Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2015/06/linferiorita-della-donna-tra-natura-e.html
La libertà sessuale non costituisce l’unico obiettivo degli esseri umani, anche se così ci vogliono far credere.
Sebbene
siamo ormai del tutto assuefatti ai contenuti surrettiziamente o
esplicitamente sessuali della pubblicità, degli spettacoli che i
mass media propongono a chi, estenuato dal lavoro, cerca
semplicemente qualcosa che lo distragga dai problemi angosciosi da
cui siamo circondati, non possiamo non distanziarci da questa
ubriacatura, cercando di elaborare una qualche riflessione critica.
Come
scrive Luciano Canfora la libertà
sessuale costituisce
“il
valore assoluto”
nella società contemporanea (La
schiavitù del capitale,
2017: 90) e sarebbe opportuno chiederci perché, dal momento che gli
esseri umani hanno tante altre potenzialità che li potrebbero
stimolare al raggiungimento di gratificazioni assai diverse tra loro.
Sono
ben consapevole che scrivendo queste righe andrò incontro a numerose
critiche e sarò etichettata come moralista (come se anche l’attuale
edonismo fondato sulla ricerca del piacere sessuale non fosse una
scelta morale). Ciò nonostante, seguo per la mia strada e «lascio
dir le genti», convinta che, per affrontare gli immani problemi del
mondo contemporaneo, ci vogliano uomini e donne di una tempra morale
ben diversa da quella di coloro che sono alla continua ricerca della
soddisfazione momentanea (non a caso un film di vari anni fa, di
notevole successo, che contrapponeva romanticamente la poesia al
mondo degli affari e della tecnica, era intitolato L’attimo
fuggente).
Dividerò
la mia riflessione in vari punti. Il primo tema che mi sembra
opportuno trattare è che la libertà
sessuale in
tutte le sue forme è stata ormai concessa, perché certamente non
mette in discussione l’assetto costituito, che invece nega in
maniera netta tutta una serie di libertà connesse ad importanti
diritti riconosciuti solo sul piano formale. Infatti, noi non siamo
liberi di migliorare le nostre conoscenze, se non abbiamo mezzi
propri per farlo, non siamo liberi di vivere una vita decorosa se non
siamo in grado di procacciarci un’abitazione e un lavoro, non siamo
liberi di essere curati, perché le strutture sanitarie sono in
sfacelo e i medici di base, in molti casi, non fanno nessuna visita
approfondita. Non siamo liberi di esprimere il nostro parere su
questioni di dirimente importanza come la pace e la guerra, la
politica economica, le alleanze militari; possiamo soltanto ogni
tanto eleggere un “nostro” rappresentante adeguatamente scelto
dai quei gruppi di potere, che potrei definire solo con parole assai
forti. Inoltre, la maggiore libertà
sessuale apparentemente
diffusa e accompagnata da aspetti di tutt’altro segno (come lo
sfruttamento sessuale), non è scaturita solo dalle lotte degli
individui, ma anche dall’indebolimento delle funzioni
economico-sociali della famiglia.
Che,
altra parte, la libertà sessuale non avrebbe prodotto trasformazioni
radicali nelle relazioni di potere, era assai facile da prevedere per
due ordini di ragioni: da un lato, i nuovi soggetti (dopo la
cosiddetta scomparsa della classe operaia), ossia le donne, gli
omosessuali, i transessuali, i disabili, le entità locali, gli
“altri” etc. non rivestono nessun ruolo chiave nell’attuale
assetto sociale. Infatti, esso si regge sull’opposizione capitale /
lavoro, la quale oggi si concreta in nuove
forme di schiavitù.
Certo si potrebbe e si dovrebbe dire che le donne, allevando i figli,
sobbarcandosi dei lavori domestici, accudendo gli anziani, sono
certamente indispensabili al mantenimento dello status
quo;
ma la netta contrapposizione fatta tra uomini e donne, quasi
appartenessimo a specie differenti, partorita dal cosiddetto pensiero
della differenza,
ha fatto sì che il fronte dei lavoratori salariati sia stato
spaccato in due metà. E ciò è avvenuto perché ci si è illusi che
la condizione della donna migliorasse senza cambiare il contesto nel
quale era innestata. Infatti, se la donna è sfruttata come donna, in
primis è
sfruttata come lavoratrice e il suo disvalore deriva da questa prima
asimmetria. Se poi qualcuno ha voglia di approfondire le ragioni
millenarie dell’inferiorità della donna posso rimandare ad un mio
articolo già pubblicato sulla LCF diviso
in due parti, facendo presente che esiste un’ampia letteratura
sull’argomento.
Lo
stesso discorso – credo – vale per le altre minoranze, che non
possono veder mutare sostanzialmente le loro condizioni di vita, se
non si abbandona allo stesso tempo questo modello sociale volto alla
mercificazione di tutto, corpi umani compresi, spesso intesi come
qualcosa di sconnesso dalla persona presa nella sua integralità. Del
resto, senza tale lacerante scissione i corpi non potrebbero essere
trasformati in oggetti e il singolo non potrebbe inseguire i diversi
piaceri personalizzati, ma superficiali, che gli offre la società
dei consumi e che gli impediscono volutamente di pensare
e di riflettere.
Tale
atteggiamento nei confronti del corpo umano salta agli occhi dinanzi
all’espressione “utero
in affitto”, che
addirittura astrae un organo sia dal corpo da un individuo oltre che
dalla sua persona complessiva.
A
queste considerazioni aggiungo un altro elemento che mi sembra
interessante. Che lo si voglia o no, la liberazione sessuale ha
prodotto tra l’altro unioni tra persone dello stesso sesso, che
sono assai utili da un lato alla politica neomalthusiana generalmente
adottata dagli Stati moderni, dall’altro consentono l’ulteriore
mercificazione cui prima si accennava, che si concreta nella vendita
dei propri figli, di cui ha beneficiato un noto esponente della
cosiddetta sinistra.
Siamo
di fronte a un nuovo modello di umanità – non sono certo io a
dirlo – che ha rinunciato alla sublimazione e
alla consapevole riappropriazione delle motivazioni inconsce del
nostro agire, lasciandosi andare alla soddisfazione di un
qualsivoglia stimolo, evitando di lasciarsi coinvolgere
integralmente. In questo senso l’amore non
è più di moda, perché troppo impegnativo e richiedente la lunga
durata. Questa convinzione, in passato attribuita quasi
esclusivamente agli individui di sesso maschile, è diventata oggi
una rivendicazione dello stesso genere femminile, che vede in tale
atteggiamento una conquista e una forma di emancipazione.
Non
sono certo riflessioni nuove che richiamano alla mente passi famosi
dei Manoscritti
economico-filosofici del
1844, come per esempio questo, in cui Marx descrive gli esiti del
lavoro alienato: “…il lavoro non è cosa sua [del lavoratore] ma
di un altro…Il risultato è che l’uomo (il lavoratore) si sente
libero ormai soltanto nelle sue funzioni animali, nel mangiare, nel
bere, nel generare…e invece si sente nulla più che una bestia
nelle sue funzioni umane. Ciò che è animale diventa umano, e ciò
che è umano diventa animale. Certo mangiare, bere, procreare sono
anche funzioni schiettamente umane. Ma, in quell’astrazione, che le
separa dalla restante cerchia dell’attività umana e le fa
diventare scopi ultimi e unici, sono funzioni animali”.
Dunque,
per il giovane Marx la nostra ineliminabile animalità affiora con
tutto il suo vigore nel momento in cui si genera una scissione tra di
essa e la nostra umanità, che sono strettamente intrecciate, quando
cioè una dimensione predomina sull’altra e viene meno la loro
armonica integrazione, la quale ovviamente per realizzarsi ha bisogno
di una forma di vita sociale consona. Nel capitalismo – come si è
visto – il lavoro alienato produce l’abbrutimento,
l’imbarbarimento e l’uomo non è più in grado di sviluppare le
sue molteplici capacità, che oggi nell’attuale contesto sono
indirizzate verso un’unica meta: l’ottenimento di gratificazioni
istantanee e che si dissolvono rapidamente senza lasciar traccia di
sé, se non la coazione a ripetere.
In
tale forma di vita sociale consona (il comunismo e le sue
conseguenze) il lavoro non avrà più un carattere coercitivo; a
quest’ultimo Marx non contrappone il non-lavoro che si presenta
come “libertà” e “felicità”, ma il lavoro che conduce
all’autorealizzazione dell’individuo, “il che non significa
affatto che sia un puro spasso, un puro divertimento…Un lavoro
realmente libero, per esempio comporre, è al tempo stesso la cosa
più maledettamente seria di questo mondo, lo sforzo più intensivo
che ci sia” (Lineamenti
fondamentali della critica dell’economia politica,
vol. II, pp. 278-279). In definitiva, la visione di Marx, che taluni
associano ad una componente ebraico-messianica del suo pensiero, si
fonda su due cardini: l’idea dell’uomo onnilaterale, ossia dedito
a più attività tutte arricchenti, e a quella di ozio
produttivo, nel
quale ognuno si impegna in attività non immediatamente
utilitaristiche, ma che contribuiscono alla sua autorealizzazione e
allo stesso tempo all’avanzamento della collettività.
Insomma,
qualcosa del tutto diverso dal lavoro-divertimento,
di cui alcuni si vantano oggi di usufruire (intellettuali, artisti,
professionisti), mentre la maggioranza dei loro simili sono
schiantati dalla fatica e dall’ipersfruttamento.
Nessun commento:
Posta un commento