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giovedì 13 luglio 2017

A PROPOSITO DI FANTOZZI E DI MR. SMITH - Paolo Massucci*

*(Collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni"


Il “grottesco” smaschera il fallimento dell’uomo contemporaneo omologato ai valori della cultura borghese

Nei messaggi e nelle scene dei popolari film di Fantozzi (regista Luciano Salce), interpretati da Paolo Villaggio, attore da poco scomparso, la parte migliore non è da rintracciarsi nell’aver saputo rappresentare virtù e debolezze degli Italiani, come hanno affermato le televisioni ed i giornali, né, tanto meno, nell’evidenziare la stoltezza dell’attaccamento al posto fisso di lavoro, come asserito da Il Corriere della Sera. Queste sono solo banali affermazioni ideologiche per nascondere una realtà inammissibile della nostra società: il completo fallimento dell’individuo moderno e contemporaneo e delle sue aspirazioni borghesi a cui l’intera società (non solo quella italiana) aderisce acriticamente.

L’amara comicità dei film di Fantozzi infatti si basa sulla distanza, ovviamente estremizzata, tra gli sforzi per ottenere quanto desiderato (successo individuale, conquista di status sociale) e i risultati effettivamente conseguiti. Ma c’è di più: in tutti i personaggi traspare un’aperta scissione tra aspirazioni del soggetto e auto narrazione, cioè tra come si è e come si vorrebbe apparire. Si tratta di quella falsa coscienza che è il riflesso di una società, appunto, scissa come quella nostra capitalistica. Essa infatti necessita di una potente e pervasiva ideologia per poter garantire l’adesione, o almeno la passiva accettazione, ad un modo di produzione che, al di là delle apparenze, anziché benessere ed autorealizzazione individuale per tutti, produce (e presuppone) divisione della società in classi, miseria, guerre e devastazione ecologica planetaria. Il comico-grottesco e la sensazione di disagio che prova lo spettatore in questi film scaturiscono proprio dallo smascheramento di questa falsa coscienza del soggetto omologato ai valori della società borghese. Tutto ciò è oggi più attuale che mai: è imbarazzante -e disarmante-, osservare, ad esempio, come mi è capitato in questi giorni durante un viaggio, nella famosa ed “elegante” via Montenapoleone a Milano (in realtà semplicemente una via di shopping per ricchi portafogli), comuni passanti fotografare con ammirazione e servile devozione Ferrari ed altre lussuose auto posteggiate.

Il concetto di inautenticità dei rapporti umani, anche se non identificato in questi termini, viene da molto lontano -sin dall’antichità- nella storia del pensiero e della letteratura. Tuttavia è solo con la modernità, cioè con lo sviluppo del sistema capitalistico tra la fine del settecento e l’ottocento, che il problema della falsa coscienza dell’individuo e dell’inautenticità delle relazioni diventa tanto rilevante. La ragione di ciò è da rintracciarsi nella contraddizione tra i valori di Liberté, Egalité e Fraternité della rivoluzione francese assunti a fondamento della nascente ideologia borghese e la realtà della condizione effettiva dell’individuo all’interno della stessa società capitalistica. Si pensi a quanto poco l’universalismo (fraternité) possa essere compatibile con l’individualismo della privatizzazione del profitto o a quanto la libertà possa esserlo con il lavoro salariato del proletario, che per sopravvivere deve accettare quel dato livello di sfruttamento stabilito e, giocoforza, limitare le possibilità di scelta personale, come pure di partecipazione allo sviluppo della vita collettiva e politica, mortificando pertanto qualsiasi aspettativa di libera scelta ed autorealizzazione; per non parlare dell’uguaglianza, allorché, come è drammaticamente evidente in questo tempo, si accentuano sempre più le differenze di reddito (è quanto ci si deve aspettare in un sistema, quello capitalistico, il quale si basa, per poter funzionare, sulla separazione tra individuo possessore di capitale ed individuo possessore di sola forza lavoro). Poiché tuttavia i suddetti valori post-rivoluzionati di libertà, uguaglianza e fraternità sono essenziali per garantire il consenso al sistema capitalistico, essi, pur privati di sostanza, rimangono ancora vivi all’interno dell’ideologia della società capitalistica. Ma questa ideologia allo stesso tempo “strizza l’occhio” anche all’individuo che “meritocraticamente” compete sempre con gli altri per arricchirsi ed accrescere il proprio status. Tale contraddizione è alla base della crisi identitaria e morale dell’uomo moderno.

Nella grande letteratura, e nell’arte in genere, del Novecento, il tema della falsa coscienza e della crisi dell’uomo contemporaneo, nelle sue diverse modalità espressive, è quindi uno dei motivi più ricorrenti. In tale ambito si può certamente collocare il drammatico ma brillante romanzo “Mr. Smith” di Luis Bromefield, scritto a metà Novecento, forse non abbastanza conosciuto, il cui protagonista racconta la propria storia personale e, alla ricerca di se stesso e del senso della vita, riflette con lucida schiettezza sull’inautenticità delle relazioni umane nella nostra società, conformate alla cultura borghese. La società in cui vive Mr. Smith non è semplicemente collocata sullo sfondo delle vicende narrate, ma, nella sua pervasività ideologica, condiziona la maggior parte dei rapporti umani, omologandoli, falsificandoli e in definitiva disumanizzandoli. E’ interessante che lo svolgimento del romanzo, pur partendo dal punto di vista di un uomo, Mr. Smith, appartenente all’alta borghesia, mostri, nelle riflessioni dello stesso protagonista, quanto il conformismo borghese eserciti una irrecuperabile inibizione dello sviluppo della libera personalità ed un inaridimento devastante di ogni relazione umana.

In “Mr. Smith”, come nei popolari film di Fantozzi, pur nelle loro forme espressive totalmente differenti e ovviamente non paragonabili, si presenta pertanto una potente critica dell’ideologia borghese, sempre più dominante e ben caratterizzata nella nostra attuale società, a dispetto della falsa affermazione della “fine delle ideologie”. Fantozzi e Mr. Smith dunque possono e devono far riflettere, ben oltre quanto supinamente dichiarato dai mass media in occasione della scomparsa del noto Attore. 

lunedì 5 febbraio 2018

“IL CAPITALE NEL XXI SECOLO” di THOMAS PIKETTY - Paolo Massucci

Da: https://www.lacittafutura.it - Paolo Massucci (Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni)

La concorrenza pura e perfetta invocata da economisti e governi non intacca i meccanismi che accrescono le disuguaglianze economiche, se mai il contrario. Mentre la proposta dell’Autore di un’imposta progressiva mondiale sui patrimoni individuali si scontra con la concorrenza fiscale per l’ingresso dei capitali tra gli Stati, che tende invece ad una riduzione delle imposte sugli stessi. Come se ne esce ? Sarà sufficiente l’invito allo studio dei processi economici distributivi da parte degli intellettuali, dei militanti della politica e dei cittadini, nonché l’impegno alla partecipazione democratica per cambiare lo stato delle cose come auspica Piketty ?


In questa corposa opera scientifica di quasi mille pagine Piketty -sulla base dei dati disponibili-presenta in maniera dettagliata, talvolta persino ridondante, lo stato attuale delle nostre conoscenze storiche sulla dinamica della distribuzione dei redditi e dei patrimoni a partire dal XVIII secolo, traendone, in ultimo, insegnamenti per il secolo in corso. La lezione principale -che conferma peraltro molti altri studi nonché la comune esperienza- è che il sistema capitalistico, se abbandonato a se stesso, continua a produrre progressiva divergenza economica all’interno della società, mettendo persino in discussione quello stato sociale faticosamente conquistato dai cittadini europei.

Il testo, non certo sintetico, costituisce uno studio serio che ha il merito di chiarire, su basi oggettive, la distribuzione della ricchezza mondiale, la sua dinamica storica e la direzione futura prevedibile, nonché quello di formulare una possibile soluzione chiara dei gravi problemi, della quale espone anche gli attuali ostacoli da rimuovere per la sua effettiva realizzazione. La proposta formulata consiste in un processo di redistribuzione della ricchezza, mediante una elevata imposta mondiale fortemente progressiva da applicarsi sul capitale individuale, per invertire l’attuale andamento, altrimenti inarrestabile, di concentrazione della stessa ricchezza prodotta (con formazione di un’oligarchia internazionale). Secondo l’Autore, tale riforma si dovrebbe comunque realizzare per vie democratiche all’interno dell’attuale sistema capitalistico e sarebbe l’unico modo per impedire una situazione insostenibile di sempre più estrema disuguaglianza economica, tale da poter inficiare gli stessi meccanismi del funzionamento economico e da generare inevitabilmente disastri umanitari e sociali al punto da ipotizzare la fine della civiltà così come oggi la conosciamo.

Analizzando i dati statistici mostrati nel testo si evince che con il crescere delle disuguaglianze nella proprietà di capitali, la cosiddetta “classe media” tende a sparire e si proletarizza, determinandosi una separazione sempre più netta tra i nullatenenti e la classe possidente. Si evince anche che la “classe media”, che costituisce ancora una sorta di cuscinetto tra il proletariato vero e proprio e la borghesia e che ha costituito il perno dello sviluppo delle cosiddette “democrazie occidentali”, non è sempre esistita storicamente (e geograficamente), ma si è formata prevalentemente nei primi decenni del secondo dopoguerra, a seguito di peculiari fattori storici occorsi nei Paesi sviluppati. La classe media piccolo proprietaria è stata una grande creazione del XX secolo, dovuta alla redistribuzione di una importante quota di ricchezza proveniente dai centili superiori, nonché -ma questo punto non sembrerebbe essere citato nel testo- dall’esproprio sistematico della ricchezza prodotta dai paesi colonizzati da parte dell’imperialismo occidentale. E oggi sempre più in crisi…

domenica 2 settembre 2018

“LA START UP CHE FA ENTRARE NELLE FACOLTA’ A NUMERO CHIUSO” Paolo Massucci


Ideologia senza ritegno sul Corriere della Sera, come in tutti i mass media.


L’articolo a pagina 27 del Corriere della Sera del 27/08/2018 annuncia l’uscita, il giorno seguente, della rivista Buone notizie, sempre del Corriere della Sera, in cui l’argomento principe, che occuperà pure la copertina, riguarderà una start up che “aiuta gli studenti a superare i test per l’ingresso nelle facoltà”.

Buona notizia per chi ? Non certo per chi è costretto a spendere altro denaro per poter aver maggiore probabilità di essere tra i pochi che accedono (non si tratta nemmeno semplicemente di “superare i test” –come spesso si sente dire erroneamente ed ideologicamente- di superare un livello minimo, bensì di mero numero chiuso, per cui vi accede solo un numero fissato tra i partecipanti, i primi nei risultati dei test). 

Parlano di “sfida al numero chiuso” da parte dei creatori della start up… ma in realtà essi ben si guardano dal criticare l’istituzione del numero chiuso. Anche allorché, come nel caso della facoltà di medicina, si tratta di un accesso assurdamente  limitato, al punto che presto mancheranno persino i medici (una nuova elite nei prossimi anni?). Al contrario, in questa candida “narrazione”, il giudizio sulla giustezza o meno dei test o un tentativo di valutazione delle conseguenze sociali della limitazione all’accesso nelle facoltà sono completamente assenti: il numero chiuso e il metodo dei test di accesso costituiscono variabili indipendenti, come entità metafisiche date, come l’orbita dei pianeti, pertanto indiscutibili (per lo meno per chi le subisce).

Si dice inoltre che “per superare gli esami di ammissione non basta studiare, serve strategia”: dunque avremo in futuro dei medici strateghi (ma non sappiamo se avranno anche la vocazione per lo studio della fisiopatologia umana e se saranno dediti ai pazienti oppure saranno scaltri strateghi concentrati ad ottenere il massimo successo personale – ma in tal caso medice cura te ipsum -).

Si scrive sull’articolo che i giovani fondatori ex studenti della start up (peraltro si evince così che gli imprenditori sono comuni mortali, semplici ex studenti ma “con tante idee e tanta voglia di fare”) sono “i maghi dei test che aiutano gli studenti”; … purché ovviamente questi paghino i corsi, ma su tale ovvio dettaglio prosaico meglio sorvolare perché allontana quel bel sentore di romanticismo che circonda ogni start up.

La circostanza che ci troviamo di fronte a sfruttamento (i corsi a pagamento) dell’ingiustizia (il numero chiuso), il cui risultato crea ulteriore ingiustizia (minore opportunità per chi non può frequentare detti corsi) non si deve nemmeno sospettare e bisogna piuttosto gioire della capacità e generosità di questi giovani imprenditori che “aiutano” i giovani studenti.

Dunque una squallida minestra di banali affermazioni ideologiche che tuttavia è funzionale a ostacolare qualsiasi ragionamento critico verso il modo di produzione capitalistico con le sue logiche dei rapporti sociali e la propria visione del mondo. Non disturbiamo questa poesia!

venerdì 7 settembre 2018

"PRAGA '68 E LE CONTRADDIZIONI DELLA SINISTRA ITALIANA" - Franco Astengo

Da: http://www.pane-rose.it - Leggi anche: - 5-gennaio-1968-alexander-dubcek-eletto-segretario-del-partito-comunista-cecoslovacco-inizia-la-primavera-praga.
                                                                    - A CINQUANT’ANNI DA PRAGA NEL VORTICE DELLA CRISI DELLA DEMOCRAZIA LIBERALE  
                                                                    - http://www.rifondazione.it/primapagina/?p=35294



Tutto è legato, credo, alla questione del socialismo in un paese solo e arretrato, all'isolamento e alla forza economica dell'occidente capitalistico. Ciò ha determinato, come sappiamo, un irrigidimento del dibattito e una burocratizzazione antidemocratica del PCUS e dei partiti comunisti dei paesi socialisti. Ciò alla fine ha destabilizzato l'URSS e gli altri paesi socialisti. L'ideologia del capitalismo con la falsa libertà e il falso benessere hanno fatto il resto.

Azzardo anche un'ipotesi, in parte connessa a quanto sopra: il capitalismo, finché c'era l'URSS ed il rischio del comunismo, è stato costretto a fare politiche economiche molto più sociali o comunque keynesiane di quanto sarebbe stato "naturale" e questo ha portato ad una crescita economica molto elevata nel complesso dei paesi capitalistici e a miglioramenti sociali. Ciò è stato positivo, ma ha aiutato ideologicamente lo stesso capitalismo nei confronti del socialismo ed ha aiutato anche il capitalismo ad essere economicamente stabile e in crescita. 

Oggi che non c'è più il pericolo comunista il capitalismo si svolge in maniera non forzata ma naturale e questo porta a crisi, instabilità, bassa crescita e aumento della povertà e dell'insicurezza sociale. Con il quadro politico economico attuale forse il confronto con il socialismo sarebbe stato più a vantaggio di quest'ultimo. Purtroppo andrebbe ricreata oggi la fiducia nel socialismo, ma l'ideologia odierna disgregante e individualistica senza progettualità rende tale compito al momento molto difficile. 
Paolo Massucci per il collettivo                                                           

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Mi auguro sia permesso avviare questo intervento con un ricordo personale.

Ero a casa, in ferie forzate perché l’ufficio stava chiuso una settimana (chi mi ha conosciuto sa quanto non mi siano mai piaciute le ferie).
Le 5,30 del mattino: mio padre si stava preparando per il turno in fabbrica e ascoltava, come sempre, la radio.
Ad un certo punto irruppe nella stanza che dividevo con mio fratello ed esclamò (tutto il dialogo rigorosamente in dialetto, naturalmente) “I russi hanno invaso Praga”.
Mi alzai seguendolo ad ascoltare il notiziario: camminavo nervosamente su e giù per la cucina e ad un certo punto, mentre stava per uscire di casa, lo appellai perentorio. “ Papà, questa volta rompiamo con Mosca". Poco profetico e molto ottimista.

21 Agosto 1968: i carri armati del Patto di Varsavia entrano a Praga, spezzando l'esperienza della “Primavera”, il tentativo di rinnovamento portato avanti dal Partito Comunista di Dubcek.
1968: l'anno dei portenti, l'anno della contestazione globale, del “maggio parigino”, di Berkeley, Valle Giulia, Dakar, della Freie Universitaat di Berlino: quell’anno magico vive in quel momento la svolta verso il dramma.

Si chiude bruscamente un capitolo importante nella storia del '900.

giovedì 28 dicembre 2017

Più flessibilità del lavoro crea davvero più occupazione? - E.Brancaccio, N.Garbellini, R.Giammetti* –

Da: http://www.econopoly.ilsole24ore.com - * Rispettivamente Università del Sannio, Università di Bergamo, Università Politecnica delle Marche. 

La libertà di licenziamento e le altre forme di deregolamentazione del lavoro favoriscono le assunzioni? Svariati esponenti di governo e del mondo dei media hanno sostenuto che l’aumento dell’occupazione che si è registrato negli ultimi mesi in Italia sarebbe frutto della ulteriore flessibilità dei contratti sancita dal Jobs Act. Questa tesi, come vedremo, non trova riscontri nella ricerca prevalente in materia. Un primo dubbio sulla supposta relazione tra riforma del lavoro e occupazione sorge mettendo semplicemente a confronto i dati ufficiali sull’Italia con quelli relativi agli altri paesi europei. Dall’entrata in vigore del Jobs Act, la crescita dell’occupazione dipendente nel nostro paese è stata molto più modesta rispetto all’aumento medio degli occupati che si è registrato nell’eurozona; nello stesso arco di tempo, inoltre, non si rilevano significativi avvicinamenti dell’Italia alla media europea (dati Ameco Eurostat). In altre parole, paesi in cui negli ultimi due anni non si sono registrati cambiamenti nella legislazione del lavoro, hanno visto crescere l’occupazione decisamente più che in Italia. 

L’esito di questa banale comparazione non è casuale. Dopo un ventennio di ricerche dedicate all’argomento, la più influente analisi economica ha escluso l’esistenza di relazioni statistiche significative tra precarizzazione del lavoro e occupazione. Economisti e istituzioni che per lungo tempo hanno salutato con favore le politiche di deregolamentazione del lavoro, hanno dovuto riconoscere che non vi sono evidenze sufficienti per sostenere che tali politiche favoriscano le assunzioni. 

sabato 25 dicembre 2021

Alessandro Barbero s'infiamma contro la "Buona Scuola"

Da: Alessandro Barbero - La Storia siamo NoiAlessandro Barbero è uno storico, scrittore e accademico italiano, specializzato in storia del Medioevo e in storia militare.



Lo storico Alessandro Barbero, in pochi minuti, riassume il senso di una scuola aperta a tutti per non tornare ad un mondo in cui solo l’elite, quelli che comandano, possiedono la cultura. 

«Per molto tempo a scuola ci andavano in pochi […] si dava però per scontato che andare a scuola […] era indispensabile per avere un ruolo poi dirigenziale nella vita. l’esercito italiano, durante la prima guerra mondiale, ha un disperato bisogno di ufficiali, tanto che alla fine manda a comandare i plotoni e le compagnie dei diciannovenni, ma su una cosa non transige: devono aver finito le scuole superiori.

Inizia così il breve ma partecipato excursus di Alessandro Barbero sulla riforma della “Buona Scuola”, continua:

[…] poi, lo sappiamo tutti cosa è successo. è successo che si è detto: in un grande movimento democratico […] non si deve più avere un mondo in cui solo l’elite, quelli che comandano, possiedono la cultura. tutti devono averla. tutti i ragazzi devono avere anni e anni, durante i quali studiano e imparano, anziché dover lavorare come è sempre successo ai loro padri e ai loro nonni. […] quando han cominciato ad andarci anche i figli degli operai si è cominciato a dire “ma appunto, in fondo in fondo siamo sicuri che tutto questo serve?” […] e si è arrivati adesso all’assurdità che si è tornati a dire ai ragazzi, come ai loro nonni analfabeti: “anche se avete soltanto sedici o diciassette anni o diciott’anni, però, un po’ di lavoro lo dovete fare. che è questo lusso di passare quegli anni solo a studiare a scuola? no, no: alternanza scuola lavoro!”» [applausi]. (

                                                                          

mercoledì 27 febbraio 2019

LIBERTA’ COME ILLUSIONE NELLA CULTURA DECADENTE - Paolo Massucci

Da: https://www.lacittafutura.it - Paolo Massucci, Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni.
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2019/01/rispecchiamento-dialettica-e-neo.html
                      https://ilcomunista23.blogspot.com/2016/09/il-dualismo-mente-corpo-un-dilemma.html




Sono cresciute negli ultimi anni tesi a sostegno del determinismo e dell’illusorietà del libero arbitrio, supportate da recenti scoperte delle neuroscienze. Vero avanzamento del pensiero scientifico e filosofico o ideologia funzionale al mantenimento dello status quo?




In un interessante testo del 2016 [1], Andrea Lavazza, studioso di filosofia morale e di filosofia delle neuroscienze, ci offre un quadro dell’attuale dibattito inerente ad uno degli argomenti da alcuni anni più discussi, che si candida ad essere tra gli snodi più importanti della riflessione filosofica, in virtù delle sue ricadute sull’esistenza. Si tratta dell’alternativa tra la nozione di determinismo, nelle sue diverse articolazioni, e quella di libertà umana (libero arbitrio)[2], questione che ha segnato la storia del pensiero sin dall’antichità, almeno a partire da Democrito. 

lunedì 16 aprile 2012

LA CRISI EUROPEA OLTRE L’IDEOLOGIA DEL MERCATO - Paolo Massucci -

Inserendoci nel dibattito attuale sulla cosiddetta “crisi dell’Euro” ci proponiamo, pur senza pretesa di completezza, di coglierne alcuni punti essenziali, per poter ampliare il ragionamento al di là della preponderante informazione massificata, basata su ”l’ideologia del mercato”, fuorviante per una effettiva comprensione del processo storico sottostante. Si tratta evidentemente di un compito ostico, soggetto ad errori e fraintendimenti e certamente parziale e provvisorio, in quanto si tenta di “afferrare” una fase della storia in tumultuoso corso di svolgimento, il cui terreno sembra continuamente “muoversi sotto i piedi”. L’attuale crisi appare comunque di proporzione “storica”: è in atto un profondo e drammatico processo di riorganizzazione del sistema capitalistico, il cui esito purtuttavia non può essere né noto né certo.
Siamo vicini al collasso del sistema capitalistico? Al momento è poco probabile, mentre siamo di fronte, almeno in Europa, ad una profonda ristrutturazione dei rapporti di potere, nel segno della scomparsa dei modelli cosiddetti “democratici” del funzionamento della politica e dei modelli cosiddetti “sociali” di redistribuzione delle ricchezze, la scomparsa dunque dei diritti, pur parziali, conquistati dai lavoratori nel secolo scorso. Ma lo scenario futuro rimane imprevedibile.

Quale è il principale fattore di questa incertezza, di questa instabilità, di fronte alle politiche economiche imposte dai poteri dei grandi azionisti dei capitali finanziari? Esso è, in ultima analisi, la possibilità e la capacità di reazione della società stessa (la classe lavoratrice in senso ampio), è l’imprevedibilità della storia, il fattore uomo, cioè la libertà dell’agire umano, la “risposta all’azione”. Se non ci fosse saremmo di fronte alla fine della storia!

Per una discussione sugli svolgimenti politici ed economici in atto in Europa sono stati utilizzati prevalentemente il “6° Quaderno dell’Associazione Marxista Politica e classe” di Contropiano (per la Rete dei Comunisti) del febbraio 2012, intitolato “La mala Europa - Quali alternative ai diktat dell’Unione Europea? Analisi, proposte e movimenti di lotta a confronto”, la rivista Il Mulino (numero 1/12), dell’Istituto Cattaneo di ricerca sociologica, politica, economica e la rivista di geopolitica Limes 2/2012.

lunedì 2 ottobre 2017

La truffa: si vive meno ma aumenta l'età per andare in pensione*- Paolo Massucci**

*Da:  https://www.lacittafutura.it/      **Collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni"


Non dobbiamo accettare un’organizzazione della società in cui il futuro per la maggior parte degli individui costituisce inesorabilmente una minaccia. 

Come riportato nell’articolo sul Corriere della Sera del 22 agosto 2017, che riprende L’Avvenire, ci troviamo di fronte ad un cambiamento epocale: è iniziata, già rilevata dall’ISTAT, una brusca inversione di tendenza della prospettiva di sopravvivenza della popolazione italiana. Ciò è drammatico non solo in sé, ma anche in quanto è il risultato, come ipotizzato dallo stesso Avvenire, giornale cattolico, della riduzione delle prestazioni del Servizio Sanitario Nazionale e dell’assistenza agli anziani.
E’ da rilevare che una riduzione della prospettiva di vita di una popolazione è un evento doloroso che storicamente ricorre in coincidenza di guerre o crisi sociali, politiche ed economiche di proporzioni e durata gigantesca. Un esempio per tutti, in tempi recenti: il crollo di quasi venti anni della prospettiva di vita della popolazione russa maschile nel periodo compreso, all’incirca, tra il 1980 e il 2000 -in seguito parzialmente recuperato- conseguente ai processi di disfacimento dell’URSS.
La cosa più paradossale è che, pur di fronte a questa drammatica ed avvilente riduzione della prospettiva di vita della nostra popolazione (ma dove è il progresso?), prosegue sfacciatamente l’aumento dell’età pensionabile. A tal proposito è opportuno evidenziare che la legge di “riforma” delle pensioni Monti-Fornero ha previsto che l’età pensionabile segua sempre l’andamento della prospettiva di vita solo se questo è positivo, ma non lo segua nel caso divenisse negativo: l’età pensionabile può solo aumentare e in nessun caso ridursi (ciò è stato sottaciuto). Si può pertanto facilmente intuire che i legislatori -su mandato della BCE e dei creditori europei, banchieri e capitalisti internazionali- sin da allora preconizzassero che la curva di incremento della prospettiva di vita della popolazione italiana avrebbe subito un’inversione negli anni successivi. Come chiamare tutto ciò se non una truffa premeditata? La questione più grave dell’aumento dell’età pensionabile -oltre al fatto di togliere il diritto al meritato riposo agli anziani, sottraendo anche alle famiglie il loro aiuto, ad esempio, nella cura dei nipoti- è il rischio catastrofico di essere espulsi dal lavoro ancor prima del raggiungimento dell’età della pensione. Molti posti di lavoro infatti oggi sono in bilico e le aziende fanno e faranno di tutto per liberarsi proprio dei lavoratori anziani, in quanto meno in salute e meno forti fisicamente, tecnicamente obsolescenti e in genere meglio pagati.

domenica 2 aprile 2017

STACANOVISMO E CONTRORIFORME NEL CAPITALISMO NEOLIBERISTA*- Paolo Massucci**

*Da:   http://contropiano.org/
**collettivo di formazione marxista Stefano Garroni 

Analisi dei messaggi ideologici nella presente fase del capitalismo

In una edificante serata del popolare festival di San Remo di quest’anno abbiamo avuto il piacere di assistere alla presentazione di una “nuova” figura nel panorama ideologico neoliberista: quella dello Stachanov nostrano. Si tratta di un impiegato pubblico modello, il quale, in quarant’anni di lavoro, non ha fatto neppure un giorno di malattia ed inoltre ha accumulato ben 239 giorni di ferie non godute. Ci si potrebbe chiedere -se fosse cosa seria- se la ricerca medica stia studiando il caso, per scoprire i segreti della “salute miracolosa”. Invece, riguardo ai 239 giorni di ferie non godute -se fosse vero-, saremmo curiosi di sentire anche il parere della moglie, se mai ne avesse.

E’ notizia di questi stessi giorni che Boeri, presidente dell’INPS, il quale si è distinto per il tentativo -ad oggi fallito- di sacrificare la pensione di reversibilità per i superstiti, intenderebbe intensificare i controlli medico-fiscali per i dipendenti pubblici assenti per malattia. E, con l’occasione, richiederebbe di aumentare, da quattro a sette, le ore giornaliere di reperibilità per le visite di controllo del medico fiscale per i dipendenti in malattia del settore privato, uniformando così la durata della reperibilità dei dipendenti privati a quella dei dipendenti pubblici. Per questi ultimi infatti detta durata era già stata portata da quattro a sette ore dal ministro Brunetta del governo Berlusconi.

Si tratta, secondo Boeri, la classe dirigente e i giornalisti venditori al dettaglio dell’ideologia neoliberista e repressiva, di semplice ristabilimento di un principio di equità (naturalmente non viene neppure considerata la possibilità di uniformare per tutti la durata delle fasce di controllo alle quattro ore attuali dei dipendenti privati e neppure di stabilire un livello intermedio tra le quattro e le sette ore). Eppure, specularmente, nessuno di loro ha giudicato iniquo il cambiamento effettuato da Brunetta, allorché introduceva l’aumento della fascia oraria di reperibilità esclusivamente per il pubblico impiego: è stata considerata, anzi -quella di Brunetta- una misura “più che sacrosanta!”.

Al principio di equità si è ispirata anche la controriforma delle pensioni Fornero del governo Monti: essa ha innalzato di tanti anni l’età pensionabile (che secondo le stime supererà i 70 anni per i quarantacinquenni di oggi), soprattutto per le donne, le quali prima avevano una pensione anticipata rispetto agli uomini e ora sono state equiparate agli uomini, semplicemente innalzando l’età delle donne a quella degli uomini (con un aumento di ben dieci anni!). Non volevamo la “parità tra sessi”?

sabato 4 aprile 2020

Ipotesi sulle cause della pandemia provocata dal Coronavirus - Alessandra Ciattini


Da: https://www.lacittafutura.it/ - Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza e collabora con L’Università Popolare Antonio Gramsci (https://www.unigramsci.it - https://www.facebook.com/unigramsci).
Leggi anche:  Coronavirus: origini, effetti e conseguenze - R.O.R. intervista Ernesto Burgio 


[IMMAGINE: I coronavirus sono quelli gialli, le altre cose che si vedono sono cellule (NIAID-RML)] 



Dobbiamo chiederci da dove viene il coronavirus, perché la sua origine ci farà capire quale nuovo regime economico-sociale e politico ci aspetta.


Benché, come dice il titolo di questo articolo, ci muoviamo ancora nel campo delle ipotesi, più o meno comprovate a seconda dell’autorevolezza degli analisti, credo sia opportuno porsi questa domanda, perché è strettamente legata a quello che ci accadrà dopo, ossia dopo la fine dell’emergenza, sia sul piano economico che politico. Infatti, sulla base dei dati e dell’analisi di cui siamo conoscenza, a mio parere è urgente comprendere se dietro tutto questo c’è un disegno e di quale disegno si tratta, oppure se gli sviluppi del capitalismo degli ultimi decenni, lasciati per così dire a briglia sciolta, siano responsabili di quanto sta accadendo. In entrambi i casi ci viene data l’opportunità di mostrare, anche dinanzi a chi è più chiuso nel suo gretto particulare, sperando illusoriamente di salvarsi, che questo sistema non regge, è foriero di morte e di distruzione per l’umanità tutta intera e la natura, dal cui grembo siamo stati partoriti.

Prima di andare avanti nella direzione tracciata, vorrei soffermarmi brevemente sulla cosiddetta teoria del complotto, di cui potrei essere accusata. Come è noto di complotti, è seminata la storia, basta pensare alle attività di Catilina contro il Senato romano [1] o all’assassinio di Giulio Cesare da parte di un gruppo di congiurati, tra cui il figlio adottivo Bruto. Chi ha un po’ di sensibilità storica, sa benissimo che le grandi trasformazioni storiche non si realizzano per le scelte politiche episodiche di gruppi più o meno agguerriti; il complotto, se effettivamente viene orchestrato nel segreto, non è che l’ultimo atto di una strategia politica elaborata da una certa forza sociale, cui in termini marxisti corrispondono ben precise classi o alleanze tra classi. Per esempio, il colpo di Stato del Termidoro, termine poi divenuto paradigmatico, con cui furono arrestati e fatti fuori Robespierre, Saint Just, Couthon, rappresentanti della sinistra giacobina, fu attuato da un’altra fazione del Comitato di Salute pubblica che, benché avesse partecipato al Terrore, si opponeva all’estremismo dei sanculotti e faceva gli interessi della nuova borghesia.

Pertanto, a mio parere, se ci atteniamo a queste considerazioni, si può ben parlare di congiure e di complotti. Ma torniamo al caso nostro, ossia al ormai tanto famoso coronavirus, il cui tasso di letalità secondo calcoli sbagliati, forniti dall’Istituto superiore di sanità, è stato individuato nel 5,8% dei contagiati. Notizia che inevitabilmente (e volutamente?) ha terrorizzato la popolazione.