno dal 2° millennio a.c.. Nei bassorilievi e nei papiri dell’antico Egitto, inservienti e schiave sono raffigurati come assai più piccoli dei potenti cui stanno a fianco. Gli schiavi compaiono come normale elemento della vita associata nella Bibbia, in Omero, in Esiodo. Per non parlare della Grecia classica e di Roma antica [1].
In tutti questi testi e documenti storici, come in quelli del Medioevo e poi dei secoli più vicini a noi, è presente e onnipervasiva la gerarchia sociale, il rapporto di comando e di servizio, il carattere strumentale dei ceti inferiori, l’ossequio tributato a potenti e padroni, l’ “ordine” sociale che in tutto questo si manifesta e vige, la sporadica rivolta e la sua repressione [2]. Chi volesse espungere la presenza dell’”alto” e “basso”, del “padrone” e del “servo” nella storia, poesia, arte dei millenni che conosciamo (perché appunto tramandarono di sé memoria storica, documentale, non soltanto archeologica) dovrebbe cancellare tutti i documenti di 5 o 6 millenni, o mutilarli fino a renderli incomprensibili.