Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/09/la-filosofia-del-limite-nel-secolo-del.html
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/06/conoscenzasapienzasaggezza-il-triangolo.html
La teoria Marxista poggia la sua forza sulla scienza... che ne valida la verità, e la rende disponibile al confronto con qualunque altra teoria che ponga se stessa alla prova del rigoroso riscontro scientifico... il collettivo di formazione Marxista Stefano Garroni propone una serie di incontri teorici partendo da punti di vista alternativi e apparentemente lontani che mostrano, invece, punti fortissimi di convergenza...
mercoledì 5 aprile 2017
martedì 4 aprile 2017
Storia dell'Unione Europea - Emiliano Brancaccio
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/02/su-europa-e-globalizzazione-cristina-re.html
https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/06/perche-il-diem-2025-di-varoufakis-sta.html
Storia dell'Unione Europea - Romano Prodi: https://www.youtube.com/watch?v=1jNeIn8i-p4
https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/06/perche-il-diem-2025-di-varoufakis-sta.html
Storia dell'Unione Europea - Romano Prodi: https://www.youtube.com/watch?v=1jNeIn8i-p4
lunedì 3 aprile 2017
POTENZIALITÀ E LIMITI DEL REDDITO DI BASE*- Giovanna Vertova**
*Etica & Politica / Ethics & Politics, XIX, 2017, 1. http://www2.units.it/etica/
**Dipartimento di Scienze Aziendali, Economiche e Metodi Quantitativi Università di Bergamo.
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/05/un-reddito-garantito-ci-vuole-ma-quale.html
https://ilcomunista23.blogspot.it/2015/12/salario-minimo-garantito-reddito-di.html
Quesito 1.
In Italia, nonostante l’assenza di misure universali di sostegno al reddito abbia per molti anni tenuto fuori il paese dal dibattito europeo, ultimamente si sono moltiplicate iniziative regionali (per esempio il reddito di dignitàpugliese o il reddito di autonomia piemontese) o amministrative, proposte di legge (quella del Movimento 5 Stelle e quella di SEL, per esempio), iniziative popolari. Anche il ministro Poletti ha recentemente annunciato l’introduzione di un “reddito di inclusione” a livello nazionale. In molti casi la discussione ha riguardato dispositivi molto distanti, nell’impianto e nella filosofia, dal reddito di base incondizionato, presentando caratteri di familismo ed eccessiva condizionalità. In Svizzera, invece, si è recentemente svolto un referendum per l’introduzione di un reddito di base incondizionato su scala nazionale. A cosa è dovuto, a suo parere, il ritardo italiano – ammesso e non concesso che di “ritardo” effettivamente si tratti? Come è possibile tradurre politicamente un dibattito teorico che dura ormai da decenni?
G. Vertova:
Trovo abbastanza bizzarro che la prima domanda di un dibattito sul reddito di base (RdB) non riguardi la validità della proposta, quanto il ritardo nella discussione teorica e nella pratica politica italiana. Lo trovo ancora più bizzarro quando si invita al dibatto una persona che, in più di una occasione, ha sollevato critiche, sia teoriche che politiche, al RdB1 . Forse sarebbe stato intellettualmente più stimolante chiedere ai partecipanti una analisi di tale proposta. Mi prendo, quindi, la libertà di riassumere, molto velocemente, le mie perplessità, prima di rispondere.
Prima di tutto è necessario chiarire di cosa si sta parlando, perché il dibattito sia teorico che politico, soprattutto in Italia, è molto confuso: reddito di esistenza, di base, minimo garantito, di dignità, di autonomia, di inclusione, salario sociale, vengono usati come sinonimi delle diverse proposte, come semplici etichette che nascondono, in realtà, cose molto diverse. Il RdB è una proposta molto chiara e specifica: il pagamento regolare di un reddito (in moneta, non in natura, come è, in genere, il welfare), su base individuale (non familiare, come sono spesso i sostegni al reddito in Italia), universale (per tutti, indipendentemente dalla condizione lavorativa) e incondizionato (non vincolato a un requisito lavorativo o alla volontà di offrirsi nel mercato del lavoro)2 . Questa nuova forma di welfare viene presentata dai sostenitori come “la” proposta di politica economica per superare la precarietà e la disoccupazione dilagante, in questa nuova fase di accumulazione capitalistica e, a maggior ragione, oggi, in questo periodo di crisi.
**Dipartimento di Scienze Aziendali, Economiche e Metodi Quantitativi Università di Bergamo.
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/05/un-reddito-garantito-ci-vuole-ma-quale.html
https://ilcomunista23.blogspot.it/2015/12/salario-minimo-garantito-reddito-di.html
Quesito 1.
In Italia, nonostante l’assenza di misure universali di sostegno al reddito abbia per molti anni tenuto fuori il paese dal dibattito europeo, ultimamente si sono moltiplicate iniziative regionali (per esempio il reddito di dignitàpugliese o il reddito di autonomia piemontese) o amministrative, proposte di legge (quella del Movimento 5 Stelle e quella di SEL, per esempio), iniziative popolari. Anche il ministro Poletti ha recentemente annunciato l’introduzione di un “reddito di inclusione” a livello nazionale. In molti casi la discussione ha riguardato dispositivi molto distanti, nell’impianto e nella filosofia, dal reddito di base incondizionato, presentando caratteri di familismo ed eccessiva condizionalità. In Svizzera, invece, si è recentemente svolto un referendum per l’introduzione di un reddito di base incondizionato su scala nazionale. A cosa è dovuto, a suo parere, il ritardo italiano – ammesso e non concesso che di “ritardo” effettivamente si tratti? Come è possibile tradurre politicamente un dibattito teorico che dura ormai da decenni?
G. Vertova:
Trovo abbastanza bizzarro che la prima domanda di un dibattito sul reddito di base (RdB) non riguardi la validità della proposta, quanto il ritardo nella discussione teorica e nella pratica politica italiana. Lo trovo ancora più bizzarro quando si invita al dibatto una persona che, in più di una occasione, ha sollevato critiche, sia teoriche che politiche, al RdB1 . Forse sarebbe stato intellettualmente più stimolante chiedere ai partecipanti una analisi di tale proposta. Mi prendo, quindi, la libertà di riassumere, molto velocemente, le mie perplessità, prima di rispondere.
Prima di tutto è necessario chiarire di cosa si sta parlando, perché il dibattito sia teorico che politico, soprattutto in Italia, è molto confuso: reddito di esistenza, di base, minimo garantito, di dignità, di autonomia, di inclusione, salario sociale, vengono usati come sinonimi delle diverse proposte, come semplici etichette che nascondono, in realtà, cose molto diverse. Il RdB è una proposta molto chiara e specifica: il pagamento regolare di un reddito (in moneta, non in natura, come è, in genere, il welfare), su base individuale (non familiare, come sono spesso i sostegni al reddito in Italia), universale (per tutti, indipendentemente dalla condizione lavorativa) e incondizionato (non vincolato a un requisito lavorativo o alla volontà di offrirsi nel mercato del lavoro)2 . Questa nuova forma di welfare viene presentata dai sostenitori come “la” proposta di politica economica per superare la precarietà e la disoccupazione dilagante, in questa nuova fase di accumulazione capitalistica e, a maggior ragione, oggi, in questo periodo di crisi.
domenica 2 aprile 2017
STACANOVISMO E CONTRORIFORME NEL CAPITALISMO NEOLIBERISTA*- Paolo Massucci**
*Da: http://contropiano.org/
**collettivo di formazione marxista Stefano Garroni
**collettivo di formazione marxista Stefano Garroni
Analisi
dei messaggi ideologici nella presente fase del capitalismo
In
una edificante serata del popolare festival di San Remo di quest’anno
abbiamo avuto il piacere di assistere alla presentazione di una
“nuova” figura nel panorama ideologico neoliberista: quella dello
Stachanov nostrano. Si tratta di un impiegato pubblico modello, il
quale, in quarant’anni di lavoro, non ha fatto neppure un giorno di
malattia ed inoltre ha accumulato ben 239 giorni di ferie non godute.
Ci si potrebbe chiedere -se fosse cosa seria- se la ricerca medica
stia studiando il caso, per scoprire i segreti della “salute
miracolosa”. Invece, riguardo ai 239 giorni di ferie non godute -se
fosse vero-, saremmo curiosi di sentire anche il parere della moglie,
se mai ne avesse.
E’
notizia di questi stessi giorni che Boeri, presidente dell’INPS, il
quale si è distinto per il tentativo -ad oggi fallito- di
sacrificare la pensione di reversibilità per i superstiti,
intenderebbe intensificare i controlli medico-fiscali per i
dipendenti pubblici assenti per malattia. E, con l’occasione,
richiederebbe di aumentare, da quattro a sette, le ore giornaliere di
reperibilità per le visite di controllo del medico fiscale per i
dipendenti in malattia del settore privato, uniformando così la
durata della reperibilità dei dipendenti privati a quella dei
dipendenti pubblici. Per questi ultimi infatti detta durata era già
stata portata da quattro a sette ore dal ministro Brunetta del
governo Berlusconi.
Si
tratta, secondo Boeri, la classe dirigente e i giornalisti venditori
al dettaglio dell’ideologia neoliberista e repressiva, di semplice
ristabilimento di un principio di equità (naturalmente non viene
neppure considerata la possibilità di uniformare per tutti la durata
delle fasce di controllo alle quattro ore attuali dei dipendenti
privati e neppure di stabilire un livello intermedio tra le quattro e
le sette ore). Eppure, specularmente, nessuno di loro ha giudicato
iniquo il cambiamento effettuato da Brunetta, allorché introduceva
l’aumento della fascia oraria di reperibilità esclusivamente per
il pubblico impiego: è stata considerata, anzi -quella di Brunetta-
una misura “più che sacrosanta!”.
Al
principio di equità si è ispirata anche la controriforma delle
pensioni Fornero del governo Monti: essa ha innalzato di tanti anni
l’età pensionabile (che secondo le stime supererà i 70 anni per i
quarantacinquenni di oggi), soprattutto per le donne, le quali prima
avevano una pensione anticipata rispetto agli uomini e ora sono state
equiparate agli uomini, semplicemente innalzando l’età delle donne
a quella degli uomini (con un aumento di ben dieci anni!). Non
volevamo la “parità tra sessi”?
martedì 28 marzo 2017
La filosofia - Antonio Gargano
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2015/12/filosofia-georg-wilhelm-friedrich-hegel.html
https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/03/la-barbarie-dello-specialismo-jose.html
INTRODUZIONE ALLA FILOSOFIA GRECA. Da Talete a Parmenide: http://www.iisf.it/scuola/int_fil_greca/term_fil.htm
https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/03/la-barbarie-dello-specialismo-jose.html
INTRODUZIONE ALLA FILOSOFIA GRECA. Da Talete a Parmenide: http://www.iisf.it/scuola/int_fil_greca/term_fil.htm
lunedì 27 marzo 2017
La Cina nel processo di globalizzazione*- Spartaco A. Puttini
Sotto la guida di Reagan e della Thatcher, Stati Uniti e Gran Bretagna vararono nel corso degli anni Ottanta una serie di politiche che contribuirono a ristrutturare le società dell’Occidente (e non solo dell’Occidente) e l’ordine internazionale. Il processo di globalizzazione neoliberista [1] che ha plasmato il mondo negli ultimi decenni ha il proprio epicentro proprio nella Gran Bretagna e negli Stati Uniti.
Su
quest’onda si impose un nuovo ordine mondiale caratterizzato dal
“Washington Consensus”.
Oggi,
invece, il presidente USA, Donald Trump e la premier britannica
Theresa May puntano esplicitamente a sottrarsi, in termini e modalità
pur differenti, alla morsa dell’interdipendenza sempre crescente
tra le varie regioni del globo che è stata un tratto caratteristico
del processo di globalizzazione. Il nuovo presidente statunitense, in
particolare, arriva a mettere in discussione alcune delle stelle
cardinali seguite dalla politica americana negli ultimi decenni. Lo
fa sul dossier messicano, principalmente per porre fine ai processi
migratori che scavalcano il Rio Grande, incorrendo nella seria
conseguenza di mandare in malora il NAFTA, l’area integrata di
libero scambio che riunisce USA, Canada e Messico e che riveste
un’importanza strategica essenziale nella politica estera
statunitense. Più in generale Trump mette in discussione la bontà
dei progetti di integrazione regionale a guida Usa, che erano stati
promossi al fine di legare al carro statunitense aree strategiche
vitali nella sempre più difficile competizione geopolitica con gli
antagonisti dell’unipolarismo americano: Russia e Cina.
Cosa
ha spinto Trump, finora, ad assumere posizioni così singolari? In
parte, questa postura risponde alla promessa di far rinascere uno
stato del benessere che ha caratterizzato il sogno americano, sogno
ormai sepolto grazie all’impatto sociale del neoliberismo. E’
questo il significato più profondo dello slogan agitato durante la
corsa per la Casa Bianca: “first america great again”. Far
tornare grande l’America, significava per lui, ricostruire le basi
dello standard di vita statunitense, ormai museo dei ricordi e
tornare ad alimentare il mito del self made man di cui lui stesso
rappresenta incarnazione evidente. Su questa base ha costruito il suo
successo contro chi sosteneva lo status quo di strategie politiche
che parte dell’establishment stretto attorno alla Clinton riteneva
indiscutibili, al fine di garantire l’egemonia statunitense. Questo
non significa che a Washington siano stati abbandonati i sogni di
gloria, ma significa che il paese è al suo interno spaccato e che
nelle stanze del potere il dibattito sulla strada da intraprendere è
serrato.
Forse
la strategia di Trump inverte quella precedente: non tenta più di
strappare la Cina dalla Russia, come ipotizzato dalla diplomazia del
ping-pong di Kissinger in poi, ma di strappare la Russia dalla Cina.
Una trappola nella quale la Russia non intende cadere, come ha
sottolineato in un discorso alla Duma il ministro degli Esteri russo
Lavrov [2].
Se
in alcune cerchie si parla (propriamente o meno è un’altra
questione) di de-globalizzazione, in discussione ci sono le relazioni
troppo stringenti e vincolanti che sono state strette nei decenni
scorsi tra Usa e Cina, che hanno dato un loro contributo nel
promuovere lo spostamento dell’asse economico del mondo
dall’Atlantico all’Asia orientale e nel mirino c’è la Cina.
Cina che appare oggi paradossalmente come alfiere delle politiche di
interdipendenza. Per capirne i motivi bisogna risalire però alle
radici della scelta di Deng Xiaoping di attuare la politica di
riforme e apertura che sono state alla base del miracolo cinese.
domenica 26 marzo 2017
Vita quotidiana all'Avana*- Alessandra Ciattini
*Da: https://www.lacittafutura.it/
Vedi anche: Il blocco contro Cuba: il genocidio più lungo della Storia https://www.youtube.com/watch?v=vItDZLwt6Hg
Vita quotidiana all'Avana
Uscendo la mattina ancora fresca da un edificio popolare e periferico ti accoglie la tiepida umidità non incontaminata dell'Avana. I vicini si avvicinano e ti salutano, chiedendoti informazioni sulla tua vita e suoi tuoi famigliari. È difficile liberarsi in pochi minuti tanto i rapporti sono stretti e continui. Trascinando il suo carrettino, qualche venditore ambulante grida offrendo ai passanti pane, frutta e verdura. È anche possibile veder passare un carretto, caricato di materiale vario, tirato da un cavallino docile e mansueto. Le piante lussureggianti che ombreggiano qualche viale danno un senso di vitalità istintuale che può rianimare qualche turista del vecchio mondo. Ora comincia la grande fatica, cui non si sottraggono neppure gli uomini (anzi questa sembra essere una grande conquista delle donne cubane): fare la spesa per sopperire alle necessità quotidiane. Se ti sei fatto la lista delle cose da comprare devi fare parecchi giri, perché non tutto si trova nel medesimo luogo. Ci sono i grandi magazzini dello Stato, che in molti casi hanno più l'aspetto di depositi che di supermercati, e le tiendas particulares. È possibile pagare sia in convertibles (CUC, grosso modo l'equivalente di un euro) o in pesos, tenendo presente che un CUC vale 24 pesos. Per esempio, se si compra una piccola bottiglia di olio di oliva, che non fa certo parte degli alimenti consumati dai cubani, in CUC costa 6,40 in pesos 160.
Vi sono alimenti che per le difficoltà di produzione e di approvvigionamento sono introvabili, altri è possibile trovarli dopo aver fatto alcuni giri e seguendo i consigli dei passanti che ti indicano i possibili luoghi riforniti di quello che cerchi. Senza voler risalire troppo indietro nel tempo, appare evidente che nessun settore dell'economia cubana sia stato colpito come quello agricolo, dopo la dissoluzione del blocco socialista. In particolare la produzione dello zucchero e dei suoi derivati: se alla fine degli anni ‘80 del ventesimo secolo a Cuba si lavoravano circa 8 milioni tonnellate metriche di canna da zucchero, a partire dal 2010 si supera appena un milione di tonnellate. Quasi tre quarti delle industrie di lavorazione della canna sono state chiuse e le terre prima destinate a tale coltivazione sono state abbandonate. Dal 2007 si è cominciato a ridistribuire queste terre sotto varie forme, ma solo nel primo decennio del ventunesimo secolo è cresciuta la produzione dei prodotti più cari nei mercati dei prodotti agricoli. Questa è la ragione per la quale Cuba è diventata fortemente dipendente dall'importazione di alimenti dall'estero (J. I. Domínguez, Introducción, in Desarrollo económico y social en Cuba, 2013: 11).
sabato 25 marzo 2017
Introduzione a Per la Critica dell'Economia Politica*- Stefano Garroni
*Da: https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1857/introec/intro.htm#n1
Tutto il testo: Karl Marx, Per la Critica dell'Economia Politica, (1859) https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1859/criticaep/index.htm
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2015/10/marx-introduzione-del-1857-schema.html
Tutto il testo: Karl Marx, Per la Critica dell'Economia Politica, (1859) https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1859/criticaep/index.htm
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2015/10/marx-introduzione-del-1857-schema.html
Nel primo §. (Individui autonomi. Idee del XVIII secolo), l’argomento di Marx è facilmente riassumibile. L’economia politica ha come oggetto la produzione materiale, la quale è svolta da individui, che lavorano in certe condizioni sociali; è naturale, dunque, (nel senso di “è ovvio”, “va da sé”) che il discorso dell’economia politica prenda le mosse dagli individui, che operano in condizioni socialmente determinate. E’ pur vero che nel Settecento si è andato imponendo un altro modo di procedere, ovvero, si è ritenuto di poter iniziare il discorso dell’economia politica a partire dall’individuo isolato, dal Robinson Crusoe (il personaggio dell’omonimo romanzo settecentesco di Daniel De Foe). ma si tratta di un’illusione dell’epoca (la robinsonata), la quale consegue, per un verso, dal tentativo di legittimare l’individualismo, proprio dell’economia borghese; per un altro, dalla cecità di chi non comprende come anche l’individuo isolato sia possibile, solo, perché esiste una certa maniera di organizzare la società, che appunto esprime se stessa attraverso individui isolati.
Questo è, di primo acchito, il discorso che Marx fa. E’ vero, tuttavia, che guardando le cose più a fondo -per così dire con uno sguardo più sospettoso e scaltrito-, la faccenda si rivela più complessa.
Il fatto stesso che Marx ponga il tema del ‘punto di partenza’ (Ausgangspunkt) significa, implicitamente, richiamare Hegel, il quale aveva iniziato, ad es., la sua Scienza della logica (Wisenschaft der Logik) proprio affrontando la questione dell’Ausgangspunkt. Ed Hegel è richiamato anche nel proseguo. Infatti, quello che Marx, subito, indica come naturalmente il punto di partenza, a ben vedere, corrisponde ad una immediata considerazione, ad un diretto collegamento con l’esperienza: in altre parole, è come se Marx dicesse «basta guardar gli uomini che lavorano, per rendersi conto che lavorano in condizioni socialmente determinate».
Sennonché uno dei punti centrali del ragionamento, che Marx svolgerà in questo testo, è proprio la dimostrazione che cogliere la struttura sociale della produzione è operazione tutt’altro che naturale, perché, al contrario, assai raffinata -un’operazione, che richiederà di far ricorso a complesse procedure sia logiche che epistemologiche. Insomma, come vedremo, l’effettivo Ausgangspunkt, per Marx, richiederà un rapporto tutt’altro che immediato e naturale con l’esperienza.
Giungere all’effettivo punto di partenza, infatti, richiede superare la fase della robinsonata. Ma che cos’è quest’ultima? E’ il momento in cui l’insieme immediato -di uomo e sue condizioni di lavoro- viene rotto: il «tutto» dell’esperienza si scinde e l’individuo si separa dalle condizioni oggettive (sociali e naturali) della sua attività produttiva, ponendosele, per così dire, di fronte, come poteri estranei, dai quali egli è tanto indipendente, quanto essi stessi sono indipendenti da lui. In termini hegeliani, questo è il momento dell’intelletto (Verstand) che, giusta la lezione di Hegel, introduce, appunto, la scissione nella totalità immediata. Solo superando questo momento, sarà possibile -lo vedremo- conquistare l’effettivo punto di partenza.
La conclusione è chiara: il semplice discorso che Marx fa di primo acchito, in realtà, è un richiamo assai preciso ad un fondamentale ritmo del ragionamento hegeliano. Fin da subito, dunque, comprendiamo che sarà possibile intendere effettivamente queste pagine di Marx, solo a condizione di evidenziarne il legame con la riflessione di Hegel.
venerdì 24 marzo 2017
Tesi su Feuerbach* - Karl Marx
*Questo testo tanto breve quanto denso fu scritto da Marx nel marzo del 1845. Rimase tuttavia a lungo inedito finchè non fu pubblicato nella Neue Zeit (1886) da Engels che lo riprodusse in appendice al suo Ludwig Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca (1888). Si è usata qui la traduzione italiana di Palmiro Togliatti, in appendice al vol. Ludwig Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca, Roma, Editori Riuniti, 1950, pp. 77-80. https://www.marxists.org/
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2015/05/ancora-sulla-dialettica-tesi-su.html
Ascolta anche: https://www.youtube.com/watch?v=b8MG0OUn4Vo
I
Il difetto principale di ogni materialismo fino ad oggi, compreso quello di Feuerbach, è che l'oggetto, il reale, il sensibile è concepito solo sotto la forma di oggetto o di intuizione; ma non come attività umana sensibile, come attività pratica, non soggettivamente. E' accaduto quindi che il lato attivo è stato sviluppato dall'idealismo in contrasto col materialismo, ma solo in modo astratto, poiché naturalmente l'idealismo ignora l'attività reale, sensibile come tale. Feuerbach vuole oggetti sensibili realmente distinti dagli oggetti del pensiero; ma egli non concepisce l'attività umana stessa come attività oggettiva. Perciò nell'Essenza del cristianesimo egli considera come schiettamente umano solo il modo di procedere teorico, mentre la pratica è concepita e fissata da lui soltanto nella sua raffigurazione sordidamente giudaica. Pertanto egli non concepisce l'importanza dell'attività "rivoluzionaria", dell'attività pratico-critica.
II
La questione se al pensiero umano appartenga una verità oggettiva non è una questione teorica, ma pratica. E' nell'attività pratica che l'uomo deve dimostrare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere terreno del suo pensiero. La disputa sulla realtà o non-realtà di un pensiero che si isoli dalla pratica è una questione puramente scolastica.
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2015/05/ancora-sulla-dialettica-tesi-su.html
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I
Il difetto principale di ogni materialismo fino ad oggi, compreso quello di Feuerbach, è che l'oggetto, il reale, il sensibile è concepito solo sotto la forma di oggetto o di intuizione; ma non come attività umana sensibile, come attività pratica, non soggettivamente. E' accaduto quindi che il lato attivo è stato sviluppato dall'idealismo in contrasto col materialismo, ma solo in modo astratto, poiché naturalmente l'idealismo ignora l'attività reale, sensibile come tale. Feuerbach vuole oggetti sensibili realmente distinti dagli oggetti del pensiero; ma egli non concepisce l'attività umana stessa come attività oggettiva. Perciò nell'Essenza del cristianesimo egli considera come schiettamente umano solo il modo di procedere teorico, mentre la pratica è concepita e fissata da lui soltanto nella sua raffigurazione sordidamente giudaica. Pertanto egli non concepisce l'importanza dell'attività "rivoluzionaria", dell'attività pratico-critica.
II
La questione se al pensiero umano appartenga una verità oggettiva non è una questione teorica, ma pratica. E' nell'attività pratica che l'uomo deve dimostrare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere terreno del suo pensiero. La disputa sulla realtà o non-realtà di un pensiero che si isoli dalla pratica è una questione puramente scolastica.
giovedì 23 marzo 2017
mercoledì 22 marzo 2017
Internazionalismo e questione nazionale nel pensiero di Gramsci*- Salvatore Tinè
Quello del rapporto tra internazionalismo e questione nazionale è uno dei temi fondamentali del pensiero gramsciano in tutto l’arco della sua evoluzione. Già in alcuni articoli del 1918, il giovane Gramsci sottolineava la permanente vocazione cosmopolitica del sistema di produzione capitalistica. Una vocazione che gli appariva particolarmente evidente nei settori più avanzati del capitalismo mondiale, ovvero nei grandi gruppi industriali e finanziari inglesi e americani. Sono questi gruppi infatti a sostenere, secondo Gramsci, il disegno wilsoniano di un nuovo ordine mondiale fondato insieme sul principio della libertà e dell’indipendenza dei popoli e delle nazioni e su quello della libertà degli scambi internazionali. Libero da ogni residuo di particolarismo feudale così come dalle varie forme di statalismo e di protezionismo burocratico e corporativo, caratteristiche dei grandi paesi dell’Europa continentale, il modello capitalistico anglosassone si presenta come l’espressione più matura della logica internazionalistica e liberoscambista propria della moderna economia borghese. Scrive Gramsci in un articolo intitolato La Lega della Nazioni, pubblicato su Il Grido del popolo, il 19 gennaio 1918.
L’economia borghese ha così suscitato le grandi nazioni moderne. Nei paesi anglosassoni è andata oltre: all’interno la pratica liberale ha creato meravigliose individualità, energie sicure, agguerrite alla lotta e alla concorrenza, ha discentrati gli Stati, li ha sburocratizzati: la produzione, non insidiata continuamente da forze non economiche, si è sviluppata con un respiro d’ampiezza mondiale, ha rovesciato sui mercati mondiali cumuli di merce e di ricchezza. Continua ad operare; si sente soffocata dalla sopravvivenza del protezionismo in molti dei mercati europei e del mondo.[1]
martedì 21 marzo 2017
lunedì 20 marzo 2017
La barbarie dello «specialismo»*- José Ortega y Gasset
*Da: José Ortega y Gasset, LA RIBELLIONE DELLE MASSE http://www.ousia.it/content/Sezioni/Testi/OrtegaRibellioneMasse.pdf
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/06/conoscenzasapienzasaggezza-il-triangolo.html
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La tesi era che la civiltà del secolo XIX ha prodotto automaticamente l’uomo‐
massa. Conviene di non chiudere la sua esposizione generale senza analizzare, in un
caso particolare, il meccanismo di questa produzione. In tal modo, nel concretarsi, la tesi
guadagna in forza persuasiva.
Questa civiltà del secolo XIX, dicevamo, può riassumersi in due grandi
dimensioni: democrazia liberale e tecnica. Consideriamo adesso soltanto quest’ultima.
La tecnica contemporanea nasce dall’accoppiamento del capitalismo con la scienza
sperimentale. Non tutta la tecnica è scientifica.
Chi fabbricò nell’età preistorica le torce con la pietra focaia, mancava di senso
scientifico non sospettarlo minimamente l’esistenza della fisica.
Soltanto la tecnica moderna europea ha una radice scientifica, e da questa radice
le deriva il suo carattere specifico, la possibilità di un progresso illimitato. Le altre
tecniche ‐mesopotamiche, nilota, greca, romana, orientale‐ tendono fino a un punto di
sviluppo che non possono sorpassare, e, appena lo raggiungono, cominciano a
retrocedere in una misera involuzione.
Questa prodigiosa tecnica occidentale ha reso possibile la meravigliosa prolificità
della casta europea. Si ricordi il dato statistico da cui è partito questo saggio e che, come
facemmo notare, racchiude in germe tutte queste meditazioni. Dal secolo V al 1800,
l’Europa non giunge a ottenere una popolazione maggiore di 180 milioni. Dal 1800 al
1914 ascende a più di 460 milioni. Il salto è unico nella storia dell’umanità. Non si può
dubitare che la tecnica ‐insieme alla democrazia liberale‐ ha generato l’uomo‐massa nel
senso quantitativo di questa espressione. Però queste pagine hanno cercato di mostrare
che è anche responsabile dell’esistenza dell’uomo‐massa nel senso qualitativo e
peggiorativo del termine.
Per «massa» ‐ed è un’avvertenza che facemmo fin dal principio‐ non si intenda
specialmente l’operaio; non designa qui una classe sociale, ma un tipo o un modo d’essere dell’uomo che si ritrova oggi in tutte le classi sociali, che per ciò stesso
rappresenta il nostro tempo, su cui esso prevale e domina.
Chi esercita oggi il potere sociale? Chi impone la struttura del proprio spirito
all’epoca? Senza dubbio, la borghesia. Chi, in seno a questa borghesia, è considerato
come il gruppo superiore, come l’aristocrazia del presente? Senza dubbio, il tecnico:
ingegnere, medico, finanziere, professore ecc., ecc. Chi, dentro a questo ambiente
tecnico, lo rappresenta con maggiore altezza e purezza? Indubbiamente, l’uomo di
scienza. Se un personaggio «astrale» visitasse l’Europa e, con animo di giudicarla, le
domandasse attraverso a quale tipo d’uomo, fra quelli che l’abitano, preferisse di essere
giudicata, non c’è, dubbio che l’Europa indicherebbe, compiaciuta e sicura di una
sentenza favorevole, i suoi uomini di scienza. E, naturalmente, il personaggio «astrale»
non domanderebbe di portare il giudizio su individui d’eccezione, ma cercherebbe la
norma, il tipo generico dell’uomo di scienza, vertice dell’umanità europea.
Ebbene, dunque: risulta che l’attuale uomo di scienza è il prototipo dell’uomo‐massa,. E non a caso, né per difetto personale di ciascun uomo di scienza, ma perché la
scienza stessa ‐radice della civiltà- lo tramuta automaticamente nell’uomo‐massa: cioè,
fa di lui un primitivo, un barbaro moderno.
domenica 19 marzo 2017
Sul CAPITALE: Storia e Logica*- Stefano Garroni
*Riproduzione di alcuni passaggi tratti dalla discussione del 11/03/99: Sul Capitale - Storia e Logica https://www.facebook.com/groups/
Qui l'audio dell'incontro: https://www.youtube.com/playlist?list=PL88CA5CCDE4BD1EAC
[...] La prova induttiva, in definitiva, è questa: il mondo, il mondano, cioè la dimensione dell’esistente, è la dimensione del finito, del particolare; di ciò che per esistere ha bisogno di altro. E’ il mondo degli effetti che hanno bisogno delle cause, ma a loro volta le cause sono effetti di altre cause, quindi ogni esistente rinvia ad altro per giustificare la propria esistenza. In questo continuo rinvio del contingente a una causa che lo spiega, la quale causa a sua volta diventa però un contingente che è effetto di un’altra causa ecc., ; in questo continuo rinvio non si raggiunge mai una stabilità, non si raggiunge mai una ragione dell’esistenza di questo contingente: donde la necessità di postulare una ragione fuori del mondo del contingente, che sia la ragione di tutto il mondo contingente.
[...] E’ molto importante il fatto che quando Hegel affronta questo tipo di prova dell’esistenza di dio, mette in evidenza che accettando queste prove, e quindi accettando quel ragionamento per cui il contingente trova nel necessario la propria causa, si dimostra anche il contrario, e cioè che è proprio il contingente che pone il necessario. Cioè che così come è vero che il particolare, il finito, il contingente, ha bisogno del necessario per esistere, il necessario intanto esiste in quanto è necessario del contingente.
E’ del tutto chiaro che se esiste una legge che vieti qualcosa, esisterà la violazione di quella legge: in quanto la gente ruba c’è una legge che dice “Non rubare”, e quindi la legge del non rubare, intanto può esistere in quanto esiste il contrario del non rubare, cioè il fatto del rubare. Questa legge, intanto può esistere in quanto esiste il contrario di se stessa, cioè la sua violazione, e quindi il mondo della legge, della regola, del diritto, implica l’esistenza del mondo del delitto.
[...] No, no, no, noi diamo per scontato che sia vero. Ma capisci che cosa mostruosa è dire che un evento storico, è quello che è per ragioni logiche? E’ cosa mostruosa perché tu hai fatto della logica, delle leggi logiche, la legge della storia. Il che è la follia più totale. Basta assistere a una seduta del nostro parlamento per vedere che la politica con la logica non ha nulla a che vedere. Spiegare la storia, la politica, l’economia, con le leggi logiche, è il massimo dell’aberrazione nel senso che tu inventi un mondo di sogni. Sembrerebbe allora che nella storia il miglior politico sia il miglior logico matematico, perché è quello che sa fare meglio i conti logici, ed è quindi il miglior politico, e invece non è vero nulla.
E' interessante che Marx molte volte, quando deve spiegare il suo discorso, ricorre proprio a quello schemino che dicevo. Per esempio c’è uno scritto sulla forma di valore, che è tutto costruito in questa maniera: tanto di X è uguale a tanto di Y, perché valgono tutti 10 lire.
Qui l'audio dell'incontro: https://www.youtube.com/playlist?list=PL88CA5CCDE4BD1EAC
[...] La prova induttiva, in definitiva, è questa: il mondo, il mondano, cioè la dimensione dell’esistente, è la dimensione del finito, del particolare; di ciò che per esistere ha bisogno di altro. E’ il mondo degli effetti che hanno bisogno delle cause, ma a loro volta le cause sono effetti di altre cause, quindi ogni esistente rinvia ad altro per giustificare la propria esistenza. In questo continuo rinvio del contingente a una causa che lo spiega, la quale causa a sua volta diventa però un contingente che è effetto di un’altra causa ecc., ; in questo continuo rinvio non si raggiunge mai una stabilità, non si raggiunge mai una ragione dell’esistenza di questo contingente: donde la necessità di postulare una ragione fuori del mondo del contingente, che sia la ragione di tutto il mondo contingente.
[...] E’ molto importante il fatto che quando Hegel affronta questo tipo di prova dell’esistenza di dio, mette in evidenza che accettando queste prove, e quindi accettando quel ragionamento per cui il contingente trova nel necessario la propria causa, si dimostra anche il contrario, e cioè che è proprio il contingente che pone il necessario. Cioè che così come è vero che il particolare, il finito, il contingente, ha bisogno del necessario per esistere, il necessario intanto esiste in quanto è necessario del contingente.
E’ del tutto chiaro che se esiste una legge che vieti qualcosa, esisterà la violazione di quella legge: in quanto la gente ruba c’è una legge che dice “Non rubare”, e quindi la legge del non rubare, intanto può esistere in quanto esiste il contrario del non rubare, cioè il fatto del rubare. Questa legge, intanto può esistere in quanto esiste il contrario di se stessa, cioè la sua violazione, e quindi il mondo della legge, della regola, del diritto, implica l’esistenza del mondo del delitto.
[...] No, no, no, noi diamo per scontato che sia vero. Ma capisci che cosa mostruosa è dire che un evento storico, è quello che è per ragioni logiche? E’ cosa mostruosa perché tu hai fatto della logica, delle leggi logiche, la legge della storia. Il che è la follia più totale. Basta assistere a una seduta del nostro parlamento per vedere che la politica con la logica non ha nulla a che vedere. Spiegare la storia, la politica, l’economia, con le leggi logiche, è il massimo dell’aberrazione nel senso che tu inventi un mondo di sogni. Sembrerebbe allora che nella storia il miglior politico sia il miglior logico matematico, perché è quello che sa fare meglio i conti logici, ed è quindi il miglior politico, e invece non è vero nulla.
E' interessante che Marx molte volte, quando deve spiegare il suo discorso, ricorre proprio a quello schemino che dicevo. Per esempio c’è uno scritto sulla forma di valore, che è tutto costruito in questa maniera: tanto di X è uguale a tanto di Y, perché valgono tutti 10 lire.
sabato 18 marzo 2017
La produzione capitalistica di fabbrica fondata sulle macchine*- Aleksandr A. Kusin
*da
Aleksandr A. Kusin, Marx e la tecnica, Gabriele Mazzotta Editore,
Milano, 1975 www.resistenze.org
Leggi anche: https://traduzionimarxiste.wordpress.com/2016/06/30/limperialismo-nel-xxi-secolo/
"La stessa facilità del lavoro diventa un mezzo di tortura, giacché la macchina non libera dal lavoro l'operaio, ma toglie il contenuto al suo lavoro. E' fenomeno comune a tutta la produzione capitalistica in quanto non sia soltanto processo lavorativo, ma anche processo di valorizzazione del capitale, che non è l'operaio ad adoprare la condizione del lavoro ma viceversa, la condizione del lavoro ad adoperare l'operaio; ma questo capovolgimento viene ad avere soltanto con le macchine una realtà tecnicamente evidente. Mediante la sua trasformazione in macchina automatica il mezzo di lavoro si contrappone all'operaio durante lo stesso processo lavorativo quale capitale, quale lavoro morto che domina e succhia la forza-lavoro vivente." (K. Marx, Il Capitale)
"Finché il capitale è debole, esso stesso ricerca ancora le grucce di modi di produzione tramontati… Ma non appena si sente forte, esso getta via le grucce e si muove in accordo con le sue proprie leggi. Non appena comincia a percepirsi come ostacolo allo sviluppo e a essere vissuto come tale, esso cerca rifugio in forme che, mentre sembrano perfezionare il dominio del capitale imbrigliando la libera concorrenza, annunciano al tempo stesso la dissoluzione sua e del modo di produzione su esso fondato." (Karl Marx, Grundrisse)
“il capitalismo divenne imperialismo capitalistico soltanto a un determinato e assai alto grado del suo sviluppo, allorché alcune qualità fondamentali del capitalismo cominciarono a mutarsi nel loro opposto, quando pienamente si affermarono e si rivelarono i sintomi del trapasso a un più elevato ordinamento economico e sociale” (Lenin, L’imperialismo, fase suprema del capitalismo)
Leggi anche: https://traduzionimarxiste.wordpress.com/2016/06/30/limperialismo-nel-xxi-secolo/
"La stessa facilità del lavoro diventa un mezzo di tortura, giacché la macchina non libera dal lavoro l'operaio, ma toglie il contenuto al suo lavoro. E' fenomeno comune a tutta la produzione capitalistica in quanto non sia soltanto processo lavorativo, ma anche processo di valorizzazione del capitale, che non è l'operaio ad adoprare la condizione del lavoro ma viceversa, la condizione del lavoro ad adoperare l'operaio; ma questo capovolgimento viene ad avere soltanto con le macchine una realtà tecnicamente evidente. Mediante la sua trasformazione in macchina automatica il mezzo di lavoro si contrappone all'operaio durante lo stesso processo lavorativo quale capitale, quale lavoro morto che domina e succhia la forza-lavoro vivente." (K. Marx, Il Capitale)
"Finché il capitale è debole, esso stesso ricerca ancora le grucce di modi di produzione tramontati… Ma non appena si sente forte, esso getta via le grucce e si muove in accordo con le sue proprie leggi. Non appena comincia a percepirsi come ostacolo allo sviluppo e a essere vissuto come tale, esso cerca rifugio in forme che, mentre sembrano perfezionare il dominio del capitale imbrigliando la libera concorrenza, annunciano al tempo stesso la dissoluzione sua e del modo di produzione su esso fondato." (Karl Marx, Grundrisse)
“il capitalismo divenne imperialismo capitalistico soltanto a un determinato e assai alto grado del suo sviluppo, allorché alcune qualità fondamentali del capitalismo cominciarono a mutarsi nel loro opposto, quando pienamente si affermarono e si rivelarono i sintomi del trapasso a un più elevato ordinamento economico e sociale” (Lenin, L’imperialismo, fase suprema del capitalismo)
1. La necessità tecnica del passaggio dalla manifattura alla produzione meccanizzata di fabbrica
venerdì 17 marzo 2017
Marxismo e femminismo*- Simona De Simoni**
*La conferenza si è tenuta nell'ambito del Corso di perfezionamento in Teoria Critica della Società dell'Università degli studi di Milano-Bicocca.
** http://operaviva.info/schede/simona-de-simoni/
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/03/la-giornata-internazionale-delle-donne.html#more
Una panoramica storica:
Dalla seconda metà del novecento:
https://www.youtube.com/watch?v=3KGFH4Ie6kU
** http://operaviva.info/schede/simona-de-simoni/
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/03/la-giornata-internazionale-delle-donne.html#more
Una panoramica storica:
Dalla seconda metà del novecento:
https://www.youtube.com/watch?v=3KGFH4Ie6kU
giovedì 16 marzo 2017
Che cosa è il salario? Come viene esso determinato?*- Karl Marx
*Da K. Marx “Lavoro salariato e capitale” https://ildiariodellatalpa.wordpress.com/
Tutto il testo: https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1847/lavcap.htm
Passiamo dunque alla prima questione: Che cosa è il salario? Come viene esso determinato?
Se domandiamo agli operai: “Qual’è l’importo del vostro salario?”, essi risponderanno, l’uno: “Io ricevo un franco [22] al giorno dal mio borghese”, l’altro: “Io ricevo due franchi”, ecc. Secondo le varie branche di lavoro alle quali appartengono, essi indicheranno diverse somme che ricevono dal loro rispettivo padrone per un determinato tempo di lavoro [23] o per fare un determinato lavoro, ad esempio per tessere un braccio di lino, o per comporre un foglio di stampa.
Malgrado la diversità delle loro risposte essi concordano tutti su un punto: il salario è la somma di denaro che il borghese [24] paga per un determinato tempo di lavoro o per una determinata prestazione di lavoro. Il borghese [25] compera, dunque, il loro lavoro con del denaro. Per denaro essi gli vendono il loro lavoro [26]. Con la stessa somma di denaro con la quale il borghese ha comperato il loro lavoro [27], per esempio con due franchi, avrebbe potuto comperare due libbre di zucchero o una determinata quantità di qualsiasi altra merce. I due franchi con i quali egli ha comperato le due libbre di zucchero sono il prezzo delle due libbre di zucchero. I due franchi con i quali egli ha comperato dodici ore di lavoro [28], sono il prezzo del lavoro di dodici ore. Il lavoro [29], dunque, è una merce, né più né meno che lo zucchero. La prima si misura con l’orologio, la seconda con la bilancia.
Gli operai scambiano la loro merce, il lavoro [29], con la merce del capitalista, il denaro, e questo scambio si effettua secondo un rapporto determinato. Tanto denaro per tanto lavoro [30]. Per tessere dodici ore, due franchi. E i due franchi, non rappresentano essi forse tutte le altre merci che posso comperare per due franchi? Di fatto, quindi, l’operaio ha scambiato la sua merce, il lavoro [29], contro altre merci di ogni genere, e secondo un rapporto determinato. Dandogli due franchi il capitalista gli ha dato, in cambio della sua giornata di lavoro, tanto di carne, tanto di abiti, tanto di legna, di luce, ecc. I due franchi esprimono dunque il rapporto in cui il lavoro si scambia con altre merci, il valore di scambio del suo lavoro. Il valore di scambio di una merce, valutato in denaro, si chiama appunto il suo prezzo. Il salario non è quindi che un nome speciale dato al prezzo del lavoro [31]; non è che un nome speciale dato al prezzo di questa merce speciale, che è contenuta soltanto nella carne e nel sangue dell’uomo.
Tutto il testo: https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1847/lavcap.htm
Passiamo dunque alla prima questione: Che cosa è il salario? Come viene esso determinato?
Se domandiamo agli operai: “Qual’è l’importo del vostro salario?”, essi risponderanno, l’uno: “Io ricevo un franco [22] al giorno dal mio borghese”, l’altro: “Io ricevo due franchi”, ecc. Secondo le varie branche di lavoro alle quali appartengono, essi indicheranno diverse somme che ricevono dal loro rispettivo padrone per un determinato tempo di lavoro [23] o per fare un determinato lavoro, ad esempio per tessere un braccio di lino, o per comporre un foglio di stampa.
Malgrado la diversità delle loro risposte essi concordano tutti su un punto: il salario è la somma di denaro che il borghese [24] paga per un determinato tempo di lavoro o per una determinata prestazione di lavoro. Il borghese [25] compera, dunque, il loro lavoro con del denaro. Per denaro essi gli vendono il loro lavoro [26]. Con la stessa somma di denaro con la quale il borghese ha comperato il loro lavoro [27], per esempio con due franchi, avrebbe potuto comperare due libbre di zucchero o una determinata quantità di qualsiasi altra merce. I due franchi con i quali egli ha comperato le due libbre di zucchero sono il prezzo delle due libbre di zucchero. I due franchi con i quali egli ha comperato dodici ore di lavoro [28], sono il prezzo del lavoro di dodici ore. Il lavoro [29], dunque, è una merce, né più né meno che lo zucchero. La prima si misura con l’orologio, la seconda con la bilancia.
Gli operai scambiano la loro merce, il lavoro [29], con la merce del capitalista, il denaro, e questo scambio si effettua secondo un rapporto determinato. Tanto denaro per tanto lavoro [30]. Per tessere dodici ore, due franchi. E i due franchi, non rappresentano essi forse tutte le altre merci che posso comperare per due franchi? Di fatto, quindi, l’operaio ha scambiato la sua merce, il lavoro [29], contro altre merci di ogni genere, e secondo un rapporto determinato. Dandogli due franchi il capitalista gli ha dato, in cambio della sua giornata di lavoro, tanto di carne, tanto di abiti, tanto di legna, di luce, ecc. I due franchi esprimono dunque il rapporto in cui il lavoro si scambia con altre merci, il valore di scambio del suo lavoro. Il valore di scambio di una merce, valutato in denaro, si chiama appunto il suo prezzo. Il salario non è quindi che un nome speciale dato al prezzo del lavoro [31]; non è che un nome speciale dato al prezzo di questa merce speciale, che è contenuta soltanto nella carne e nel sangue dell’uomo.
mercoledì 15 marzo 2017
America Latina: dal boom economico alla crisi* - Osvaldo Coggiola**
*seminario alla Biblioteca Popolare A. Gramsci del Tufello, via Monte Favino 10, Roma, 10/03/17
**Osvaldo Coggiola, prof di Storia presso la Università di San Paolo del Brasile (USP)
**Osvaldo Coggiola, prof di Storia presso la Università di San Paolo del Brasile (USP)
martedì 14 marzo 2017
Marx rivisitato (2): capitale, lavoro e sfruttamento*- Riccardo Bellofiore
*Da:
http://www.dialetticaefilosofia.it/
(pubblicato
in Il terzo libro del Capitale di Marx, a cura di Marco L. Guidi,
“Trimestre”, XXIX, n. 1-2, 1996, pp. 29-86)
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/01/marx-rivisitato-capitale-lavoro-e.html
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/01/marx-rivisitato-capitale-lavoro-e.html
[…] Secondo Marx,
le merci si scambiano perché già eguali prima del loro confrontarsi
sul mercato.
Le merci hanno cioè
un valore di scambio, si pongono in certi rapporti relativi tra di
loro, perché sono valori assoluti, prima della metamorfosi finale
con il denaro, che pure è la loro destinazione essenziale. Dietro il
valore assoluto Marx rinviene, appunto, nient’altro che lavoro
astratto oggettivato [18].
Il modo di
esposizione all’inizio del Capitale dà l’apparenza di svolgersi
secondo un processo logico che va dal
valore di scambio al valore al lavoro; e, perciò, di una progressiva
espunzione dalle merci di tutte
le caratteristiche diverse da quella di essere meri prodotti di
lavoro.
Come è stato mille
volte osservato, se si ragiona secondo questa procedura, non si vede
perché oltre al lavoro, elemento attivo della produzione, non
dovrebbe rimanere anche la natura, elemento passivo.
Quest’ultima,
d’altra parte, entra nei processi produttivi come natura
trasformata: include perciò, oltre alle quantità
di lavoro passato coagulato nei mezzi di produzione, anche la
scienza, la tecnica e l’innovazione. Non
si vede allora perché anche questi ulteriori elementi non debbano
essere considerati creatori
del valore. Sarebbe inoltre, in questo caso, decisiva l’obiezione
di Böhm- Bawerk: oltre
all’essere prodotti di lavoro, le merci possiedono tutte la
caratteristica dell’utilità – esistono, semmai,
merci che non sono esito di processi di lavoro.
Il fatto è che la
sequenza marxiana non va letta dal valore al lavoro ma in senso
inverso, dal lavoro al valore
[19]. La domanda che si pone Marx è in sostanza questa: quale è la
condizione del lavoro in quella
situazione sociale particolare in cui la società non si costituisce
nel momento in cui gli esseri umani
producono, ma posteriormente, nello scambio di prodotti in quanto
merci?
Qual è, dunque, la
condizione del lavoro quando gli individui, nel momento della sua
erogazione, sono reciprocamente indifferenti, immediatamente
separati, e la loro connessione sociale è demandata al meccanismo
impersonale del mercato – alle cose – invece che essere implicita
già nella stessa attività?
Quando, insomma, la
socialità di ciò che hanno prodotto si realizza post factum, e si incarna in un potere
d’acquisto generale, indifferente a ogni determinazione specifica,
il denaro?
lunedì 13 marzo 2017
«Concentrare tutte le forze» contro «il nemico principale»*- Domenico Losurdo
«Una delle qualità fondamentali dei bolscevichi […], uno dei punti fondamentali della nostra strategia rivoluzionaria è la capacità di comprendere ad ogni istante quale è il nemico principale e di saper concentrare tutte le forze contro questo nemico».
(Rapporto al VII Congresso dell’Internazionale Comunista)
Togliatti e la lotta per la pace ieri e oggi
1. Democrazia e
pace?
Conviene prendere le
mosse dalla guerra fredda. Per chiarire di quali tempi si trattasse
mi limito ad alcuni particolari. Nel gennaio del 1952, per sbloccare
la situazione di stallo nelle operazioni militari in Corea, il
presidente statunitense Harry S. Truman accarezzava un’idea
radicale che trascriveva anche in una nota di diario: si poteva
lanciare un ultimatum all’Unione Sovietica e alla Repubblica
popolare cinese, chiarendo in anticipo che la mancata ottemperanza
«significava che Mosca, San Pietroburgo, Mukden, Vladivostock,
Pechino, Shangai, Port Arthur, Dalian, Odessa, Stalingrado e ogni
impianto industriale in Cina e in Unione Sovietica sarebbero stati
eliminati» (Sherry 1995, p. 182).
Non si trattava di un sogno, raccapricciante quanto si voglia ma senza contatti con la realtà: in quegli anni l’arma atomica veniva ripetutamente brandita contro la Cina impegnata a completare la rivoluzione anticoloniale e a conseguire l’indipendenza nazionale e l’integrità territoriale. La minaccia risultava tanto più credibile a causa del ricordo, ancora vivido e terribile, di Hiroshima e Nagasaki: le due bombe atomiche lanciate sul Giappone agonizzante ma con lo sguardo rivolto – su questo concordano autorevoli storici statunitensi (Alperovitz 1995) – anche o in primo luogo all’Unione Sovietica. Del resto, a essere minacciati non erano solo l’Unione Sovietica e la Repubblica popolare cinese. Il 7 maggio 1954, a Dien Bien Phu, in Vietnam, un esercito popolare guidato dal partito comunista sconfiggeva le truppe di occupazione della Francia colonialista. Alla vigilia della battaglia, il segretario di Stato statunitense Foster Dulles si era così rivolto al primo ministro francese Georges Bidault: «E se vi dessimo due bombe atomiche» (da utilizzare, s’intende, immediatamente contro il Vietnam?) (Fontaine 1968, vol. 2, p. 118).
Nonostante non
indietreggiassero neppure dinanzi alla prospettiva dell’olocausto
nucleare pur di contenere la rivoluzione anticoloniale (essenziale
elemento costitutivo della rivoluzione democratica), nonostante tutto
ciò, in quegli anni gli Stati Uniti e i loro alleati propagandavano
la NATO da loro fondata come un contributo alla causa della
democrazia e della pace. È in questo contesto che va collocato il
discorso nel marzo 1949 pronunciato da Togliatti alla Camera dei
deputati, in occasione del dibattito relativo all’adesione
dell’Italia all’Alleanza Atlantica:
«La principale
delle vostre tesi è che le democrazie, come voi le chiamate, non
fanno le guerre. Ma, signori, per chi ci prendete? Credete veramente
che non abbiamo un minimo di cultura politica o storica? Non è vero
che le democrazie non facciano guerre: tutte le guerre coloniali del
XIX e XX secolo sono state fatte da regimi che si qualificavano come
democratici. Così gli Stati Uniti fecero una guerra di aggressione
contro la Spagna per stabilire il loro dominio in una parte del mondo
che li interessava; fecero la guerra contro il Messico per
conquistare determinate regioni dove vi erano sorgenti notevoli di
materie prime; fecero la guerra per alcuni decenni contro le tribù
indigene dei pellerossa, per distruggerle, dando uno dei primi esempi
di quel crimine di genocidio che oggi è stato giuridicamente
qualificato e dovrebbe in avvenire essere perseguito legalmente».
Non si doveva
neppure dimenticare «la ‘crociata delle 19 nazioni’, come venne
chiamata allora da Churchill» contro la Russia sovietica, ed era
peraltro sotto gli occhi di tutti la guerra della Francia contro il
Vietnam, in quel momento in pieno svolgimento (TO, 5; 496-97).
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