*(Collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni")
Il
“grottesco” smaschera il fallimento dell’uomo contemporaneo
omologato ai valori della cultura borghese
Nei
messaggi e nelle scene dei popolari film di Fantozzi (regista Luciano
Salce), interpretati da Paolo Villaggio, attore da poco scomparso, la
parte migliore non è da rintracciarsi nell’aver saputo
rappresentare virtù e debolezze degli Italiani, come hanno affermato
le televisioni ed i giornali, né, tanto meno, nell’evidenziare la
stoltezza dell’attaccamento al posto fisso di lavoro, come asserito
da Il Corriere della
Sera. Queste sono
solo banali affermazioni ideologiche per nascondere una realtà
inammissibile della nostra società: il completo fallimento
dell’individuo moderno e contemporaneo e delle sue aspirazioni
borghesi a cui l’intera società (non solo quella italiana)
aderisce acriticamente.
L’amara
comicità dei film di Fantozzi infatti si basa sulla distanza,
ovviamente estremizzata, tra gli sforzi per ottenere quanto
desiderato (successo individuale, conquista di status sociale) e i
risultati effettivamente conseguiti. Ma c’è di più: in tutti i
personaggi traspare un’aperta scissione tra aspirazioni del
soggetto e auto narrazione, cioè tra come si è e come si vorrebbe
apparire. Si tratta di quella falsa coscienza che è il riflesso di
una società, appunto, scissa come quella nostra capitalistica. Essa
infatti necessita di una potente e pervasiva ideologia per poter
garantire l’adesione, o almeno la passiva accettazione, ad un modo
di produzione che, al di là delle apparenze, anziché benessere ed
autorealizzazione individuale per tutti, produce (e presuppone)
divisione della società in classi, miseria, guerre e devastazione
ecologica planetaria. Il comico-grottesco e la sensazione di disagio
che prova lo spettatore in questi film scaturiscono proprio dallo
smascheramento di questa falsa coscienza del soggetto omologato ai
valori della società borghese. Tutto ciò è oggi più attuale che
mai: è imbarazzante -e disarmante-, osservare, ad esempio, come mi è
capitato in questi giorni durante un viaggio, nella famosa ed
“elegante” via Montenapoleone a Milano (in realtà semplicemente
una via di shopping per ricchi portafogli), comuni passanti
fotografare con ammirazione e servile devozione Ferrari ed altre
lussuose auto posteggiate.
Il
concetto di inautenticità dei rapporti umani, anche se non
identificato in questi termini, viene da molto lontano -sin
dall’antichità- nella storia del pensiero e della letteratura.
Tuttavia è solo con la modernità, cioè con lo sviluppo del sistema
capitalistico tra la fine del settecento e l’ottocento, che il
problema della falsa coscienza dell’individuo e dell’inautenticità
delle relazioni diventa tanto rilevante. La ragione di ciò è da
rintracciarsi nella contraddizione tra i valori di Liberté,
Egalité
e Fraternité
della
rivoluzione francese assunti a fondamento della nascente ideologia
borghese e la realtà della condizione effettiva dell’individuo
all’interno della stessa società capitalistica. Si pensi a quanto
poco l’universalismo (fraternité)
possa essere compatibile con l’individualismo della privatizzazione
del profitto o a quanto la libertà possa esserlo con il lavoro
salariato del proletario, che per sopravvivere deve accettare quel
dato livello di sfruttamento stabilito e, giocoforza, limitare le
possibilità di scelta personale, come pure di partecipazione allo
sviluppo della vita collettiva e politica, mortificando pertanto
qualsiasi aspettativa di libera scelta ed autorealizzazione; per non
parlare dell’uguaglianza, allorché, come è drammaticamente
evidente in questo tempo, si accentuano sempre più le differenze di
reddito (è quanto ci si deve aspettare in un sistema, quello
capitalistico, il quale si basa, per poter funzionare, sulla
separazione tra individuo possessore di capitale ed individuo
possessore di sola forza lavoro). Poiché tuttavia i suddetti valori
post-rivoluzionati di libertà, uguaglianza e fraternità sono
essenziali per garantire il consenso al sistema capitalistico, essi,
pur privati di sostanza, rimangono ancora vivi all’interno
dell’ideologia della società capitalistica. Ma questa ideologia
allo stesso tempo “strizza l’occhio” anche all’individuo che
“meritocraticamente” compete sempre con gli altri per arricchirsi
ed accrescere il proprio status. Tale contraddizione è alla base
della crisi identitaria e morale dell’uomo moderno.
Nella
grande letteratura, e nell’arte in genere, del Novecento, il tema
della falsa coscienza e della crisi dell’uomo contemporaneo, nelle
sue diverse modalità espressive, è quindi uno dei motivi più
ricorrenti. In tale ambito si può certamente collocare il drammatico
ma brillante romanzo “Mr. Smith” di Luis Bromefield, scritto a
metà Novecento, forse non abbastanza conosciuto, il cui protagonista
racconta la propria storia personale e, alla ricerca di se stesso e
del senso della vita, riflette con lucida schiettezza
sull’inautenticità delle relazioni umane nella nostra società,
conformate alla cultura borghese. La società in cui vive Mr. Smith
non è semplicemente collocata sullo sfondo delle vicende narrate,
ma, nella sua pervasività ideologica, condiziona la maggior parte
dei rapporti umani, omologandoli, falsificandoli e in definitiva
disumanizzandoli. E’ interessante che lo svolgimento del romanzo,
pur partendo dal punto di vista di un uomo, Mr. Smith, appartenente
all’alta borghesia, mostri, nelle riflessioni dello stesso
protagonista, quanto il conformismo borghese eserciti una
irrecuperabile inibizione dello sviluppo della libera personalità ed
un inaridimento devastante di ogni relazione umana.
Nessun commento:
Posta un commento