«Del resto non è difficile a vedersi, che la nostra è un’età
di gestazione e di passaggio ad una nuova era». Hegel ha piena consapevolezza
che noi viviamo in un’età di trapasso in cui vecchie certezze si sono
sgretolate e nuove certezze non sono nate. «Lo spirito ha rotto con quello che
è stato fino ad ora il mondo del suo esserci e del suo rappresentare; esso è in
procinto di calare tutto ciò nel passato, ed è impegnato nel travaglio della
sua trasformazione». Viviamo troppo al di dentro di una trasformazione per
rendercene conto: c’è un travaglio doloroso, che sembra implicare solo
disgregazione, ma che è la preparazione di una nuova era: «In verità esso non è
mai in quiete, ma è preso da un movimento sempre progressivo. Ma allo stesso
modo che nel bambino [vuol dire nel nascituro, nel feto] dopo un lungo e
silenzioso periodo di nutrizione, il primo respiro interrompe – con un salto
qualitativo – il processo graduale di quello sviluppo soltanto quantitativo, ed
allora il bambino è nato, così lo spirito in via di formazione matura
lentamente e silenziosamente verso la sua nuova figura». Anche se non ce ne
accorgiamo, l’epoca storica sta, faticosamente, per partorire qualche cosa di
nuovo, però, appunto, secondo una delle leggi della dialettica, la quantità all’improvviso
si trasforma in qualità, cioè si accumulano prima gradualmente le condizioni di
un cambiamento e poi il cambiamento sboccia all’improvviso. Non ci rendiamo
conto che viviamo in un’epoca di trasformazione, in cui si stanno accumulando
le condizioni di una nuova nascita; sentiamo ogni tanto i gemiti di un parto
che sta per venire, non lo abbiamo ancora visto, «ma io sono certo, dice Hegel,
che lo spirito, cioè il divenire dell’uomo, sta per generare una nuova era, che
poi sboccerà all’improvviso». Hegel è un filosofo rivoluzionario, per lui la
storia presenta discontinuità: procede silenziosamente per anni, anche per
secoli, poi, all’improvviso, emerge un’epocanuova. [...]
Lo spirito non è qualche cosa di passeggero,
di destinato ad essere sconfitto, a essere sorpassato: lo spirito dà luogo a
creazioni permanenti. Lo spirito è il momento più alto perché è il momento in
cui la comprensione dell’uomo si attaglia pienamente alla realtà, quindi dà
luogo a costruzioni che rimangono, a quelle che Hegel chiama “seconda natura”.
Nello spirito l’uomo è creatore. L’uomo si trova di fronte la natura, ma crea
un altro mondo, una seconda natura, che è il mondo del diritto, della famiglia,
dello Stato, dell’arte, della religione, della filosofia. Lo spirito non è
transeunte, non è destinato ad essere sconfitto; esso si radica nella realtà,
perché corrisponde al momento più alto di comprensione dell’uomo, che veramente
afferra la realtà con la sua ragione e si riesce a radicare nella realtà,
riesce a impiantarvi qualche cosa di duraturo, che Hegel chiamerà nella
Filosofia del diritto “seconda natura”, nel senso che è quasi una seconda
creazione. Le creazioni mature dello spirito sono i grandi sistemi religiosi. I
grandi sistemi religiosi cercano di cogliere l’assoluto e di organizzare
popolazioni intere intorno a credenze che rimangono nei secoli, se non nei
millenni, ma le religioni sono solo il penultimo stadio dello spirito, perché
esse colgono l’assoluto, il divino, l’infinito, in una maniera inadeguata,
ancora legata al mito, alla rappresentazione. Lo sviluppo supremo dello spirito,
l’ultimo stadio della Fenomenologia, è il sapere assoluto, cioè il momento in
cui l’uomo capisce, al di là della religione, che l’infinito, il divino,
l’ideale, sono perfettamente razionali, hanno una forma razionale, e quindi
devono essere capiti allo stesso livello, cioè nella forma della ragione. http://www.iisf.it/scuola/idealismo/Hegel_fen.htm
La teoria Marxista poggia la sua forza sulla scienza... che ne valida la verità, e la rende disponibile al confronto con qualunque altra teoria che ponga se stessa alla prova del rigoroso riscontro scientifico... il collettivo di formazione Marxista Stefano Garroni propone una serie di incontri teorici partendo da punti di vista alternativi e apparentemente lontani che mostrano, invece, punti fortissimi di convergenza...
sabato 15 febbraio 2014
sabato 1 febbraio 2014
Su Hegel politico. - Stefano Garroni -
In italiano
possiamo dire <quella persona non ha carattere>, per intendere che
su quella persona non si può contare - in particolare nel caso si tratti di
assumere un qualche atteggiamento deciso, di mostrare una certa risolutezza
e volontà e continuità
nella decisione presa. Una persona che non ha carattere ha in sé qualcosa di
indefinito, non è né questo né quell’altro ed, in tal senso, possiamo anche
dire che <quella persona non esiste>, appunto perché né è
definibile in modo sufficientemente preciso, né ha ‘il polso’, la ‘robustezza
morale’, che ci si attende da una persona, che sia effettivamente tale.
Tuttavia, potremmo
(e dovremo) dire che quella stessa persona tuttavia esiste: però
nel senso particolare, che mi sembra ben precisato in questa pagina, scritta da
Sartre nel 1943:
“(la persona) è
in quanto evento, nel senso che posso dire che Filippo II è stato; che
il mio amico Pierre è, esiste; è in quanto compare in una situazione che
egli non ha scelto; in quanto Pierre è un borghese del 1942 e Schmitt era,
invece, un operaio berlinese del 1870; egli è, perché gettato nel mondo,
abbandonato in una ‘situazione’; è, in quanto pura contingenza; è nella misura
in cui –per lui, come per tutte le cose di questo mondo -per questo muro, per
questo albero, per questa tazza-, è legittimo porsi la questione originaria
<perché questo essere qui è così e non altrimenti?> Esso è
nella misura in cui vi è qualcosa di cui esso stesso non è il fondamento,
ovvero la sua presenza al mondo.” [1]
Lo sappiamo, al
senso ed al linguaggio comuni può capitare di trasmettere, sia pure in modo
largamente inconsapevole, una saggezza,
a volte perfino profonda -ed è
questo, appunto, che capita nel nostro caso.
Cosa ci insegna,
infatti, quel comune uso linguistico, che abbiamo richiamato e che stiamo
esaminando?
Che una persona mancante di carattere non esiste propriamente; ma, anche, ci mostra come questo sia un giudizio che generalmente diamo di persone, le quali in un altro senso -ovvero empiricamente- tuttavia esistono, son presenti, stanno lì, possono essere indicate a dito; ovvero, persone di cui potremmo scattare una foto, che potremmo sentir parlare, ecc.
Che una persona mancante di carattere non esiste propriamente; ma, anche, ci mostra come questo sia un giudizio che generalmente diamo di persone, le quali in un altro senso -ovvero empiricamente- tuttavia esistono, son presenti, stanno lì, possono essere indicate a dito; ovvero, persone di cui potremmo scattare una foto, che potremmo sentir parlare, ecc.
mercoledì 29 gennaio 2014
Ripensare Marx - Stefano Garroni -
Per
una rilettura di Marx fuori dal dogmatismo e dalle semplificazioni scolastiche.
Al centro, il profondo legame con il pensiero hegeliano e con la scienza.
"Questo volume raccoglie scritti recenti, ma diversamente occasionati. Tuttavia, sembra a me che un filo rosso li leghi con evidenza: la convinzione che liberare Hegel dall’immagine che ne è stata costruita dalla tradizione (filosofo speculativo, conservatore sia da un punto di vista politico che, in verità, anche teorico), comporti non solo poter constatare convergenze tra il suo pensiero ed episodi importanti del pensiero novecentesco, ma anche aiuti a coglierne il profondo legame col pensiero di Marx, nella prospettiva di una società libera –perché sottratta al dominio della ‘necessità’; e più umana, perché emancipata ormai alle varie forme di estraneazione e di ‘positività’.
Al centro, il profondo legame con il pensiero hegeliano e con la scienza.
"Questo volume raccoglie scritti recenti, ma diversamente occasionati. Tuttavia, sembra a me che un filo rosso li leghi con evidenza: la convinzione che liberare Hegel dall’immagine che ne è stata costruita dalla tradizione (filosofo speculativo, conservatore sia da un punto di vista politico che, in verità, anche teorico), comporti non solo poter constatare convergenze tra il suo pensiero ed episodi importanti del pensiero novecentesco, ma anche aiuti a coglierne il profondo legame col pensiero di Marx, nella prospettiva di una società libera –perché sottratta al dominio della ‘necessità’; e più umana, perché emancipata ormai alle varie forme di estraneazione e di ‘positività’.
Naturalmente questo filo rosso si riesce a cogliere,
nel limite di una raccolta di scritti e non di un libro strictu sensu;
tuttavia, va sottolineato che i singoli scritti sono il frutto degli
insegnamenti, che ho ricevuto in particolare dal professor Francesco Valentini
-uno dei più insigni studiosi italiani di Hegel; dal professor Hans Heinz Holz
-per l’acutezza delle sue pagine e per l’ampiezza della sua cultura; dai frequenti colloqui con Alessandro Mazzone;
ed infine dai compagni del Collettivo di formazione marxista, per i tanti
stimoli, che i loro interventi ed osservazioni mi hanno dato." -Stefano Garroni-
Leggi tutto il testo: https://drive.google.com/file/d/1LZ8ucfV-9fb41qhBKL6zfIdnnfaDMAhJ/view?usp=sharing
venerdì 24 gennaio 2014
Sinistra, nazione e solidarietà internazionale - Un dibattito aperto... Cesaratto, Fusaro, Garroni...
Vedi anche: https://www.youtube.com/watch?v=Jsxa1tJIvI&list=UUIUS1ZTwPg7TQNl8- sNzT8Q https://www.youtube.com/watch?v=9VTCrEbmtOo
"Più facile, senz’altro, sognare il mondo di ieri: il
discorso della svalutazione dentro un ritorno all’economia nazionale … Quello
di cui vi sarebbe bisogno sono piuttosto lotte coordinate e proposte politiche
uniche della sinistra su scala europea, a partire dai conflitti del lavoro e
dei soggetti sociali, una spinta dal basso che c’è ma non è adeguatamente
organizzata e neanche pensata, nell’orizzonte o di un drastico cambio del
disegno della moneta unica ..." (Bellofiore e Garibaldo2013)
"Progredire, superare la crisi, significa per esempio
riaffermare che gli interessi del lavoro incarnano l’interesse generale.
Significa attribuire nuova centralità all’intervento pubblico nell’economia, a
partire dal settore bancario. E significa chiarire che se salta la moneta unica
bisognerà mettere in discussione, almeno in parte, anche il mercato unico
europeo, in primo luogo stabilendo limiti alle acquisizioni estere e alla
indiscriminata circolazione dei capitali." Emiliano Brancaccio
“Di fronte al perdurare della crisi più grave degli ultimi
centoventi anni, in mancanza di soluzioni innovative suggerite dai teorici agli
attori politici, la tendenza più forte sembra purtroppo essere quella a
ricorrere a vecchie soluzioni che, a lungo tempo screditate, tornano a un
tratto di moda e suggeriscono misure affrettate e pesanti perché prese in
ritardo e senza accordo anche tra paesi appartenenti a unioni di Stati, come i
paesi europei. Nazionalismo, protezionismo, regolamentazione dei mercati sono i
nomi di queste soluzioni. Averle screditate e messe da parte per più di un
cinquantennio come se si trattasse di pulsioni peccaminose e indegne di una
nuova e superiore organizzazione internazionale è stato colpevole e persino
stupido, perché in forma blanda esse dovevano rimanere in voga, persino il
nazionalismo, mentre ora ci si trova a prenderle velocemente e in dosi assai
maggiori, senza usufruire dei vantaggi che sarebbero derivati da dosi moderate,
e correndo in pieno il pericolo di precipitare il mondo intero in un nuovo
disordine internazionale con conseguenze economiche e politiche simili a quelle
che indussero le due guerre mondiali e il marasma degli anni venti e trenta del
Novecento.” Marcello De Cecco (2013)
"Sosteniamo che lo Stato nazionale sia lo spazio più
prossimo in cui una classe lavoratrice nazionale può legittimamente sperare di
modificare a proprio vantaggio i rapporti di forza. Nell'aver sostenuto lo
svuotamento della sovranità nazionale in nome di un europeismo tanto ingenuo
quanto superficiale, la sinistra ha contribuito a far mancare a sé stessa e ai
propri ceti di riferimento il terreno su cui espletare efficacemente l’azione
politica contribuendo in tal modo allo sbandamento democratico del paese." Sergio Cesaratto
"Riformismo e sociademocrazia… sono inconcepibili se
alla forza del denaro non può essere contrapposta quella dello Stato – dunque
se viene meno la sovranità dello Stato-nazione in campo economico ed essa non è
sostituita da nuove forme di potere politico sovranazionale, capaci di regolare
i processi produttivi e distributivi. Questo è proprio quello che è avvenuto
con la costituzione dell’Unione Europea e dell’Eurosistema al suo interno [...]
nessun processo di unificazione politica e di connessa centralizzazione
dell’intera politica economica – finalizzata al sostegno della crescita
dell’Unione nel suo complesso e al contenimento delle diseguaglianze al suo
interno – ha accompagnato, compensandola, la perdita di sovranità subita da
ciascuno Stato membro." Massimo Pivetti (2011)
mercoledì 22 gennaio 2014
IL CAPITALE, LIBRO I, SEZIONE III, LA PRODUZIONE DEL PLUSVALORE ASSOLUTO, CAPITOLO 8, LA GIORNATA LAVORATIVA. - K. Marx -
AVVERTENZA PER IL LETTORE
Il testo del I libro del Capitale che viene qui riportato NON È UNA DELLE TRADUZIONI INTEGRALI DEL TESTO ORIGINALE che sono disponibili: esso infatti è una rivisitazione delle traduzioni esistenti (in italiano ed in francese) a cui sono state apportate le seguenti modifiche:
1 – negli esempi numerici, per facilitare la lettura, sono state cambiate le unità di misura e le grandezze;
2 – diversi dati richiamati nella forma di testo sono stati trasformati in tabelle ed in grafici;
3 – in alcuni esempi numerici le cifre decimali indicate sono state limitate a due e nel caso di numeri periodici, ad esempio 1/3 o 2/3, la cifra periodica è stata indicata ponendovi a fianco un apice (’).
Ci rendiamo conto che leggere un testo del Capitale in cui Marx formula esempi in Euro (€) invece che in Lire Sterline (Lst) o scellini potrebbe far sorridere e far pensare ad uno scherzo o ad una manipolazione che ha travisato il pensiero dell’Autore, avvertiamo invece il lettore che il testo è assolutamente fedele al pensiero originale e che ci siamo permessi di introdurre alcune “varianti” per consentire a coloro che non hanno dimestichezza con le unità di misura e monetarie inglesi di non bloccarsi di fronte a questa difficoltà e di facilitarne così la lettura o lo studio. In altre parti si è invece mantenuto le unità di misura e monetarie inglesi originali perchè la lettura non creava problemi di comprensione e per ragioni di fedeltà storica.
Ci facciamo altresì carico dell’osservazione che Engels ha formulato nelle “considerazioni supplementari” poste all’inizio del III Libro,laddove, di fronte alle molteplici interpretazioni del testo che vennero fatte dopo la prima edizione, sostiene: “Nella presente edizione ho cercato innanzitutto di comporre un testo il più possibile autentico, di presentare, nel limite del possibile, i nuovi risultati acquisiti da Marx, usando i termini stessi di Marx, intervenendo unicamente quando era assolutamente necessario, evitando che, anche in quest’ultimo caso, il lettore potesse avere dei dubbi su chi gli parla. Questo sistema è stato criticato; si è pensato che io avrei dovuto trasformare il materiale a mia disposizione in un libro sistematicamente elaborato, en faire un livre, come dicono i francesi, in altre parole sacrificare l’autenticità del testo alla comodità del lettore. Ma non è in questo senso che io avevo interpretato il mio compito. Per una simile rielaborazione mi mancava qualsiasi diritto; un uomo come Marx può pretendere di essere ascoltato per se stesso, di tramandare alla posterità le sue scoperte scientifiche nella piena integrità della sua propria esposizione. Inoltre non avevo nessun desiderio di farlo: il manomettere in questo modo perchè dovevo considerare ciò una manomissione l’eredità di un uomo di statura così superiore, mi sarebbe sembrato una mancanza di lealtà. In terzo luogo sarebbe stato completamente inutile. Per la gente che non può o non vuole leggere, che già per il primo Libro si è data maggior pena a interpretarlo male di quanto non fosse necessario a interpretarlo bene — per questa gente è perfettamente inutile sobbarcarsi a delle fatiche”.
Marx ed Engels non ce ne vogliano, ma posti di fronte alle molteplici “fughe” dallo studio da parte di persone che non possedevano una cultura accademica, fughe che venivano imputate alla difficoltà presentate dal testo, abbiamo deciso di fare uno “strappo” alle osservazioni di Engels, intervenendo in alcune parti avendo altresì cura di toccare il testo il meno possibile. Nel fare questo “strappo” eravamo tuttavia confortati dal fatto che, a differenza della situazione in cui Engels si trovava, oggi chi vuole accedere al testo “originale”, dispone di diverse edizioni in varie lingue.
IL CAPITALE
LIBRO I
SEZIONE III
LA PRODUZIONE DEL PLUSVALORE ASSOLUTO
CAPITOLO 8
LA GIORNATA LAVORATIVA
1 - I limiti della giornata lavorativa.
martedì 21 gennaio 2014
"carne" - Aristide Bellacicco -
uno
Appena entrato in casa, Gioel colpiva col dorso delle dita
le corde della chitarra appesa al muro.
Faceva questo tutte le sere. Non suonava più da tre anni,
però voleva che lo strumento fosse
sempre accordato. Ascoltava fino in fondo l'estinguersi del suono e se qualcosa
non lo convinceva si sedeva sul divano e
regolava la corda allentata. Quando tutto era a posto, rimetteva con attenzione
la chitarra al suo posto.
Poi si svestiva, si dava una sciacquata sotto le ascelle nel
lavandino di cucina e si infilava le pantofole.
Ada portava via i vestiti sporchi. La cena era pronta:
mangiavano loro due insieme seduti al tavolino, sfiorandosi i gomiti nel
maneggiare le posate.
Di solito erano le otto o le nove di sera quando cenavano.
Ada gli diceva "tutto a posto" oppure gli raccontava se nel palazzo
era successo qualcosa e se avevano portato via qualcun altro.
Col tempo, la loro paura era cresciuta a un punto tale da averli resi quasi insensibili.
Gioel ascoltava le notizie peggiori mentre masticava un
pezzetto di pane o si metteva fra le labbra un cucchiaio di minestra.
Nel palazzo c'era un enorme silenzio. Erano rimasti solo i
Meier al primo piano, e non c'era più
nessuno fino al quarto, dove abitavano Ada e Gioel. Da tre settimane avevano
svuotato anche l'ultimo piano. Al di sopra
c'era solo il terrazzo, e forse ci viveva qualcuno, nascosto nel
lavatoio abbandonato.
giovedì 16 gennaio 2014
Riabilitiamo la teoria del valore* - Augusto Graziani *
(*) Augusto
Graziani, Riabilitiamo la teoria del valore (da I conti senza l’oste,
Bollati Boringhieri, pp. 235-240). https://zeroconsensus.wordpress.com/
Leggi anche:https://keynesblog.com/2015/09/24/augusto-graziani-luomo-che-ha-davvero-capito-la-moneta/#more-6278
Non poco
dell’insegnamento economico di Marx è stato assorbito
silenziosamente da economisti di tradizione estranea al marxismo. Non
è difficile scoprire, all’interno della tradizione economica
borghese, l’esistenza di una vasta corrente sotterranea di origine
marxiana, a volte sepolta nel profondo, a volte affiorante in
superficie, comunque sempre presente e vitale.
L’analisi di
Marx, per chi volesse utilizzare un termine moderno, può dirsi
impostata in termini macroscopici. La definizione marxiana del
capitalismo come sistema basato sulla separazione fra lavoro e mezzi
di produzione, e sulla conseguente contrapposizione tra una classe di
capitalisti proprietari e una classe di lavoratori nullatenenti, è
espressa direttamente in termini di struttura sociale. Questa
definizione del capitalismo, come sistema costituito da classi in
conflitto, è quasi superfluo ricordarlo, viene fermamente respinta
dalla teoria economica borghese, la quale resta saldamente
affezionata all’idea del mercato come libera palestra di
contrattazione, nella quale i singoli affermano le proprie preferenze
e difendono i propri interessi.
L’imposizione
individualistica, com’è noto, prende come punto di partenza
l’agire del singolo individuo e, dall’analisi del comportamento
del singolo, desume l’assetto globale del sistema economico. A
questa procedura, Marx, con la sua impostazione macroeconomica,
contrappone una procedura inversa, di contenuto storico e concreto.
Ridotta all’essenziale, la sua logica può essere espressa così:
poiché l’esperienza storica mostra che un sistema sociale quale il
capitalismo, basato sulla separazione tra lavoro e mezzi di
produzione, si è affermato e perdura, ciò significa che i soggetti
che lo compongono si comportano in modo da garantire la
sopravvivenza. Compito dell’analisi economica è proprio quello di
scoprire tali regole di sopravvivenza. Per spingersi nel profondo,
occorre scoprire le vere condizioni di equilibrio del sistema
economico, che sono le condizioni della sua riproduzione. Questo è
il compito che Marx assegna alla scienza economica. Per un
economista, questa regola di metodo significa riconoscere priorità e
autonomia all’analisi macroeconomica, lasciando all’analisi
microeconomica (e cioè allo studio del comportamento individuale) il
carattere di residuo derivato.
L’analisi di
classe della società capitalistica conduce immediatamente Marx a una
descrizione del processo economico inteso come circuito monetario. I
lavoratori, privi per definizione di mezzi di produzione, non possono
avviare alcuna attività produttiva. Le imprese, a loro volta,
possono farlo soltanto dopo aver acquistato forza-lavoro. Il processo
economico si mette dunque in moto soltanto nel momento in cui le
imprese, ottenuto un finanziamento monetario dal settore delle
banche, acquistano forza-lavoro e realizzano il processo produttivo.
Lo stesso processo si conclude allorché le imprese, avendo vendute
le merci prodotte, rientrano in possesso della moneta erogata e
rimborsano alle banche il credito inizialmente ricevuto.
mercoledì 15 gennaio 2014
Per una discussione col professor La Grassa - Stefano Garroni -
...........La risposta del prof. G. La Grassa......................
molto simpatico, molto preciso, sa quel che dice, ha tutti i
pregi possibili. Tuttavia, si dovrebbe capire che mi fa paura la fossilizzazione
nella stretta filologia. Poi, non so più che cosa significhi l’affermazione
secondo cui fuori del comunismo (quello centrato sul marxismo, e io stesso non
ne riconosco altri che non siano prodotto di puri fantasisti chiacchieroni) c’è
il capitalismo; e che a fronte del capitalismo ci sta ancora questo prodotto
del pensiero ottocentesco chiamato proletariato. Non c’è “un” capitalismo; la
società inglese di metà ’800, in quanto “laboratorio” scelto da Marx per la sua
elaborazione effettivamente scientifica, era nettamente diversa già dal
capitalismo Usa emerso dalla guerra civile (1861-65, e Marx era ancora vivo, ma
non poté valutarlo e tenerne conto per ovvii motivi), ma lo era addirittura
stellarmente rispetto a tale capitalismo all’epoca della prima guerra mondiale;
e non parliamo degli Stati Uniti odierni! Il proletariato è sempre stato usato
come sinonimo (confuso) di classe operaia; si può discutere fin che si vuole
della differenza tra operaio e arbeiter, ma resta che tutto il marxismo
successivo a Marx ha preso come “soggetto rivoluzionario” l’operaio (esecutivo)
di fabbrica. E già non capire la differenza tra impresa e fabbrica mette fuori
gioco l’analisi marxista tradizionale per quanto filologicamente precisata,
approfondita, ecc. Ma soprattutto restare allo sfruttamento – non capendo il
conflitto strategico (che investe ambiti non solo economici) in quanto centro
della questione relativa alla forma di società – porta a non capire che tutte
le presunte avanguardie dei lavoratori (sia partitiche sia sindacali) diventano
gruppi posti allo stesso livello di quelli imprenditoriali e dei loro corifei
politici. La Camusso non è “funzionalmente” diversa da Squinzi (o da
Marchionne); o anche da Napolitano, ecc. Se si continua con lo schema
capitale/lavoro si diventa, magari del tutto onestamente, reazionari, perché
quella lotta non ha portato nella direzione voluta, era errata
nell’impostazione e la prassi è dunque fallita. E ciò che ha cambiato il mondo
nel XX secolo non è stato il proletariato/classe operaia, ma l’intuizione dello
spostamento della rivoluzione verso i paesi ancora contadini dell’”est” (poi
detti terzo mondo e anche questa teorizzazione ha infine cristallizzato il
pensiero e la prassi); masse contadine in lotta sotto la guida di nuovi gruppi
divenuti, necessariamente, dominanti e in contrasto con quelli “più vecchi”.
Con risultati che ancora non si vogliono valutare, perché i “nuovi” gruppi sono
falliti dappertutto; a “ovest” (società dette capitalismi, al plurale però, con
un po’ più di verità) non c’è stata alcuna rivoluzione e la formazione
americana resta la più flessibile e più adattabile alle nuove congiunture; a
“est” c’è stato di tutto e il contrario di tutto, con la trasformazione del
mondo, ma assolutamente differente da ciò che si voleva e prevedeva. Il grave è
che ancora non si cerca nemmeno di capire in che senso è cambiata la situazione
mondiale; si insiste a pensare al comunismo, al proletariato, allo sfruttamento
in senso marxista. Dall’altra parte, si blatera di mercato, della sua
globalizzazione, della finanza quale elemento “cattivo” del capitale (in sé
“buono”), e altre cazzate varie. Basta con queste vecchiezze assurde. Si deve
intraprendere un cammino del tutto diverso; e quando si va su una nuova strada,
inutile credere che non ci siano erbacce, pozzanghere, buche e quant’altro. Non
si costruisce d’emblée una buona via, scorrevole, con critiche a Marx, ma
quelle solo “fondate”. Mi dispiace, l’unica cosa che resta valida è la
seguente: bisogna picchiare sulla testa di cretini che filosofesseggiano (non
filosofano, tutt’altra cosa) in modo tale da impedire di capire la realtà in
cui siamo, in modo da coprire i vecchi gruppi dominanti. Si deve procedere ad
una “nuova scienza”; ma si deve pensare e ripensare su quali postulati essa si
baserà, quali costruzioni logiche (che non riproducono la realtà, quella che
tutti vogliono vedere come vera e raggiungibile con il nostro cervello) saranno
le più adatte a costruire campi per la conduzione del conflitto. Un conflitto
che sarà sempre tra gruppi organizzati e coordinati, con le “masse” il cui
movimento è indispensabile, ma non secerne ciò che si deve fare. Credere ancora
a queste fanfaluche è materialismo volgare esattamente come quello di coloro
che credono al pensiero in quanto secrezione del cervello, ad un hardware che
possa produrre direttamente il software, ad una tecnica pianistica (o del
ballare) che produce il gran pianista o il gran ballerino, ad una orchestra che
suona senza direttore, ecc. ecc.. Così poi vengono fuori i governi dei tecnici
che portano a fondo un paese. E i filologi marxisti rischiano, del tutto
onestamente in certi casi (non in tutti), di produrre gli stessi guasti
irreparabili!
................................................................e ancora, seppur datato (2008), un altro commento..................................................................: http://www.webalice.it/mario.gangarossa/sottolebandieredelmarxismo_identita/2008_01_michele-basso_rivoluzione-contro-il-capitale-o-nuova-revisione-del-marxismo.htm
mercoledì 1 gennaio 2014
Appunti per "Rileggere Marx". - Stefano Garroni -
Lo
scopo di questa raccolta di scritti è
mostrare l’attualità- in un’accezione non negativa del termine- della
riflessione marxiana, qui esemplificata con la sua opera maggiore, Das Kapital. In sostanza mi sembra che questo si debba dire: il
pensiero di Marx ha legami profondi con la parte più viva, dinamica e
consapevole della cultura moderna, di quella cultura, cioè, che definisce
lo"spirito"del nostro tempo. In questo senso, attraverso Marx (anche
attraverso Marx) giungiamo alla consapevolezza di noi stessi, della
problematica e delle alternative, che son proprie della nostra vita attuale
(appunto!). Il che naturalmente non nega la possibilità di un giudizio anche
negativo della riflessione marxiana, ma dice che una tale critica è legittimata
solo da una critica più vasta e radicale, che investa una parte
sostanziale della coscienza moderna: per
dirla con un apparente paradosso non basta mostrare che questa o quella tesi
economico-sociale, elaborata da Marx, non ha trovato riscontro nello svolgersi
effettivo dei fatti, perché l’autentico problema è mostrare l’inadeguatezza
della angolatura etico-epistemologica (filosofica, insomma), entro cui Marx si
colloca e che costituisce il retroterra delle analisi, che egli compie e delle
soluzioni che prospetta.
Nel
titolo della mia ricerca c’è il termine “Appunti”: perché? Ma perché piuttosto
che l’analisi puntuale di specifiche questioni, ciò che mi preme è indicare una
problematica, che Marx raccoglie da quel più ampio filone culturale, di cui ho
detto sopra e che, certamente, ha in Hegel un momento decisivo.
giovedì 19 dicembre 2013
Una problematica politica odierna. Il comunismo libertario - Stefano Garroni -
E’ ben noto che il movimento di massa, che a partire dalla
seconda metà del 1967, si diffuse in tutta l’Europa occidentale, in Gran
Bretagna e negli Usa, presentò subito un’ambiguità di fondo – intendo la
compresenza di rivendicazioni e di parole d’ordine, per un verso, legate
direttamente alla lotta di classe anticapitalistica ma, per l’altro, che
richiamavano temi, invece, della cosiddetta ‘rivoluzione sessuale’ e che,
dunque, si collegavano alla cosiddetta Sexpolitik di certo marxismo tedesco
post rivoluzionario (W. Reich, ad es.), ma anche e fondamentalmente a quel
radicalismo borghese, che accompagnò per tutto l’Ottocento lo stabilizzarsi del
dominio del grande capitale (temi caratteristici di tale radicalismo sono, come
dovrebbe esser noto, il femminismo, la rivendicazione di libertà per la
devianza sessuale e per il consumo di droghe).
Insomma, il movimento che si sviluppa a partire dal ’67-’68 si caratterizza, fin da subito, per rivendicazioni, che si estendono su tutti i livelli dell’esperienza umana (si ricordi il significativo slogan il privato è politico), senza avere tuttavia la coscienza del modo di coesistenza di tali livelli e, così, mostrandosi incapace di comprenderli ognuno nella propria determinatezza, specificità e valenza storica.
E’ in questo contesto che la ripresa dei temi del marxismo rivoluzionario si intrecciarono, paradossalmente, con il rifiorire di orientamenti anarchici (si ricordi che, appunto nel 1968, fu ristampato in Italia L’ Unico, il libro di Stirner, largamente criticato da Marx nella Ideologia tedesca) e che iniziò quell’ uso linguistico, che progressivamente finì col sostituire al termine, classista, di proletariato le più generiche qualificazioni ( intrise di impronte religiose), quali gli ultimi, gli oppressi, i più deboli, gli emarginati.
A tutto ciò va unito l’estendersi di un orientamento politico che, identificando stalinismo con organizzazione, centralizzazione e distinzione di ruoli, riprese la problematica consigliare, ma in modo astratto, unilaterale, vale a dire, facendone l’assoluto altro rispetto all’istanza organizzativa, intesa – quest’ ultima- come sinonimo di deformazione burocratica.
A questo punto le cose si radicalizzano: da un lato, in seguito alla durezza dello scontro politico con l’esistente organizzazione statuale, si consolidò la tendenza a non ingabbiare il movimento nelle maglie di una disciplina teorico-organizzativa ma di enfatizzarne il carattere di movimento libero e creativo, perché espressione diretta delle masse; dall’altro, tutto al contrario, si andarono costituendo formazioni (a volte di una certa ampiezza), addirittura neo-staliniste – e quindi, centralizzate, gerarchicizzate e ideologizzate (nel senso più deteriore e dogmatico del termine).
Insomma, il movimento che si sviluppa a partire dal ’67-’68 si caratterizza, fin da subito, per rivendicazioni, che si estendono su tutti i livelli dell’esperienza umana (si ricordi il significativo slogan il privato è politico), senza avere tuttavia la coscienza del modo di coesistenza di tali livelli e, così, mostrandosi incapace di comprenderli ognuno nella propria determinatezza, specificità e valenza storica.
E’ in questo contesto che la ripresa dei temi del marxismo rivoluzionario si intrecciarono, paradossalmente, con il rifiorire di orientamenti anarchici (si ricordi che, appunto nel 1968, fu ristampato in Italia L’ Unico, il libro di Stirner, largamente criticato da Marx nella Ideologia tedesca) e che iniziò quell’ uso linguistico, che progressivamente finì col sostituire al termine, classista, di proletariato le più generiche qualificazioni ( intrise di impronte religiose), quali gli ultimi, gli oppressi, i più deboli, gli emarginati.
A tutto ciò va unito l’estendersi di un orientamento politico che, identificando stalinismo con organizzazione, centralizzazione e distinzione di ruoli, riprese la problematica consigliare, ma in modo astratto, unilaterale, vale a dire, facendone l’assoluto altro rispetto all’istanza organizzativa, intesa – quest’ ultima- come sinonimo di deformazione burocratica.
A questo punto le cose si radicalizzano: da un lato, in seguito alla durezza dello scontro politico con l’esistente organizzazione statuale, si consolidò la tendenza a non ingabbiare il movimento nelle maglie di una disciplina teorico-organizzativa ma di enfatizzarne il carattere di movimento libero e creativo, perché espressione diretta delle masse; dall’altro, tutto al contrario, si andarono costituendo formazioni (a volte di una certa ampiezza), addirittura neo-staliniste – e quindi, centralizzate, gerarchicizzate e ideologizzate (nel senso più deteriore e dogmatico del termine).
Contributo a una discussione - Aristide Bellacicco* -
*(Collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni")
1) Uno dei fenomeni più caratteristici degli ultimi anni è il fortissimo prevalere, nelle analisi e nelle interpretazioni della crisi del capitale, dell’elemento strettamente economico pensato nella sua assolutezza e autonomia. In particolare nella’area europea, il dibattito appare contraddistinto dalla divisione fra i sostenitori di una linea recessiva e di austerità (alla Merkel, per intenderci) e coloro i quali sostengono che sia necessaria una politica monetaria più espansiva per ridare fiato alla produzione e al consumo. Il fatto che queste misure di carattere neo-keynesiano rappresentino l’orizzonte comune di molti economisti di ispirazione marxista o genericamente “di sinistra”, è sufficientemente indicativo dell’ impasse teorica e politica in cui si trova impigliato, ormai da molti decenni, ciò che resta del pensiero critico e dello stesso movimento comunista. La situazione si può forse riassumere in questo modo: da un lato, o meglio, sullo sfondo, il persistere della consapevolezza che il sistema di produzione capitalistico è sbagliato perché violento e irrazionale; dall’altro, o in primo piano, l’apparentemente insuperabile soggezione alle sue logiche e alle sue “leggi”. Da qui, il primato dell’”economico” e l’appiattimento, quasi ossessivo, sui temi dei “mercati”, della “ripresa”, delle banche e così via. E sempre da qui, come una specie di sottoprodotto, quella sorta di coscienza diffusa, priva di un chiaro segno politico, che porta a concepire la situazione attuale come polarizzata fra un generico “grande capitale” mostruoso e vorace, chiamato anche sbrigativamente “Europa”, e “il popolo”, vale a dire tutti gli altri.
2) Detto ciò, non ci si può nascondere che questa visione è, in buona sostanza, il riflesso necessario dei rapporti fra le classi o fra i diversi raggruppamenti sociali, su scala europea e mondiale, così come sono andati configurandosi nell’epoca della reazione neo-liberista. Del quadro fanno parte il fallimento delle due esperienze novecentesche di ispirazione socialista in paesi più o meno capitalisticamente avanzati – il Cile e il Portogallo – e la crisi e il crollo del campo socialista e dell’ Unione sovietica ad est: il famoso tramonto della centralità operaia, di cui si vocifera da un trentennio almeno, trova forse in tutto questo una delle sue radici e, se si assume un certo pessimismo della ragione, una sua almeno apparente conferma.
mercoledì 18 dicembre 2013
Il feticismo da un punto di vista antropologico. - A.Ciattini*, S.Garroni. -
Trascrizione dall'audio
dell'incontro organizzato dal collettivo di formazione marxista "Maurizio
Franceschini" di Roma - 15/01/96 - (Trascrizione ad opera del compagno Giacomo Turci) -
http://www.treccani.it/enciclopedia/feticismo_(Dizionario_di_filosofia)/
ALESSANDRA CIATTINI: [...] Da taluni, ad esempio da Manuel, che ha scritto un libro molto importante sulla riflessione e sulla religione, viene considerato solo un dilettante erudito. Comunque a noi qui interessa mettere in evidenza che De Brosses aveva svariati interessi. È intervenuto su problemi che a quel tempo erano importanti (siamo nel '700 francese), problemi di vario tipo. Si è occupato dell'origine del linguaggio, dell'origine della religione, e si è occupato anche di problemi geografici - siamo nell'epoca in cui continuano le grandi scoperte geografiche. Vediamo più dettagliatamente questa sua opera sul feticismo, sul culto degli déi feticci. Questa opera è abbastanza significativa ancora oggi per l'antropologia religiosa. L'antropologia religiosa è un sotto-settore dell'antropologia culturale, che da un lato si occupa di ricostruire e di descrivere in maniera dettagliata le varie forme di vita religiosa che si manifestano nelle società più disparate, anche se prevalentemente l'antropologo religioso studia le società a livello etnologico, cioè le società semplici, le società primitive cosiddette, anche se questa parola oggi viene condannata, ma forse è abbastanza adeguata - le società extraeuropee, le società esotiche, cioè quelle che si collocano ai livelli più semplici di vita economica e sociale. L'altra questione di cui si occupa l'antropologia religiosa è una questione più rilevante e che ha dei risvolti anche filosofici - è la questione se sia possibile individuare una struttura logica e specifica del comportamento della credenza religiosi, che consenta di stabilire paralleli e di fare comparazioni tra le varie forme di religiosità. Quindi l'antropologia religiosa si pone il problema di capire se la religione, rispetto alle altre forme di comportamento e di pensiero, ha una sua specificità distintiva. L'opera di De Brosses in realtà è significativa ancora oggi soprattutto per questo secondo punto. Riguardo al primo punto non è più significativa perché ovviamente De Brosses si basava sull'opera di viaggiatori, di missionari, di commercianti ecc., che davano reportage delle società primitive con cui entravano in contatto che spesso non erano del tutto veritieri e falsificati da motivazioni economiche e politiche. De Brosses è il primo che parla di feticismo, è il primo che utilizza questa parola, è lui che la inventa. Questa parola è stata ripresa successivamente da vari autori molto diversi, per esempio Comte, che ne fece uno stadio di sviluppo mentale dell'umanità. Diciamo che lo stadio feticistico è il primo stadio dello stadio teologico; successivo al feticistico abbiamo il politeistico e il monoteistico: così Comte descriveva la prima fase di sviluppo mentale ed intellettuale dell'umanità. Questo termine fu usato anche da Hegel e da Marx.
mercoledì 4 dicembre 2013
Il Capitale - Libro primo: Il processo di produzione del capitale - II Sezione: La Trasformazione del Denaro in Capitale - Quarto capitolo - Karl Marx -
"Delle mie personali attidudini fisiche e intellettuali, e delle mie personali possibilità di azione io posso... alienare ad un altro un uso limitato nel tempo, giacche esse, dopo tale limitazione, conservano un rapporto esteriore con la mia totalità e universalità. Alienando tutto il mio tempo realizzato tramite il lavoro e la totalità della mia produzione, io darei in proprietà ad un altro quello che essi hanno di essenziale, la mia attività e realtà universali, la mia personalità". Hegel (Philosopie des Rechts, Berlino, 1840, p. 104, § 67)
"...si odia l'usura a pieno diritto in quanto qui il denaro stesso è la fonte del guadagno e non lo si usa allo scopo per cui fu inventato. Giacché ebbe origine per lo scambio di merci, ma l'interesse fa dal denaro più denaro, e da questo ebbe origine anche il suo nome (interesse e nato). In quanto i nati sono simili ai loro genitori. E l'interesse è denaro originato dal denaro, in maniera che esso è, tra tutti i modi di guadagno, quello maggiormente contro natura". Aristotele (DeRepubblica,vol.I,cap.10) "...la formazione del capitale deve essere possibile anche se il prezzo delle merci è eguale al valore delle merci. Non può essere spiegata con la differenza fra i prezzi e i valori delle merci. Se i prezzi differiscono realmente dai valori, occorre ridurre i prezzi ai valori, cioè fare astrazione da questa circostanza come casuale, se si vuole avere davanti a sé puro il fenomeno della formazione del capitale sulla base dello scambio di merci, e se non si vuole essere confusi nell'osservarlo da circostanze secondarie perturbatrici ed estranee al vero e proprio andamento del fenomeno. Si sa del resto che tale riduzione non è affatto un puro e semplice procedimento scientifico. Le oscillazioni continue dei prezzi di mercato, i loro rialzi e i loro ribassi, si compensano, si eliminano reciprocamente e si riducono a prezzo medio, che è la loro regola interna. Ed essa costituisce la stella polare p. es. del mercante o dell'industriale in ogni impresa che abbracci un periodo di tempo d'una certa durata. Dunque essi sanno che, considerato nel suo insieme un periodo di una certa durata, le merci vengono vendute non sopra e non sotto il loro prezzo medio, ma proprio al loro prezzo medio. E se il pensiero disinteressato fosse semmai il loro interesse. il mercante e l'industriale si dovrebbero porre il problema della formazione del capitale a questo modo: data la regolazione dei prezzi mediante il prezzo medio, cioè in ultima istanza, mediante il valore della merce, come può nascere capitale? Dico «in ultima istanza», perché i prezzi medi non coincidono direttamente con le grandezze di valore delle merci, come credono A. Smith, il Ricardo, ecc". [...] "Perciò, comunque si giri la cosa, il risultato è sempre il medesimo. Scambiando equivalenti, non sorge alcun plusvalore, e non sorge neanche scambiando non equivalenti. La circolazione, cioè lo scambio delle merci, non crea alcun valore". Karl Marx
http://www.rottacomunista.org/classici/marx-engels/capitale/cap_4.htm
"...si odia l'usura a pieno diritto in quanto qui il denaro stesso è la fonte del guadagno e non lo si usa allo scopo per cui fu inventato. Giacché ebbe origine per lo scambio di merci, ma l'interesse fa dal denaro più denaro, e da questo ebbe origine anche il suo nome (interesse e nato). In quanto i nati sono simili ai loro genitori. E l'interesse è denaro originato dal denaro, in maniera che esso è, tra tutti i modi di guadagno, quello maggiormente contro natura". Aristotele (DeRepubblica,vol.I,cap.10) "...la formazione del capitale deve essere possibile anche se il prezzo delle merci è eguale al valore delle merci. Non può essere spiegata con la differenza fra i prezzi e i valori delle merci. Se i prezzi differiscono realmente dai valori, occorre ridurre i prezzi ai valori, cioè fare astrazione da questa circostanza come casuale, se si vuole avere davanti a sé puro il fenomeno della formazione del capitale sulla base dello scambio di merci, e se non si vuole essere confusi nell'osservarlo da circostanze secondarie perturbatrici ed estranee al vero e proprio andamento del fenomeno. Si sa del resto che tale riduzione non è affatto un puro e semplice procedimento scientifico. Le oscillazioni continue dei prezzi di mercato, i loro rialzi e i loro ribassi, si compensano, si eliminano reciprocamente e si riducono a prezzo medio, che è la loro regola interna. Ed essa costituisce la stella polare p. es. del mercante o dell'industriale in ogni impresa che abbracci un periodo di tempo d'una certa durata. Dunque essi sanno che, considerato nel suo insieme un periodo di una certa durata, le merci vengono vendute non sopra e non sotto il loro prezzo medio, ma proprio al loro prezzo medio. E se il pensiero disinteressato fosse semmai il loro interesse. il mercante e l'industriale si dovrebbero porre il problema della formazione del capitale a questo modo: data la regolazione dei prezzi mediante il prezzo medio, cioè in ultima istanza, mediante il valore della merce, come può nascere capitale? Dico «in ultima istanza», perché i prezzi medi non coincidono direttamente con le grandezze di valore delle merci, come credono A. Smith, il Ricardo, ecc". [...] "Perciò, comunque si giri la cosa, il risultato è sempre il medesimo. Scambiando equivalenti, non sorge alcun plusvalore, e non sorge neanche scambiando non equivalenti. La circolazione, cioè lo scambio delle merci, non crea alcun valore". Karl Marx
http://www.rottacomunista.org/classici/marx-engels/capitale/cap_4.htm
martedì 26 novembre 2013
E. Cassirer, Scienza e funzione… - Stefano Garroni -
Stefano Garroni (Roma, 26 gennaio 1939 – Roma, 13 aprile 2014) è stato un filosofo italiano. Assistente presso la Cattedra di Filosofia Teoretica (Roma Sapienza) diretta, nell'ordine, dai Proff. U. Spirito, G. Calogero e A. Capizzi. Nel 1973 entrò a far parte del Centro di Pensiero Antico del CNR diretto dal Prof G. Giannantoni.
“La nuova posizione, che la filosofia contemporanea viene
gradualmente assumendo riguardo ai fondamenti della scienza teoretica, forse in
nessuna cosa si è manifestata con maggior chiarezza che nelle trasformazioni
subite in essa dalle principali dottrine della logica formale.
Solo nella logica lo sviluppo del pensiero filosofico sembrò aver finalmente
raggiunto un sicuro punto d’appoggio; sembrò che in essa fosse stato delimitato
un campo al sicuro dai dubbi sempre sollevati contro le diverse dottrine e
opinioni gnoseologiche … Perfino la successiva affermazione secondo la quale la
logica dopo Aristotele, come non fece nessun passo indietro, così non riuscì a
compiere alcun passo avanti, dovette valere sotto questo punto di vista come
una conferma del suo peculiare carattere di certezza. Non influenzata dal vero
vivere e dal continuo trasformarsi di ogni sapere oggettivo, essa
sola sembrò affermarsi in modo costante e uniforme.” (Cassirer, 0521: 9).[1]
“Tuttavia, se si segue più da vicino il corso preso dalla
evoluzione scientifica negli ultimi decenni, ne risulta subito anche per la
logica formale un quadro diverso. Essa appare ovunque impegnata in nuove
questioni e dominata da nuove tendenze di pensiero (c’è un’evoluzione
storica anche della logica formale).
Anche per il rinnovamento della logica formale è
fondamentale la teoria matematica degli insiemi.(Cassirer,0521: 10) “Questa
teoria si rivela sempre più quale meta comune di questioni logiche diverse,
prima trattate di solito separatamente, le quali ricevono da essa la loro unità
ideale. In tal modo la logica vien tolta dal suo isolamento e ricondotta a
compiti e risultati concreti. Infatti l’orizzonte della moderna teoria degli insiemi non rimane
circoscritto a problemi puramente matematici, ma si allarga in una visione
generale che si estende e si conferma anche nella metodica speciale
della conoscenza della natura.” (Cassirer, 0521). “La critica della logica
formale si compendia in una critica della teoria generale della formazione dei
concetti.” (Cassirer, 0521: 11)
Nota che la nozione tradizionale di concetto viene
descritta da Cassirer, in forte analogia con il modo in cui Hegel e Marx
descrivono il metodo speculativo. (Cassirer, 0521: 12).[2]
Nell’accezione tradizionale il concetto non duplica la
realtà,ma semplicemente la ordina e la classifica.(Cassirer, 0531: 12).
“Se dunque si denomina l’insieme delle note di un concetto
la grandezza della sua comprensione, questa grandezza crescerà
quando dal concetto superiore si scende all’inferiore, diminuendo in tal modo
il numero delle specie che si pensano subordinate al concetto …” (Cassirer.
0531: 12s).
Contro la concezione tradizionale del concetto:”Ciò
che anzitutto chiediamo e ci aspettiamo [e che il concetto in senso
tradizionale non dà] dal concetto scientifico è che, in luogo
dell’indeterminatezza e ambiguità del contenuto rappresentativo, esso instauri
una netta e univoca determinatezza.” (Cassirer, 0531: 13); “il concetto
perderebbe se esso significasse semplicemente la negazione dei
casi particolari, dalla cui considerazione prende le mosse, e se volesse dire
distruzione della loro natura specifica.” (Cassirer, 0531: 14). Se noi –per
usare un drastico esempio di Lotze- facciamo rientrare ciliege e carne nel
gruppo connotativo dei corpi rossi, succosi e commestibili, non otteniamo con
questo alcun oggetto logico valido, bensì una connessione verbale priva di
senso e di utilità per la comprensione dei casi particolari. Da ciò risulta
chiaro che la generale norma formale di per sé sola non basta, e che invece
viene sempre tacitamene integrata da un altro criterio di pensiero.” (Cassirer,
0531: 14).
[Concetto e telos in Aristotele] - “La
definizione (aristotelica) del concetto mediante il suo genere prossimo e la
differenza specifica rispecchia il processo in virtù del quale la sostanza
reale si dispiega successivamente nei suoi particolari modi di essere.”
(Cassirer, 0531: 14); per Aristotele almeno il concetto non è un semplice
schema soggettivo in cui noi raccogliamo gli elementi comuni di un gruppo
qualsiasi di cose. Rilevare ciò che è comune rimarrebbe un vano gioco
dell’immaginazione se alla base non ci fosse il pensiero secondo cui ciò, che
in tal maniera viene ottenuto è al tempo stesso la forma reale,
che garantisce il nesso causale e teleologico delle cose singole.”
(Cassirer, 0531: 14s)[3] “Il pensiero non fa che isolare il tipo
specifico che è contenuto nella concreta realtà singola come fattore
attivo e che conferisce ai particolari esseri formati l’impronta universale. La
specie biologica indica al tempo stesso la meta, a cui la singola forma vitale
tende, e la forza immanente onde il suo sviluppo è guidato … La definizione del
concetto mediante il suo genere prossimo e la differenza specifica rispecchia
il processo in virtù del quale la sostanza reale si dispiega successivamente
nei suoi particolari modi di essere.[4]
“A questo fondamentale concetto di sostanza rimangono
pertanto sostanzialmente legate anche le teorie puramente logiche di
Aristotele. Il sistema completo delle definizioni scientifiche sarebbe al tempo
stesso l’espressione completa delle potenze sostanziali che dominano la realtà.
La struttura specifica della logica aristotelica è in tal modo condizionata
dalla struttura specifica del suo concetto di essere.” (Cassirer, 0531: 15)
Giusta la sua concezione di sostanza, Aristotele fa passare
in secondo piano il concetto di relazione, mentre rimane incontrastato il
primato logico di sostanza … anzitutto è la categoria di relazione a essere
degradata, in conseguenza di questa fondamentale dottrina metafisica di
Aristotele, a un rango dipendente e subordinato.” (Cassirer, 0531: 16). “Nei
manuali di logica formale questa concezione si manifesta nel fatto che
di solito i rapporti o le relazioni vengono annoverati fra le note <non
essenziali> di un concetto, le quali perciò possono essere tralasciate senza
danno nella definizione di esso.”(Cassirer, 0531: 16).
Particolarmente lo sviluppo scientifico moderno, mostra
sempre più la contrapposizione tra una logica basata sul concetto di cosa e
una logica basata sul concetto di relazione.(Cassirer, 0531: 16).
J.S.Mill “ribadisce esplicitamente che la vera realtà positiva di
ogni relazione risiede sempre soltanto nei singoli termini da essa collegati, e
che in tal modo, poiché questi termini possono esser dati soltanto nella
differenziazione individuale, non si può parlare neppure di una
rappresentazione concreta e con tutte le caratteristiche di tale rappresentazione
..” (Cassirer, 0531: 18s). La psicologia dell’astrazione e la disputa
scolastica sugli universali. (Cassirer, 0531: 19-20)
“I concetti, che in definitiva Aristotele cerca e
a cui il suo interesse è principalmente rivolto, son i conceti-generi della
scienza naturale descrittiva e classificatrice. La <forma> dell’ulivo,
del cavallo, del leone è ciò che si tratta di raggiungere e di stabilire.”
(Cassirer: 20)
“I concetto di punto, di linea, di superficie può essere
mostrato come parte diretta del corpo fisicamente presente, e
quindi essere da esso separato per semplice « astrazione ». Già di fronte
a questi semplicissimi esempi, che sono forniti dalla scienza esatta, la
tecnica logica si vede posta di fronte a un compito nuovo. I concetti
matematici, che nascono mediante una definizione genetica, si distinguono dai
concetti empirici, che vogliono essere soltanto la riproduzione di certi tratti
effettivamente esistenti nella realtà delle cose. Se in quest'ultimo caso la
molteplicità delle cose sussiste in sé e per sé e deve soltanto essere raccolta
in un'espressione abbreviata linguistica o concettuale, nel primo caso invece
si tratta appena di creare la molteplicità che forma l'oggetto della
considerazione, in quanto da un semplice atto del porre viene prodotta per
sintesi progressiva una connessione sistematica di creazioni del pensiero. Qui
pertanto alla semplice «astrazione>> si contrappone un atto speciale del
pensiero, una libera produzione di determinati nessi di relazioni. Si comprende
facilmente che la teoria logica dell'astrazione abbia sempre tentato, ancora
nella sua forma moderna, di cancellare questa opposizione, poiché
su questo punto si decide la questione del suo valore e della sua intrinseca
unità. Ma questo stesso tentativo conduce tosto a una trasformazione e
dissolvimento della teoria per il cui vantaggio viene intrapreso. La
teoria dell'astrazione perde qui o la sua validità universale o lo specifico
carattere logico che originariamente le apparteneva.”(Cassirer: 20s).
“Così J.S. Mil1, per esempio, per mantenere l'unità del
supremo principio esplicativo, cerca d'interpretare anche le verità e i
concetti matematici semplicemente come l'espressione di concreti fatti fisici.
La proposizione affermante 1 + 1 = 2 descrive semplicemente
un'esperienza che ci si è imposta nella giustapposizione di cose; in un mondo
di oggetti altrimenti costituito, in un mondo, per esempio, in cui mediante la
connessione di due cose ne nascesse ogni volta spontaneamente una terza,
essa perderebbe ogni significato e valore. Lo stesso vale per gli assiomi
riguardanti rapporti spaziali: un «quadrato rotondo» significa per noi un c o n
c e t t o contraddittorio solo in quanto ci risulta, da un'esperienza senza
eccezioni che una cosa, nel momento in cui assume la proprietà rotonda, perde
la forma quadrata, cosicché l’inizio di una proposizione è inseparabilmente
associata alla cessazione dell’altra. In tal modo, in virtù di questa
interpretazione la geometria e l’aritmetica sembrano di nuovo risolte in
semplici enunciati intorno a determinati gruppi di immagini rappresentative. Ma
questa concezione fallisce lo scopo quando Mill cerca poi di giustificare il
valore e il significato specifico che nel campo complessivo della conoscenza sono
propri di quelle speciali esperienze del numerare e del misurare. Qui si mostra
anzitutto l’esattezza e la fedeltà delle immagini che noi conserviamo dei
rapporti spaziali e numerici.. In questo caso, la rappresentazione riprodotta è
simile in tutte le sue parti alla rappresentazione originaria, come ci è stato
mostrato da un’esperienza ripetuta; l’immagine che la geometria abbozza
corrisponde perfettamente nei suoi particolari all’impressione originaria
secondo la quale era stata abbozzata. Appare perciò comprensibile che noi, per
giungere a nuove verità geometriche o aritmetiche, non abbiamo bisogno ogni
volta di rinnovate percezioni di oggetti fisici: l’immagine mnemonica può
sostituire, grazie alla sua precisione e chiarezza, l’oggetto stesso. Ma questa
spiegazione viene tosto a incrociarsi con un’altra. La peculiare certezza
‘deduttiva’ che attribuiamo alle proposizioni viene ora ricondotta al fatto che
in queste proposizioni non abbiamo mai a che fare con enunciati intorno a fatti
concreti, bensì con rapporti fra creazioni ipotetiche. Non vi sono cose reali
che corrispondano esattamente alle definizioni della geometria: non vi è un
punto senza grandezza, non una retta perfetta, non un cerchio i cui raggi siano
tutti uguali. E non soltanto la realtà attuale, ma la stessa possibilità di
questi insiemi di note deve essere contestata in base alla nostra esperienza:
essa è esclusa in virtù della struttura fisica del nostro pianeta, se non di
quella dell’universo.
Non meno dell’esistenza fisica, è negata anche
l’esistenza psichica agli oggetti delle definizioni geometriche. Infatti anche
nel nostro spirito non si trova mai la rappresentazione di un punto matematico,
ma sempre soltanto quella della minima estensione sensibile; anche qui non
«concepiamo» mai una linea senza larghezza, giacché ogni immagine psichica, che
possiamo abbozzare, ci mostra sempre soltanto linee di una determinata
larghezza. Si vede subito come questa duplice spiegazione annu1li se stessa. Da
un lato viene dato il massimo rilievo alla s o m i g 1 i a n z a fra le idee
matematiche e le impressioni originarie; dall'altro appare subito che tale
somiglianza, almeno per quelle formazioni che nella stessa scienza matematica
vengono definite e indicate solo come «concetti», non esiste né può esistere.
Queste formazioni non possono essere ottenute per semplice separazione dai
fatti della natura e della rappresentazione, perchè esse non posseggono alcun
riscontro concreto nel complesso di questi fatti. L'«astrazione», come finora è
stata intesa, non m o di f i c a realmente ciò che si trova nella coscienza e
nella realtà oggettiva, ma traccia soltanto in esso determinate linee di
separazione e suddivisioni; separa le parti costitutive dell'impressione
sensibile, ma non aggiunge ad esse alcun dato nuovo. Se non ché, nella
matematica pura, come insegnano le stesse considerazioni svolte dal
Mill, i1 mondo delle cose sensibili e delle rappresentazioni non tanto è
rispecchiato quanto piuttosto trasformato e sostituito da un ordine d'altra
natura. Se si indaga il modo e la via di questa trasformazione, si rivelano
determinate forme di relazione, si rivela un sistema articolato, e
rigorosamente distinto di funzioni del pensiero, le quali non possono venire
indicate e ancor meno giustificate mediante l'uniforme schema dell'astrazione.
E questo risultato è confermato anche quando si passa dai concetti puramente
matematici a quelli della fisica teorica. Anche questi presentano nella loro
origine -come si può notare nei casi particolari -lo stesso processo di
trasformazione della concreta realtà sensibile, il quale non può essere
giustificato dalla dottrina tradizionale; neppure essi vogliono creare semplici
copie dei dati della percezione, bensì porre in luogo della molteplicità
sensibile un’altra molteplicità conforme a certe condizioni teoretiche.
(Cassirer: 21-24).
“ … ogni formazione di concetti è legata a una determinata f
o r m a di c o s t r u z i o n e di serie.
Diciamo concettualmente compresa e ordinata una molteplicità offerta
dall'intuizione allorché i suoi termini non stanno l'uno accanto all'altro
senza rapporti, ma derivano in successione necessaria da un determinato termine
iniziale secondo una fondamentale relazione generatrice. L' i d e n t i t à di
questa relazione generatrice, che viene mantenuta pur nel mutare dei singoli
contenuti, è ciò che costituisce 1a forma specifica del concetto. Il problema
se dal mantenersi di questa identità di relazione si sviluppi alla fine un o g
g e t t o astratto, una r a p p r e s e n t a z i o n e universale, in cui i
tratti simili siano riuniti, è solo una questione psico-logica secondaria. La
nascita di una siffatta rappresentazione comune può essere esclusa, data la
natura della relazione generatrice, senza che per questo venga distrutta la
deduzione di ciascun elemento da quello che precede. Si riconosce in questi
rapporti che il vero difetto della teoria dell'astrazione consiste
nell'unilateralità con cui dal grande numero di possibili principi di
coordinazione logica si sceglie soltanto il principio della somiglianza. In
verità risulterà che una sèrie di contenuti, per dirsi compresa e ordinata, può
essere disposta secondo i punti di vista più diversi, a condizione soltanto che
nella costruzione della serie il punto di vista assunto come guida venga
mantenuto invariato nella sua specifica natura qualitativa. Per esempio, oltre
alle serie fondate sulla somiglianza, in cui nei singoli contenuti ritorna
costantemente un comune elemento costitutivo, possiamo stabilire delle serie in
cui fra ciascun termine e quello che lo segue sussista un certo grado di d i v
e r s i t à ; possiamo pensare che i termini siano ordinati secondo
l'uguaglianza o la disuguaglianza, secondo la grandezza e il loro grado di
dipendenza causale. Decisiva in ogni caso è solo la relazione di necessità, che
un tal modo viene creata e di cui il concetto è solo l’espressione e
l’involucro, non già la rappresentazione generica, che in determinate
circostanze si può aggiungere, ma che non entra come elemento determinante
nella definizione.” (Cassirer: 25s)[5]
Note
[1] - Nota la posizione tradizonale, secondo
cui se la realtà muta, la logica invece no.
[2] - E’ interessante Cassirer,
0521:13-4 che, contro il concetto nell’accezione tradizionale, avanza una
critica à la Hegel: “E perfino dal punto di vista immanente della
logica formale nasce subito un nuovo problema.. Se ogni formazione di concetti
consiste nel processo per cui noi da una pluralità di oggetti, che ci sta di
fronte, isoliamo le note comuni, tralasciando tutte le rimanenti, è chiaro che
con siffatta riduzione è sottentrata, in luogo dell’originaria totalità intuita,
una parte soltanto degli elementi contenuti in essa.”; altro elemento hegeliano
in Cassirer, che continua la sua critica al concetto nel senso tradizionale:
“il concetto perderebbe ogni valore se esso significasse semplicemente la
negazione dei casi particolari, dalla cui considerazione prende le mosse, e se
volesse dire distruzione della loro natura specifica.” (Cassirer, 0521:14).E’
interessante anche che Kant, di contro alla tradizionale teoria del concetto,
si senta attratto verso il costruttivismo leibniziano, come testimonia Cassirer
in leibniz.doc.
[3] - Per comprendere il ruolo fondamentale
della teleologia in Aristotele.
[4] - Tutto questo c’è in Hegel e Marx.
[5] - Due notazioni: (a) è probabile che
questa pagina possa essere utilizzata da me, per mostrare che Wittgenstein non
nega il concetto; (B) possibilità di vari concetti a seconda del punto di vista
o dell’ipotesi (Galilei).
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