La teoria Marxista poggia la sua forza sulla scienza... che ne valida la verità, e la rende disponibile al confronto con qualunque altra teoria che ponga se stessa alla prova del rigoroso riscontro scientifico... il collettivo di formazione Marxista Stefano Garroni propone una serie di incontri teorici partendo da punti di vista alternativi e apparentemente lontani che mostrano, invece, punti fortissimi di convergenza...
domenica 3 gennaio 2016
Sulla METAFISICA (Filosofia Prima) di Aristotele - Enrico Berti
https://www.youtube.com/watch?v=wf2QN36nN9o
Vedi anche: http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2014-07-20/prima-etica-poi-metafisica-081426.shtml?uuid=ABuWoecB
sabato 2 gennaio 2016
Karl Marx (una compiuta critica dell’economia politica)* - Emiliano Brancaccio
*Da: http://www.emilianobrancaccio.it/wp-content/uploads/2013/02/Appunti-di-Economia-politica-quinta-versione-Novembre-2014.pdf
Proprio sulla concezione del profitto come “residuo”, e più in generale sugli elementi di conflitto sociale riconosciuti dagli economisti classici, farà leva Karl Marx per criticare la loro concezione positiva del capitalismo. Con la pubblicazione del Capitale nel 1867 Marx si propone esplicitamente il compito di elaborare una compiuta critica dell’economia politica che era stata elaborata dagli economisti classici. In questo senso sferra un attacco poderoso al teorema della mano invisibile (A. Smith). Egli infatti descrive un sistema tutt’altro che armonico ed eterno. Per Marx il capitalismo è in realtà afflitto da perenne instabilità e da crisi ricorrenti. La teoria delle crisi di Marx è molto complessa e tuttora oggetto di varie interpretazioni.
Proprio sulla concezione del profitto come “residuo”, e più in generale sugli elementi di conflitto sociale riconosciuti dagli economisti classici, farà leva Karl Marx per criticare la loro concezione positiva del capitalismo. Con la pubblicazione del Capitale nel 1867 Marx si propone esplicitamente il compito di elaborare una compiuta critica dell’economia politica che era stata elaborata dagli economisti classici. In questo senso sferra un attacco poderoso al teorema della mano invisibile (A. Smith). Egli infatti descrive un sistema tutt’altro che armonico ed eterno. Per Marx il capitalismo è in realtà afflitto da perenne instabilità e da crisi ricorrenti. La teoria delle crisi di Marx è molto complessa e tuttora oggetto di varie interpretazioni.
Qui possiamo affermare che nella visione di Marx si intersecano
due spiegazioni della crisi: da un lato la tendenza alla caduta del saggio di
profitto, dall’altro la contraddizione tra sviluppo delle forze produttive e
consumi ristretti delle masse lavoratrici.
Sulla tesi della caduta tendenziale
del saggio di profitto, in questa sede possiamo limitarci ad affermare che per
Marx sussisterebbero forze che tendono nel tempo a ridurre il saggio di
profitto medio del sistema economico. La tesi di partenza di Marx è che i
capitalisti estraggono il profitto dal lavoro vivo degli operai, cioè dal
lavoro di coloro i quali sono direttamente impiegati nella produzione e non dal
lavoro già erogato, incorporato nei mezzi di produzione già prodotti. Egli poi
nota che le continue innovazioni tecniche spingono i capitalisti ad accrescere
l’impiego di mezzi di produzione rispetto ai lavoratori direttamente impiegati
nel processo produttivo. Ma se il rapporto tra lavoratori e mezzi di produzione
si riduce, e se si accetta l’idea di Marx secondo cui il profitto deriva dal
lavoro vivo degli operai direttamente impiegati nella produzione, allora si
deve giungere alla conclusione che si ridurrà anche il saggio di profitto, cioè
il profitto totale in rapporto al capitale impiegato per l’acquisto dei mezzi
di produzione e per il pagamento dei lavoratori. Una progressiva caduta del
saggio di profitto determina tuttavia una crisi generale del modo di produzione
capitalistico. Per Marx, infatti, il saggio di profitto rappresenta non solo la
remunerazione del capitalista ma anche il motore dell’accumulazione. Una sua
precipitazione verso lo zero frenerà l’azione del capitalista, quindi renderà a
un certo punto impossibile la riproduzione del sistema capitalistico e aprirà
la via ad un’epoca di rivoluzione sociale.
Tra le cause che secondo Marx determinano
crisi ripetute vi è però anche il fatto che la spietata concorrenza tra le
imprese conduce a una continua serie di rivoluzioni tecniche e organizzative
che aumentano al massimo la produttività di ogni singolo lavoratore e al tempo
stesso riducono il suo salario. Ciò tuttavia implica un divario crescente tra
la capacità produttiva dei lavoratori e la capacità di spesa degli stessi
lavoratori. Sotto date condizioni questo divario può determinare un problema di
sbocchi per le merci prodotte. La conseguenza è che il processo di
accumulazione dei capitali si blocca e le imprese sono indotte a licenziare i
lavoratori. Ma ciò allarga ulteriormente il divario tra capacità produttiva e
capacità di spesa, per cui il sistema rischia di avvitarsi su sé stesso fino al
tracollo.
Al riguardo Marx scrive: «…La causa ultima di tutte le crisi rimane
sempre la povertà ed il consumo ristretto delle masse, di fronte alla tendenza
della produzione capitalistica a sviluppare le forze produttive…» (Capitale,
vol. III).
Le due tesi descritte si affiancano poi a un’altra tendenza
registrata da Marx, quella verso la scomparsa dei capitali più piccoli o la
loro acquisizione da parte dei capitali più grandi, la cui proprietà e il cui
controllo tenderebbero a concentrarsi in sempre meno mani: nel linguaggio
marxiano, si parla di tendenza verso la “centralizzazione” dei capitali a
livello internazionale. La letteratura marxista ha derivato da questa tendenza
varie implicazioni, tra cui due contraddizioni: una concorrenza capitalistica
che spinge sempre più verso la monopolizzazione dei mercati da parte dei pochi,
grandi capitali vincenti, e una radicalizzazione del conflitto di classe tra
una cerchia ristretta di proprietari e una massa crescente di diseredati. Alla
luce delle tendenze descritte Marx contesta dunque l’idea classica di un
capitalismo “naturale” e quindi “eterno”, sostenendo invece la tesi della sua
instabilità, della sua contraddittorietà e quindi anche della sua storicità,
vale a dire della sua finitezza.
venerdì 1 gennaio 2016
SUL FETICISMO (e non solo) - Stefano Garroni
Il feticismo nel paragrafo IV del primo capitolo del
capitale libro primo prima sezione e il XXIV capitolo del capitale, terzo
libro, V sezione.
Cosa diventa il linguaggio nel pensiero contemporaneo?
Corrispondenza tra parola e realtà che viene persa.
La fine dell800 e il nostro periodo: crisi politica, morale,
caduta dello slancio rivoluzionario e conseguente emergenza dello spiritismo,
astrologia , ecc.
caduta dello slancio rivoluzionario e conseguente emergenza dello spiritismo,
astrologia , ecc.
Carattere mistico della merce: da dove viene? Valore di
scambio delle merci.
scambio delle merci.
Il valore della merce è dato dal lavoro contenuto in senso
eterno?
eterno?
Dialettica e suo legame con il non isolamento dei livelli.
Profitti e guerre. Perché Lenin insiste sul fatto che il
socialismo si fa coinvolgendo nella gestione tutti i lavoratori?
socialismo si fa coinvolgendo nella gestione tutti i lavoratori?
Perché è inseparabile dalla natura del capitalismo il fatto
che il lavoro globale e la socialità dell'uomo si realizzi attraverso una
mediazione? Cosa comporta che in una società capitalistica non si può avere una
gestione sociale dell'economia?
che il lavoro globale e la socialità dell'uomo si realizzi attraverso una
mediazione? Cosa comporta che in una società capitalistica non si può avere una
gestione sociale dell'economia?
Socialismo e processo storico. LUrss era capitalista o no?
Hegel e lo spirito del tempo. Stati Uniti e sussidio di
disoccupazione. La rivoluzione internazionale come epoca storica. 1989 e ordine
del mondo.
disoccupazione. La rivoluzione internazionale come epoca storica. 1989 e ordine
del mondo.
giovedì 31 dicembre 2015
Gli anni vissuti pericolosamente - Riccardo BELLOFIORE (2011)
La cosiddetta “età d’oro” del capitalismo - il termine non mi
piace tanto, in verità – i trenta anni tra il 1945 e il 1975, spesso viene
qualificata come un’epoca di compromesso tra le classi. Ma quando mai! Era
un’epoca di dominio forte da parte del capitale, un comando sul lavoro, dentro
cui, con il conflitto e con l’antagonismo, si sono, nel corso della seconda
metà degli anni Sessanta soprattutto e primi anni Settanta, strappate una serie
di conquiste. Il fatto che tanto i governi conservatori quanto quelli più di
centro-sinistra abbiano perseguito politiche di bassa disoccupazione lo si deve
alla storia tragica dell’Europa nel Novecento; e poi alla competizione di un
sistema, che non ha mai avuto la mia simpatia, che era il sistema sovietico, e
che però imponeva all’Occidente di stare al passo. In quel trentennio, prima
ancora che i keynesiani in senso stretti divenissero consiglieri espliciti dei
governi (avverrà soprattutto con Kennedy e Johnson), esiste una piena
occupazione e una contrattazione collettiva, un lavoro decente secondo la
definizione dell’ILO, e salari progressivamente crescenti in termini reali.
La fase del neo-liberismo monetarista è la fase che risponde
alla crisi di questo capitalismo “keynesiano”, che è anche una caduta da
sinistra, una caduta dovuta anche ad un conflitto sociale, ad un conflitto del
lavoro in cui i lavoratori non accettano di farsi usare come strumento di
produzione, come cose, magari risarciti con la piena occupazione e un “equo”
salario (lo aveva di nuovo intuito Kalecki). Quella piena occupazione viene
criticata duramente anche se non soprattutto da sinistra. Vigeva solo in una
parte del mondo e solo per un genere, quello maschile, dentro una
mercificazione generale a cui si deve ricondurre anche la distruzione accelerata
degli equilibri ecologici. L’epoca della reazione capitalistica, è l’epoca di
una nuova disoccupazione di massa, che è legata però non soltanto al problema
della carenza della domanda effettiva, ma alla ristrutturazione della
produzione da parte del capitale, alla ridefinizione dei rapporti di forza sul
mercato del lavoro.
mercoledì 30 dicembre 2015
I mass-media, Gramsci e la costruzione dell’uomo eterodiretto - Paolo Ercolani
Mai come oggi, nelle nostre società occidentali così
apparentemente libere, è doveroso stare in guardia e ricordare l’insegnamento
di Platone, il quale era ben consapevole che è proprio dalla democrazia che può
nascere, attraverso un processo di degenerazione, la tirannide. Evidentemente
non c’è e non può esserci esercizio effettivo della libertà quando i mezzi di
comunicazione di massa, nel senso specifico che «massificano» l’individuo, o
che «portano all’ammasso» non solo l’intelletto, ma anche la sensibilità
dell’uomo, esprimono tutta la loro potenza non solo di informazione, ma anche
di «formazione»: l’uomo perde in questo modo la propria autonomia, finendo con
l’essere ridotto alla stregua di un «minorenne» eterodiretto, incapace di
servirsi autonomamente della propria ragione e del proprio sapere, comunque
subordinato ai meccanismi di una tecnica che, seppure figlia dell’uomo stesso,
progredisce in maniera più veloce rispetto alle capacità umane di assorbirla.
Ecco perché i rischi sono quelli di un nuovo totalitarismo, ancora più
insidioso e totalizzante in quanto proveniente dai sottili meccanismi di
funzionamento di una società in superficie democratica, che non perde occasione
per ribadire la centralità dell’uomo e dei suoi bisogni, ma che in realtà
finisce col ridurlo a mezzo e strumento per interessi economici e di potere.
Una forma di totalitarismo che, in aggiunta, si rivela ancora più completa in
quanto unisce i due aspetti che finora erano stati attribuiti ai regimi
liberticidi moderni: la capacità massificante e omologante unita a quella
atomizzante ed estraniante.
L’universo dei nuovi media, pensiamo in particolare a
Internet, massifica l’uomo in quanto ne omologa i gusti e le facoltà di
percezione e pensiero, nel momento stesso in cui lo atomizza poiché,
fornendogli l’illusione di poter entrare in comunicazione col mondo intero e
con un numero illimitato di persone (e di informazioni), lo tiene in realtà
chiuso tra le quattro pareti di casa propria, sempre più disabituato a
coltivare rapporti diretti e ad incontrarsi con altri individui per dibattere,
ragionare ed eventualmente organizzarsi. Siffatto individuo, esposto alle
forze omologanti e isolanti esercitate dai nuovi mezzi di comunicazione,
finisce col venire «eterodiretto» fin dal suo rapporto più ordinario con i più
elementari meccanismi di funzionamento dei mass media: nella vita reale l’uomo
è libero di seguire in maniera indipendente i propri processi di associazione,
mentre, per esempio nell’interazione col computer, con i rimandi ai vari link
gli viene di fatto richiesto di seguire delle «associazioni pre-programmate»,
in altre parole di seguire «la traiettoria mentale del programmatore». Ecco
allora che, a distanza ormai di quasi un secolo, si pone su un piano ulteriore
(mutatis mutandis) la discriminante già vista, quella fra il «credere,
obbedire, combattere» della propaganda fascista e quanto proprio Gramsci
scriveva come epigrafe all’OrdineNuovo: «Istruitevi, perché avremo bisogno di
tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il
nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra
forza!».
Leggi tutto:
"Dialettica riproposta" di Stefano Garroni - A. Ciattini, A. Bellacicco, A. Sobrero, B. Steri, P. Vinci, O. Di Mauro, R. Caputo, L. Climati.
Presentazione del libro di Stefano Garroni "Dialettica riproposta" tenutasi il 20 novembre 2015 presso l'Università degli Studi di Roma "La Sapienza" (parte prima).
Parte seconda:
https://www.youtube.com/watch?v=JwrKfmnnBaY
Parte terza:
https://www.youtube.com/watch?v=GpeB3rKlwKc
martedì 29 dicembre 2015
Salario minimo garantito (reddito di cittadinanza)* - Gianfranco Pala
*Da: http://www.gianfrancopala.tk/ (http://www.contraddizione.it/quiproquo.htm)
L’OMBRA DI MARX - estratti da “piccolo dizionario marxista” contro l’uso ideologico delle parole
L’OMBRA DI MARX - estratti da “piccolo dizionario marxista” contro l’uso ideologico delle parole
groucho, moro, chico, harpo, zeppo
“Se
ci vien fatto di dimostrare che la carità legale, applicata secondo questo
principio, può essere utilmente introdotta nelle società moderne, noi avremo
tolto al comunismo i suoi più formidabili argomenti, e segnata la via a
migliorare le sorti delle classi più numerose, senza mettere a repentaglio
l’esistenza stessa dell’ordine sociale”
(Camillo Benso conte di Cavour)
Salario minimo garantito (reddito di cittadinanza)
Il carattere “sociale” e “minimo” del salario non deve
assolutamente essere frainteso. Vi sono difatti molti, oggigiorno, che
sull’onda delle mode riproduttive e fuori mercato, intendono con codesto tipo
di dizioni forme spurie di salario o reddito garantito dallo stato o da
altre istituzioni pubbliche, mediante prestazioni più o meno accessorie
fornite a lavoratori e disoccupati, donne e giovani, cittadini e utenti. Una
tal commistione di categorie, e meglio anzi sarebbe dire una tale lista di
attributi tra loro incongruenti, conduce a un pasticcio di rapporti di
forza, di lotta e di diritti, di assistenzialismo e di elemosina (quel
tipo di confusione concettuale “inetta e barbarica” sulla quale Hegel
ironizzava chiamandola “un ferro di legno”).
L’essere sociale e minimo del salario è invece
unicamente conseguenza dell’essere merce della forza-lavoro
entro il rapporto di capitale posto da questo modo della produzione
sociale. Non vi è spazio né teorico né storico, perciò, per confondere il
carattere sociale del salario con sole sue parti o con differenti forme assistenziali
cui le istituzioni borghesi saltuariamente provvedono per concessioni
parziali, né il suo livello minimo con analoghe forme assistenziali o contrattuali
che dànno veste legale all’ipocrita solidarietà della filantropia borghese.
lunedì 28 dicembre 2015
Retoriche della crisi e stato d'eccezione permanente* - Alessandro Colombo**
*Da: http://www.aldogiannuli.it/
http://www.laboratoriolapsus.it/debito-migrazioni-terrorismo-retoriche-della-crisi/
**Alessandro Colombo, docente di relazioni internazionali dell’Università degli Studi di Milano e autore del volume “Tempi decisivi” (Feltrinelli 2014)
http://www.laboratoriolapsus.it/debito-migrazioni-terrorismo-retoriche-della-crisi/
**Alessandro Colombo, docente di relazioni internazionali dell’Università degli Studi di Milano e autore del volume “Tempi decisivi” (Feltrinelli 2014)
mercoledì 23 dicembre 2015
TTIP E TPPA: ACCERCHIARE LA CINA* - Maurizio Brignoli
Uno scenario importante dello scontro interimperialistico in atto si sta in questo momento giocando nella realizzazione di alcuni grandi trattati sovranazionali in cui la strategia statunitense punta a realizzare l’accerchiamento della Cina, la subordinazione dell’Ue e l’isolamento della Russia, con tutta una serie di conseguenze nel processo di ulteriore subordinazione della classe lavoratrice in tutto il mondo.
L’obiettivo statunitense nella formazione del Ttip e del Ttp è quello di realizzare una concentrazione imperialistica capace di imporre le sue norme a livello mondiale e di accerchiare il principale concorrente cinese.
Accordi di libero scambio, barriere non tariffarie e Isds
Lo scontro interimperialistico fra i principali attori (Usa,
Ue, Cina, Russia) si va sempre più delineando attraverso un processo di
potenziale “concentrazione imperialistica” attorno ad alcune aree
imperialistiche sovranazionali. Scontro a livello transnazionale con un grande
processo di ricollocazione della divisione internazionale del lavoro. Le trattative
relative al Transatlantic trade and investment partnership (Ttip) e
al Trans-Pacific partnership agreement (Tppa) sono espressione
rilevante di questo scontro. Per comprenderne la reale portata e gli obiettivi
questi accordi vanno collocati all’interno della strategia statunitense di
scontro con la Cina.
Il Ttip ha come obiettivo di realizzare l’unione di due
delle economie più ricche al mondo e delle rispettive aree valutarie, quella
del dollaro e quella, maggiormente in difficoltà, legata all’euro. Le
consultazioni Usa-Ue sono iniziate più di due anni fa, ma lo scontro
interimperialistico all’interno dello stesso Ttip è forte, nonostante gli Usa
abbiano cercato di sfruttare il momento di debolezza dell’Ue per la
realizzazione di un progetto che torna soprattutto a loro vantaggio. Le
trattative sono segrete e condotte dai funzionari della Commissione europea e
da quelli del Ministero del commercio statunitense con le lobby delle grandi
multinazionali.
Gli obiettivi finali del Ttip (e dello speculare Tppa) sono
riassumibili fondamentalmente in tre punti principali:
lunedì 21 dicembre 2015
IL CAPITALE - Stefano Garroni
Confronto tra il testo francese e quello tedesco di Marx.
Perché Marx accusa di cinismo l'economia politica?
L'ambiguità della merce. Valore d'uso e la valutazione del bisogno che scompare.
Il valore di scambio. Lo scambio mercantile e la società capitalistica.
Il processo produttivo che diventa strumento di arricchimento.
Rapporto tra religione e capitalismo.
La trasformazione del sapere: l'idiota specializzato.
sabato 19 dicembre 2015
RIFLESSIONI ANTROPOLOGICHE SULLA VIOLENZA E SULLA GUERRA* - Alessandra Ciattini
La storia umana è un mattatoio
In una celebre pagina Hegel sviluppa una serie di
considerazioni assai amare e tristi sulla vicenda storica umana, anche se poi –
come è noto - riesce a trovare in essa un processo progressivo ed
emancipatorio. Egli sottolinea l'universale transitorietà, che travolge Stati e
individui, per opera della natura e della volontà umana; osserva che quadri
terribili scaturiscono dalla riflessione sulla storia che possono suscitare in
noi un profondo e inconsolabile cordoglio; conclude che, stante tale analisi
complessiva e sconsolata, la storia umana può definirsi un mattatoio “in cui
sono state condotte al sacrificio la fortuna dei popoli, la sapienza degli
Stati, la virtù degli individui” [1]. Questa pagina di Hegel richiama alla
mente un celebre sonetto del Belli, Er caffettiere filosofo,
scritto nel 1833 (siamo, dunque, nella stessa fase storica anche se in un
contesto differente), nel quale il poeta compara tristemente gli uomini ai
chicchi del caffè che vengono inesorabilmente macinati e che, pertanto, sono
tutti destinati trasformarsi in polvere, finendo annientati nella gola della
morte, nonostante essi si spostino ed entrino in conflitto tra loro [2]. Il
caffettiere si trasforma in filosofo perché, prendendo spunto dalla sua
semplice e quotidiana attività, la cui descrizione sembra addirittura evocare
l'aroma del caffè macinato, trova in essa una splendida metafora concreta con
la quale rappresentare la disperante vicenda umana.
FILOSOFIA - Georg Wilhelm Friedrich Hegel
Come c'è stato un periodo dei geni poetici, così attualmente
sembra esserci un periodo dei geni
filosofici. Impastando un po' di carbonio, ossigeno, azoto e idrogeno,
mettendolo in una carta su cui altri hanno scritto "polarità" ecc., e
sparandolo in aria con la coda di legno della vanità che è un razzo, costoro
ritengono di edificare l'empireo.
Secondo la mania moderna, specialmente della pedagogia, non
si deve tanto esser istruiti nel contenuto
della filosofia, quanto imparare a
filosofare senza contenuto. Ciò vuol dire, pressappoco: si deve viaggiare,
viaggiare sempre, senza imparare a conoscere le città, i fiumi, i paesi, gli
uomini ecc. [...]
Quando si impara a conoscere il contenuto della filosofia,
non si impara soltanto il filosofare, ma anche già si filosofa effettivamente.
Anche il fine dello stesso imparare a viaggiare
dovrebbe essere soltanto quello di imparare a conoscere quelle città
ecc., il contenuto [...]. La
filosofia comprende i più alti pensieri
razionali intorno agli oggetti essenziali, comprende l'universale e il vero dei
medesimi; è di grande importanza conoscere questo contenuto, e accogliere nella propria testa questi
pensieri [...]. Il procedere della conoscenza di una filosofia ricca di
contenuto non è altro che l'imparare. La
filosofia deve venire insegnata e imparata come ogni altra scienza.
L'infelice prurito di educare a pensare
da sé e alla produzione autonoma ha
messo in ombra questa verità: come se, quando io imparo ciò che è sostanza,
causa o qualunque altra cosa, non pensassi
io stesso, come se non producessi io
stesso , queste determinazioni del mio pensiero. Se ci si ferma unicamente alla
forma astratta del contenuto filosofico, si ha una (cosiddetta) filosofia intellettualistica.
venerdì 18 dicembre 2015
TRACCIATI DIALETTICI - NOTE DI POLITICA E CULTURA - Stefano Garroni
Raccolgo qui scritti
diversi sia per argomento che per estensione: ciò che li lega - se non sbaglio
- è la continuità di un tipo e di un taglio di ricerca.
Se le cose stanno
effettivamente come dico, ne deriva che anche gli scritti di argomento senza
dubbio politico vanno letti come espressione - e conseguenza - di quel tipo e
taglio di ricerca. In questo senso, il capitolo introduttivo - al di là della
sua evidenza immediata - svolge questa sua funzione anche per le pagine,
ripeto, esplicitamente politiche.
Ciò che vorrei non sfuggisse, insomma, è il tentativo di
fondo (qui solo abbozzato): attraverso l'analisi di fenomeni centrali della
nostra cultura attuale, ritrovare le fila di un ragionamento dialettico e
marxista.
Rispetto a questo
obiettivo, le cose che qui presento valgono come primo deposito di un lavoro
più ampio, che sto conducendo.
domenica 13 dicembre 2015
DAL PROGRAMMA MINIMO AL FRONTE ANTICAPITALISTA* - Renato Caputo
*Da: http://www.lacittafutura.it/dibattito/dal-programma-minimo-al-fronte-anticapitalista.html
“La sovranità non può essere rappresentata, per la stessa ragione per cui non può essere alienata; essa consiste essenzialmente nella volontà generale e la volontà non è soggetta a rappresentanza: o è essa stessa o è un’altra, non c’è via di mezzo. I deputati del popolo dunque non sono, né possono essere suoi rappresentanti; essi non sono che suoi commissari, non possono concludere niente definitivamente. Ogni legge che il popolo in persona non abbia ratificata, è nulla: non è assolutamente una legge. Il popolo inglese pensa di essere libero, ma si inganna gravemente; non lo è che durante le elezioni dei membri del parlamento: appena questi sono eletti, esso è schiavo, è un niente. L’uso che esso fa della libertà, nei brevi momenti che ne gode, è tale che merita bene di perderla” (Rousseau, Il contratto sociale).
I comunisti hanno bisogno oggi in Italia di definire
un programma massimo, sulla cui base rifondare un partito comunista all’altezza
delle sfide del XXI secolo, e di un programma minimo a partire dal quale
costruire un fronte unico antiliberista e anticapitalista. Tale fronte deve
essere costruito a partire dai conflitti sociali e non nella prospettiva di
semplice occupazione degli incarichi nelle istituzioni borghesi. Altrimenti i
comunisti non potranno vincere la decisiva lotta con le forze democratiche piccolo-borghesi
con cui dovranno necessariamente fare i conti nel fronte unico.
“La sovranità non può essere rappresentata, per la stessa ragione per cui non può essere alienata; essa consiste essenzialmente nella volontà generale e la volontà non è soggetta a rappresentanza: o è essa stessa o è un’altra, non c’è via di mezzo. I deputati del popolo dunque non sono, né possono essere suoi rappresentanti; essi non sono che suoi commissari, non possono concludere niente definitivamente. Ogni legge che il popolo in persona non abbia ratificata, è nulla: non è assolutamente una legge. Il popolo inglese pensa di essere libero, ma si inganna gravemente; non lo è che durante le elezioni dei membri del parlamento: appena questi sono eletti, esso è schiavo, è un niente. L’uso che esso fa della libertà, nei brevi momenti che ne gode, è tale che merita bene di perderla” (Rousseau, Il contratto sociale).
sabato 12 dicembre 2015
IL CAPITALE: CAPOLAVORO SCONOSCIUTO - a mo’ di allegoria da Balzac - per Marx* - Gianfranco Pala
*Da: http://www.gianfrancopala.tk/
Édouard Frenhofer è il personaggio del pittore
protagonista del racconto filosofico di Honoré de Balzac Le
chef-d’œuvre inconnu [1831]; allievo del pittore fiammingo Jan
Gossært, detto Mabuse (del XV secolo); dice di aver lavorato una
decina di anni a un dipinto (il ritratto vagheggiato della donna desiderata)
che non esita a definire un “capolavoro”, ma che si rifiuta di mostrare,
nascondendolo sotto una coperta. In quel racconto fantastico, a due giovani
pittori realmente esistiti – Frenhofer, vecchio artista creato da Balzac stesso
– narra di codesto Capolavoro sconosciuto: alla sua stesura come
romanzo, fino al 1847, anche Balzac lavorò ossessivamente per sedici anni, come
per quel ritratto affinché rappresentasse la realtà. Così entrambi
– quadro e romanzo – sono diventati presto una leggenda, descrivendo la
costante tensione dell’artista alla ricerca della perfezione nell’aspirazione
a una completa trasposizione del reale: “la missione dell’arte non
è copiare la natura, ma esprimerla!” – spiega Frenhofer\Balzac rivolto ai più
giovani. Ma alla fine quel disvelamento da parte del pittore sembrò rivelare
un quadro del tutto inaspettato; sì che un allievo esclamò: “io qui vedo
soltanto dei colori confusamente ammassati, e delimitati da una moltitudine di
linee bizzarre che formano una muraglia di pittura”: ma un quadro che, poiché
il suo processo di produzione s’identifica con il suo stato compiuto di opera,
rappresenterebbe da solo il quadro assoluto,
venerdì 11 dicembre 2015
Libertà e schiavitù – Luciano Canfora
"Lungi dall'essere un relitto storico, un fossile,
la schiavitù è la forma attuale di alimento del profitto capitalistico" (L. Canfora)
http://www.asimmetrie.org/opinions/luciano-canfora-liberta-e-schiavitu/
la schiavitù è la forma attuale di alimento del profitto capitalistico" (L. Canfora)
"La storia di
ogni società esistita fino a questo momento, è storia di lotte di classi.
Liberi e schiavi,
patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e
garzoni, in breve, oppressori e oppressi, furono continuamente in reciproco
contrasto, e condussero una lotta ininterrotta, ora latente ora aperta; lotta
che ogni volta è finita o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la
società o con la comune rovina delle classi in lotta..." (Marx-
Engels, Il Manifesto del Partito
Comunista)
http://www.asimmetrie.org/opinions/luciano-canfora-liberta-e-schiavitu/
giovedì 10 dicembre 2015
Comunisti, oggi. Il Partito e la sua visione del mondo. - Hans Heinz Holz.
Prefazione
di Stefano Garroni.
Già a partire dal 1968, chi avesse detto <sono
comunista>, avrebbe detto qualcosa dal significato non chiaro, ma sì
equivoco.
Voglio dire, restando nel confine di casa nostra, che
il dichiarante avrebbe potuto essere, indifferentemente, un militante di Potere
operaio o del Pc d’I, della Quarta Internazionale o di Lotta continua e così
via; avrebbe potuto essere, dunque, portatore di analisi, lotte e prospettive
sensibilmente diverse tra di loro ed anche opposte, per certi versi.
Gli anni successivi, fino a giungere allo sciagurato 1989 e
seguenti, non hanno certo semplificato la situazione, al contrario: oggi più
che mai dire <sono comunista> risulta dare un’informazione pressocché
incomprensibile.
Un merito del libro di Holz è invertire questa tendenza e
dare, invece, un preciso contributo al restituire un senso determinato al
nostro asserto, <sono comunista>.
A tutta prima, l’operazione di Holz sembra un esempio del
classico ‘uovo di Colombo’: comunista, egli dice, è chi si riconosce nell’intera storia
del movimento comunista, appunto.
Sembra posizione troppo ovvia e facile; sennonché, una
caratteristica molto diffusa tra coloro che, oggi, si definiscono comunisti, è
assumere la posizione di chi dice, invece, <fin qui sì, in seguito no>.
Il <fin qui> può variare: può essere la morte di Lenin
o quella di Stalin, può essere il periodo brezhneviano o quello di Gorbaciov,
non importa; ciò che resta è il criterio: la distinzione fra una storia buona ed
una cattiva, un momento dell’ ortodossia ed uno dell’eterodossia,
uno della ‘fedeltà’ ed un altro della ‘caduta’. Ciò che resta, dunque, è una
concezione astratta, ideologica (rigorosamente, moralistica) della storia,
invece che intendere quest’ultima come la scena -l’unica scena-, in cui la
realtà si compie, attraverso le “torsioni e tensioni”, che fanno tutt’uno con l’essenza
stessa di ciò che veramente esiste.
Al fondo di questi due atteggiamenti c’è un’opposizione
fondamentale: l’uno, infatti, è un atteggiamento unilaterale, dunque, dogmatico;
l’altro è critico, dunque, dialettico.
La mossa di Holz, allora, implicita il recupero, la franca
riproposizione addirittura di una precisa prospettiva teorica:
quella della dialettica che, dalla filosofia
classica tedesca (Leibniz, Kant, Hegel) giunge a Marx ed a Lenin.
mercoledì 9 dicembre 2015
Problemi dell’umanesimo oggi - Stefano Garroni
Dati i problemi, in cui oggi viviamo e che, ancor più, nelle
crisi che si annunciano per il futuro, è senza dubbio necessario ridiscutere
quale oggi, possa essere il significato di umanesimo.
E’ in questo modo che F.Hinkelammert inizia il suo saggio (Marxismus,
Humanismus, Religion), nel fascicolo 4 –2010 di Marxistische Blãtter, la
rivista teorica della DKP o Partito comunista tedesco.
Nella nostra storia moderna, il momento culminante dal punto
di vista dell’ umanesimo porta il nome dalla Rivoluzione francese, la quale tuttavia si svolse entro
un limite di fondo: essa nacque e si stabilizzò, di fatto, quando il mercato
mondiale si era ormai costituito come
mercato capitalistico.
E questo è il motivo, per cui l’umanesimo della Rivoluzione
francese è ancora essenzialmente ridotto ad un umanesimo dell’uomo astratto, il
quale si identifica con il proprietario privato. Ma questa stessa Rivoluzione
francese, che pur sbocca in una pura ristrutturazione borghese della società,,
nello stesso tempo fonda le categorie, partendo dalle quali diviene possibile
fondare un nuovo umanesimo.
Data la sua identificazione di uomo con il proprietario
privato, la Rivoluzione francese può continuare a basarsi su una situazione di
estremo sfruttamento e sulla costrizione al lavoro nella forma della schiavitù
di massa.
Dall’altro lato, nella Rivoluzione vennero espresse le
categorie politico-giuridiche della cittadinanza.
Son queste categorie, che divennero una base della moderna
democrazia, sebbene ancora limitata agli uomini bianchi e proprietari.
Poggiandosi sulla categoria della cittadinanza e della sue estensione continua
si andrà provocando un movimento per i diritti dell’uomo, che definisce le
lotte future per l’emancipazione. L’uomo come cittadino – dunque, non
è necessariamente un borghese-: ecco da cosa nascerà un
concetto di cittadinanza, che supera i limiti sociali della borghesia.
In primo luogo si tratta qui dell’emancipazione degli
schiavi, delle donne e della classe operaia. Si può simbolizzare la profondità
del conflitto mediante tre morti importanti: la morte di Olimpia de Gouges, che
rappresenta il diritto delle donne a divenire cittadine e che fu
ghigliottinata. Analogamente morì ghigliottinato Babeuf, che rappresenta il
diritto d’associazione dei lavoratori. Toussaint-Louverture, il liberatore degli
schiavi ad Haiti, fu arrestato ed ucciso, sotto l’imperatore Napoleone.
lunedì 7 dicembre 2015
Presentazione di "DIALETTICA RIPROPOSTA", Stefano Garroni, LA CITTA' DEL SOLE. - Alessandra Ciattini, Catania 2 dic. 2015*
*Libreria CATANIALIBRI, Piazza G. Verga 2 (Presso la libreria sarà possibile l'acquisto del testo)
Vorrei premettere che probabilmente costituisce per me una azzardo partecipare alle presentazione di un libro filosofico dedicato alla dialettica, al discusso e complicato rapporto Marx / Hegel, giacché non sono una studiosa di filosofia, anche se mi sono occupata della riflessione filosofica sulla religione, non sono nemmeno una lettrice sistematica di Marx e di Hegel. Mi sono sempre occupata di religiosità popolare, anche se non credo esista una disciplina come l'antropologia religiosa nettamente scissa dalla filosofia, dalla psicologia, dalla sociologia. Nonostante questa considerazione, darò il mio contributo, non entrando negli specifici contenuti del libro che oggi presentiamo, ma indicando una serie di temi sviluppati dal suo autore che ho recepito e che costituiscono per me un punto di riferimento.
Siamo qui per ricordare uno studioso, ormai scomparso da più
di un anno, il cui contributo intellettuale ci fa comprendere meglio e ha reso
vivi alcuni nodi centrali della riflessione filosofica moderna; tale apporto ha
avuto l'obiettivo di ricostruire una fondamentale tradizione di pensiero e, in
subordine, quello di cogliere, grazie agli strumenti da essa forniti, le
dinamiche di funzionamento e di cambiamento del mondo in cui viviamo.
In questo piccolo libro, intitolato Dialettica riproposta,
sono raccolti alcuni scritti, cui Stefano Garroni anche se con fatica, per la
sua malattia, stava lavorando e che aveva affidato a Sergio Manes in vista di
una loro possibile pubblicazione. Su sollecitazione di Manes ho rivisto il
testo limitandomi a correggere i refusi e a eliminare le ripetizioni, convinta
il suo contenuto avrebbe potuto suscitare interesse e anche dare impulso ad una
discussione in particolare tra coloro che sono stati più vicini a Stefano e che
hanno condiviso la sua passione per la “battaglia delle idee”, che ahimè
nell'università attuale, ridimensionata e mortificata dalle varie controriforme
susseguitesi negli ultimi decenni, è ormai pressoché assopita.
A questa osservazione aggiungerei che, come accade sempre
nel caso di autori non omologati al pensiero dominante, che conforma anche il
nostro senso comune, l'opera di Stefano è conosciuta solo all'interno di una
certa nicchia di studiosi e di militanti, che manifestano nella curiosità
intellettuale il loro malessere e la loro insoddisfazione verso il mondo
attuale, e che si sentono sollecitati a ricercare ad esso alternative, sia pure
fondate sulle condizioni esistenti.
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